poi tolta con la violenza, causava e giustificava la rivoluzione. Vi sono
anche altre somiglianze: tutte e due le volte venne proclamata la
decadenza della dinastia regnante e nominato un re straniero. Ma i
risultati invece furono ben differenti. La rivoluzione del 1848
intrapresa con entusiasmo, fu da principio mirabile per unanime
concordia di animi, ebbe favorevoli le circostanze di tempo, e pure in
poco tempo finì miseramente con grande meraviglia di tutti. Quasi
ventimila uomini in armi potevano combattere per lei e si può dire
che due reggimenti svizzeri ne ebbero ragione senza fatica.
Esaminiamo un poco l'andamento delle cose.
Già nell'autunno del 1847 mentre il popolo di Napoli si agitava
violentemente, anche quello di Palermo era in grande fermento.
Governatore del re era Maio (un nome che ai tempi di Guglielmo il
Normanno aveva avuto un periodo di rinomanza molto sgradita) e
comandante delle truppe reali era Vial. La popolazione, con alla testa
uomini della più antica nobiltà, il marchese Ruggiero Settimo, il
marchese Spedalotto, il principe Serra di Falco, Scordia, Pallagonia,
Grammonte, Pantellaria, aveva mandato a Napoli numerose
deputazioni chiedenti il riconoscimento degli antichi diritti. In
Palermo avevano luogo le stesse dimostrazioni che a Napoli, gli
stessi arresti in massa e lo stesso atteggiamento minaccioso delle
truppe. Non venendo nessuna concessione da parte del governo, i
Siciliani annunziarono la lotta con cavalleresca franchezza ad alta
voce; la rivoluzione, infatti, venne proclamata con manifesti, discorsi
e deputazioni. Essa non doveva avere nessuno dei caratteri di una
cospirazione, nè assumere l'aspetto di una rivolta o di una sedizione;
no, era la popolazione che si sollevava tutta intiera. Si stabilì anche
una data, il 12 gennaio 1848, giorno natalizio di Ferdinando: se per
quel giorno i desiderî del popolo non venissero soddisfatti, si sarebbe
dato principio alla lotta. E la mattina di quel giorno il popolo infatti si
ribellò. Le campane suonarono a stormo, tutta la popolazione, nobili,
frati, preti, borghesi, operai e pescatori, senza distinzione di casta,
gli uni bene armati, gli altri impugnando armi d'occasione, spiedi,
ramponi e coltelli da caccia, si riversò sulle piazze. Si gridava: Evviva