Un giro in macchina 2024 - libro automotive

FleetandMobility 6 views 127 slides Oct 28, 2025
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About This Presentation

Il libro raccoglie tutti gli articoli a tema automotive realizzati da Pier Luigi del Viscovo nell'anno 2024 su varie testate giornalistiche


Slide Content

Un giro in macchina
2024
Pier Luigi del Viscovo
Articoli pubblicati su Il Sole 24 Ore,
e il Giornale e Forum Automotive
con una prefazione di Massimo Artusi
Pier Luigi del Viscovo
Sono professor e di Marketing e Sistemi di Distribuzione e
Vendita. Ho insegnato presso la LUISS di Roma e Alma Mater di
Bologna, nonché in altri pr estigiosi atenei.
Ho fondato e dirigo il Centro Studi Fleet&Mobility e l’Istituto
Sperimentale di Marketing. Ho creato e animo la community
La Società del Marketing e i format La Capitale Automobile
e Auto-conv ersazioni, tutti luoghi dedicati al confronto e al
dibattito speculativ o.
Sono stato il co-fondatore, insieme all’amico e maestro
Tommaso Tommasi, di InterAuto Fleet&Mobility e il direttore
scienco di Car Fleet. Pubblico regolarmente articoli
su IlSole24Ore, Il Giornale, InterAuto News e altre testate.
Sono stato consulente del CESE (Comitato Economi-
co e Sociale Europeo dell’UE) per la Direttiva sul Mercato
Unico R etail della Commissione E uropea.
In una precedente carriera (o vita?) sono stato manager
di Hertz Leasing (Ford Credit), Colgate-Palmolive,
Cirio-Bertolli-D e Rica ed Ellesse, con esperienz e in Italia e
all’estero, oltre che consulente per lo Studio Ambrosetti, a
capo della practice sales&mar keting.
Ho un master in marketing e commercio internazionale
(Istituto per il Commer cio Estero), conseguito dopo la laurea
in giurispr udenza alla Federico II di Napoli e la maturità clas-
sica presso i S alesiani.

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SOMMARIO
PREFAZIONE 5
INTRODUZIONE 7
UN GIRO IN MACCHINA 2024 9
Vendite auto 2023, record di fatturato: il mercato sfonda quota 11
45 miliardi di euro
La tecnologia digitale rivoluziona lo stile di guida 13
Vetture green, il regalo a Pechino dell’europarlamento 16
Auto hi-tech ok per la rc, meno utile per le ztl 18
Un disastro chiamato “green” 20
Auto digitali si fa presto a dire C.A.S.E. 22
Rivoluzione segmento B: ora vincono i baby Suv 24
L’illusione costosa di salvare la terra con le “case green” 26
Nel noleggio a lungo termine sale la quota dei privati 28
Il pericolo è in agguato nel touch display 31
Elettriche si svalutano? Meglio il noleggio 33
La verità, vi prego sulla rivoluzione verde. Gli italiani scettici su scenari e informazione 35
Gli incentivi per l’auto? Più sbagliati del superbonus 39
Concorrenza dalla Cina: è il cliente che decide 41
Non c’è un caso Fiat, solo colpe rossoverdi. Ma i sindacalisti non lo possono dire 43
Alfa Romeo Milano, Junior e dintorni: la guida degli “alfisti” è scomparsa 45
L’oro dei manager. Le “ragioni” di una vergogna 48
Le medie cilindrate servono solo per iniziare 50
Noleggio in crescita e dinamiche di settore 52
Per il noleggio trend in crescita continua 54
Le ragioni politiche e industriali dei dazi EU 59
L’evoluzione a ruote alte del mercato europeo 61

4UN GIRO IN MACCHINA 2024
Suv penalizzati in città, l’ultima battaglia anti-auto 63
Multe CO2: l’incubo delle Case automobilistiche europee 65
Macchè auto ecologiche. Le Case spingono l’elettrico per non pagare le multe 67
La favola elettrica delle emissioni zero 71
Auto cinesi troppi brand: selezione darwiniana 73
Auto, le ragioni di una crisi epocale: dal dieselgate alla politica green della UE 75
Agli italiani l’auto piace e non ci rinunciano 79
Se Stellantis si ribella contro Tavares 81
Concessionari Stellantis alla UE: impossibile il mercato assorba 83
tutte queste auto elettriche
Alphabet cresce con la spinta dei privati 85
Ripartono le grandi flotte aziendali ma i privati scelgono poco il noleggio 87
L’asso di denari UE sulle auto elettriche 90
La tempesta dell’auto colpisce i dealer 92
Gli italiani al volante? Asini con il touch screen 94
Regole UE e prezzi alti affossano l’automotive 96
Macchine più care e volumi in discesa 98
Dimissioni Tavares: il manager portoghese aveva ragione crisi automotive 100
Basta incentivi all’auto per pagare le follie UE 103
Flotte, stretta del fisco sulle auto aziendali 105
Prevale l’incertezza: contratti in scadenza verso la proroga 108
Sanzioni ue fino a 15 miliardi: quali scenari 110
Così il sindacato verde ha sacrificato gli operai 111
MERCATO AUTO A VALORE 2024 115
MERCATO AUTO A VALORE 2024 - NOLEGGIO 122

5
PREFAZIONE
Rileggere gli articoli di Pier Luigi del Viscovo, a conclusione di un
anno travagliato come il 2024, è utile, istruttivo e piacevole per-
ché poche penne italiane hanno la sua competenza, la sua sagacia
e il suo sarcasmo. Molto spesso, infatti, chi partecipa a un dibatti-
to serrato nei toni e complesso nei contenuti, come quello sull’e-
voluzione del mondo dell’automotive, vive un eterno presente,
proiettato verso un futuro che vorrebbe contribuire a migliorare,
indicando gli errori, suggerendo soluzioni, promuovendo strate-
gie. Ciò comporta una sorta di appiattimento del passato - anche
quello recente - in una specie di foto d’epoca ingiallita e dimenti-
cata, dal momento che nuovi frangenti richiedono tutta la nostra
attenzione e il nostro impegno.
Invece, il semplice sguardo dei titoli in sommario ci ricorda che
quella foto che ci appare sfocata e ingiallita è in realtà un film
che sta continuando ad essere proiettato e che ci mostra un mon-
do in continuo e incessante mutamento. La precisa ricostruzione
degli eventi e la puntuale descrizione dei momenti essenziali che
hanno segnato l’automotive nel 2024, colte con acuta capacità
di analisi e presentate con chiarezza espositiva, fanno cogliere al
lettore come in quei dodici mesi appena trascorsi sia cambiato più
di qualcosa, soprattutto nel tema di fondo che percorre l’Europa
dell’automotive: la decarbonizzazione dei trasporti.
Se tra i primi articoli dell’anno compaiono una serie di dure e
motivate critiche alle istituzioni europee che, non cedendo un
pollice sulla linea dell’elettrificazione totale, stanno regalando alla
Cina un vantaggio sempre meno recuperabile, tra gli ultimi c’è il
riscontro dell’attesa per l’annunciata sospensione delle sanzioni
alle case costruttrici di automobili che già si sapeva non avrebbero
potuto rispettare i target utopistici fissati già per il 2025.
In mezzo non c’è solo la decarbonizzazione, ma riflessioni - at-
tente e rigorose - sulla digitalizzazione, sul noleggio, sul mercato,
sui concessionari, sulla fiscalità, sull’incentivazione. Tutti temi che

6UN GIRO IN MACCHINA 2024
sono, però, comunque connessi, direttamente o indirettamente,
con la questione - centrale - del Green Deal.
Oggi che il nuovo anno è già avviato da qualche mese, possiamo
dire che la risposta della Commissione europea alla questione multe
è insoddisfacente; che è grave la dimenticanza dei veicoli pesanti
nell’Action Plan di Ursula von der Leyen; che manca un’esplicita
apertura ai biocarburanti; che bisogna ridefinire il criterio di calcolo
delle emissioni basato sul controverso Tank to Wheel (TtW), per
adottare il più sostenibile Well to Wheel (WtW), in cui il computo
rivela l’impatto dell’intero ciclo di vita di tutti i vettori energetici.
Ma, proprio rileggendo gli articoli di Pier Luigi, ci rendiamo con-
to che queste affermazioni hanno un’eco più forte di un anno fa,
quando per le nostre richieste a Bruxelles non c’era il minimo spira-
glio di ascolto. La «flessibilità aggiuntiva», richiesta «senza indugio»
alla Commissione, dal Consiglio europeo del 20 marzo, è - di fatto
- una sconfessione almeno parziale dell’Action Plan. E, sia pure in
assenza di ulteriori precisazioni, la «neutralità tecnologica» indicata
come direzione di tale «flessibilità aggiuntiva», suona questa volta
meno vaga e meno vuota di quando veniva evocata un anno fa.
Qualcosa, dunque, si muove e questo libro ce lo dimostra do-
nandoci la forza per portare più avanti e con più insistenza le
nostre idee. Certo, la battaglia non è vinta. Certo, ci sarà ancora
da impegnarsi, Certo, le lobby del full electric non accetteranno
passivamente che il realismo subentri all’utopia. Ma queste pagine
ci ricordano che oggi, rispetto a un anno fa, c’è un po’ più di spa-
zio per il pragmatismo e la concretezza che andiamo sostenendo.
Non possiamo che augurarci che questo spazio aumenti sempre di
più e che l’Autore ci possa dare puntualmente conto di ulteriori
cambiamenti positivi già con la prossima edizione di «Un giro in
macchina». Cambiamenti che facciano passare il mondo dell’auto-
motive dall’utopia della disperazione al realismo della speranza.
Massimo Artusi
Presidente, Federauto

7
INTRODUZIONE
Il 2024 s’è chiuso con la spada di Damocle delle multe C.A.F.E.
che avrebbero imposto alle case auto di spostare il mix delle ven-
dite verso auto elettriche e ibride plug-in, molto oltre quello che è
il numero di clienti interessati.
Prima c’erano stati i dazi pensati dall’UE verso le auto elettriche
cinesi, per accorciare il gap di prezzo con quelle made-in-Europe.
I costruttori europei addebitavano, e addebitano ancora, la scarsa
domanda di auto alla spina alla difficoltà di ricaricare alle colon-
nine pubbliche e al prezzo di acquisto alto. Con questa mossa, la
Commissione puntava a sgonfiare questa scusa.
C’è stato anche il caso Alfa Romeo Milano, con una bella rifles-
sione sul concetto stesso di auto come prodotto che vada oltre la
pura mobilità. Concetto ampiamente mortificato per lunghissimo
tempo, salvo poi scoprire che una certa passione c’è ancora.
Ma forse la vicenda che più ha tenuto banco nel 2024 è stato il
caso Stellantis, che per noi è ex-Fiat. Gli ultimi mesi di Tavares
sono stati densi di dichiarazioni, fino alla sua dipartita. È stato
indicato come il principale, se non unico, problema, per poi sco-
prire che una volta uscito quei problemi restavano lì e non erano
così facili da risolvere.
Tanti avvenimenti, in un anno che si era aperto con la promessa di
corposi incentivi per aiutare la vendita delle auto elettriche, prima
colpevolmente ritardati fino a primavera inoltrata, congelando le
vendite, e poi misteriosamente esauriti nel giro di poche ore, tra
accuse reciproche tra i vari operatori su chi avesse colpito tanto
rapidamente.
In primavera si erano anche accumulate aspettative per un nuo-
vo Europarlamento e una nuova Commissione, meno ideologici

8UN GIRO IN MACCHINA 2024
e più consapevoli del danno che quelli uscenti avevano inflitto
all’industria automobilistica. Purtroppo, tali aspettative sarebbero
state disattese dalla riconferma della Commissione, con qualche
velata disponibilità a dialogare ma con una chiusura assoluta sui
fatti rilevanti.
Ancora, dentro le auto, quella tecnologia che, quando si esprime
con un touch screen, diventa una fonte di distrazione inaccettabi-
le e molto pericolosa per la sicurezza.
Pier Luigi del Viscovo

UN GIRO IN MACCHINA 2024

11
VENDITE AUTO 2023, RECORD DI FATTURATO:
IL MERCATO SFONDA QUOTA 45 MILIARDI DI
EURO
Con 1,6 milioni di auto, il giro d’affari supera il livello del
2007 quando furono vendute 2,5 milioni di vetture.
È
record di vendite per il mercato auto nel 2023: superato il
tetto dei 45 miliardi di euro che reggeva dal 2007, secondo
le prime anticipazioni del Centro Studi Fleet&Mobility.
Solo che allora servirono 2,5 milioni di immatricolazioni mentre
adesso ne sono bastati 1,6. Nel mitico “pre-Covid” 2019 gli italiani
pagarono 40 miliardi di euro per portarsi a casa (o in azienda) 1,9
milioni di macchine.
È molto probabile che il risultato effettivo, dopo che gli incrementi
dei listini saranno stati elaborati, sia ancora superiore a queste
prime stime. Questi valori tengono conto degli sconti medi prati-
cati nei canali e degli incentivi che, essendo pagati dai contribuen-
ti, altro non sono che ulteriori agevolazioni che abbassano il valo-
re della spesa. Poco più della metà dei ricavi, 52%, sono arrivati
dai privati, che assorbono il 55% dei volumi. Il noleggio, che pesa
il 28% in volume, sfiora il 31% in valore. Il resto, 16% in volume
e 19% in valore, viene dalle aziende, incluso gli stessi operatori
del settore, case e concessionarie, che auto-immatricolano un’auto
ogni nove acquistate dal mercato vero e anche di prezzo elevato,
incluse tante km0 elettriche per bilanciare il mix.
Questo cambiamento del mercato è dovuto a un aumento gene-
ralizzato dei prezzi che ha tenuto fuori chi puntava a vetture di fa-
scia bassa, dove i volumi sono fortemente diminuiti. Al contrario,
le fasce sopra i 35.000 e sopra i 50.000 euro sono aumentate sia
in percentuale sia in volume assoluto. In questo scenario voluto
dai costruttori, vagheggiare il ritorno ai bei tempi che furono ap-

12UN GIRO IN MACCHINA 2024
pare improbabile. Vorrebbe dire abbassare i prezzi e vendere sì più
macchine ma generare meno ricavi e meno margini. È lo spazio
lasciato libero volutamente dai costruttori incumbent e a cui stan-
no puntando i brand cinesi.
Articolo pubblicato su il Sole 24 Ore il 2 gennaio 2024

13
LA TECNOLOGIA DIGITALE RIVOLUZIONA LO
STILE DI GUIDA
Le applicazioni. I device di bordo identificano e tracciano il
veicolo non solo per gli accessi alle Ztl ma anche per intervenire
in caso di incidente.
L
a transizione elettrica sta oscurando il matrimonio dell’au-
to con la tecnologia digitale e la sua apertura alla mobilità,
stanno già modificando nel profondo il rapporto dell’uomo
con questo fantastico oggetto.
Mentre l’auto ha sempre assorbito le innovazioni tecnologiche
che le potevano servire, la mobilità è un capitolo sostanzialmen-
te nuovo. Ovviamente, le macchine sono sempre state proposte
come oggetti destinati a muoversi e capaci di farlo con prestazioni
diverse, declinate in base ai bisogni dei clienti. Più prestazionali
per gli amanti della guida sportiva, più grandi per le famiglie, più
confortevoli per chi debba fare tanti chilometri.
Però l’industria, dopo averle progettate, costruite e testate, le
esponeva nei saloni e da lì in avanti, dopo l’acquisto, usarle era
affare del cliente. Sì, c’era una rete di assistenza ma comunque
pensata per quando fossero state in modalità “non marciante” o
non al meglio. Poi è arrivato il noleggio a lungo termine, verso la
fine del secolo, a dire che l’auto non era quella esposta nel salone
ma quella con cui si va in giro, completa dei necessari servizi fi-
nanziari e assicurativi e accudita da un sistema pronto a garantire
l’assistenza tenendo conto del dove, del quando e soprattutto del
quanto a lungo. Sì perché il tempo di “fermo macchina” è di fatto
una cancellazione della sua funzione d’uso, come sa bene chi la
guida. Assistenza non era più risolvere il problema dell’auto, ma
farlo creando meno problemi possibile al driver: è l’auto al suo
servizio e mai il contrario.

14UN GIRO IN MACCHINA 2024
Sdoganato il concetto che l’auto è quella che si muove su strada
con uno al volante, è stato facile inquadrarla nell’intero sistema
del trasporto passeggeri, che nel frattempo si arricchiva dell’alta
velocità per il medio raggio e dei servizi per la mobilità urbana,
con le forme moderne di trasporto individuale, dal car sharing
alle bici e monopattini, insieme al trasporto pubblico collettivo.
Il quadro complessivo ormai nitido mostra che la mobilità degli
automobilisti è più ampia di quella compiuta con l’auto propria.
Intendiamoci, avere la disponibilità esclusiva di un’auto resta la
scelta di moltissimi, purché assistita da un sistema come il NLT,
pronto ad aiutare affinché sia sempre efficiente e nei tempi più
brevi. Ma domani, per alcuni già oggi, non basterà e bisognerà
offrire insieme altre forme di mobilità, operate da specialisti ma
accessibili nel tempo e con la facilità di una app.
Questa direzione incrocia direttamente la tecnologia digitale, già
arrivata per conto suo nell’auto, che ha sempre cercato e incorpo-
rato le innovazioni e adesso è a suo agio nell’abbracciare le solu-
zioni digitali. Forse troppo a suo agio, tanto da non distinguere le
soluzioni dedicate al funzionamento della vettura da quelle relati-
ve alla mobilità e alle altre esigenze del driver e/o del passeggero.
Gli ADAS, Advanced Driver-Assistance System, rendono le mac-
chine sempre più facili da guidare e, affiancando la guida umana,
intervengono in sua sostituzione nei casi di distrazione o quando
i tempi di reazione sarebbero pericolosamente lunghi. In quanto
soluzioni tese a migliorare la guida e la sicurezza, sono di assoluta
pertinenza dei costruttori.
Quando però la tecnologia va oltre il funzionamento del veicolo e
incontra la mobilità, non è più così scontato che altri soggetti, che
svolgono una missione più votata ad aiutare gli spostamenti, non
possano intervenire offrendo direttamente le loro soluzioni digi-
tali. Pensiamo innanzitutto ai device di bordo che identificano e
tracciano il veicolo, per gli accessi alle ZTL e alle strade a pedaggio

15
ma anche per intervenire immediatamente in caso di incidente.
Adesso questi dispositivi sono più sofisticati e registrano, oltre allo
spostamento (luogo, tempo e chilometri) anche lo stile di guida,
che non è solo velocità ma pure accelerazioni e frenate.
Tali possibilità mettono in discussione il sistema degli accessi alle
ZTL, pensato per limitare le emissioni inquinanti nelle aree urba-
ne densamente popolate e scarsamente ventilate. Attualmente l’u-
nico riferimento utilizzato per i blocchi del traffico o per limitare
gli ingressi nelle ZTL è la classe Euro del veicolo, un dato ufficiale
ma che non legge il reale grado di emissioni inquinanti. A comin-
ciare dai chilometri percorsi, dato che una Euro2 che circola per
30 km/settimana inquina meno di una Euro6 che ne fa 300. Per
proseguire rilevando la velocità, sapendo che una velocità troppo
bassa oppure troppo alta porta ad avere delle emissioni inquinanti
per chilometro maggiori rispetto a una guida a velocità costante.
Per finire proprio allo stile di guida, come emerge da uno studio
condotto su 8.000 veicoli dotati di Unibox, la blackbox di Uni-
polSai: un driver con guida aggressiva inquina con una Euro6 di
più di uno con una guida dolce al volante di una Euro4. Per cui
sì, la guida aggressiva oltre ad avere potenziali impatti assicurativi
ha sicuramente un risvolto ambientale.
In conclusione, passare dall’auto alla mobilità si sta rivelando
un salto molto più acrobatico di quanto i costruttori pensassero.
Il NLT ha reso evidente che mettere il driver al centro significa
guardare all’uso del veicolo e non solo alle sue caratteristiche. Per
corollario, la tecnologia digitale rende evidente che sono i com-
portamenti del driver, e in prospettiva anche dei passeggeri, a fare
la differenza, più che i dati di omologazione.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore l’11 gennaio 2024

