sempre. Immaginate una realtà più angosciosa, un addio più
commovente? Che differenza esiste fra lui, Carlo Clauss, e un uomo
condannato a salire il patibolo, all'alba di un giorno stabilito, in
quell'ora precisa, allo scoccare di quel minuto, non un istante prima,
non un istante più tardi? Mi è stato detto che un uomo, sul punto di
essere giustiziato, chiedesse in grazia che gli fosse portato un fiore,
un fiore rustico, una di quelle piccole violacciocche che hanno un po'
il profumo del reseda. Ebbene, quando alfine gli fu portata, nella
cella della sua prigione, ed egli l'ebbe odorata a lungo, più volte, la
sua faccia si illuminò di beatitudine, e disse: — Ora sbrigatevi. Ora
sono felice. È una morte storica, un esempio! Sì, signora, si legge in
un'antologia. Così Clauss...
— Basta, basta, per carità! — esclamò Daria posando una mano
sulla mia bocca. — Mi farete morire di crepacuore!
Quella mano tepida, molle, molle e carezzevole, posava sulla mia
bocca. Io sentivo che era tepida e profumata, e che indugiava sulle
mie labbra. Ebbi come un principio di vertigine, sollevai la mano fino
a toccar quella mano; poi la ritrassi e chiusi gli occhi. E la mano se
ne andò, strisciando, carezzandomi il mento, leggiera, lenta, ed io
rimasi con il profumo di quella carne sulla bocca.
— Ebbene? — domandò quella voce. — Che cosa volevate dire? Che
io sia per lui come un fiore? Come una violaciocca, un piccolo fiore di
campo?
Io volevo rispondere: — No, no! Non dovete andare. Non voglio!
Ma ero come assonnato. Udivo, vedevo, comprendevo, ma non
potevo nè muovermi, nè parlare.
— Che io vada? — mormorò (ed era nella sua voce qualche cosa di
più commovente che il pianto, di più tenero che una carezza, di più
dolce che una parola d'amore), — che io vada? Perchè egli dica di
me, domani, come ieri: — Quella donna è doppia come un serpente?
— oppure: — Ella è venuta ad offrirsi ma io non l'ho voluta?
— No! — esclamai, — Clauss non dirà questo. Io sarò presente. Noi
ceneremo insieme sulla veranda, ed egli non potrà insultarvi...