Erano entrati in una specie di sala rettangolare, illuminata
debolissimamente da un lucernario senza più vetri. Detto lucernario
doveva aprirsi in un angusto cortile. Lunghe tele di ragno, annerite
dalle immondizie, gli facevan torno torno una frangia di viscidume.
Anche la luce che riusciva a filtrare da quell'apertura pareva sudicia.
Il fetore aumentava.
— Per essere la casa degli anarchici, ci fa un bel puzzo! — esclamò
Mostardo.
Dopodichè si affacciarono sulla porta che immetteva nella ex-
platea dell'ex-teatro e rimasero là, il piccolo e il grande, disorientati,
a contemplare il novissimo spettacolo che si presentava ai loro occhi.
Dovettero, in un primo tempo, abituarsi alla grigia penombra che
teneva il luogo in una uguale tinta livida dalla quale non emergeva
se non qualche sagoma nera; ma, quando si furono adattati alla
luce-ambiente, ecco che poteron vedere di che si trattava. E si
trattava davvero di una cosa singolarissima. L'ex-teatro era
convertito in un vero e proprio accampamento di zingari. La loro
curiosità fu subito attratta da un timido cinguettìo, tanto che
Rigaglia, levata la faccia, domandò:
— Csa j' èl, di uséll?... (Ci sono degli uccelli?).
E infatti c'erano degli uccelli. C'era un povero canarino in una
gabbietta bianca, appeso al parapetto di quel più grande palco che si
trova quasi sempre al centro di ogni teatro, e che suol chiamarsi
palco reale. Il palco reale, col suo retrobottega, serviva di
appartamento alla contessa Penelope Tompinelli.
Noi sappiamo come questa contessa, ridotta al solo possesso del
vecchio teatro dei Battuti Verdi, che non le rendeva un soldo, e sul
punto di disfarsene, sollecitata dall'arcimiserevole conte Polpetta, il
quale veniva ideando, a consolazione sua e dei simili suoi diseredati,
l'organizzazione dell'Isola Felice, accondiscendesse a disporre di
quest'ultima sua proprietà a profitto del nuovo esperimento
comunista; e, raccolta la sua miseria, in detto luogo la traslocasse,
unitamente agli altri adepti, in attesa della felicità. Frattanto si era
riserbata, non potendo dimenticare di essere padrona, si era
riserbata il miglior posto, trattandosi di un teatro, e cioè il palco
reale. Nel qual palco, oltre la gabbia di un disgraziato canarino,