16UN GIRO IN MACCHINA 2024
VETTURE GREEN, IL REGALO A PECHINO
DELL’EUROPARLAMENTO
N
el chiedersi se l’industria automobilistica europea pos-
sa continuare a prosperare, l’Europarlamento mostra di
essere in confusione su se stesso e sulla propria ragion
d’essere.
In un documento ufficiale appena divulgato, il Servizio Ricerche
illustra le 10 questioni da monitorare, tra cui il futuro del settore
auto europeo, con la sua storia centenaria di eccellenze ingegneri-
stico-meccaniche, di qualità, design e creatività. Riconosce questo
patrimonio che vale l’8% del PIL e 12,9 milioni di addetti, con
dei leader mondiali nella produzione e nella componentistica.
Poi descrive lo scenario, riportando “l’elettrificazione come strategia
chiave dell’industria per produrre veicoli a zero emissioni allo scarico
e decarbonizzare il settore”. Ecco le prime falsità. È stata la politi-
ca, con la Commissione, a imporre all’industria la produzione di
auto elettriche, essendosi accorti che la domanda spontanea non
avrebbe mai e poi mai adottato questa tecnologia su base significa-
tiva. Inoltre, il settore è già decarbonizzato, producendo appena lo
0,9% delle emissioni, e quelle considerate sono allo scarico e non
sul ciclo vita completo.
A questo punto, dopo aver scaricato la responsabilità sull’indu-
stria (che pure ne ha di sue per non essersi opposta), illustra come
sia sotto attacco da parte di nuovi concorrenti, Cina in testa,
che “sta prosperando avendo scommesso sulle auto elettriche”. Altra
inesattezza. La Cina non ha scommesso sulle auto elettriche; ha
scommesso che l’Europa avrebbe scommesso sulle auto elettriche,
e ha vinto. La storia la conosciamo. L’industria europea, per ri-
convertirsi alle batterie, ha virato la sua strategia dai volumi, che
vuol dire saturazione degli impianti e occupazione, ai margini,

17
con l’abbandono del segmento di primo prezzo e sgombrando il
campo alle esportazioni cinesi. Per inciso, di auto termiche, non
elettriche.
Poi giù a descrivere come la Cina sia competitiva sulle batterie e
sui materiali necessari, non capendo che questa è esattamente la
ragione per contrastare la diffusione della mobilità elettrica e non
promuoverla per legge. In pratica, hanno assunto una posizione
terza, valutando quale sia il meglio per l’umanità. Senza entrare
nel merito, il macigno è che i parlamentari non sono terzi, ma
giocano con la maglia dell’Europa. Non gli è chiaro che la loro
funzione è fare gli interessi degli europei e aumentare, non ridur-
re, la nostra capacità di generare ricchezza.
Sì perché, quando sei il luogo più ricco del pianeta e arriva la
globalizzazione, ti può capitare di diventare meno ricco. Dunque,
devi giocare le tue carte puntando a minimizzare tale rischio. In
ballo c’è solo il benessere dei cittadini, che a Bruxelles credono sia
garantito. Purtroppo non lo è, come i fatti stanno dimostrando.
Articolo pubblicato su il Giornale il 13 gennaio 2024

18UN GIRO IN MACCHINA 2024
AUTO HI-TECH OK PER LA RC, MENO UTILE
PER LE ZTL
L
a tecnologia di bordo non serve a trasformare l’auto in un
telefonino con le ruote, ma a guidarla meglio, per soddisfare
quella funzione che ancora resta l’unico e solo motivo per
cui degli umani si ficcano dentro una scatola con le ruote: anda-
re da qua a là, nel modo più comodo, veloce e sicuro possibile.
Questo non per rifiuto dell’innovazione e del cambiamento, ma
perché chi sale in macchina il telefono ce l’ha già. Un’applicazione
importante della tecnologia all’auto è la misurazione in tempo re-
ale della guida: quanti chilometri fai? a che velocità? Informazioni
determinanti per la sicurezza e per le emissioni.
I premi per la responsabilità civile sono ancora basati sul tipo di
auto e potenza, città di immatricolazione e dati del titolare. Che
un’auto percorra 3.000 o 30.000 km/anno e sia guidata in modo
tranquillo o aggressivo non incide, mentre è chiaro che i rischi sia-
no di ampiamente diversi. AON, un broker, ha chiesto a un cam-
pione di operatori intervenuti alla Capitale Automobile se ritenes-
sero il mercato pronto a ricevere dei premi basati sulle percorrenze
e/o sullo stile di guida. Due terzi hanno risposto affermativamente
per entrambe le misurazioni e appena un esiguo 8% ha dichiarato
opportuno mantenere il sistema attuale, almeno per adesso.
La sicurezza è importante ma pure le emissioni occupano la sce-
na, specie nelle città con le zone a traffico limitato (ZTL). Oggi
i divieti sono basati sul tipo di motore, benzina, diesel, ibrido
o elettrico, e sulla vetustà, ossia la classe Euro. Eppure, è chiaro
che chi entra in centro una/due volte al mese per pochi chilo-
metri inquina meno di chi lo attraversa ogni giorno. Inoltre, un
recente studio di UnipolTech, società di telematica del Gruppo
Unipol, ha misurato le emissioni su strada di alcune vetture con
motori diversi e guidate in modo più o meno aggressivo. Sorpresa:

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un’auto Euro4, se guidata in maniera tranquilla, consuma meno
e dunque ha emissioni inferiori di una Euro6 guidata con piglio
sportivo. Pensando alla possibile applicazione di questi parametri,
è stato chiesto allo stesso campione di cui sopra se fosse giunto
il momento di usarli per regolare gli accessi alle ZTL. Mentre
sui premi avevano mostrato un’ampia apertura, per le ZTL tre su
cinque hanno indicato di preferire una selezione basata sul tipo di
motore. Una tiepida concessione è stata accordata per le percor-
renze, con il 23% favorevole a consentire l’accesso per un tot di
chilometri, indipendentemente dal motore.
Prima che questo diventi realtà, la tecnologia dovrà essere presente
in tutti i veicoli e anche collegata a un sistema di ricezione e con-
servazione dei dati. Possibile ma non facile, date le implicazioni
sulla proprietà dei dati e sulla privacy del driver.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 13 gennaio 2024

20UN GIRO IN MACCHINA 2024
UN DISASTRO CHIAMATO “GREEN”
G
li stabilimenti Fiat italiani sono a rischio per il green deal.
Gli incentivi non sono la soluzione e il Governo deve fare
il Governo, non l’azionista.
Uno. L’Italia è respingente verso la manifattura perché da decenni
non ha una politica industriale. Lo vediamo in tanti settori, non
solo nell’auto. Senza una strategia lo Stato si riduce a usare i soldi
dei contribuenti come un idrante per spegnere le piccole e grandi
crisi. Serve altro. Per produrre ci vuole energia a basso costo, tipo
quel nucleare a cui abbiamo due volte voltato le spalle. Se poi il
Paese è stretto e lungo e distante dai mercati europei, ti servono
strutture logistiche, tipo snodi ferroviari e portuali, non l’illusione
di un ponte dove non passerà mai nessuno.
Due. L’industria automotive è stata messa all’angolo proprio dalla
politica europea e l’Italia paga il prezzo più alto. La Commissione
ha imposto una virata verso l’elettrico che richiede forti investi-
menti e una quota di vendite di auto elettriche già adesso, ben
prima del 2035. Peccato che il mercato non voglia queste auto
nella misura necessaria – scordatevi il 100% a cui non crede più
nessuno, semmai qualcuno l’abbia davvero fatto. Se però devi ri-
spettare una quota di elettrico, l’unica è centellinare le vendite
delle auto termiche. E quale butti dalla torre, quelle che costano
di più? No, quelle di primo prezzo su cui negli anni scorsi già
perdevi soldi ma le spingevi per tenere aperti gli impianti. Toh,
siamo arrivati al punto. Questo giochino ha fatto crollare in pochi
anni la produzione europea da 15 a 11 milioni di auto. Nemmeno
Harry Potter saprebbe come mantenere quei 13 milioni di addet-
ti, tra diretti e indiretti. E indovina chi era il campione europeo
delle vetture piccole e di primo prezzo: proprio lei, Stellantis. In
Italia si vendevano 130.000 auto sotto i 14mila euro di listino.
Ora zero. 670.00 tra 14 e 20mila euro. Ora la metà. Quelle sopra

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i 50mila euro? Da 280 a 400mila unità. Questo ha spianato la
via all’import di auto low cost cinesi, termiche.
Le auto elettriche non si vendono perché i clienti non le vogliono,
neppure con gli incentivi che infatti da anni restano inutilizzati.
Quanto all’ipotesi che lo Stato entri nel capitale Stellantis, davve-
ro non si può sentire, specie da un Governo di destra, per quanto
sociale. Il Governo dovrebbe occuparsi delle politiche, togliendo
dal groppone di Stellantis la follia del green deal, così da lasciare il
mercato libero di acquistare e produrre ciò che vuole. Ma questo
è complicato, quando la Commissione ti dà 200 miliardi e viene
pure a battezzare le politiche africane, che tanto saranno piaciute
a Macron. A proposito, Stellantis non è a trazione francese?
Articolo pubblicato su il Giornale il 2 febbraio 2024

22UN GIRO IN MACCHINA 2024
AUTO DIGITALI SI FA PRESTO A DIRE C.A.S.E.
Mai l’auto era stata attraversata da cambiamenti tanto profon-
di e concentrati in un tempo relativamente breve. Airbag, ABS
e common rail fanno sorridere al confronto. Da circa quindici
anni siamo alle prese con la tecnologia di connessione che entra
in macchina, con i sistemi di assistenza alla guida (ADAS) che
strizzano l’occhio all’auto dei Pronipoti, con l’idea di prendere
la prima che capita all’angolo della strada, tipo taxi, e infine col
motore elettrico, la madre di tutte le innovazioni, o presunta tale.
Per orientarsi è stato creato un acronimo, CASE: connected, auto-
nomous, shared, electric. Tutte riguardano le macchine, ma fanno
parte di realtà sociali extra-auto e si vede nel loro diverso sviluppo
e diffusione.
Connected. La filosofia always-on procede alla grande e i car ma-
ker hanno immaginato che questa tecnologia potesse riguardare il
loro prodotto, come un airbag. Stanno investendo da anni miliar-
di per trasformarsi da metal a tech companies. Se va bene per la
connettività del veicolo in chiave di sicurezza e assistenza, non va
altrettanto bene per la connettività delle persone, che è un feno-
meno sociale e non può coincidere con l’esclusività del brand. Le
auto saranno più connesse e le persone anche, solo ognuno per sé.
Autonomous. La vera area di sviluppo delle macchine che prosegue
a migliorarne sicurezza e confort. Comincia quando ci sali e fini-
sce quando scendi. Magari l’auto che va mentre schiacciamo un
pisolino resta un sogno e il driver ci sarà sempre, però sarà assisti-
to e protetto dalle sue distrazioni e anche, speriamo non troppo,
dalle sue libertà.
Shared. È un fenomeno esclusivamente urbano, di city-life, e
come tale c’è ben poco che l’industria possa fare. Gli esperimen-
ti hanno avuto un certo riscontro ma non hanno mai raggiunto
l’equilibrio economico e forse mai lo raggiungeranno, senza una

23
dimensione almeno dieci volte quella attuale. Il boccino è nelle
mani delle amministrazioni locali, se avranno mai la disponibilità
e la volontà di investire per una mobilità on-the-spot, che liberi le
vie da molte auto in sosta. Prospettive di diffusione di massa? Al
momento basse.
Electric. In superfice una positiva semplificazione della propul-
sione, dunque roba da metalmeccanici, che però comporta una
diminuzione sensibile della fruibilità del prodotto per i clienti, a
cui impone un cambio radicale delle abitudini di uso e di mobi-
lità. Nella sostanza, una bolla eterodiretta in cui i costruttori non
hanno mai davvero creduto, ma a cui non hanno voluto o potuto
opporsi. La partita è in corso e come finirà nessuno può dirlo,
sebbene ci siano segnali forti.
Acronimo o no, l’auto di domani potrà essere ognuna di queste
cose, da sole o tutte insieme.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 3 febbraio 2024

24UN GIRO IN MACCHINA 2024
RIVOLUZIONE SEGMENTO B: ORA VINCONO
I BABY SUV
L
e scelte dei clienti per l’auto cittadina si stanno orientando
sempre di più verso i modelli SUV, la cui offerta aumenta.
È l’allure per sostenere dei prezzi ormai lontani da quelli
d’attacco che si trovavano fino a pochi anni fa. Ma non è una
sfida facile per i disegnatori.
I SUV sono importanti per il mercato auto. Negli anni in cui la
comunicazione si sgola per enfatizzare i nuovi motori elettrici e
i cockpit spaziali che parlano, è stato invece il fascino del body
a sedurre i clienti. Apparsi a inizio secolo nei segmenti alti, sono
esplosi nel decennio scorso stimolando i clienti a cambiare auto
e, quel che più conta, a pagare un prezzo più alto pur di gui-
darne uno. Se nel 2013 i privati acquistavano auto dal valore
medio di 17.300 euro, nel 2019 erano arrivati a 20.000 euro.
Nei tempi degli sconti forti e dei km0, aver orientato gli acquisti
dei modelli di fascia media e medio-alta sui SUV ha tenuto a
galla i bilanci dei costruttori. Oggi questo body pesa l’80% delle
vendite del segmento C e addirittura l’87% del segmento D. In
pratica, si vendono solo loro.
Dopo il Covid e i chip, il fenomeno prosegue. La quota dei
SUV sulle immatricolazioni è passata dal 48% del 2021 al 57%
dell’anno appena chiuso. Hanno eroso la quota delle berline,
passata in due anni dal 44 al 36%. Ma solo perché non c’è altro.
Infatti, le station wagon, un tempo regine delle vendite, sono or-
mai da anni intorno al 4% delle scelte dei clienti, mentre sporti-
ve e multi-purpose sono al 3%, insieme. La crescita recente pro-
viene dalla diffusione dei SUV tra le piccole da città, il segmento
B – quello della Punto, per capirci. Nel 2023, con 743.000 im-
matricolazioni, ha pesato quasi metà del mercato totale. Su cin-
que vendite, due erano modelli classici, in crescita del 15% sul

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2022, mentre gli altri tre erano appunto SUV, con un più 21%
rispetto alle vendite dell’anno precedente. Sono in gran parte
scelte dei privati, visto che il noleggio in questo segmento è in-
torno al 20%, ben lontano dal 30 e oltre che segna nel mercato
totale. Ma è normale, visto che il noleggio è una formula ancora
destinata prevalentemente a vetture di classe media e medio-alta.
Scendendo tra le più piccole, quelle di segmento A, notiamo che
il fenomeno non è così significativo. Su poco più di 200.000
immatricolazioni nel 2023, appena il 14% erano SUV, però in
crescita del 23% sull’anno precedente. Segno che la voglia c’è e
cresce.
Indubbiamente, non è una sfida facile disegnare vetture così cor-
te e dar loro il look di un SUV. Però è un fatto che anche chi usa
l’auto in città trovi irrinunciabile non tanto l’idea dell’uso spor-
tivo (sport utility) quanto la comodità di guardare il traffico da
una decina di centimetri più in alto rispetto alle auto normali.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 17 febbraio 2024

26UN GIRO IN MACCHINA 2024
L’ILLUSIONE COSTOSA DI SALVARE LA TERRA
CON LE “CASE GREEN”
L
a Direttiva sulle “case green” non è sbagliata, è inutile. L’Eu-
ropa è già il posto più sostenibile sulla Terra e le sue emissio-
ni di CO2 sono appena il 7% del totale. Significa che qual-
siasi cosa facciamo, dalle case a zero emissioni alle auto elettriche
e finanche se scomparissimo tutti, al pianeta non farebbe né caldo
né freddo.
Ieri il Parlamento Europeo ha approvato la direttiva con 370 voti
a favore, tra cui tutti i partiti di opposizione italiani, e 199 contra-
ri, inclusi i voti di Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega. Il PPE si è
spaccato. Ora ciascuno Stato avrà due anni di tempo per recepire
la direttiva, presentando un piano nazionale per la ristrutturazio-
ne degli immobili. L’obiettivo comunitario è avere un patrimonio
edilizio a zero emissioni entro il 2050. Per le case le riduzioni del
consumo energetico, misurate sul 2020 come parametro di par-
tenza, dovranno essere del 16% dal 2030 e del 20-22% entro il
2035. Come raggiungere questi obiettivi viene lasciato agli Stati
membri, ma con un perimetro: gran parte delle ristrutturazioni
dovrà colpire il 43% degli edifici meno performanti. In altri ter-
mini, ci finiscono dentro soprattutto gli edifici storici, di cui l’I-
talia è ricca e va orgogliosa. Insomma, un bel calcio proprio alle
bellezze abitative dei nostri centri storici.
Gli interventi avranno un costo che, secondo stime del Sole24O-
re, potrebbero aggirarsi tra 20 e 55mila euro per famiglia. Nel
frattempo, il valore delle case subirà una svalutazione adeguata
e immediata, che colpirà quei cittadini che intendono vendere
l’immobile, ma non solo. Molti immobili venduti negli ultimi
dieci/quindici anni sono ancora gravati da un mutuo ipotecario,
col relativo valore iscritto nei bilanci delle banche a garanzia. Sva-
lutarli significa sbilanciare gli attuali equilibri di bilancio impo-

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nendo una capitalizzazione da altre fonti. Comunque la giri, ci
rimettiamo.
Questo e altro pur di salvare il Pianeta. Già! Peccato che sia del
tutto inutile. L’Europa emette 2,8 miliardi di tonnellate di ani-
dride carbonica, in calo dal 1980, pari a poco più del 7% delle
emissioni totali. La Cina da sola emette un terzo della CO2, pari
a 13 miliardi di tonnellate, gli USA 5 miliardi e l’India quasi 3. In
termini pro-capite, la musica cambia, ma sempre a favore dell’Eu-
ropa. Ogni europeo emette ogni anno circa 5 tonnellate di CO2
contro le 14 e oltre di un americano, le 7 di un cinese e le 2 di un
indiano. Solo che il reddito pro-capite in Europa è 35.000 dollari/
anno, contro i 13.000 della Cina e i 3.000 dell’India. Sono Paesi
che ancora devono crescere. Quanta CO2 emetteranno quando
arriveranno anche solo alla metà del nostro reddito pro-capite?
Questa direttiva, come l’intera transizione energetica imposta dai
teologi di Bruxelles come espiazione di chissà quali peccati, è una
cosa inutile. Aver votato contro va bene ma adesso, e soprattutto
in vista del nuovo Parlamento, bisogna spiegare ai cittadini che
non si è contro l’ambiente ma solo a favore dei loro interessi. Per
l’ambiente? abbiamo già dato.
Articolo pubblicato su il Giornale il 13 marzo 2024

