tranquillo: «Cattiva carburazione. I radiatori sono freddi. Spero di
raggiungere le nostre linee». Lo guardo, lo guardo bene.
Ha i capelli rasi fino alla cotenna, come gli atleti greci, come i
lottatori del ginnasio. Vorrei nominarlo col nome d'uno dei tre Magi,
del più giovine, di quello dalla pelle buia, dalle labbra grosse, dagli
occhi sporgenti, di quello che portava la mirra.
Piemontese d'oggi, pacato, volontario, tenace, ma non senza
pieghevolezza e amore del gioco, preciso e ardito, deliberato a
vincere e a godere. Ha ventisette anni: è nel culmine della
giovinezza, quando la prima fame è sazia e cominciano gli indugi sul
sapore.
È stato a Verona, per tre ore, divorato dal desiderio e dall'ansia, per
vedere una sua amica che passava da quella stazione con un treno
della Croce Rossa. Servito da un'astuzia e da un'audacia fredde,
dissimulando la sua avidità quasi ferina — dopo la lunga astinenza
del campo d'aviazione — ha potuto riescire a ritrovarsi con lei: per
alcuni attimi? per un'eternità? La visione di tutta quella carne
dolorosa, composta negli scompartimenti squallidi, ha traversato il
suo delirio. E, per perdonare a sé l'empietà, egli ha promesso al suo
rimorso l'espiazione: ha giurato di offerirsi al più gran pericolo, ora e
sempre, per tutta la guerra...
Mi racconta questo su la soglia, mentre si vede luccicare l'Ausa sotto
la luna nuova, e s'ode sul ponte lo scalpitío dei cavalli.
Per avere ventisette anni darei il libro di Alcione.
Ho la mia fotografia di ieri, implacabile, che mi mostra quel che
sono, quel che è il mio viso. Eppure, oggi, a cavallo, avevo non so
che senso giovenile del mio corpo. Dianzi, sotto le spazzole dure e
sotto i guanti di crino avevo non so che senso giovenile dei miei
muscoli, dei miei tendini, delle mie arterie.
Ma là, nella fotografia di ieri, nella «istantanea» spietata, sono già
vecchio. Lo vedo: c'è là qualcosa di senile, che pure mi sembra
estraneo, che pure non sento in me. Quando cammino, quando
galoppo, quando volo, quando l'aria mi percote, quando il vento mi