Disposte le cose per la pace e la guerra, drizzò contro la regina
Zenobia, che scaltra e coraggiosa restò padrona della Siria e della
Mesopotamia, ebbe anche l'Egitto, prese gran parte d'Asia. Aureliano
la vinse presso Antiochia ed Emesa (272), l'ebbe prigioniera,
distrusse Palmira di modo, che fin le immense sue ruine si
ignorarono, finchè nel secolo passato ridestarono la meraviglia degli
artisti e de' curiosi. Domo anche l'Egitto, la cui conservazione tanto
importava per vettovagliare l'Italia, determinato il grano, il papiro, il
lino, il vetro che annualmente dovea tributare, Aureliano si volse
all'Europa per ritogliere Spagna, Gallia e Britannia dalle mani di
Tetrico. Questi, che per cinque anni avea piuttosto obbedito che
comandato a turbolenti soldati, venne a darglisi spontaneo (271),
onde dopo tredici anni quelle provincie si ricongiunsero all'impero.
Aureliano menò trionfo pomposo se altro mai. Precedeano venti
elefanti, quattro tigri, oltre ducento fiere delle più rare e curiose
dell'Oriente e del Mezzodì; poi mille seicento gladiatori destinati
all'anfiteatro. Seguivano i tesori dell'Asia e della regina di Palmira in
bell'ordine e disordine; e sopra carri innumerevoli, elmi, scudi,
corazze, insegne militari. Gli ambasciadori di remotissime regioni,
etiopi, arabi, persi, battriani, indi, cinesi, venuti al rumore delle sue
vittorie sopra Palmira, attraevano gli occhi sì per la stranezza loro, sì
per la dovizia e la singolarità dell'addobbo. I prodotti di tutte le parti,
e le corone d'oro regalategli dalle città riconoscenti, attestavano
l'obbedienza e la devozione del mondo a questa Roma sull'orlo del
sepolcro. Seguivano lunghe file di Goti, Vandali, Sarmati, Alemanni,
Franchi, Galli, Siri, Egizj incatenati; dieci guerriere gotiche, prese
coll'armi alla mano, e intitolate nazione delle Amazoni; l'imperatore
Tetrico, colle brache galliche, la tunica gialla e il manto di porpora,
accompagnato dal figlio e dai gallici cortigiani; Zenobia regina, tutta
gioje e con catene d'oro alle mani e al collo, sorretta da schiave
persiane, con dietro il magnifico carro, in cui avea sperato salire
trionfalmente al Campidoglio, e i due sontuosi di Odenato e del re
persiano. Nel quarto stava Aureliano, tratto da quattro cervi o forse
renni, tolti a un re goto. Senatori e illustri cittadini chiudeano fra un