28UN GIRO IN MACCHINA 2024
NEL NOLEGGIO A LUNGO TERMINE SALE LA
QUOTA DEI PRIVATI
Il mercato. Cresce il numero degli automobilisti che scelgono
questa formula per avere una nuova vettura, con la comodità
dei servizi tutti inclusi.
I
l noleggio a lungo termine negli ultimi anni ha registrato
un’impennata di contratti e anche di penetrazione sulle imma-
tricolazioni di auto nuove.
Nel 2018 le immatricolazioni imputabili a contratti di NLT erano
state 256.000, pari a una penetrazione del 14% sul totale merca-
to. L’anno dopo, ultimo pre-Covid, erano salite a 282.000 con un
lieve aumento al 15% della quota di mercato, che rimase stabile
anche l’anno successivo, quello del lockdown severo, quando i vo-
lumi scesero fino a 213.000 vetture registrate a uso NLT. Nei due
anni successivi, rispettivamente 2021 e 2022, la quota subì un
balzo prima al 18% con 259.000 targhe e poi al 23% con 311.000
targhe. Lo scorso anno la quota ha guadagnato un altro punto, al
24% del mercato, ma i volumi sono arrivati a 386.000 immatri-
colazioni, complice la ripresa del mercato. Quasi un quarto delle
vendite di nuove auto risultava accompagnato da un contratto che
vedeva la proprietà di un noleggiatore e l’uso invece da parte di
un altro soggetto. Se nei decenni precedenti questi soggetti erano
quasi tutti società o ditte individuali, adesso sempre più privati
scelgono questa formula per avere un’auto nuova. Secondo i dati
Aniasa, il 75% della flotta circolante in NLT nel 2022, parliamo
di oltre 1,1 milioni di veicoli, è di aziende, mentre i privati pesano
per il 14% (l’8% sono identificati con Codice Fiscale, dunque
privati a tuti gli effetti).
Tra le ragioni, c’è la ripresa delle consegne da parte delle fabbri-
che, che ha permesso ai noleggiatori di soddisfare le domande del-

29
le imprese di rinnovo delle auto in scadenza. A questa fonte di
business si sono aggiunti sempre più privati. Aniasa riporta che a
fine 2022 fossero oltre 160.000 i clienti che avevano già adottato
il NLT come forma di acquisizione del proprio mezzo di mobilità
esclusiva: un’auto personale, ma senza averne la proprietà e con in
più tutti i servizi inclusi, dalle coperture assicurative alla manu-
tenzione e all’assistenza su strada.
Già nel decennio scorso molti automobilisti avevano valutato e poi
provato il NLT, ma è stato negli ultimi anni che questo enorme
bacino di potenziali clienti ha accelerato, complice la spinta verso
la mobilità elettrica. Stimolati dagli incentivi a passare all’auto a
batterie, non tutti hanno voluto prendere i rischi connessi. Da un
lato, le auto a pile sono destinate naturalmente a un’obsolescenza
veloce, proprio per le continue innovazioni che l’industria sforna
ogni anno. A questa dinamica di prodotto si aggiunge la ormai
continua spinta sui prezzi, innescata da qualche costruttore parti-
colarmente aggressivo e poi aumentata dagli incentivi sempre più
robusti. La combinazione di questi fattori pregiudica e di tanto la
tenuta del valore residuo dei veicoli.
D’altro canto, i clienti non sono nemmeno sicuri che questo tipo
di mobilità, limitata nell’autonomia e complicata nelle ricariche,
sia adatta alle proprie esigenze. Non sono pochi quelli che dopo la
prima esperienza hanno ringraziato e fatto sapere che tornavano
alla buona vecchia auto termica. Per entrambe le situazioni, prezzi
e esperienza di guida, avere un contratto di NLT mette al riparo
da ogni sorpresa.
Ma se i privati spingono il NLT sulle full electric, sulle ibride
plug-in sono le flotte ad alimentare la domanda di NLT. La pe-
netrazione del noleggio sulle vendite di queste vetture, in genere
di fascia alta e piuttosto costose, è stabilmente ben sopra il 50%.
Sono macchine che consumano molto perché pesano tanto, visto
che sotto il cofano convivono sia il sistema di propulsione termica
sia quello elettrico, con un’autonomia limitata. Però accontentano

30UN GIRO IN MACCHINA 2024
un po’ tutti. L’azienda le usa per compiacere gli standard di so-
stenibilità, in pratica facendo greenwashing, e il manager ha una
tassazione inferiore sul fringe benefit.
Le previsioni per l’anno in corso sono di un’ulteriore avanzata del
NLT, anche grazie gli incentivi, come sottolinea Alberto Viano,
presidente di Aniasa: “L’inclusione del noleggio e delle aziende tra i
beneficiari, al 100%, degli incentivi auto previsti dal Governo per il
2024 potrà velocizzare il non semplice processo di transizione ecologi-
ca del nostro parco circolante”.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 13 marzo 2024

31
IL PERICOLO È IN AGGUATO NEL TOUCH
DISPLAY
C
he bello il touch screen in macchina. Il mio è più grande
del tuo. Ma è anche sicuro? Non proprio. Lo diciamo da
tempo e adesso se n’è accorto pure l’Euro NCAP, l’ente di
certificazione che assegna le stelle in base ai crash test, secondo
cui “l’uso eccessivo di queste soluzioni è un problema per l’intero set-
tore. Quasi tutti i produttori di veicoli spostano controlli chiave sugli
schermi centrali, obbligando i conducenti a distogliere lo sguardo
dalla strada e aumentando il rischio di incidenti per distrazione. I
nuovi test Euro NCAP previsti nel 2026 incoraggeranno le Case a
utilizzare controlli fisici separati per le funzioni di base, limitando
le distrazioni e promuovendo una guida più sicura”.
Si parla tanto di sostenibilità delle auto, con riferimento ai gas
di scarico, mentre gli incidenti sono un problema reale e attuale.
Secondo il Rapporto Sicurezza DEKRA, le vittime di inciden-
ti in Europa furono oltre 50.000 a inizio secolo e adesso sono
poco sopra le 20.000. Questo trend positivo (e invidiabile: negli
Stati Uniti le vittime sono in aumento) è merito degli ingegneri
che introducono nuovi sistemi per aiutare il driver a limitare gli
errori e, quando accade, per contenerne gli effetti letali. Le cose
potrebbero andare anche meglio, meno morti, se poi quelli del
marketing e della contabilità non remassero contro, sostituendo
i comandi fisici con quelli digitali sullo schermo. Toccare uno
schermo liscia il pelo alle abitudini moderne e fa risparmiare bei
soldi, lisciando anche le tasche dei costruttori. Insomma, la tec-
nologia dà, la tecnologia toglie.
Per adesso, l’Euro NCAP si è posto in difesa, indicando cinque
funzioni che dovranno avere comandi fisici: il clacson, il tergicri-
stalli, le frecce, le luci di emergenza e l’eCall. È vero che c’è chi ha
messo pure questi sullo schermo e va fermato, ma forse occorre

32UN GIRO IN MACCHINA 2024
fare di più tornando indietro su altre funzioni. Regolare la ven-
tilazione o azionare un lunotto termico non può essere fonte di
distrazione, come pure cambiare musica o rispondere/fare una
telefonata. Da anni incolpiamo il cellulare, anche per un’antipa-
tia mai sopita che viene da lontano, ma se poi per chiamare col
vivavoce scorro la rubrica su uno schermo, la sicurezza aumenta
o diminuisce?
In prospettiva, i sistemi di assistenza alla guida saranno di più
e più autonomi e, pur senza arrivare alla guida completamente
autonoma che per molti resta incompatibile con le nostre strade
urbane, il guidatore avrà il compito di vigilare e correggere even-
tuali errori. In quel caso, andrà bene guardare lo schermo men-
tre l’auto procede sulla strada pronta a rallentare/frenare. Adesso
non siamo ancora lì e mentre ci arriviamo gli occhi devono stare
sulla strada, sempre. Anzi, proprio per arrivarci.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 16 marzo 2024

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ELETTRICHE SI SVALUTANO? MEGLIO IL
NOLEGGIO
G
li acquirenti di auto elettriche si interessano al valore resi-
duo, grandezza finora usata dai noleggiatori. Come mai?
In effetti, i privati quando acquistano un’auto prevedono
di tenerla molti anni, tanto che le vendono come usato in media
dopo oltre otto anni, periodo in cui le macchine migliorano ma
non tanto da far apparire inservibili quelle di prima. Non le elet-
triche, però.
L’auto è un prodotto tecnologico e invecchia quando appare una
tecnologia superiore. Ma c’è tecnologia e tecnologia. Una cosa è
avere o non avere airbag e clima, altro se manca il bluetooth.
Nel caso di un’auto a batteria l’obsolescenza non riguarda qualche
piccolo gadget ma proprio la propulsione, oggetto di innovazioni
ravvicinate e importanti: portare l’autonomia da 180 a 350 km o
dimezzare i tempi di ricarica fa differenza.
La macchina è un bene durevole perché, tra i beni di consumo di
massa, è quello di gran lunga più impegnativo economicamente.
Di conseguenza, deve durare. Se dura poco, per ottime ragioni di
miglioramento del prodotto, e nessuno ignora quanto abbia biso-
gno di essere migliorato, l’automobilista entra in modalità noleg-
gio, nel senso che pure se l’acquista si chiede: quanto varrà la mia
prossima auto elettrica, quando deciderò di cambiarla?
Purtroppo, non c’è solo l’innovazione, e il relativo invecchiamen-
to precoce, a remare contro la tenuta del valore residuo, ma anche
l’accanimento della politica. Come sappiamo, ha voluto dirigere il
mercato verso questi propulsori senza curarsi se i clienti l’avrebbe-
ro scelta. Anzi, quando s’è accorta che no, non l’avrebbero scelta,
ha pensato bene di imporle per legge vietando tutte le altre, com’è
tipico delle democrazie liberali o presunte tali. Il tutto attingen-

34UN GIRO IN MACCHINA 2024
do ai soldi dei contribuenti per incentivi sempre più robusti, che
ovviamente producono il solito risultato: le auto usate si svaluta-
no immediatamente, visto che la soglia per comprarla nuova si
abbassa.
Come se non bastasse, anche l’industria ci mette del suo. Tesla,
il number one delle elettriche, taglia i listini quando le pare. Può
farlo sia perché non ha tutta la sovrastruttura dei costruttori in-
cumbent e poi perché le interessa il giusto di danneggiare quei
clienti che l’han pagata di più, visto che sono “fedeli” a prescinde-
re, per vocazione. A questo si aggiungono i prodotti d’importazio-
ne cinese, notoriamente prezzati sottocosto grazie alle sovvenzioni
di Stato. Ma anche questo, chi poteva mai immaginarlo?
Insomma, chi pensasse di acquistare un’auto elettrica farebbe bene
a considerare il noleggio, così da evitare sorprese sul valore resi-
duo.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 26 marzo 2024

35
LA VERITÀ, VI PREGO SULLA RIVOLUZIONE
VERDE. GLI ITALIANI SCETTICI SU SCENARI E
INFORMAZIONE
Un sondaggio Ipsos svela che appena il 17 per cento giudica
equilibrato e attendibile il discorso pubblico sulla transizione
ecologica. È un fatto sconfortante perché in democrazia si
sceglie su dati affidabili.
S
iamo fieri della nostra democrazia, ossia della libertà di cui
gode ogni singolo cittadino di scambiare le proprie idee e in
base a esse esprimere un voto e orientare la politica. Tanto
orgogliosi che non perdiamo occasione di giudicare e bacchetta-
re, se del caso, quei Paesi i cui abitanti non godono della mede-
sima libertà. L’ebbrezza di questa cima della civiltà sociopolitica
ci porta a identificare l’essenza della democrazia nelle quantità di
voti che si raccolgono attorno a questa o quella idea, trascurando
la qualità di quei voti, che è pari all’informazione, alla conoscen-
za di cui dispone chi lo esprime. Sul punto è bene chiarire che
la libertà di espressione, per cui nessuno viene incriminato per le
cose che dice, non è affatto garanzia di informazione compiuta e
completa. Il canale di diffusione delle idee, il sistema mediatico,
può tenere alcune idee sopra la linea di galleggiamento e rele-
garne altre all’immersione perenne: uno parla, sì, ma di fatto è
muto. I social media stanno amplificando entrambe le situazioni.
Ora caliamoci nella realtà. In questi anni gli italiani e gli europei
sono alle prese con la questione energetica, ossia il propellente di
tutte le attività necessarie alla sopravvivenza e al benessere. Insie-
me all’acqua e all’accesso al mare, l’energia è una delle priorità di
una comunità, da sempre, come ancora nell’ultimo secolo hanno
confermato la campagna di Russia di Hitler, l’attacco giapponese
a Pearl Harbor e i conflitti mediorientali. Minimo comun deno-

36UN GIRO IN MACCHINA 2024
minatore: il petrolio.
La crociata viene da lontano, dall’America e dalla fine del secolo
scorso, quando le Cassandre presagivano una New York presto
sommersa dalle acque. Il fatto che non sia successo, certamente
per pura fortuna, non ha impedito a milioni di persone di ma-
nifestare arringate da Greta, la scienziata adolescente esperta di
economia e geo-politica. Nonostante il tema fosse cruciale per il
benessere, tutti i capi di Governo si sono accodati a quella che
possiamo definire una gigantesca espiazione di massa. Di quali
colpe? Questo non importa.
L’Europarlamento e la Commissione usciti dalle urne sull’onda
gretina hanno avviato la società e l’economia europea, già non
troppo vivaci né toniche, sulla strada del Green Deal, la missione
con cui il continente più irrilevante e meno nocivo per il clima
intende comunque salvare il pianeta. E pazienza se non ci riesce,
purché si faccia tanto male da rimanerne fiaccato.
Cosa ne pensano gli italiani, dopo una pandemia, una guerra che
ha sullo sfondo l’abbandono del gas russo per strapagare quello
liquido e la recessione tedesca dovuta anche alla rinuncia al nu-
cleare?
Oltre due terzi sono d’accordo, secondo un recente sondaggio
condotto da Ipsos per conto di AgitaLab, un think tank. Sì, è
vero che il 41% pone la condizione che “ciò non abbia ricadute
sull’occupazione e sul benessere degli europei”, ma è altrettanto vero
che il 28% afferma di concordare “nonostante le ricadute sull’oc-
cupazione e sul benessere degli europei”. Gli stessi equilibri si ritro-
vano alla domanda sulle “case green”: due terzi sono favorevoli,
anche se il 44% a patto “che la ristrutturazione non pesi sul loro
bilancio familiare”. Sembra dunque che ci sia una luce verde ge-
nerale sulle politiche green, pur nella solita filosofia assistenziale
socialista: i soldi ce li deve mettere lo Stato.
Eppure, sulle auto elettriche emergono percentuali che inducono

37
a una riflessione più approfondita. Intanto i favorevoli scendono
sotto la metà del campione, rappresentativo della popolazione
adulta, di cui oltre un terzo “solo se il maggior prezzo sarà coperto
da incentivi”. L’altra metà si dichiara contraria, un po’ perché
“non utile a fermare il cambiamento climatico” e un po’ perché “i
costi sarebbero superiori ai benefici”. Ma come? Tanti contrari pro-
prio all’auto elettrica, su cui si insiste in modo ossessivo da oltre
un decennio e che oggettivamente è un problema minore rispetto
al depauperamento del bene supremo, la casa? Non sarà che pro-
prio la sua attualità e la centralità nella comunicazione abbiano
portato tanti ad approfondire, ad acquisire maggiore conoscenza
su come stiano effettivamente le cose?
Allora, e molto opportunamente, il sondaggio ha chiesto un’opi-
nione proprio sulla qualità dell’informazione. Secondo quattro
italiani su dieci il dibattito sul Green Deal è “sbilanciato a favore
dei promotori della Transizione Energetica e le opinioni contrarie
sono poco considerate”. Per il 20% di essi invece “è sbilanciato a
favore dei negazionisti climatici e di chi fa resistenza al cambia-
mento”. Appena il 17% ritiene che sia equilibrato ed è questo il
dato più sconfortante, perché in democrazia i cittadini decidono
a maggioranza le scelte della politica, in base ai loro valori e in-
teressi, e la qualità dell’informazione è fondamentale affinché sia
davvero così.
La prova che ci sia un difetto di informazione viene ancora dal
sondaggio. Di quelli che dichiarano che acquisterebbero un’auto
elettrica, uno su sei, ben il 60% adduce la motivazione che “è
ecologica e contribuisce a fermare il cambiamento climatico”. Ma
la realtà, di fonte Europarlamento, è che, se anche tutte le auto
circolanti in Europa diventassero improvvisamente elettriche, per
magia, le emissioni di CO2 diminuirebbero dello 0,9%. In pra-
tica, i fatti indicano che la conoscenza su cui i cittadini fondano
la loro opinione è falsa.
In conclusione, e tornando al tema generale, noi siamo abituati

38UN GIRO IN MACCHINA 2024
a considerare la democrazia per la sua valenza interna alla società
che l’adotta: l’Italia è una repubblica democratica. Perfetto, le
nostre cose le decidiamo così. Solo che adesso non si giocano solo
campionati nazionali ma ci sono pure i Mondiali, in cui ogni Sta-
to o gruppo di Stati compete con altri. Quando alcuni di questi,
magari anche importantissimi, decidono con altri sistemi non
democratici l’impatto per le democrazie può essere devastante.
Sì, perché queste ultime si muovono in base alla maggioranza
emersa dalle urne, la quale a sua volta deriva dalla qualità dell’in-
formazione che i cittadini avranno ricevuto. Viceversa, in una
dittatura o autocrazia o democrazia non liberale che dir si voglia,
l’orientamento popolare pesa il giusto e non riesce a determinare
le decisioni politiche. Semmai è il potere che manovra l’informa-
zione e con essa il consenso.
Detto in parole semplici, sull’informazione noi ci giochiamo tut-
to, gli altri no. Pertanto, diventa vitale che sia di qualità, ben più
che altrove. Perché la qualità del nostro voto e delle nostre politi-
che non potrà mai essere superiore alla qualità dell’informazione
di cui disponiamo.
Articolo pubblicato su il Giornale il 27 marzo 2024

39
GLI INCENTIVI PER L’AUTO? PIÙ SBAGLIATI
DEL SUPERBONUS
Dare quasi un miliardo per aiutare le vendite di un’industria che
produce all’estero non servirà a far ripartire gli impianti. Il Gover-
no lo sa eppure ancora prova a spingere un’elettrificazione che i
cittadini hanno già rifiutato e che non ha alcun senso ambientale.
Le vendite di auto nuove non sono mai andate così bene come
adesso. Lo scorso anno hanno sfondato il tetto storico dei 45 mi-
liardi di euro e se i volumi si sono fermati sotto 1,6 milioni è
solo perché i costruttori hanno raffreddato la produzione di auto
economiche, alzato i listini e ridotto gli sconti. In pratica, hanno
venduto sì meno macchine ma a un prezzo medio netto passato da
21.000 euro del 2019 a circa 29.000 nel 2023, secondo le stime
del Centro Studi Fleet&Mobility.
Abbassare il prezzo che i costruttori hanno alzato equivale a tra-
sferire denaro dalle tasche dei contribuenti a quelle delle Case.
Ci sarebbero la sanità o gli asili su cui impiegare denaro che non
abbiamo e su cui paghiamo fior di interessi. Tanto più che l’auto
è un bene già ampiamente disponibile, in ragione di 660 ogni
mille abitanti incluso vecchi e bambini. Molte però sono vecchie,
poco sicure e inquinanti. Benissimo, allora incentiviamo solo la
rottamazione di quelle, anche a fronte di niente visto che elimi-
narle dalle strade non può che fare bene. Oppure per l’acquisto
di un usato fresco, così da trasferire i soldi pubblici nelle tasche di
cittadini italiani. Già perché incentivare l’acquisto di auto nuove
equivale a pagare fabbriche e operai all’estero: è questo che ci vo-
gliamo fare con le nostre tasse? Lo stesso Ministro Pichetto Fratin
ha ammesso che “l’incentivo sull’auto non ha tenuto in piedi la pro-
duzione nazionale”. Con ragione abbiamo criticato il super-bonus
che almeno i soldi li ha fatti girare in Italia: questi incentivi sono
peggio.

