carità di Ranuccio; non chiese a Dio che operasse un miracolo per
mutar le pietruzze del fiume in celidonie, o gli sterpi in adianti e
panacee, ma si diede, con tutto zelo e fuor d'ogni riserbo, a quelle
cure che riputava più atte a richiamare il calore e le forze vitali
dell'assopita.
LXXIII.
Piegato un ginocchio accanto a lei, coll'altro le fece spalliera; e,
levatala dal suo giacitojo, senza nuocere al suo casto abbandono, la
accostò a se, appoggiando il dorso di lei al proprio petto, e
raccogliendo il capo cadente sulla sua spalla; intanto che, serrandola
tra le braccia, gustava senza rimorso la dolcezza di un amplesso.
Ogni suo atto era sollecito, pietoso, ingenuo come quello di una
madre che regge il proprio bambino dormente. La strinse più volte, e
la baciò in fronte; e, postale una mano sul capo, le stropicciava le
tempia per incalorirle; poi, staccandosi alcun poco da lei, si deliziava
nel contemplarla, sempre più convinto che quel volto pallidissimo era
il sembiante di chi dorme d'un sonno profondo, e si deve svegliare
tra poco.
Se è vero che un fluido misterioso, elemento della vita, può, col
rituale di una nuova scienza, esser trasfuso dall'una all'altra creatura,
di modo che due esistenze, due volontà, due menti si confondano in
una, e questa divenga padrona di quella; chi porrà in dubio che
questo spirito vivificatore, di cui è lecito dar ad altri la nostra parte
esuberante, non operi il più ovvio prodigio di ravviare un'esistenza
momentaneamente sospesa, di scuotere i sensi ottusi, di riaccendere
una mente assopita? — Che se alcuno dei nostri lettori non vuol
accomodarsi a questa ipotesi, pensi, che intorno ad un corpo vivo ed
infervorato da una forte passione, aleggia un'aura tiepida e
ravvivante, che deve essere avidamente bevuta da un corpo
spossato, in ragione appunto della sua momentanea debolezza. Ad
ogni modo, senz'altro occuparci della cagione, attestiamo il fatto che
Agnesina tornava alla vita, che il suo cuore batteva abbastanza libero