prima e dopo la caduta dei Borboni, perchè là d'un colpo furono
cacciati per ragioni politiche i romantici cioè i borbonici, e sostituiti i
nuovi cioè i liberali. Ma un'altra ragione dell'equivoco è nel fatto che i
nostri pittori detti romantici — primo l'Hayez, come credo di aver
provato l'altr'anno — accettarono i soggetti romantici e i sentimenti
romantici e la lagrimosità romantica, ma il colore e il chiaroscuro
restarono degni dei neoclassici, opaco quello e saponoso, arbitrario
questo e così negletto, che le figure sembravano più fantasmi senza
rilievo al lume di luna che solidi corpi vivi alla luce del sole. Così che
quando i nostri veristi e i nostri coloristi insorsero contro i romantici
d'Italia insorgevano in realtà contro i neoclassici e infatti imitavano i
romantici di Francia: cioè erano dei romantici essi stessi. Quando con
Morelli, Celentano, Faruffini il quadro storico cominciò ad acquistar
l'unità della luce e la giustezza dei toni, questi facevano trenta o
quarant'anni dopo quella rivoluzione che in Francia aveva fatto pure
col quadro storico il Delacroix romantico. Ma a dar loro dei romantici,
anche oggi quei che son vivi griderebbero offesi.
Questo inganno nominale ho voluto subito chiarire per potervi
mostrare la pittura italiana nel posto, non ottimo, che le spetta, a
metà del secolo decimonono nella pittura europea.
Considerate infatti, per avere un'altra prova di quest'inganno, il
quadro storico che gl'Italiani, guasti dal fanatismo delle gerarchie
accademiche cortigianesche e jeratiche, ponevano sommo nella scala
della bellezza onorevole. Poichè la conquista del colore o la
conquista del movimento che son le due glorie della pittura del
secolo decimonono, non erano nemmeno state tentate dai nostri, e
poichè — come abbiam veduto a parte a parte l'altr'anno — nè
l'Hayez, nè il Palagi, nè l'Arienti, nè il Malatesta, nè il Guardassoni,
nè i due Benvenuti, nè i due Mussini, nè il Bezzuoli, nè il Pollastrini,
nè il Gazzotto, nè lo Zona, nè il Molmenti, nè il Cavalleri, nè l'Ayres,
nè l'Angero, nè il Mancinelli, nè il Podesti, nè il Gagliardi — per
nominar solo quelli che allora furon creduti ottimi — riescirono ad
abbandonare il lividore del colore classico per quanto lagrimassero in
tutte le Imelde, in tutte le Giuliette, in tutte le Clorinde, in tutte le
Francesche da Rimini, in tutte le Marie Stuarde, in tutte le Congiure