40UN GIRO IN MACCHINA 2024
All’interno del mercato, va ricordato che gli incentivi non aumen-
tano le vendite ma le anticipano soltanto, come registrato in tutte
le precedenti occasioni. Il mercato auto è come un piano incli-
nato su cui i possessori di auto si muovono verso il momento
della sostituzione. L’incentivo aumenta la pendenza, accelerando
la marcia di coloro che avrebbero comprato nei due/tre anni suc-
cessivi. Finiti gli incentivi le vendite subiranno un rallentamento.
Non solo. Abbassare la soglia d’acquisto delle auto nuove implica
che automaticamente si svaluti il valore dell’usato, colpendo così
quegli italiani che stanno per vendere la propria auto.
Nel merito dell’articolazione, segnaliamo che ben 150 milioni
vanno a sostenere auto ibride plug-in, che sulla carta hanno emis-
sioni contenute mentre in realtà sono quelle che consumano di
più, visto che tutti le usano quasi solo col motore termico e sono
più pesanti a causa delle batterie. Per le auto full electric ci sono
250 milioni, che sono quelli avanzati dagli incentivi degli ultimi
anni, perché gli italiani non acquistano queste auto, nemmeno se
aiutati dato che il problema non è solo il prezzo.
Articolo pubblicato su il Giornale il 2 aprile 2024

41
CONCORRENZA DALLA CINA: È IL CLIENTE
CHE DECIDE
La questione dei dazi all’importazione di auto cinesi sta polariz-
zando l’industria, con i generalisti in difesa e i premium che guar-
dano a oriente.
Il numero uno di Mercedes, Ola Kallenius, ha invocato il libero
mercato contro un possibile inasprimento dei dazi, ma il sospetto
è che parli a favore dei suoi primi azionisti, entrambi cinesi con
quasi il 20%. Però ha incassato pure il sostegno di Oliver Zipse,
leader di BMW: “Dobbiamo accettare la competizione e imparare
gli uni dagli altri”. Evidentemente, a pesare è anche il timore di ri-
torsioni da parte di Pechino, che ormai vale un terzo delle vendite
per i costruttori tedeschi, incluso Volkswagen. Queste posizioni
indicano quanto il perimetro delle multinazionali non coincida
con quello della politica, presumibilmente orientata a proteggere
più il valore sociale delle imprese che quello azionario.
All’opposto i due grandi generalisti, Stellantis e Renault, hanno
più volte richiesto la collaborazione del decisore, come protezio-
ne dall’importazione dalla Cina e come sostegno alle vendite di
auto elettriche. Di più, affidano la strategia di prodotto al decisore
politico, avvertendo che una revisione del divieto di vendita di
auto termiche dal 2035, possibile se non probabile, li lascerebbe
in mezzo al guado di investimenti plurimiliardari già fatti: indie-
tro non si torna. Qui si registra l’eccesso opposto. L’industria non
considera più la politica una condizione ambientale con cui rela-
zionarsi, ma la trasforma nell’ispiratrice delle strategie, al posto
dei consumatori. È stato l’errore grave che ha disallineato l’offerta
attuale rispetto a ciò che i clienti comprano. Non passa settimana
senza apprendere che questa o quella Casa abbia ritardato, atte-
nuato o annullato dei progetti sull’elettrificazione. Può succedere,
errare è umano. Ma qui si persevera.

42UN GIRO IN MACCHINA 2024
Si tratta di marketing, né più né meno. L’industria ha il suo clien-
te: il consumatore. Anche la politica ha il suo: il cittadino. Sono
la stessa persona? Sì. Dunque vogliono la stessa cosa? No. Ciò
che uno dichiara come cittadino può non equivalere a quello che
acquista. Nel marketing i clienti sono tali solo se e quando entra-
no in quello che si chiama “processo d’acquisto”. Un percorso che
si attiva con la percezione del bisogno e si conclude con la sua
soddisfazione attraverso un acquisto. Entrano in gioco le idee e i
valori del cittadino? Certo che sì. Al punto da portare a un acqui-
sto del cliente che non soddisfi il bisogno? Certo che no. Però così
diventa complicato. Vero: l’umanità risponde a interessi concreti
mentre coltiva aspirazioni ideali.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 6 aprile 2024

43
NON C’È UN CASO FIAT, SOLO COLPE ROSSO -
VERDI. MA I SINDACALISTI NON LO POSSO -
NO DIRE
I
l Governo non ceda alla sinistra, che prima ha messo all’angolo
l’industria dell’auto con le politiche green e ora chiede produ-
zione e occupazione.
Lo scorso anno in Europa, incluso il Regno Unito, sono state pro-
dotte 13 milioni di auto rispetto ai 16,5 del 2016, di cui in Italia
0,5 e 0,7 rispettivamente, pari a una flessione del 30%. La Germa-
nia è passata da 5,5 a 4 milioni, la Spagna da 2,3 a 1,9 e la Francia
da 1,6 a 1,0, accusando un calo di quasi il 40%. Non c’è un “caso
Italia” ma un “caso Europa”. Due fattori spiegano i 3,5 milioni di
auto in meno uscite dagli impianti. Gli europei acquistano meno
auto nuove, da 13,4 a 12,4 milioni, e l’industria ha perso compe-
titività verso altri Paesi, tipicamente orientali, col saldo commer-
ciale attivo sceso da 3,1 a 0,6 milioni di auto.
La politica rossoverde ha dato mandato l’industria fuori strada,
in cinque mosse che nessuno ha avuto il coraggio di contrastare.
Finora.
Uno. Ha deciso che la priorità dell’umanità fosse di arrestare il
cambiamento climatico. Possibile? Non si sa. Per gli scienziati è
controverso.
Due. Ha deciso di farlo da sola. Possibile? No. L’Europa pesa il
7% delle emissioni di gas serra ed è in calo costante dal 1980.
Quelle cinesi sono un terzo ed in forte aumento.
Tre. Ha deciso che le auto fossero una delle principali fonti. Vero?
Falso: le auto europee emettono lo 0,9% delle emissioni.
Quattro. Ha deciso che le auto elettriche fossero l’azzeramento

44UN GIRO IN MACCHINA 2024
delle emissioni. Vero? Falso: le emissioni sono zero allo scarico,
ma sono superiori includendo la produzione delle batterie e dell’e-
nergia.
Cinque. Invece di sostenere, com’era suo mandato, la competiti-
vità dell’industria europea, leader nel motore termico, le ha impo-
sto di vendere dal 2020 una quota di auto elettriche, infliggendo
multe, e solo elettriche dal 2035. La risposta delle Case? Eccola.
Enormi e inutili investimenti per sviluppare un’offerta di auto
elettriche, su cui la Cina è molto più competitiva e che comun-
que il mercato sta rifiutando, non solo in Italia ma in Europa e
in America, costringendo ovunque i costruttori a rivedere i piani.
Eliminazione delle auto di fascia bassa, i cui margini già strimin-
ziti sono insostenibili col peso degli investimenti.
Adesso il conto è arrivato ai lavoratori. Ma il sindacato, non po-
tendo attaccare la sua stessa parte, ha buon gioco ad aizzare la
piazza, sventolando il bersaglio di una Fiat nemmeno più italiana
e sparando su un esecutivo non amico. C’è da augurarsi che il
Governo non abbocchi e punti invece il dito sulla vera causa del
problema: le politiche suicide che stanno portando alla deindu-
strializzazione dell’Europa. Non servono incentivi ma una narra-
zione alternativa.
Articolo pubblicato su il Giornale il 13 aprile 2024

45
ALFA ROMEO MILANO, JUNIOR E DINTORNI:
LA GUIDA DEGLI “ALFISTI” È SCOMPARSA
C’è ancora spazio per delle vere Alfa Romeo? Una domanda
difficile.
C
he il lancio di un’Alfa Romeo susciti clamore ci sta. Si trat-
ta pur sempre di un patrimonio nazionale a cui tanti ita-
liani sono legatissimi, sebbene non al punto da comprarsi
le macchine. Solo che le discussioni rivelano un senso di mancato
appagamento, quasi un disappunto che poi ha trovato sfogo su
questioni poco rilevanti e, diciamolo, anche un tantino pretestuo-
se.
Un oggetto di critiche è il body: è uguale a quella e a quell’altra
macchina. Certo, oggi si somigliano un po’ tutte. Non è più il
tempo in cui dalla matita di veri e propri artisti uscivano la The-
ma, la Croma e la Saab 9.000, tutte sullo stesso pianale eppu-
re così diverse. Finché arrivò il genio di Pininfarina, che da quel
progetto ricavò addirittura la 164, lasciando il mondo a bocca
aperta. Allora, invece di criticare che un SUV compatto somigli
agli altri SUV compatti, perché nessuno si chiede come mai una
tale uniformità? Dove sono finite le priorità dell’estetica? Cosa le
ha rimpiazzate? I consumi? La sicurezza? La voglia di aggredire
sempre e solo il segmento maggioritario della domanda, trascu-
rando le nicchie?
Poi il nome: Milano e non fabbricata in Piazza Duomo. Nata
come polemica speciosa e finita alla Ennio Flaiano: grave, ma non
seria.
È evidente che c’è un malessere di fondo. Diamine, non capita
spesso di salutare una nuova auto del Biscione. Uno si aspetta
qualcosa di diverso, di unico. Un’Alfa Romeo, se è lecito dirlo,

46UN GIRO IN MACCHINA 2024
non un SUV qualsiasi con lo stemma appiccicato sopra. Anni
fa un brillante Silvio Berlusconi stuzzicò la Fiat, suggerendo di
mettere sulla Panda lo stemma Ferrari per venderne una caterva.
Da fine uomo di marketing, sapeva che era solo una boutade che
non avrebbe funzionato. Un brand è appunto un… brand. Non
ogni prodotto può reggere ogni brand.
Alfa Romeo è uno dei pochissimi brand al mondo a incarnare un
tipo di automobilista: l’alfista. Una persona che desidera sentire la
strada, ha una guida sportiva e vuole apparire tale. A Torino sanno
di che si tratta: per la pubblicità dello Stelvio hanno usato “alfista
allo stato puro”. Poi però tutte le pubblicità, da Giulia a Tonale
passando per Stelvio, lo evitano. Il protagonista è affascinante ma
nel senso mainstream, molto curato al limite del deboluccio. Il
payoff insiste sulla “meccanica delle emozioni” e sul “patrimonio
italiano”, come se Alfa Romeo ne avesse bisogno, visto che essa
stessa è simbolo di italianità. Ma soprattutto, le auto non corrono,
manca l’adrenalina alla “fast&furious”.
Queste sono eresie nel panorama sociale odierno, ma magari au-
tomobilisti su cui farebbero presa ce ne sono. Forse non tantissi-
mi, ma quanti ne servono ad Alfa Romeo? Parliamo di un brand
di nicchia, la cui unica ragion d’essere è proprio di sedurre quei
pochi che non si riconoscono nelle altre scatole a quattro ruote – e
nei loro autisti. Giorni fa il patron del brand ha ribadito l’ambi-
zione di lavorare alla grande incompiuta, il Duetto. Ha ragione da
vendere. Il mercato può anche accettare qualche SUV, purché in
salsa sprint, a patto che uno o due oggetti del desiderio esistano,
siano lì per strada. Il Duetto è lo spider per eccellenza e servirebbe
come l’aria a tutta la gamma Alfa Romeo. Ma quale idea di auto
incarnerebbe? E chi la guiderebbe? Un giovane brillante, un po’
scavezzacollo e un po’ playboy, poco fluido, nipote di quel rivolu-
zionario di Dustin Hoffman nel Laureato?
Esistono questi automobilisti? Sì, ma sono stati oscurati dalla sce-
na: loro, la loro guida e le loro auto. Non sono solo minoranza, che

47
per una nicchia va bene, sono “sbagliati” secondo una certa idea
mainstream. Non sono mai stati fatti tanti corsi di guida sportiva
come oggi, e li chiamano “guida sicura”. Le macchine elettriche,
che stentano a trovare clienti, una sola cosa hanno di fantastico
rispetto a quelle termiche: la coppia. Qualcuno le ha mai viste in
TV bruciare tutte a un semaforo? Pure Porsche, che sta nella stes-
sa piramide di Alfa Romeo ma più sopra, oggi si propone come
“lusso”. Però magari i marketer del Biscione li scovano, fuori dalle
ZTL, e sarà bene, perché non sembra che abbiano tante alter-
native, a giudicare dall’accoglienza dell’ultimo SUV replica di…
Dopotutto che significa, in parole semplici e concrete, rilanciare
il brand, se non riproporne le caratteristiche identitarie? Questa è
ancora la parte facile.
Quella difficile è: una volta che li avranno trovati, vorranno sedur-
li parlando la loro lingua, proponendo i loro codici, rappresentan-
do le loro emozioni, incarnando i loro valori?
In due parole? Rilanciare Alfa Romeo.

Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 16 aprile 2024

48UN GIRO IN MACCHINA 2024
L’ORO DEI MANAGER. LE “RAGIONI” DI UNA
VERGOGNA
Lo stipendio “scandaloso”? Ha un perché.
L
e ragioni dello scandaloso compenso di Tavares stanno tut-
te negli occhi di chi guarda, con in testa una strana idea di
economia: un sistema di produzione di ricchezza non libero
ma assoggettato alla volontà popolare, agita per mezzo del potere
esecutivo. Non è una dittatura statalista, però piacerebbe tanto. Si
apre una fabbrica all’estero? Intervenga il Governo. Una vettura si
produce altrove? Il Ministro si faccia sentire. Un manager guadagna
tanto? Si apra un tavolo a Chigi.
Stellantis non è nostra, ma dei suoi azionisti, tra cui probabilmente
chi di noi ha investito i risparmi per vederli fruttare. Né l’azienda né
gli azionisti sono buoni o cattivi, ma solo bravi o scarsi a produrre
ricchezza. Il 90% del compenso di Tavares è legato agli obiettivi:
evidentemente è stato bravo. Tuttavia, se questo può star bene a
Elkann e soci, non è detto che stia bene al Paese.
Le economie di successo riescono a far coincidere l’interesse degli azio-
nisti con quelli sociali: la fabbrica la metto qui e non là. Perché ciò
accada lo Stato non deve “pagare” l’impresa con sovvenzioni e incenti-
vi vari, bensì creare le condizioni di contorno che attraggano investi-
menti e produzioni. Se l’energia costa cara, apri centrali nucleari; se la
giustizia non funziona, assumi cinque o sei top manager di Amazon: i
pacchetti arrivano, vedrai che arriveranno pure le sentenze. Così per il
mercato del lavoro, per l’istruzione, la burocrazia e il fisco.
Purtroppo la socialdemocrazia che regge l’Europa non la vede così.
Chiede all’impresa di convergere sugli interessi sociali, ma lo Stato non
deve fare altrettanto anzi, può sfornare vincoli, regolamenti e burocra-
zia a piene mani. Ad esempio, mica è normale che per accedere a un
sito web servano due click, perché uno se ne va per accettare i cookies.

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Tutto giusto, ma Fiat ha goduto per decenni di sostegni pubblici
in varie forme. Sì però, a parte che in cambio lo Stato ha pure
ottenuto fabbriche nel mezzo del nulla, andare indietro è roba
per storici e non aiuta. Adesso gli unici soldi in ballo sono gli
incentivi, che non sono per Stellantis ma per vendere queste be-
nedette macchine elettriche che nessuno vuole, per giunta fabbri-
cate all’estero. L’opinione pubblica e il Governo, invece di buttare
questo quasi miliardo dei contribuenti, ottengano da Bruxelles di
cancellare le multe sulle emissioni eccedenti i 95 gr/km di CO2.
Stellantis metterebbe la foto del Governo in ogni sede.
Piuttosto, c’è un dettaglio negli emolumenti di Tavares. Oltre al
compenso di 13,5 milioni, determinato dai risultati, ha ricevuto
un ulteriore bonus di dieci milioni. Per cosa? Per aver trasformato
Stellantis in un’azienda di mobilità tecnologica sostenibile. Che
vorrà dire? E perché sarebbe tanto importante da quasi raddop-
piargli il compenso? Nel contempo, la Borsa sta premiando il ti-
tolo. Per i risultati commerciali e industriali, si spera. Ma non è
che quel banale aggettivo buttato lì, sostenibile, abbia avuto un
qualche peso nei giudizi degli analisti finanziari? Certo, se gli azio-
nisti sganciano dieci milioni, significa che il guadagno per loro è
stato importante. Dalla sostenibilità dell’azienda? Sostenibile in
senso ambientale, visto che sull’occupazione qualche sopracciglio
ancora si alza. Se così fosse, vorrebbe dire che, mentre la politica
non riesce a incidere sulle scelte occupazionali di quest’impresa, la
finanza ci riesce benissimo sui temi green.
In conclusione, l’opinione pubblica non si indigni per come azio-
nisti privati di aziende private pagano i loro manager. Si occupi
piuttosto dei suoi dipendenti, quei civil servants che dovrebbero
rendere il Paese attrattivo per le imprese e non respingerle, come
avviene da dopo il boom economico.

Articolo pubblicato su il Giornale il 18 aprile 2024

50UN GIRO IN MACCHINA 2024
LE MEDIE CILINDRATE SERVONO SOLO PER
INIZIARE
L
e moto piacciono e conquistano ogni anno nuovi clienti
grazie alle piccole cilindrate, che però poi non durano. I
neo-centauri, che magari lasciano lo scooter per vivere l’e-
mozione della moto, sono aiutati dai modelli entry level: prezzo
basso e cilindrata che non dà ansia. La strategia ha funzionato
negli ultimi anni, ma il 2023 ha dimostrato che, se il prezzo basso
resta una leva determinante, avere tra le gambe un motore con
meno di 500 cc si rivela presto insufficiente. Gli operatori l’ave-
vano detto e i numeri dello scorso anno sembrano confermarlo.
Le vendite sono cresciute del 15% a 145.000 immatricolazioni,
rispetto alle 174.000 degli scooter, che hanno segnato un +21%.
Non molti anni or sono il rapporto era due scooter per ogni moto
venduta. Oggi siamo in pratica 1 a 1. La moto più venduta è stata
la Benelli TRK 502, un enduro dal prezzo imbattibile. Va detto
che quegli incrementi sono frutto anche della ripresa delle fabbri-
che, che era stata un po’ lenta nel post-Covid, accumulando una
domanda insoddisfatta.
Il segmento che è cresciuto di più col +41% è quello 750/1.000
cc, che è anche il più grosso con 38.000 immatricolazioni, seguito
da quello 500/750 con 31.000 pezzi e +29%. Il segmento d’attac-
co, 250/500, è rimasto stabile appena sotto le 30.000 unità. Però
resta quello strategico, vera porta d’ingresso nel mondo moto per
tanti nuovi raider. Scendere da uno scooter per salire su una moto
è un passo molto desiderato ma non facile, ancor più se magari va
condiviso con la famiglia. Un motore che non spaventa ma anzi
è in linea con gli scooter, che ormai viaggiano facilmente intorno
ai 300 cc, può fare la differenza tra il sì e il no. Prova ne sia che
molte case hanno allargato la gamma, come Triumph che propone
le sue classiche Bonneville, già molto valide in città oltre che su

51
strada col 900 cc, anche in versione 400 cc. a un listino intorno a
5.500 euro. Del resto, si trattava di contrastare la crescita di Royal
Enfield, che negli ultimi due anni ha fatto la storia, triplicando le
vendite fino a 7.500 pezzi pari al 5% del mercato.
In cima al mercato qualcosa si è mosso, con Honda che ha rigua-
dagnato dopo anni la prima posizione con oltre 17.000 immatri-
colazioni, seguita da Yamaha con più di 15.000 pezzi. A BMW
non è bastato confermare le oltre 14.000 targhe per andare oltre
la terza posizione.
Il primo trimestre conferma il buon momento del mercato, sep-
pure con crescite inferiori a quelle del 2023, che come dicevamo,
erano anche legate a un rimbalzo di produzione. Piuttosto, è da
notare come le moto occupino tre delle prime dieci posizioni nella
classifica delle immatricolazioni, con Benelli in sesta posizione,
seguita dalla BMW e da Honda.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 30 aprile 2024

