LA CORRISPONDENZA CON I CERCATORIC
Gentile Giovanni
Una delle cose che lei mi ha chiesto nel nostro primo
incontro era come stavo con il mio compagno. Le ho
risposto che stiamo molto bene insieme e che rispet-
tiamo l'uno la vita spirituale dell'altro. Invece ora le
cose stanno cambiando. La realtà è che non riesco a
vivere molto bene il mio presente con lui. Sto assisten-
do al progressivo svuotarsi del nostro stare insieme.
Stiamo crescendo attraverso percorsi diversi, si
riducono i momenti di condivisione, si annebbiano i
contatti fisici e l'amore resta nell'aria come una sensa-
zione malinconica che non ci raggiunge. Sembriamo
entrambi consapevoli di quanto sta accadendo, ma
non riusciamo a far nulla per avvicinarci. Due colonne
dello stesso tempio. In questo momento non sento il
tempio, non vivo la partecipazione, ma l'esclusione.
Non mi sento amata e non riesco ad amare.
Quando mi "ricordo di me stessa" e mi osservo, allora
mi rendo conto che il mio star male è fortemente
legato al fatto di pensare solo a me, di sentire solo i
miei bisogni, le mie aspettative, il mio desiderio di
amore. Il ricordo di me, sentire l'infinito sopra di me, mi
porta all'altro.
L'insoddisfazione porta l'attenzione solo su di me. E
così mi arrabbio perché non ho le attenzioni di colui
che dico di amare. Come una bimba voglio sentirmi
coccolata, apprezzata e incoraggiata, se non lo sento
divento antipatica, mi immusonisco e faccio sapere
che sto male... sottointeso per colpa sua. Mi nego, mi
ritiro come una cosa preziosa che deve essere conqui-
stata. Ecco di nuovo che torno a presentarle il peggio
di me, le mie piccolezze. L.
Cara amica,
le storie d'amore, le nostre storie, sono quelle che racconta-
no meglio chi siamo. Abbiamo tanto bisogno di essere
amati, di essere coccolati, curati, incoraggiati. Abbiamo
bisogno di una persona che ci stimi e ci dica «sei grande,
coraggioso/a, luminoso/a, Ti Amo». E poi ci aspettiamo
che non ci tradisca, aspettiamo che sia sempre coerente
con ciò che dice, aspettiamo che sia esempio per noi. In
altri momenti, invece, diciamo di non aver bisogno di
niente e ci vantiamo di poter andare avanti da soli.
«Se il mio partner vuole rimanere con me, deve accettare le
mie regole». Però la verità è un'altra. Tutti noi aspettiamo
la stessa cosa. Aspettiamo che qualcuno ci ami. Si guardi
intorno: il suo vicino, la sua vicina di casa, la sua compagna
di classe o il suo collega d'ufficio. Aspettano tutti la stessa
cosa: la carezza di qualcuno di cui fidarsi. In fin dei conti
su questo si fonda il marketing, la pubblicità, il commercio.
Per sopperire a quella mancanza devi circondarti di tutto:
di una grande macchina, di una grande casa, di una
grande autorevolezza... che sia sufficientemente grande
per il tuo grande vuoto. Esso è il nostro più terribile fanta-
sma. Ma non possiamo non farci i conti, è lui il contabile
sinistro che ci insegue sempre. Possiamo fingere di non
vederlo, di non dover fare i conti con lui. Un amante dopo
l'altro, una storia dopo l'altra, ci aiuterà a procrastinare
quell'appuntamento. Fino a quando non daremo uno
"stop!" consapevole a tutto questo. Bisogna imparare ad
amare e a fare di questo lo scopo supremo. Tutti attendo-
no amore e nessuno fa il primo passo nella direzione di
dare amore. Tutti hanno paura di essere feriti e nessuno
mostra il coraggio di lasciarsi ferire. Amare è avvicinarsi
a quella ferita che sanguina ancora. Decidere di lavorare
su se stessi vuol dire iniziare a cambiare rotta. Vuol dire
decidere di rompere il vetro che nasconde l'allarme e
amare per primi.
Amare nonostante il tradimento, amare comunque.
Portare un Amore che non è il nostro, ma è l'amore di un
amore più grande. Il pensiero di Dio che mi ama non solo
mi è utile, mi è indispensabile. Sento la sua carezza, il suo
abbraccio e questo mi basta. Perché la carezza di Dio è la
carezza dell'infinito intorno a noi. La carezza del sole al
tramonto, la carezza dell'acqua che bagna i nostri piedi
alla riva di un fiume, la carezza del profumo di un fiore
che ci raggiunge e ci rallegra. Sto facendomi bastare tutto
questo, cara L. E le assicuro che questo "bastare" non è
poco. È molto di più delle mie miserie e delle mie
contraddizioni. Un caro saluto
•
Giovanni Maria Quinti
Gentile sig. Quinti, ho assistito ad alcune vostre
conferenze e so che la vostra scuola insiste molto
sull'importanza del maestro fisico, tuttavia non le
nascondo le mie perplessità. Ho la sensazione che il
pretesto del maestro sia un’arma a doppio taglio
basata sulla necessità dell'uomo di sentirsi parte di
un branco e di avere un capo branco cui affidare la
propria vita, evitando così di assumere la responsa-
bilità della propria. Certo può essere utile all'inizio
avere una guida, ma un maestro che non porta al
contatto con il maestro interiore che è celato in
ciascuno di noi non è un vero maestro, un vero
maestro, se fosse tale, dovrebbe a un certo punto
spingere l'allievo a staccarsi da lui, anche qualora
questi fosse reticente, anche se fosse necessario
costringerlo a calci nel sedere (si dice che Gurdjieff
Invia la tue domande/a:
[email protected]
Risponde Giovanni Maria
C
RAPPORTO DI COPPIA E RICORDO DI SÉ
IL MAESTRO, BISOGNA LIBERARSENE?
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