52UN GIRO IN MACCHINA 2024
NOLEGGIO IN CRESCITA E DINAMICHE DI
SETTORE
L
’autonoleggio è in salute, dopo essersi lasciato alle spalle gli
sconvolgimenti post-Covid, che non sono stati lievi.
Il noleggio a lungo termine ha chiuso il 2023 in crescita del
13% a un giro d’affari di 10,6 miliardi, in cui il noleggio pesa per
7,5 (+10%) e la rivendita dei veicoli usati per 2,9, con una crescita
del 25% che riflette il buon momento attraversato dal mercato
dell’usato a causa della mancanza di prodotto nuovo.
Il fatturato noleggio proviene per oltre l’80% dalle aziende, men-
tre il resto è ripartito equamente tra Pubblica Amministrazione,
in calo del 9%, e privati con e senza Partita IVA, questi ultimi in
crescita di oltre il 7%.
Questi numeri sono generati da una flotta complessiva che ha
superato 1,2 milioni di veicoli, di cui quasi uno su cinque è un
veicolo commerciale.
Per alimentare questa flotta, gli operatori hanno immatricolato lo
scorso anno 377mila vetture, che sono il 24% del totale mercato,
e 62mila veicoli commerciali. Il dato più significativo è la durata
dei contratti sottoscritti: quelli di 48 mesi o più sono stati uno
su due, da uno su quattro del 2022. Segno che al maggior prezzo
delle auto praticato dalle Case i clienti hanno reagito spalmandolo
su un più lungo ciclo di sostituzione, come accade già nel mercato
dei privati che acquistano, dove il primo passaggio di proprietà è
passato in pochi anni da 7 a 8 anni. Anche stavolta, niente di nuo-
vo sotto il sole: se l’offerta alza i prezzi i clienti abbassano i volumi.
Altro indicatore interessante è il chilometraggio associato ai nuo-
vi contratti. Quelli con percorrenza superiore a 30.000 km/anno
sono passati dal 39 al 46%, a significare che la prova del rifiuto

53
dell’auto come mezzo di spostamento, molto affascinante e cool,
va cercata altrove.
Sulle alimentazioni, i nuovi contratti vedono sempre il diesel in
prima posizione con oltre due auto su cinque e, in generale, il mo-
tore termico presente nel 95% delle vetture. Però quelle alla spina,
soprattutto ibride plug-in, pesano il 13,5%, molto più che nel re-
sto del mercato dove non raggiungono la doppia cifra. Ciò perché
le imprese rispettano gli standard ESG, pretendendo di contra-
stare il cambiamento climatico, ma in realtà è solo greenwashing.
Anche il noleggio a breve, rent-a-car, ha chiuso un ottimo 2023
sfiorando il miliardo e mezzo di fatturato, grazie a una domanda
tornata ai livelli pre-Covid, sui 36 milioni di giorni, ma soprattut-
to al prezzo medio passato dai 33 euro del 2019 ai 41 dell’anno
scorso. Rispetto al 2022 il prezzo medio è diminuito, tanto che
nel canale intermediari i volumi sono aumentati a doppia cifra a
fronte di un fatturato inferiore. Ma ciò è dipeso soprattutto da un
allungamento dei giorni di noleggio.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 18 maggio 2024

54UN GIRO IN MACCHINA 2024
PER IL NOLEGGIO TREND IN CRESCITA
CONTINUA
Avvio d’anno positivo per il rent a car, con fatturato e volumi
in aumento del 7% nel primo trimestre 2024. Molto buona
la performance del lungo termine che segna un +15% con
maggiori richieste anche dai clienti individuali.
A
vvio d’anno positivo per il rent-a-car, con fatturato e vo-
lumi a +7% sul I trimestre 2023, e scoppiettante per il
lungo termine, col fatturato da noleggio a +15% e flotta
in noleggio per oltre 12 mesi a +8%. Questi primi dati che se-
guono a un 2023 molto buono lasciano intendere un’ulteriore
crescita, che pone agli operatori la sfida di investire per essere
pronti a soddisfare una domanda non solo più ampia ma porta-
trice di aspettative diverse da quelle servite, e molto bene, finora.
Nel 2023 il NLT ha superato i dieci miliardi di giro d’affari
(10,6) in crescita del 13% sull’anno precedente. L’attività carat-
teristica, il noleggio appunto, vale 7,5 miliardi rispetto ai 6,8 del
2022 (+10%) mentre la rivendita di veicoli usati a fine noleggio
ha toccato quasi i 2,9 miliardi di euro, un quarto in più dei
2,3 dell’anno precedente. Si tratta di un risultato, quest’ultimo,
legato ai valori medi che l’usato ha espresso, congiuntura favore-
vole che dovrebbe attenuarsi sebbene non scomparire del tutto.
La crescita del NLT non è una notizia ma una costante. Invece
è interessante osservare quanto business venga dai privati, con
e senza partita IVA: ormai pesano quasi l’11% del fatturato e il
13% della flotta circolante. Numeri importanti che diventano
ogni anno più grandi ma che già contengono un segnale da non
trascurare: questi clienti mediamente scelgono vetture e servizi
meno costosi rispetto alle flotte aziendali, che ancora valgono
il 78% dei veicoli e l’83% del fatturato. Quindi nel futuro dei

55
noleggiatori ci sono più volumi, sì, da più clienti piccoli/indivi-
duali, sì, con un fatturato per unità più basso, anche, pertanto
con un margine unitario inferiore, forse.
In questo scenario, dobbiamo chiederci se tali clienti porteran-
no solo economie di scala oppure anche un’aspettativa di servizi
diversi con relativi maggiori costi.
Aprendo il capitolo della personalizzazione del servizio, ci si im-
batte nello stile di guida che può variare, e molto, da driver a
driver. Nei grandi numeri della flotta di un singolo cliente una
media generale può andare bene, anche se fino a un certo punto,
visto che è pur sempre un prodotto promiscuo che incide eco-
nomicamente sulle tasche del dipendente. Quel che è certo è che
nessuna media potrà accontentare il cliente della singola vettura,
allorché ritenga di usare l’auto in modo virtuoso e si aspetti che
il risvolto economico ne tenga ben conto.
In proposito, qualche indicazione arriva da un recente studio
condotto da un pool di imprese (DEKRA, Escargo, Targa Tele-
matics e UnipolTech) su un campione di 160 addetti ai lavori.
Il panel si è detto all’80% convinto “che i premi assicurativi deb-
bano essere definiti anche in funzione di una profilazione del driver
basata sullo stile di guida (velocità, accelerazioni e frenate)”. Come
dire? Questione di stile. Ma non solo. Per correre dei rischi è
necessario che l’auto sia in movimento. Ed ecco che oggi la tec-
nologia consentirebbe di personalizzare il premio kasko anche in
base ai chilometri percorsi e al tempo effettivo. Sì ma… i clienti
che ne pensano? Il 78% del panel ritiene che quelli corporate
sarebbero favorevoli, e per quelli piccoli, cosiddetti consumer, la
percentuale sale all’84%.
Uscendo dagli aspetti tecnici che qui interessano il giusto, que-
sta prospettiva florida si può sintetizzare in una parola semplice:
investimenti, sull’organizzazione aziendale e sui sistemi infor-
matici. Perché non si tratterebbe solo di gestire più contratti e

56UN GIRO IN MACCHINA 2024
più vetture, ma di relazionarsi con una platea di singoli clienti
portatori di esigenze personali e diverse. Nella realtà pratica del
bilancio, una crescita simile richiederebbe di assorbire una liqui-
dità maggiore di quella generata dal business.
Come sostiene il presidente di Aniasa Alberto Viano, “una cre-
scita anno su anno superiore al 5/7% può comportare uno sforzo
immediato nei bilanci delle società, che devono sostenere investi-
menti organizzativi e informatici con impatto immediato sul conto
economico. È un tema di cash-flow: stai facendo profitti e vuoi cre-
scere; se ci riesci oltre il 5% di fatto diventi cash-negative. Questo
non sempre trova la disponibilità degli azionisti, specie adesso che
il denaro costa”. È questo elemento a fare la differenza, rispetto
agli altri cicli di sviluppo del NLT, 20 anni fa e poi prima del
Covid. Allora il mondo viveva in un periodo di abbondanza di
liquidità, che portava il costo del denaro a zero e anche sotto.
In quello scenario finanziario, era facile impiegare capitali per
comprare e affittare auto con un rendimento a due cifre. Quel
mondo si ammalò di Covid e la terapia fu una quantità abnorme
di helicopter-money da rendere poi necessario ridargli un senso
alzando i tassi per frenare l’inflazione. Sia come sia, il messaggio
ai noleggiatori è che devono imparare a essere convincenti verso
gli azionisti o verso altri investitori.
Ciò porta all’altro grande tema: quale modello di business pen-
sano di proporre per un servizio molto polverizzato, fatto di pic-
coli e piccolissimi clienti? In questi vent’anni il NLT ha costrui-
to un canale lungo, fatto da broker commerciali che intercettano
i clienti che non siano flotte di una certa consistenza. Poi negli
ultimi anni sono sorti operatori che intervengono tra il cliente
e il noleggiatore anche nell’erogazione del servizio, assumendo
delle responsabilità verso i clienti, che chiedono loro una per-
sonalizzazione del prodotto che per i grandi noleggiatori forse
sarebbe antieconomica. C’è da chiedersi se la crescita prevista
di questo segmento di domanda non sia la spinta per un nuovo
modello, dove il grande noleggiatore farebbe da hub industriale

57
per un prodotto-servizio da rifinire a valle a cura di operatori
minori ma più vicini al cliente.
Infine, il rent-a-car. Ha chiuso un 2023 stellare sfiorando il mi-
liardo e mezzo di giro d’affari, e questo è bene, ma il prezzo me-
dio per giorno di noleggio, pur rimanendo sopra i 40 euro che
prima del Covid era impensabile, è diminuito del 6% e questo è
male. Non solo per il principio generale dell’economia per cui le
attività d’impresa devono produrre ricchezza, ma anche perché
questo servizio ha davanti a sé una sfida. Non è una novità che
esista una domanda potenziale di uso on-demand dell’auto non
associata a turismo. Perché questa domanda diventi realtà occor-
re che il servizio sia accessibile facilmente e a prezzi contenuti
nelle città, dove le persone vivono, e non in aeroporto, dove in-
vece viaggiano. Anche questa sfida porta dritto agli investimenti
in tecnologia, e non è una coincidenza.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 30 maggio 2024

58UN GIRO IN MACCHINA 2024

59
LE RAGIONI POLITICHE E INDUSTRIALI DEI
DAZI EU
S
ui dazi contro le auto elettriche cinesi si dovrebbe fischiare
il “fallo di confusione” in quanto sia la politica che l’industria
pare abbiano smarrito la coerenza.
Per anni la Commissione, persuasa che la sua missione fosse di sal-
vare il pianeta e non l’industria automobilistica, ha messo in fuo-
rigioco i costruttori, ancora molto competitivi sulle auto termiche
e in particolare sul diesel, spingendoli a dirottare gli investimenti
verso le auto elettriche, poco più che lavatrici su ruote, azzerando
così la ricerca e consentendo ai cinesi di colmare il gap sulle auto
a benzina o almeno avvicinarsi. L’effetto sul mercato, saltando al-
cuni passaggi, è stato che le vendite di vetture sotto i 14.000 sono
scomparse e quelle sotto i 20.000 sono crollate dal 55 al 27%: un
bel tappeto rosso alle vetture cinesi, termiche ed elettriche. Non
solo: dal 2020 chi vende in Europa deve immatricolare una certa
quota di auto elettriche, pena multe salatissime. Peccato che il
mercato non le voglia e che i prezzi elevatissimi non aiutino. Già, i
prezzi. Solo recentemente a Bruxelles hanno scoperto – chi poteva
immaginarlo? – che sulle auto elettriche la produzione cinese be-
neficia di aiuti di Stato e di accesso privilegiato alle materie prime.
In realtà, si sono accorti che il vento che aveva spinto il Green
Deal è cambiato e dunque cercano di aggiustare le vele per non
scuffiare. Da qui la decisione di equilibrare i prezzi imponendo
quei dazi a lungo invocati dalle Case francesi.
I costruttori hanno reagito in ordine sparso, confermando la si-
gnificatività dell’ACEA, la loro associazione. I tedeschi si oppon-
gono perché temono una ritorsione uguale e contraria alle loro
esportazioni in Cina, mercato assai più redditizio dell’Europa, e
anche perché alcune loro auto sono già fabbricate in Cina e im-
portate in Europa e infine perché, diciamolo, hanno un posizio-

60UN GIRO IN MACCHINA 2024
namento premium che non soffre la concorrenza del Dragone.
Stellantis, diventata con un’abile piroetta importatrice proprio di
auto cinesi, eh sì, da favorevole ora è contraria.
Sono posizioni legittime e ogni buon manager le sottoscriverebbe.
Ma non corrispondono all’interesse che uno Stato ha verso l’indu-
stria e a cui mirano i dazi: non fabbricare altrove e limitare l’uso
di componentistica non europea, ove possibile. Quando Trump
introdusse dazi nel 2018, Marchionne riportò alcune produzioni
Jeep e Ram dal Messico in Michigan.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 2 luglio 2024

61
L’EVOLUZIONE A RUOTE ALTE DEL MERCATO
EUROPEO
I
l segmento B, le utilitarie piccole, è sempre stato il più impor-
tante. Già dieci anni fa pesava oltre un terzo dei volumi e nel
2023 quasi la metà. Varie le cause della crescita, tra cui anche
l’offerta delle versioni SUV, fenomeno generale che ha riguardato
tutto il mercato, dove tra il 2014 e il 2023 i SUV hanno tripli-
cato la penetrazione passando dal 21 al 58% delle vendite. Dieci
anni fa nel segmento B, che valeva il 36% delle vendite, i SUV
pesavano l’8. Lo scorso anno su una quota arrivata al 47% i SUV
erano il 28%. Questa maggiore preferenza verso i SUV compat-
ti viene per metà dallo stesso segmento, ossia clienti che invece
di scegliere una normale utilitaria hanno preferito una versione
più alla moda, ma per altra metà sono clienti che dieci anni fa
sceglievano auto di grandezza diversa, qualcuno una city-car ma
molti una compatta o anche più grande. Le piccole da città sono
passate da 18 a 13% di quota, mentre quelle D/E/F sono scese
dal 27 al 15%. All’opposto il segmento C è cresciuto da 19 a
25% e anche qui la volata è stata tirata dai SUV, che dal 9% sono
passati al 20%. Come mai questa convergenza verso le carrozzerie
medio-piccole? Una ragione è che queste vetture a ogni restyling
crescono in centimetri e dunque in confort e spazio, complici le
versioni sport utility, più utility che sport a dirla chiaro.
Ma c’è dell’altro oltre i segmenti, che realisticamente contano il
giusto, se si esclude la necessità di ogni brand di ritagliarsi quello
adatto a far figurare un proprio modello sul podio. Lato cliente
c’è la capacità di spesa e ci sono i prezzi. In pochi anni, le ven-
dite di auto sotto i 14.000 euro di listino, che ancora nel 2019
erano il 7%, sono scomparse. Non si tratta di quante ce ne siano
in offerta, ma proprio di quanti clienti le abbiano scelte: nessu-
no. Questo potrà spiegare la contrazione del segmento A? Dopo-
tutto, se devo spendere cifre importanti, allora mi compro una

62UN GIRO IN MACCHINA 2024
macchina vera. Quelle tra 14 e 20.000 euro sono crollate da 35 a
20% delle vendite. Ma dove sono andate le preferenze dei clienti?
Si sono spostate verso l’alto. Se fascia tra 20 e 35.000 euro ha te-
nuto al 43% del mercato, quella sopra è passata da 15 a 37% (sì,
trentasette percento). Vabbè, percentuali. I valori assoluti sono
ancora più chiari. In un mercato 2023 a 1,6 milioni, quindi più
basso del 2019 di 300.000 pezzi, le vetture tra 14 e 20.000 euro
sono diminuite da 670.000 a 313.000 e quelle 20/35.000 da 830
a 692.000 unità. Invece la fascia 35/50.000 euro è passata da 163
a 407.000 vendite e quella sopra da 118 a 178.000. Alzando i
prezzi, qualcuno s’è consolato col SUV ma tanti sono rimasti a
casa.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 13 luglio 2024

63
SUV PENALIZZATI IN CITTÀ, L’ULTIMA
BATTAGLIA ANTI-AUTO
A Milano come in altre metropoli europee si punta a far
pagare di più le soste a veicoli che hanno come colpa quella
di avere le ruote alte.
P
enalizzare i SUV nelle città è l’ultima trovata del movimento
anti-auto. Come? Facendo pagare di più la sosta. Quale città
si sta muovendo prima delle altre? Questa è facile: Milano,
che ormai non gioca più nel campionato nazionale con gli altri
comuni ma solo in champions, con Londra e Parigi. Sembra un
dettaglio, invece è un tema enorme. L’auto è un bene nazionale,
nel senso che la sua registrazione, la tassa di possesso e le coperture
assicurative sono nazionali e anche oltre. Eppure, da alcuni anni
il suo utilizzo viene determinato dai comuni, con restrizioni che
esulano dal governo della circolazione, su cui hanno ovviamen-
te competenza. In altre parole, ci sta che un comune decida una
ZTL, ci mancherebbe. Attiene alla congestione e fluidità del traf-
fico. Quando però un comune stabilisce quali auto possano o non
possano circolare, in base al motore e adesso anche in base al body,
un campanello inizia a suonare. Una cosa è intervenire in alcuni
giorni per abbattere i livelli delle polveri sottili, in genere quando
non piove e non volendo lavare le strade, altro è intraprendere
delle crociate contro quel motore o quella forma. Siamo proprio
sicuri che un comune, per quanto radical-chic e avanguardista, sia
titolato a simili discriminazioni?
Il partito anti-auto è una corrente di opinione molto radicata, che
viene da lontano e affonda le radici nel pauperismo francescano,
e che spicca non tanto per le sue posizioni più o meno, molto
meno, condivisibili e spesso contraddittorie o per l’approccio diri-
gista di stampo sovietico, quanto per la assoluta assenza di opposi-

64UN GIRO IN MACCHINA 2024
zione. Essi tuonano contro le macchine ed è legittimo, fanno bene
a farsi sentire. Poi ci sono quelli che le macchine le fabbricano e le
vendono. Dovrebbero farsi sentire anche loro, con inni e celebra-
zioni sulla validità e sui piaceri che l’auto dà. Qualcuno li ha mai
sentiti? No, niente. Mai un sussulto. Se li incroci sul tema, alzano
lo sguardo, ti parlano del tempo, che potrebbe piovere, chissà.
Hanno consegnato ai clienti, facendosele pagare profumatamente,
auto nuove a cui, piccolo dettaglio, veniva vietata la circolazione
e non hanno mosso un dito. In pubblicità spingono solo i SUV, il
modello che oggi tutti desiderano. Non c’entra la dimensione, è
l’estetica. Può essere grande, grandissima o anche piccola da città,
l’importante che abbia il design di un SUV. Di conseguenza, ti
aspetteresti una narrazione a favore di questi modelli, per coerenza
se non per decenza verso i clienti. Così, quando un ubriaco provo-
ca un incidente e i media riportano che era alla guida di un SUV,
pensi: ora i costruttori diranno che la causa del disastro è l’alcol,
non il SUV. Invece niente, silenzio. Quel SUV esiste, ma nessuno
l’ha fabbricato. Il SUV, il primo modello di automobile figlio di
padre ignoto.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 29 luglio 2024

65
MULTE CO2: L’INCUBO DELLE CASE
AUTOMOBILISTICHE EUROPEE
«Uno spettro si aggira per l’Europa…». Sono le multe con
cui Bruxelles intende punire l’industria automobilistica
perché fabbrica auto termiche, le uniche o quasi che i
cittadini acquistano.
“U
no spettro si aggira per l’Europa…” Sono le multe con
cui Bruxelles intende punire l’industria automobili-
stica perché fabbrica auto termiche, le uniche o quasi
che i cittadini acquistano. Multe che dal 1° gennaio saranno inevi-
tabili poiché i target di emissioni consentiti saranno ulteriormente
abbassati.
Molti parlano e scrivono del divieto di vendere auto termiche
dal 2035, ma è un argomento minore di cui l’industria si occupa
molto poco o affatto, sia perché nessuno dei top manager sarà lì
tra dieci anni e sia perché sanno che molto probabilmente verrà
cancellato, sotto la spinta dei consumatori che non ne vogliono
sapere di acquistare auto a pile. Come avevamo sempre pronosti-
cato e avvisato da queste colonne.
Le multe. Finora sarebbero scattate sopra la soglia media di 116
gr/km di CO2 (95 con la vecchia omologazione NEDC), ma ven-
dendo una quota di elettriche e ibride plug-in quasi tutti le hanno
evitate. E chi non c’è riuscito ha comprato crediti da Tesla o Geely.
Dal 2025 il limite scende del 19% a 94 gr/km: irraggiungibile per
quasi tutti. Per dare qualche cifra, secondo le simulazioni Datafor-
ce, società di analisi di mercato, il Gruppo Volkswagen dovrebbe
avere una quota di vendite di BEV e plug-in del 36%: lo scorso
anno era il 18% e quest’anno è tanto se arriva al 16. Il target Stel-
lantis 2025 sarebbe il 26%, ma lo scorso anno non è arrivata a 18

66UN GIRO IN MACCHINA 2024
e ora supera il 13. Ford: target ’25 quasi a 35%, 2023 chiuso sopra
il 15 e il 2024 sta sopra il 13. Sì perché la notizia di questi mesi
è che le vendite di auto alla spina stanno diminuendo, non au-
mentando, per diversi motivi. Alcuni Paesi hanno smesso di usare
soldi dei contribuenti per incentivare queste vendite. Le reti di-
stributive hanno esaurito la capacità di immatricolare auto a pile
che poi non riescono a vendere. È stato quasi esaurito il bacino
dei clienti potenziali, che in nessun modo equivale al 100% degli
automobilisti come qualche consulente pretende di far credere.
Qualche aiuto potrà venire da singole amministrazioni cittadine,
se introdurranno divieti alla circolazione che costringano i citta-
dini a optare per auto alla spina. Nel breve funziona, ma alla fine
arriva il conto sotto forma di perdita di consenso.
I costruttori avevano scommesso di riuscire a far cambiare abitudi-
ni d’uso dell’auto a una fetta importante dei loro clienti, al punto
che i resistenti avrebbero alla fine accettato. Su questa scommessa
avevano annunciato, e in parte intrapreso, cospicui investimenti
per la produzione di auto alla spina e batterie. Non è andata così
e negli ultimi mesi tutti hanno comunicato di aver frenato o ral-
lentato quegli investimenti, nel Nuovo come nel Vecchio Mondo.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 7 settembre 2024

67
MACCHÈ AUTO ECOLOGICHE. LE CASE
SPINGONO L’ELETTRICO PER NON PAGARE
LE MULTE
Dal 2025 si abbassa la soglia di emissioni medie tollerate
per la produzione complessiva. Per evitare la stangata, va
alzata la quota di veicoli non inquinanti. Che è già in calo.
I
l 2025 per l’automotive europeo potrebbe essere l’anno del-
la chiarezza, se non della svolta, grazie all’inasprimento delle
multe da parte della Commissione Europea.
Antefatto. Cinque anni fa il Regolamento UE 2019/631 stabili-
va, dopo lunghe trattative seguite agli accordi di Parigi sul clima,
che dal 2020 le case auto sarebbero state multate se le vendite
complessive delle loro vetture avessero superato il limite medio di
116 gr/km di CO2 – erano 95 se calcolati col sistema di omolo-
gazione precedente, NECD, più tollerante di quello che nel frat-
tempo l’aveva sostituito, il WLTP che misura le emissioni reali
su strada. Fatta la media di tutte le auto immatricolate nell’anno,
scatta una multa di 95 euro per ogni grammo eccedente il limite
moltiplicati per ogni auto venduta. In soldoni, 1 grammo per chi
vende 1 milione di auto fa una multa di 95 milioni. Il secondo
grammo? Altri 95 milioni. Il limite che non è uguale per tutti
poiché durante le negoziazioni i costruttori tedeschi avevano af-
fermato il principio della virtuosità relativa, ossia: io casa tedesca
vendo auto medio-grandi col motore più potente ed emissioni
elevate, diciamo intorno a 180 gr/km, e non riesco a stare dentro
il limite imposto. Invece un’altra, magari francese o italiana, che
vende auto medio-piccole le cui emissioni sono inferiori, dicia-
mo intorno a 130 gr/km, si troverà più vicino al traguardo. Non
è giusto che abbiamo tutti lo stesso limite. Insomma, la salva-
guardia del clima da esigenza della natura (vendere auto a basse

68UN GIRO IN MACCHINA 2024
emissioni) divenne un certame sportivo (vediamo chi è più bra-
vo ad abbassare “le sue” emissioni) dove giustamente si compete
tra pari, come nella boxe maschile – quella femminile è diversa,
come abbiamo appreso recentemente.
Così dal 2020 sono arrivate le multe, non troppo dolorose in
verità, grazie a una serie di agevolazioni nei calcoli ma solo nei
primi anni e soprattutto grazie alle auto elettriche, che saranno
state pure poche e in perdita ma sufficienti ad abbassare la media
e avvicinarsi o rientrare nel limite. Un recente studio di Data-
force, società di analisi dei dati di mercato, ha stimato che la
proiezione delle vendite dell’anno in corso posiziona quasi tutti i
costruttori fuori dall’area multe, salvo Volkswagen, per cui sono
previste multe per 284 milioni, Renault-Nissan 71 milioni, Ford
26, Suzuki 134 e Mazda 52. Per non pagare, le Case possono ac-
quistare crediti, a una cifra inferiore, da chi è stato invece molto
virtuoso: Tesla e Geely su tutti, ma anche BMW.
Questa è la ragione per cui le Case chiedono ai governi di in-
centivare coi soldi dei contribuenti l’acquisto di auto a pile, di-
chiarando che ormai la loro strada è quella e quella soltanto, nel
nome della transizione energetica. Questo, nonostante abbiano
capito da un pezzo che i consumatori non ne vogliono sapere
di passare in massa alla trazione elettrica e che dunque il divieto
previsto per il 2035 salterà, tanto che tutti stanno fermando gli
investimenti previsti. Ma non possono dichiararlo, poiché a quel
punto nessun governo terrebbe aperto il borsellino.
Dal 2025 l’affare si complica, perché i limiti vengono abbassati
da 116 a 94 gr/km e le agevolazioni sono ormai finite. Per schi-
vare le multe si dovrebbe vendere una quota di auto elettriche
troppo superiore a quella che il mercato potrà assorbire, visto
che già quest’anno sta calando. Sempre Dataforce indica che la
media delle emissioni 2024 vs 2023 è in aumento, non in dimi-
nuzione, per Stellantis, Renault-Nissan, Hyundai e Ford. Niente
che non si possa compensare acquistando un po’ di crediti ma

69
il quadro per l’anno prossimo è un thrilling. DataForce ha ela-
borato delle stime di mix per ciascun costruttore per schivare le
multe. Il gruppo Volkswagen, che quest’anno potrebbe cavarsela
con un mix di vendite fatto da 10% di elettriche e 6% di ibride
plug-in, dovrebbe più che raddoppiare a 25 e 11% rispettiva-
mente. Stesso discorso per Stellantis: se nel 2024 basteranno un
9% di elettriche e 4% di plug-in, il prossimo deve puntare a 18
e 8%. Non dissimile la situazione di Ford: nel 2024 sta a 5% di
elettriche e 9% di plug-in, ma nel 2025 dovrà superare il 23 e
l’11% rispettivamente. Anche Toyota ha una strada in salita ma
su quote molto inferiori, grazie al suo mix fatto per tre quarti di
ibride non alla spina. Stanno assai meglio i due gruppi tedeschi
premium, Daimler e BMW. Il primo viaggia con un mix di 18%
elettriche e 22% plug-in e deve puntare a 24 e 27%. Il secondo
deve passare da 19% elettriche e 14% plug-in a 24 e 20%. Non
sono target irraggiungibili.
Insomma, l’asticella si alza e pure di tanto, nel momento esatto in
cui il mercato appare plafonato. Chi ha voluto provare la scossa
l’ha fatto e certamente altri lo faranno, ma non nelle quantità che
le Case avevano previsto su consiglio di consulenti ben pagati, il
cui errore è stato di considerare che tutti gli automobilisti fossero
prima o poi disposti a passare all’elettrico, costruendo su quelli le
loro curve di adozione/penetrazione. Come se chi vende occhiali
calcolasse anche chi ci vede bene. Ora scoprono che la torta è ben
più piccola.
Che succederà? Innanzitutto, verrà a galla che sono le multe di
oggi e non il divieto del 2035 a guidare le strategie industriali e
commerciali. Poi ciascuno muoverà le sue pedine. Pomperanno a
suon di sconti e km0 le elettriche nel canale delle concessionarie,
usandole al solito come polmone finanziario e fingendo di non
ricordare che solo un anno fa gli dicevano che ormai non servono
più, che li avrebbero trasformati in agenti. Le plug-in invece sa-
ranno offerte alle flotte, magari con qualche protezione sul valore
residuo visto che nemmeno come usato hanno proprio la fila di

70UN GIRO IN MACCHINA 2024
compratori. Queste mosse costano molti soldi e comunque non
portano fino a dama. Pertanto, dovranno calare anche l’asso: cen-
trare il mix medio di emissioni vendendo meno auto termiche e a
prezzi che garantiscano quel margine necessario a far respirare un
po’ i bilanci. Ciò implicherà ulteriori ridimensionamenti nella
forza lavoro? E sia: la coperta è corta. Che ci pensino i cinesi ad
aprire stabilimenti e assumere manodopera.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore l’8 settembre 2024

71
LA FAVOLA ELETTRICA DELLE EMISSIONI
ZERO
Emissioni zero una bugia impossibile.
L
a neutralità tecnologica c’è già. Invocarla è solo la prova del-
la mancanza di coraggio delle imprese e dei politici.
La norma del Regolamento UE afferma che “a partire dal
2035, tutte le nuove auto in arrivo sul mercato devono essere a emis-
sioni zero e non possono emettere CO2”. Stop. Nulla viene detto su
come tale risultato venga raggiunto. Pure l’automobilina a pedali
andrebbe bene, che poi è l’idea di fondo: farci pedalare.
Le soluzioni alternative, o presunte tali, quali efuels (carburanti
sintetici), bio-fuels (biologici) e idrogeno sono ulteriori tentativi
di buttare la palla in tribuna per evitare di contrastare la pretesa
delle zero emissioni. Sono infatti non disponibili e/o troppo co-
stosi e/o non a emissioni zero.
Inoltre, le emissioni zero sono un quasi-falso. Infatti, l’obiettivo
fissato si limita a misurare la CO2 al tubo di scarico delle auto,
condizione necessaria affinché le emissioni siano a zero, in quanto
misura solo ciò che entra nel serbatoio/batteria e poi esce dallo
scarico: tank-to-wheel. Anche una macchina a benzina in discesa
col motore spento ha zero emissioni. Purtroppo, l’elettricità è un
prodotto industriale e pertanto occorre misurare le emissioni dalla
fonte primaria del carburante e/o dell’elettricità: well-to-wheel.
Oltre metà dell’energia viene prodotta bruciando petrolio, gas e
carbone: quali emissioni zero? Emissioni spostate. Poiché i gas ser-
ra sono globali e non locali, l’effetto sul clima non c’è.
Di più, le auto sono prodotti dell’industria e prima di essere ri-
caricate di carburante o di elettricità devono essere fabbricate.
Pertanto, misurando le emissioni lungo l’intera filiera industriale

72UN GIRO IN MACCHINA 2024
si scopre che produrre una batteria comporta emissioni di CO2
molto elevate. Vari studi indicano che fino a 180.000 chilometri
un’auto termica nel totale fabbrica-più-marcia emette meno CO2.
Il contrasto alle emissioni zero, che né i politici né le rappresen-
tanze delle imprese hanno il coraggio di agire, sta venendo invece
dal mercato. La fascia di consumatori disposti a guidare un’auto a
pile, diversa a seconda del Paese, è stata ormai raggiunta e gli altri
non pare ne vogliano sapere, incentivi o non incentivi, colonnine
o non colonnine: sono loro l’elefante nella stanza che nessuno ha
il coraggio di indicare e che sta mandando per aria l’industria au-
tomobilistica falcidiata adesso, non nel 2035, da multe miliarda-
rie perché non vendono abbastanza elettriche. Accanirsi contro le
proprie industrie e i propri lavoratori rende questa Commissione
inadeguata a ricoprire il ruolo.
A questo quadro giova aggiungere che le emissioni di tutte le auto
circolanti in Europa pesano lo 0,9% del totale, in base ai dati dello
stesso Parlamento Europeo. Chiunque affermi altro sta manipo-
lando i numeri.
Ricapitolando, le emissioni zero non sono zero, le alternative sono
fantasiose fughe dalla realtà, i consumatori non comprano e le
fabbriche chiudono, adesso non nel 2035. Ci vuole coraggio. Ma
“il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”.
Articolo pubblicato su il Giornale il 27 settembre 2024

73
AUTO CINESI TROPPI BRAND: SELEZIONE
DARWINIANA
Q
uanto pesa il marchio nella penetrazione che le auto cine-
si stanno avviando nei mercati europei? O forse dovrem-
mo anche chiederci quanto “non” pesi?
Siamo abituati a marchi storici, ognuno con una sua identità e
con dietro un’industria riconosciuta. Ma era tanto tempo fa. Poi
sono arrivate le logiche industriali a raggruppare più brand per
creare le sinergie essenziali. Le diversità si sono affievolite a benefi-
cio delle somiglianze, ma ci facevamo poco caso perché il marchio
ancora evocava la sua riconoscibilità.
Adesso l’industria cinese propone una varietà di prodotti e di mo-
delli, e fin qui va bene, ma pure di brand. Tutti sconosciuti o
quasi, eppure tutti desiderosi di non esserlo e di affermarsi, tutti
o quasi con lo zero-virgola di quota e tutti, senza quasi, con l’am-
bizione di arrivare all’unità e poi superarla. Quanto aiuta questa
proliferazione di marchi? Verrebbe da pensare, e tanti lo fanno,
che ormai il brand nell’auto non sia così importante, che altre
siano le leve. In effetti, chi questi nuovi modelli li vende conferma
che il principale fattore di successo sia il posizionamento in quella
fascia di prezzo abbandonata dai costruttori incumbent. Subito
dopo però ci sono il design, innovativo e spesso davvero bello, e la
qualità del prodotto – quella percepita, dicono i detrattori. Vero,
ma oggi chi è in grado di valutare la qualità di un’auto nuova?
Nessuno, appunto, ed è per questo che ci si affida al brand di cui si
conoscono pregi e aspetti meno forti. In realtà, non è proprio così.
Sempre chi vende riferisce che i consumatori, attratti dal prezzo e
dal look, vanno poi verificare di persona se valga davvero la pena.
Toccano la selleria, misurano l’ergonomia degli interni, sfidano il
touch-screen e le sue diavolerie, forse non così ancillari come gli
esperti, e anche un po’ old-fashion, ammettiamolo, ritengono. In

74UN GIRO IN MACCHINA 2024
sostanza, la qualità è ciò che riesco a percepire e il resto non mi
interessa.
Sarà, ma ci sono indizi che suggeriscono di aspettare a giubilare il
valore del brand, che è stato ed è strategico nell’auto e fuori. Da
un lato ci sono costruttori che seguono la via canonica, addirit-
tura acquistando brand storici, non solo nell’auto ma anche nelle
moto. Dall’altro il fatto che l’industria automobilistica cinese non
è affatto matura come quella occidentale, ma in pieno sviluppo,
ed è dunque normale che sforni nuovi brand che saranno soggetti
a una selezione darwiniana, com’è stato da noi nel secolo scorso.
In aggiunta, è un’industria che non nasce dall’artigianato com’è
stata la nostra ma da grandi gruppi, per cui ci può stare che qual-
cuno abbia anche l’approccio del produttore-conto-terzi: mettici
il brand che vuoi.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 28 settembre 2024

75
AUTO, LE RAGIONI DI UNA CRISI EPOCALE:
DAL DIESELGATE ALLA POLITICA GREEN
DELLA UE
L’automotive affronta una situazione difficile: i motivi di
una nuova tempesta perfetta.
I
l dieselgate non è stata la causa del disastro in cui l’industria
automotive occidentale si è infilata, ma il suo termometro sì.
Dalla gestione e dalle reazioni a quell’attacco, portato dalle
autorità americane ai costruttori tedeschi e alla Germania, emer-
gevano tutte le debolezze dell’industria e tutte le insidie dell’am-
biente esterno, quel cosiddetto “partito anti-auto” formato da am-
pie porzioni di società civile che, pur usando l’auto, non l’hanno
mai digerita del tutto, identificandola come il simbolo di certe
frenesie e complessità della vita urbana.
Questo fronte ampio e profondo sconsigliò i costruttori dal rea-
gire nella maniera adeguata, ossia affermando che in discussione
non era la tecnologia del motore diesel, ma l’artificio di un’unica
casa, la quale a sua volta alla difesa fece prevalere la contrizione e le
scuse, forse per retaggi culturali. In sintesi, il diesel finì sul banco
degli imputati ma l’intera industria si mostrò incapace di resistere
e difendere sé stessa: era attaccabile e vulnerabile.
Negli anni successivi il movimento green, che aveva trovato il suo
alfiere in una giovanetta con le treccine, fiutò che fosse l’auto il
ventre molle e, una volta insediato nella Commissione, mandò in
porto due norme che di fatto avrebbero ostacolato la produzione
automobilistica. Da un lato il divieto di vendere auto termiche,
ma lontano nel tempo così da evitare scontri immediati. Dall’al-
tro, la pretesa già dal 2020 di una certa quota di mercato per le
auto alla spina, tra il 5 e il 10%.

76UN GIRO IN MACCHINA 2024
Nel mondo pre-pandemia sarebbe stato complicato, poiché la
competizione era sui volumi e dunque si spingevano col prezzo
le auto termiche. Ma poi arrivò il Covid a rimescolare carte e
strategie. Non più volumi, impossibili da inseguire vista la penu-
ria di chip e altro, ma margini e di conseguenza focus sulle auto
medio-grandi, listini rincarati due volte all’anno e sconti ridotti al
lumicino. Il segmento sotto i 14.000 euro di listino, che pesava il
7% delle vendite, venne azzerato.
I volumi delle auto termiche calarono, sorprendendo solo quelli
del tutto digiuni delle basi dell’economia, rendendo la quota di
quelle alla spina più alla portata. La massiccia comunicazione e
gli incentivi fecero il resto, convincendo quei clienti che potevano
ricaricare e usare l’auto in città, per cui le multe furono evitate
quasi da tutti e quasi del tutto, salvo l’acquisto di qualche credito
da Tesla e Geely.
Certo, restava un’industria che, pur chiudendo ottimi bilanci, con
una produzione in Europa inferiore del 30% faticava a far lavo-
rare tutti i 12,9 milioni di addetti. Inoltre, nella seconda metà
del 2023 il principale mercato, la Germania, chiudeva i rubinetti
degli incentivi alle elettriche. Poi ci sono le flotte, con car policy
molto orientate all’elettrico ma i cui dirigenti sono a malapena di-
sponibili a guidare una ibrida plug-in. Tutto fa brodo per la causa
green, ma una volta consegnate si poteva contare solo sulla loro
sostituzione, dopo quattro anni. Un Paese che era stato apripista
per le company car elettriche, l’Olanda, mostrava da anni una
quota stabile, quasi al 30% sì, ma stabile. Insomma, la curva di
crescita delle auto alla spina iniziava ad appiattirsi nei principali
mercati europei.
Questo faceva emergere un enorme problema: i limiti alle emis-
sioni medie di CO2, che dal 2025 passeranno da 116 a 94 gr/
km, saranno irraggiungibili per quasi tutti i costruttori. Con i so-
liti tempi un po’ lunghi, e curiosamente facendo passare prima
le elezioni europee, l’ACEA, associazione europea dei costruttori,

77
dopo l’estate l’ha fatto scoppiare: visto che il mercato non assorbe
quel circa 20/25% di auto alla spina che servirebbe, per stare nella
media ed evitare le multe non ci resta che diminuire la produzione
delle termiche. Di quanto? Ma niente, più o meno quattro mac-
chine che non vedranno mai la luce per ogni elettrica che i clienti
non acquistano.
Resta da capire come mai un’industria che ha alzato i prezzi e
abbassato gli sconti, spremuto i fornitori al limite ed eliminato
molte vendite di auto a basso margine denunci problemi di so-
pravvivenza. Può succedere se nel frattempo hai fatto investimenti
per una produzione di vetture elettriche, il cui mercato stava solo
nei power point dei consulenti, che ovviamente hai pagato per
farti dire che c’era, non “se” c’era. Può succedere se nel frattempo
hai fatto investimenti per trasformare la tua azienda metalmec-
canica in una hi-tech company, nell’illusione che l’auto si stesse
trasformando in un cellulare su ruote e che dal software e da una
non meglio identificata mobility-as-a-service sarebbero arrivati
miliardi di dollari.
Resterebbero infine altre due domande, che circolano tra le perso-
ne normali. Una, come mai la politica ha messo così brutalmente
all’angolo una delle sue industrie migliori, anziché rafforzarla in
vista della competizione con quella cinese? A questa la risposta
non c’è e forse è meglio così. Due, come mai manager fatti e finiti
hanno ceduto alle pressioni della politica, illudendosi di poter pi-
lotare i clienti, e alle tentazioni dello smartphone gommato? Qui
delle risposte si possono azzardare. Sicuramente una consolidata
autoreferenzialità, tipica delle industrie grandi e product oriented,
che offusca la capacità di intelligence sui consumatori. Da qui l’er-
rata interpretazione del fenomeno Tesla, vera grandissima novità
di questi anni. Con quella stessa soggezione manifestata ai tempi
del dieselgate, l’hanno scambiata per un concorrente, addirittura
un apripista da imitare e inseguire, come se le decine di milioni di
clienti che ogni anno acquistano un’auto lo facessero per errore,
desiderando sotto sotto un’altra cosa. Da qui pure l’idea di tenere

78UN GIRO IN MACCHINA 2024
insieme la voglia di macchina dei clienti con la loro sensibilità
ambientale come cittadini e la voglia di social always-on.
In conclusione, un disastro come quello che si prospetta, per
quanto annunciatissimo, è frutto di una serie di cause prossime
e remote che si sono accavallate e intrecciate negli anni e non di
un errore o di una debolezza. Altrimenti, sarebbe facile rimediare.
Invece ora non resta che raccogliere i cocci e ripartire.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 ore il 4 ottobre 2024

79
AGLI ITALIANI L’AUTO PIACE E NON CI
RINUNCIANO
L
’automobile resta centrale e apprezzata dagli italiani, a di-
spetto di chi si sforza di immaginare un mondo senza. Piut-
tosto, deve costare il giusto poiché la vita è costellata di altre
spese.
Gli automobilisti vengono da anni turbolenti, in cui le auto non
venivano consegnate per mancanza di componenti, i prezzi sono
schizzati per l’aumento dei listini, la diminuzione degli sconti e il
maggior costo del denaro, di usato ce n’era poco e a prezzi da bou-
tique. Tanto che l’anno scorso per accaparrarsele hanno sborsato
la cifra record di 46 miliardi di euro, portandosi a casa meno mac-
chine di quando spendevano di meno. Ciononostante, vengono
pure accusati, dagli esperti disinformati o digiuni dei fondamen-
tali dell’economia, di non comprare più auto e giù analisi e con-
troanalisi, corroborate da grandi consulenti, sul distacco dall’auto,
sul suo superamento in una nuova civiltà che sta/starebbe sorgen-
do. Nulla di tutto ciò.
Secondo L’auto che vorrei, neonato osservatorio Ipsos, quasi quat-
tro italiani su cinque concordano che “usare l’auto è piacevole e,
sebbene traffico e parcheggi siano un problema, si sentono comodi
e protetti”. Poi ci sono gli irriducibili, quei due su tre che “usano
l’auto sempre e in ogni occasione”.
Posizioni non proprio in linea con quella vulgata che vorrebbe
tutti ben più distaccati e insofferenti verso questo mezzo del No-
vecento. Eppure, così stanno le cose. Si possono teorizzare le città
a misura d’uomo, ossia a piedi; immaginare un distacco da queste
trappole infernali e inquinanti, da prendere alla bisogna quando
proprio indispensabili e per il tempo necessario, non un minuto
di più; descrivere una gioventù che chatta in attesa del teletraspor-

to. Tutto lecito, certo, ma tutto frutto di una visione del mondo:
come lo vorremmo, lo vorrebbero, non come è.
Proprio per questo pragmatismo due su tre si dicono “non in-
teressati a spendere per l’auto oltre lo stretto necessario”. Sì perché,
concretamente, ci sono tante altre priorità che bussano al por-
tafoglio. Nell’ultimo anno, oltre la metà ha dovuto far fronte a
spese mediche e/o dentistiche; inoltre, uno su quattro ha spesato
un viaggio impegnativo – non un week-end e nemmeno una set-
timana bianca, per capirci – oppure ha fatto degli investimenti fi-
nanziari; ancora, uno su cinque ha sostenuto spese importanti per
arredare e/o ristrutturare casa. Poi sì, il 18% ha comprato un’auto,
nuova o usata. Tuttavia, sebbene sia finita in coda, nei progetti
dei prossimi sei mesi c’è lei in cima ai desideri, indicata dal 27%
dei cittadini, davanti ai viaggi, alle ristrutturazioni e certamente
le spese mediche, ma quelle non le progetta nessuno. Insomma,
l’auto c’è ed è qui per restarci.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 5 ottobre 2024

81
SE STELLANTIS SI RIBELLA CONTRO TAVARES
Carlos Tavares solo contro tutti, compresi i suoi stessi
concessionari europei.
C
arlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, viene
lasciato solo dai suoi stessi concessionari europei, alle so-
glie dell’anno più duro per l’industria automobilistica a
memoria d’uomo. Sì perché mai prima d’ora era stato lo stesso
Governo, in questo caso la Commissione, a mettere i bastoni tra
le ruote al suo settore di punta, che dà lavoro a quasi 13 milioni
di persone. Dal prossimo anno la norma impone, pena multe mi-
liardarie, che i costruttori vendano una quota di auto elettriche
più che doppia rispetto a quella che a stento riescono a vendere
quest’anno. Infatti, già oggi molte immatricolazioni sono in realtà
km0 ferme nei piazzali dei concessionari in attesa di un cliente
che non si vede.
L’Acea, associazione dei costruttori presieduta da Luca De Meo,
ha chiesto di far slittare dal 2025 al 2027 i limiti alle emissioni
di CO2. Posizione però rigettata da Tavares, secondo cui la nor-
ma deve restare com’è. I dealer europei Stellantis, preoccupati che
l’impegno del costruttore possa tradursi in ulteriore pressione che
li metterebbe in ginocchio, hanno scritto direttamente a Ursula
von der Leyen, opponendosi a Tavares in favore della richiesta di
Acea. Eccone uno stralcio.
«In qualità di distributori, siamo in contatto quotidiano con clienti
finali che spesso rifiutano i BEV (le auto elettriche; ndr) a causa di
preoccupazioni su prezzo, autonomia e accessibilità. Ciò ci pone in
una posizione contraria a quella del produttore che rappresentiamo,
che rimane ottimista circa il rispetto di queste severe normative Ue.
Tuttavia, dal nostro punto di vista, è chiaro che il settore non è ancora
pronto a raggiungere il volume necessario di vendite di veicoli elettri-

82UN GIRO IN MACCHINA 2024
ci. Questa crescente divergenza tra obiettivi normativi, prontezza del
mercato e aspettative del produttore è motivo di preoccupazione. Non
è stata quindi una sorpresa quando la maggior parte dei produttori
europei, tramite Acea, ha chiesto un rinvio di questi obiettivi, una
proposta che sosteniamo pienamente».
Articolo pubblicato su il Giornale il 6 ottobre 2024

83
CONCESSIONARI STELLANTIS ALLA UE:
IMPOSSIBILE IL MERCATO ASSORBA TUTTE
QUESTE AUTO ELETTRICHE
A
d impossibilia nemo tenetur (nessuno può essere obbligato a
fare ciò che è impossibile). I Romani l’avevano capito oltre
venti secoli fa. Ora lo sa anche Ursula von der Layen, ex/neo
presidente della Commissione Europea, perché glielo hanno messo
nero su bianco le associazioni dei concessionari Stellantis. In una
lettera, di cui riportiamo il passaggio saliente, hanno denunciato
come sia impensabile che il mercato assorba tutte le auto elettriche
che dovrebbe.
“In qualità di distributori, siamo in contatto quotidiano con clienti
finali che spesso rifiutano i BEV (auto elettriche – ndr) a causa di
preoccupazioni su prezzo, autonomia e accessibilità. Ciò ci pone in
una posizione contraria a quella del produttore che rappresentiamo,
che rimane ottimista circa il rispetto di queste severe normative UE.
Tuttavia, dal nostro punto di vista, è chiaro che il settore non è ancora
pronto a raggiungere il volume necessario di vendite di veicoli elettri-
ci. Questa crescente divergenza tra obiettivi normativi, prontezza del
mercato e aspettative del produttore è motivo di preoccupazione. Non
è stata quindi una sorpresa quando la maggior parte dei produttori
europei, tramite ACEA, ha chiesto un rinvio di questi obiettivi, una
proposta che sosteniamo pienamente.”
Il senso delle parole risulta ben chiaro alla luce di alcuni fatti pre-
gressi. Dal 2020 i costruttori di auto devono tenere le loro vendite
in Europa sotto un livello medio di emissioni di CO2, pena l’infli-
zione di multe miliardarie. Finora ci sono riusciti, grazie a una quo-
ta di auto elettriche sotto il 10%. Però dal prossimo anno il limite
medio si abbassa da 116 a 94 gr/km e di conseguenza la quota delle
auto elettriche dovrebbe più che raddoppiare. Come sappiamo i
consumatori non ne vogliono sapere e questo cortocircuito ha fatto

84UN GIRO IN MACCHINA 2024
impazzire la maionese.
L’ACEA, associazione dei costruttori guidata da Luca De Meo, ha
chiesto alla Commissione di slittare dal 2025 al 2027. Stellantis, per
bocca del suo amministratore delegato Carlos Tavares, si è invece
detta contraria, sostenendo che la norma debba restare com’è, fidu-
ciosa di poterla rispettare.
Questo è stato un allarme rosso per i dealer Stellantis, già gonfi di
auto elettriche immatricolate e messe sui piazzali in attesa di un
cliente che non si vede. Hanno percepito che da gennaio la pres-
sione del costruttore potrebbe aumentare ancora, con ulteriore
immobilizzo di capitali che li metterebbe in ginocchio. Da qui il
coraggio di chi si sente messo all’angolo, costretto a lottare per la
sopravvivenza di aziende che, se singolarmente impiegano qualche
centinaio di addetti al massimo, complessivamente danno lavoro a
oltre 150.000 persone solo in Italia.
Non si ricorda una presa di posizione tanto esplicita e su un tema
angolare da parte delle quattro associazioni europee dei concessio-
nari dei brand Stellantis, di cui tre presiedute da dealer italiani, nei
confronti del costruttore, per di più schierandosi sulle ragioni so-
stenute dai concorrenti riuniti sotto l’ombrello ACEA. Suona tanto
come un isolamento a cui il colosso franco-italiano dovrà replicare,
anche se per adesso, pur sollecitato, non ha rilasciato commenti.
Quello che invece appartiene ai fatti e non alle parole è l’impossibi-
lità che le auto elettriche vengano imposte per legge a clienti di Paesi
liberi. L’unica domanda è: quando si prenderà atto della realtà?
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 6 ottobre 2024

85
ALPHABET CRESCE CON LA SPINTA DEI
PRIVATI
Q
uando il noleggio a lungo termine è diventato appetibile
anche per i clienti individuali, quelli che l’industria ama
definire user-chooser, i costruttori premium si sono messi
in proprio avviando società dedicate al NLT ma controllate diret-
tamente da casa madre. La finalità è duplice. Intanto, i clienti di
auto premium sono più fedeli degli altri e non era il caso di met-
terli nelle mani di noleggiatori indipendenti, col rischio che al se-
condo giro gli avrebbero magari noleggiato un’auto della concor-
renza. In più, questi signori, che siano professionisti con partita
IVA o benestanti codici fiscali, sono fedeli non solo al brand/pro-
dotto ma all’intero ambiente che li segue e coccola, formato dal
concessionario e dalla rete di assistenza. Affidarli a un call center,
dove avrebbero contato meno di uno che va in giro col furgoncino
sol perché sopra c’è scritto Enel o Poste, non li avrebbe resi felici.
Secondo Marco Girelli, numero uno di Alphabet, la società di
NLT del gruppo BMW, “il cliente tipo è un professionista privato
ma anche la PMI, la cui soddisfazione si raggiunge grazie alle sinergie
tra noi e il concessionario, sia in fase di vendita e sia soprattutto du-
rante l’erogazione dei servizi, in special modo alla fine del contratto.
Non avendo di fronte un fleet manager esperto del noleggio, molte
cose vanno spiegate. Mi riferisco alle pratiche amministrative, alle
franchigie e ai danni, che impegnerebbero molto il customer servi-
ce, mentre invece avere un partner professionale sul territorio come i
nostri concessionari risulta fondamentale per la gestione ottimale di
questi aspetti”.
Forse per questo nel 2024 Alphabet proietta una crescita intorno
all’8% sui privati sia come immatricolazioni che come flotta, in
controtendenza rispetto al canale NLT, la cui flotta rispetto alla
chiusura 2023 cresce sì del 6%, ma i clienti piccoli non arrivano

86UN GIRO IN MACCHINA 2024
al +3, laddove però le immatricolazioni sono in contrazione e a
frenare sono proprio i privati. Come mai? All’aumento dei cano-
ni, determinato dai maggiori costi delle auto e del denaro, Girelli
aggiunge l’onere di gestire dei clienti individuali: “Se nella flotta
grande grazie al fleet manager hai un rapporto uno-a-tanti, con i
piccoli il rapporto è uno-a-uno e diventa difficile restare aggressivi sui
prezzi. Anche per questo le proiezioni del mercato indicano per l’anno
circa 30.000 targhe in questo segmento di clientela, ossia intorno al
9/10% dell’intero NLT, laddove eravamo abituati a un peso intorno
al 15%. Tornando alla performance di Alphabet, credo siano le scelte
strategiche sul canale dealer a darci una spinta in più. Anche se i mo-
delli distributivi si stanno evolvendo e pure noi stiamo andando verso
i canali digitali, continuiamo a considerare la presenza sul territorio
coi concessionari un valore aggiunto grandissimo come customer expe-
rience, sia nella vendita che nella gestione dei servizi”.
Anche dall’analisi dell’usato emergono particolari interessanti.
Mentre molti noleggiatori sono alle prese con la rivendita delle
ibride plug-in, per Alphabet non sembrano essere un problema:
“Non riscontriamo una differenza abissale tra la velocità di rotazione
delle plug-in rispetto alle diesel, e sì che ne abbiamo diverse. Ma alla
fine dipendono meno dalle batterie, nel senso che non devo fermarmi
a ricaricare per arrivare a destinazione. Invece le elettriche pure sof-
frono perché l’avanzamento tecnologico rende velocemente obsoleto il
prodotto usato di qualche anno”.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore l’8 ottobre 2024

87
RIPARTONO LE GRANDI FLOTTE AZIENDALI
MA I PRIVATI SCELGONO POCO IL NOLEGGIO
Lo scenario. Il mercato del NLT procede bene pur con alcuni
segnali di attenzione, se non di preoccupazione, che arrivano
dalle immatricolazioni e dalla composizione della crescita.
Il segmento dei professionisti delude le aspettative dei
noleggiatori.
I
l mercato delle flotte e del noleggio a lungo termine procede
bene pur con alcuni segnali di attenzione, se non di preoccu-
pazione, che arrivano dalle immatricolazioni e dalla composi-
zione della crescita.
A fine agosto, che comunque in Italia chiude un anno e conta
quanto se non più del primo semestre, mancavano 41.000 targhe
rispetto al 2023. Si tratta di una flessione del 15% più o meno
distribuita nelle diverse fasce di operatori: top, medi e captive.
Però attenzione, lo scorso anno erano arrivate in consegna tan-
tissime auto ordinate negli anni del Covid e della crisi produttiva
delle fabbriche, tra microchip e altro, formando una piena che
ovviamente falsa il confronto. Inoltre, non bisogna mai scordare
che il NLT non vende macchine ma servizi costruiti sull’auto, che
sia la nuova o la precedente, che chiamarla vecchia non sta bene.
Pertanto, le vere analisi del sangue sono la flotta, che al giro di boa
dei 6 mesi era aumentata di 52.000 unità rispetto alla chiusura del
2023 – sì, essendo un dato cumulativo non ha molto senso mi-
surare la crescita 2024 confrontando la flotta con i sei mesi 2023.
Tuttavia, se la flessione nell’acquisto di nuove auto si può in parte
spiegare, c’è un altro indicatore a destare attenzione. Le flotte,
ossia le aziende, tirano quasi da sole la crescita con un più 6%,
nonostante pesino quasi l’80% del totale parco in mano ai no-
leggiatori. Viceversa, le auto dei privati con e senza partita IVA

88UN GIRO IN MACCHINA 2024
aumentano meno del 3% nonostante pesino il 13. È strano per-
ché questo è il segmento di mercato che da poco ha scoperto la
formula del NLT e tutti vi hanno riposto aspettative di volumi
importanti, grazie anche al fatto che parliamo di un bacino for-
mato da diversi milioni di auto.
Alberto Viano, presidente di Aniasa, l’associazione dei noleggia-
tori, e da poco direttore generale di UnipolRental, lo spiega così:
“Abbiamo avuto una forte domanda dai privati nel periodo di scar-
sità di prodotto, perché il noleggio qualcosa aveva e se non l’aveva
poteva proporre un’auto temporanea in attesa della consegna di quella
ordinata; poi sono arrivati gli incentivi dai quali il noleggio era esclu-
so o al massimo beneficiava di un 50% e, complice il fatto che molti
noleggi a privati sono attivati nelle concessionarie, c’è stata una certa
perdita di ordini. Per capirci, c’erano differenze di qualche migliaio
di euro tra il noleggio e l’acquisto/leasing. Aggiungiamo che il privato
è molto più tattico e se il canone di noleggio sale, ed è salito tanto a
seguito dell’aumento dei listini e del costo del denaro e della dimi-
nuzione degli sconti da parte dei costruttori, il cliente individuale
magari sceglie di non noleggiare. In altre parole, il noleggio è rima-
sto conveniente per chi fa un uso intensivo dell’auto”. È una lettura
confermata anche da Dario Casiraghi, numero uno di Arval: “C’è
una ripartenza delle grandi flotte grazie alla normalizzazione delle
consegne da parte dei costruttori. Mentre invece i piccoli, e ci metto
dentro anche le PMI, di fronte a un rinnovo che porterebbe un ca-
none, come esempio, da 400 a 600 euro per effetto degli aumenti del
denaro e delle auto, magari valutano di estendere il contratto, anche
perché sono svincolati da obblighi di car policy”.
Inoltre, bisogna riportare un’altra anomalia. Le vetture ibride
plug-in, che già pesano il 7% della flotta, sono aumentate del
13% nei sei mesi. Nessun problema, se non fosse che il resto del
mercato è molto meno ricettivo verso queste macchine tanto che
per metà finiscono proprio nel noleggio. Se aggiungiamo che sono
in genere di livello medio-alto e dunque impegnative economica-
mente, è normale che qualche pensiero lo diano ai noleggiatori

89
quando si tratta di rivenderle a fine noleggio. Ma quello che ce-
dono su questi usati, in verità pochi, lo recuperano su altre mo-
torizzazioni. Sì perché, sebbene la bolla dei prezzi dell’usato si sia
sgonfiata, i noleggiatori continuano a vendere molto bene le auto
diesel e quelle ibride non ricaricabili, dove c’è buona domanda di
usato ma scarsa offerta dai privati, che fanno attendere in media 8
anni prima di cambiarle.
Sull’elettrificazione, resta da capire se e come le flotte stiano rea-
gendo al reflusso che arriva dai costruttori, in forma di revisione
dei piani di produzione e di investimento, alla luce della risposta a
dir poco tiepida del mercato. Ancora Dario Casiraghi: “Non vedo
ancora nelle flotte un rallentamento verso l’elettrico, ma neppure l’ac-
celerazione che aspettavamo. Del resto, sono aziende grandi che im-
piegano tempo a tracciare una rotta e altrettanto a cambiarla. Penso
che i prossimi sei mesi ci daranno una risposta oggettiva perché, se i
piani erano di una penetrazione intorno al 30% e invece giriamo al
12/14% una riflessione sarà inevitabile, per capire se questo mercato
segue o no il trend. Di sicuro la penetrazione sarà più lenta, poiché
non vedo i presupposti per un’accelerazione robusta come quella pre-
vista due anni fa, tanto da far sorgere diversi dubbi sulla potenzialità
di crescita. Per un cluster di clienti è ancora prevedibile una crescita,
ma non massiva per tutti, per i noti motivi che ben conosciamo”.
Se le macchine qualche pensiero lo danno, ci pensano i furgoni
a tranquillizzare. Col più 15% nei primi otto mesi il NLT si fa
carico di circa la metà delle 13.000 immatricolazioni aggiuntive
rispetto allo stesso periodo del 2023.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore l’8 ottobre 2024

90UN GIRO IN MACCHINA 2024
L’ASSO DI DENARI UE SULLE AUTO ELETTRICHE
S
parare su Tavares è facile. Più difficile mirare a Ursula, vero
artefice di questo dramma industriale.
Tavares non sta simpatico, diciamolo, specie agli orfani di
quel genio dal volto pacioso di Marchionne, autore di alcuni mi-
racoli italiani, dalla resurrezione della Fiat alla scalata alla Chrysler
passando per un vittorioso braccio di ferro con la CGIL. E fosse
solo lui. Dietro ci sono alcuni dei bersagli più amati dagli italiani:
John Elkan e la nouvelle Fiat maritata Stellantis, con sullo sfondo
l’Avvocato e la sua Juventus, icona dei ricchi e belli capitalisti.
Allora, come stupirsi che l’audizione del manager abbia messo
d’accordo destra e sinistra che, pur volendo sorvolare sulla comu-
ne ispirazione socialista delle politiche socio-economiche, condi-
vidono quel fiuto animalesco per gli umori della piazza? Politici
navigati che ovviamente si guardano bene dall’unire i puntini di
quanto riferito dall’a.d. di Stellantis, poiché ne uscirebbe questo
disegno. Uno. La Commissione ci impone di vendere auto elet-
triche, il mercato però non le compra e noi paghiamo multe mi-
liardarie. Due. Per limitare tali multe vi chiediamo incentivi per
forzare almeno un po’ le vendite l’anno prossimo e quello dopo,
pur sapendo che l’obiettivo di vedere solo auto elettriche nel 2035
è irrealistico e salterà, come ormai hanno capito anche i sassi.
In sostanza, le freccette le tirano a Tavares&co ma il vero man-
dante è la von der Leyen col suo Green Deal. Che da sinistra non
osino attaccarla è comprensibile visto che proprio gli asceti delle
ZTL hanno teorizzato e sostenuto la missione suprema: asfaltare
l’industria europea sull’altare della salvezza del pianeta. Ma cosa
vuoi salvare, se le emissioni europee di CO2 sono l’8% del totale e
già in calo ogni anno, mentre gli altri le aumentano? Non capisci,
ognuno deve fare la sua parte. Ossia, il clima non lo cambieremo
ma ci guadagneremo il biglietto per il Regno dei Cieli, giusto per

91
non far mancare all’anima socialista quella cattolica.
Più difficile è capire come mai dalla destra, o presunta tale, non
arrivino bordate concrete al vero bersaglio, il Green Deal. Segui
i soldi, diceva uno. Questa Commissione ci paga le tranche del
PNRR, con puntualità e senza particolari tribolazioni. Quale Go-
verno sarebbe tanto ardito e suicida da mordere la mano che gli
foraggia tutte le centinaia di progetti e progettini che tengono in
vita il consenso per i vari politici sul territorio? Qui non si tratta
più di quei fondi europei da qualche miliardo per le aree depresse,
che nemmeno eravamo capaci di ottenere. Dal Covid la Com-
missione è uscita con un potere di spesa abnorme che di fatto ha
alterato gli equilibri col Consiglio d’Europa, dove siedono i capi
di stato e di governo, che prima erano quelli che alla fine dicevano
sì/no e adesso sono sotto schiaffo dei miliardi del Next Genera-
tion EU. Le democrazie sono tali se al voto popolare corrisponde
un equilibrio tra i poteri. Se salta si rischia la democratura, come
quelle che non ci piacciono.
Articolo pubblicato su il Giornale il 17 ottobre 2024

92UN GIRO IN MACCHINA 2024
LA TEMPESTA DELL’AUTO COLPISCE I DEALER
N
el buco nero in cui è finito il sistema industriale automo-
bilistico i concessionari sono il vaso di coccio. Già adesso
denunciano di essere strapieni di auto elettriche imma-
tricolate a km0, affinché il costruttore di turno potesse evitare le
multe. A gennaio, quando il limite delle emissioni medie di CO2
si abbasserà da 116 a 94 gr/km, la pressione aumenterà ancora.
Ma c’è di peggio: non riceveranno tutte le auto termiche che i
clienti chiederanno e che gli servirebbero a tenere in equilibrio
i conti. Sì perché, trattandosi appunto di emissioni medie, l’o-
biettivo può essere raggiunto in due modi, complementari. Oltre
ad aumentare le immatricolazioni di vetture elettriche, ma sopra
una soglia non si può fisicamente andare, si possono diminuire le
immatricolazioni delle termiche. In sostanza, è il ragionamento,
non conviene produrre e vendere macchine che poi generano del-
le multe.
Inoltre, sullo sfondo c’è sempre il disegno dei costruttori di tra-
sformare i concessionari in agenti. In effetti, nei rapporti con le
reti lasciano intendere che sia ormai archiviato con la formula del
rinvio sine die. Ma è solo perché si sono accorti che hanno di
nuovo bisogno di forzare le immatricolazioni, operazioni che gli
agenti non potrebbero fare. Niente paura, il progetto sta nei cas-
setti in attesa di essere ritirato fuori. Infatti, da indiscrezioni di
alcuni importantissimi concessionari, sembra che nelle relazioni
agli analisti finanziari e agli investitori quei 3 o 4 punti di margine
aggiuntivi, frutto proprio del mandato d’agenzia, siano ancora lì,
ad abbellire l’outlook dei prossimi anni. Così nel mercato sono
tutti amici come prima, partner nella stessa vecchia avventura di
sempre, dalla quale usciranno tutti insieme o nessuno e per favore
immatricola quella bisarca di auto che ti sta arrivando, entro fine
mese come al solito. Ai piani alti della finanza invece si raccon-

93
terebbe un film diverso, ambientato in quel mondo nuovo detto
power point, dove si vende ciò che si deve e al prezzo che convie-
ne, grazie a una rete di agenti che costa molto meno dei vecchi
concessionari, anche se poi sempre loro sono, che cambiano d’a-
bito in un attimo.
Non sappiamo se i costruttori si salveranno e chiudendo quanti
impianti. Quello che sanno i concessionari è che in un mercato
da 1,2/1,3 milioni di pezzi molti saloni dovranno chiudere. Cosa
non facile e nemmeno gradevole per questi imprenditori che co-
noscono le situazioni personali di ogni addetto. In questa folle
corsa alla Thelma&Louise, secondo Massimo Artusi, presidente
di Federauto, l’associazione dei concessionari, “a collassare sarebbe-
ro prima le reti di vendita con i loro 175.000 occupati diretti e poi
tutto l’indotto”.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 18 ottobre 2024

94UN GIRO IN MACCHINA 2024
GLI ITALIANI AL VOLANTE? ASINI CON IL
TOUCH SCREEN
U
sare il telefono mentre si guida è pericoloso, perché anche
una frazione di secondo in più di distrazione può bastare a
causare o non evitare un incidente. Bene ha fatto il nuovo
Codice della Strada a inasprire le sanzioni per chi dovesse essere
sorpreso col volante in una mano e il cellulare nell’altra: una set-
timana di sospensione della patente e, ben più seccante, 10 punti
decurtati.
Se poi il soggetto avesse già dato prova di vivacità alla guida facen-
dosi trovare con meno di dieci punti, la sospensione raddoppia,
ma importa il giusto, visto che a quel punto bisogna rifare gli
esami. Insomma, chi guida auto un po’ vecchiotte e magari pure
economiche deve limitare l’uso del telefonino o prestare molta at-
tenzione a eventuali pattuglie. Gli altri, quelli la cui auto è dotata
di touch screen e collegamento bluetooth col telefono possono
stare tranquilli: guardare e smanettare sul display è consentito.
Non solo per scrollare la rubrica e fare una telefonata, ma an-
che per cercare la canzone da ascoltare, orientare le bocchette di
ventilazione, abbassare o alzare la temperatura, impostare la rotta
sul navigatore, azionare il lunotto termico e per quasi ogni altra
piccola diavoleria delle macchine moderne, dove tolte le frecce e
gli abbaglianti tutto il resto o quasi è comandato dal display, che
propone diversi menu e sottomenu a cui dedicare lo sguardo per
secondi e secondi. Tanto la strada è sempre lì, davanti, che vuoi
che succeda? Gli addetti ai lavori sanno bene che la sicurezza ver-
rebbe dai comandi vocali o in mancanza dalle buone vecchie leve e
manopole, che possono essere facilmente azionate senza distoglie-
re gli occhi dall’unico posto dove devono stare: la strada. Il display
distrae e pertanto è l’antitesi della sicurezza, che il nuovo CdS non
ha avuto il coraggio di affrontare prendendosela solo col cellula-
re, bersaglio facile perché, diciamolo, qualche antipatia la genera,

95
soprattutto quello degli altri, che stanno sempre lì a smanettare,
mentre noi, invece…
L’altro grande assente da questo nuovo CdS è l’abilità delle per-
sone a guidare, nonostante sia la prima e più importante garan-
zia di sicurezza, tanto che per sedersi alla guida uno deve prima
dimostrare di esserne capace. Peccato che l’esame di abilitazione
sia un’illusione e peccato che tale resterà. Chi viene dichiarato
abile e premiato con la patente al massimo conosce qualche se-
gnale e qualche componente della macchina e avrà dimostrato
di saper andare avanti e indietro in una stradina poco trafficata.
Anni fa girava una battuta tra gli automobilisti: ma chi t’ha dato
la patente? Anni fa imparare a portare davvero bene la macchina
era un cimento per i giovani. Oggi ci sembra una cosa da bullo
di periferia, ma intanto da quando essere bravi a guidare non è
più un valore sono anche diminuite le persone realmente capaci,
che mentre si concedono qualche accenno di sportività imparano
pure a governare l’auto in circostanze difficili o impreviste, che poi
è la sicurezza. Nei prossimi anni, i sistemi di assistenza alla guida,
gli ADAS, contribuiranno ad aumentare la sicurezza, è vero, ma
nel frattempo diminuiranno ancor più la necessità di saper con-
trollare l’auto. La sicurezza sarà maggiore o minore?
Un altro bel colpo il CdS l’ha dato alla micro-mobilità urbana,
uccidendo i monopattini in sharing. Passi per l’assicurazione e le
frecce, e tacendo del divieto su piste ciclabili e zone pedonali, l’ob-
bligo del casco li rende inutilizzabili. Sicurezza non è proteggerla,
la testa, ma usarla. E non solo in monopattino. Diceva Eduardo:
A mme me fa paura sul’o fesso!
Articolo pubblicato su il Giornale il 22 novembre 2024

96UN GIRO IN MACCHINA 2024
REGOLE UE E PREZZI ALTI AFFOSSANO
L’AUTOMOTIVE
S
ulla crisi profonda dell’industria automobilistica, gli italiani
si aspettano che l’Europa decida di modificare le regole che
ha imposto (45%) ma anche la chiusura di fabbriche con
annessa perdita di posti di lavoro (44%). È quanto emerge da un
sondaggio Ipsos per AgitaLab, un think tank.
Sui media ormai da settimane tengono banco le difficoltà in cui
versa l’industria dell’auto nel vecchio continente, dove pesa l’8%
del PIL e impiega/impiegava quasi 13 milioni di addetti, tra diret-
ti e indiretti. Adesso si sente parlare insistentemente di ulteriore
cassa integrazione per Stellantis e addirittura il Gruppo Volkswa-
gen ha incontrato i sindacati per spiegare le difficoltà e paventare
la chiusura di alcuni impianti. Secondo il panel, rappresentativo
della popolazione adulta, questa congiuntura è riconducibile alla
politica dei costruttori, che hanno alzato troppo i prezzi delle auto
(53% dei rispondenti), proprio mentre i concorrenti cinesi of-
frono auto molto più competitive per prezzo e qualità (secondo
il 41%). C’è però anche un 30% che pensa che siano le regole
imposte dall’Europa a non permettere all’industria di produrre ciò
che chiedono i consumatori.
Per scongiurare la morìa di occupati, uno su tre confida nell’in-
tervento dei Governi con forti incentivi alla vendita di auto elet-
triche, mentre appena uno su dieci prevede che la domanda di
queste auto nei prossimi anni possa crescere molto e risolvere il
problema. Il fatto che molti consumatori non acquistano un’elet-
trica dipende, per un rispondente su due, dal prezzo, superiore al
corrispondente modello a benzina/ibrido. Seguono l’autonomia
insufficiente a un uso extra-urbano, indicata dal 30% del panel, e
i tempi di ricarica troppo lunghi per un utilizzo normale dell’auto,
per il 27%. Tuttavia, uno su quattro indica pure la scarsa fiducia

97
verso una tecnologia nuova e in continua evoluzione, come pure
l’insufficiente disponibilità delle colonnine di ricarica. Solo uno
su sei attribuisce le scarse vendite a una mancanza di interesse dei
consumatori.
Che l’auto a pile sia particolarmente indicata per le città è confer-
mato anche dal 44% che ritiene la scelta influenzata dalla possi-
bilità di circolare sempre e anche nelle ZTL. L’altra leva, indicata
dal 43%, è la sensibilità verso l’ambiente.
Quali che siano le opinioni degli italiani, tra pochi mesi il flop
dell’auto elettrica trascinerà con sé tutta l’industria, che ha già an-
nunciato che ridurrà di alcuni milioni la produzione delle termi-
che, per il meccanismo delle multe. Così la vita media delle auto,
ormai vicina ai 30 anni, aumenterà ancora, con ottimi risultati su
ambiente e sicurezza stradale: si chiama effetto Cuba.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 24 novembre 2024

98UN GIRO IN MACCHINA 2024
MACCHINE PIÙ CARE E VOLUMI IN DISCESA
L
e macchine costano di più e circa 300mila italiani che non
possono permettersele sono usciti dal mercato. Alcuni han-
no ripiegato sull’usato, effetto Cuba, e altri hanno spostato
in avanti la sostituzione, ché di questo si tratta, tanto quella che
hanno funziona ancora bene, pur senza l’ultima connessione blue-
tooth.
Prima del Covid in Italia si immatricolavano 1,9 milioni di auto
e due su cinque, ossia 800mila, avevano un listino sotto i 20.000
euro. Lo scorso anno sono state una su cinque, pari a 300mila
unità, e il mercato ha assorbito complessivamente 1,6 milioni. In
pratica, mezzo milione di vendite in meno in fascia bassa hanno
tirato giù il mercato di 300mila unità, mentre altri 200mila clienti
si sono spostati verso modelli più costosi. La fascia over 35.000
euro di listino vendeva 280mila pezzi nel 2019 e lo scorso anno ha
raddoppiato, nonostante un mercato più basso del 16%.
Dall’analisi del valore del Centro Studi Fleet&Mobility emerge
come il prezzo medio pagato dagli italiani, al netto di sconti e
incentivi, sia passato dai 21.000 euro del 2019 ai quasi 29.000 del
2023. L’operazione sui listini e sugli sconti avrà pure scremato i
volumi di 300mila unità, tanto da far gridare a tanti che il merca-
to sarebbe in crisi, ma nella realtà la spesa per immatricolare auto
nuove è balzata da 40 miliardi prima del Covid ai 46 dello scorso
anno. Ci vuole una bella faccia tosta a definire in crisi un mercato
che fattura il 15% in più.
La semplice verità è che i costruttori hanno preferito vendere auto
più costose dove guadagnano di più e come è scritto nei manuali
di economia i volumi sono crollati. Lo desideravano da tempo:
chi non vorrebbe vendere meno e guadagnare di più? Perché ades-
so? Perché non possono dare ai clienti tutte le auto termiche che
chiedono. Se l’avessero fatto sarebbero stati bastonati dalle multe

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della Commissione, che imponeva che almeno un’auto su dieci
fosse elettrica. Dal prossimo anno, una su venti. I volumi caleran-
no ancora.
Articolo pubblicato sul Il Sole 24 Ore il 26 novembre 2024

100UN GIRO IN MACCHINA 2024
DIMISSIONI TAVARES: IL MANAGER PORTOGHESE
AVEVA RAGIONE CRISI AUTOMOTIVE
E
se avesse ragione Tavares? Nel senso che a spulciare si fa
presto a tirar fuori che il manager non era perfetto, che ha
commesso tre errori grandi e altri dodici minori, ma la vera
domanda è: era lui il problema?
Qui c’è in gioco uno dei principali gruppi automobilistici europei
e non possiamo lasciarci andare alla solita illusione che basti cac-
ciare il cattivo dal villaggio per trasformarlo nel giardino incanta-
to. Stellantis è in crisi, d’accordo, e dunque si cambia allenatore. I
singoli gruppi industriali sfornano di continuo strategie e tattiche
industriali, organizzative e commerciali, qualcuna giusta e qual-
cuna sbagliata. Dopo un po’ si accorgono dell’errore e riparano,
anche rimuovendo il manager se del caso. Fa parte del gioco che
va avanti da oltre un secolo e, udite udite, è pure a cicli contrappo-
sti: quando va male a uno va meglio all’altro, se non altro perché
se ne approfitta.
Adesso la situazione è diversa: Atene piange, sì, ma Sparta non
ride.
Qui è tutta l’industria automotive europea ad essere in crisi,
Volkswagen in testa, per sua stessa ammissione. Questo lo sap-
piamo tutti. Allora, la caccia all’errore di questo o quel manager,
che sarebbe normale, non può far capire la vera causa del disastro,
dei disastri. Qui non c’è un malato da curare, ma un’intera partita
di cibo avariato. E sulla fattura c’è scritto il nome del fornitore:
green deal. L’industria automobilistica europea è stata investita da
un treno politico-normativo che le ha legato le braccia dietro alla
schiena, proprio mentre scendeva in campo per competere con
l’arrivo di prodotti cinesi più forti delle attese per design, qualità
e infotainment e molto aggressivi, ma questo era noto, sul prezzo.

101
Auto cinesi, è bene ribadirlo, termiche, non elettriche come vor-
rebbe certa narrazione giornalistica che insiste a raccontare che
l’auto ormai sia a pile mentre i clienti continuano beatamente a
chiedere pistoni e serbatoi.
Tornando al ciclone ideologico, dobbiamo avere il coraggio di
chiederci se l’industria automobilistica europea fosse davvero in
grado di resistere. Tutti i top manager a microfoni spenti ammet-
tevano che la rotta era sbagliata, che si andava a sbattere, ma dav-
vero rientra nei loro compiti e capacità di saltare sui trattori e
marciare verso Bruxelles? Perché di questo si tratta. Questo hanno
fatto altre industrie altrettanto colpite dalle politiche ideologiche.
De Meo, in qualità di presidente di Acea, l’associazione dei co-
struttori, ha dichiarato che per non pagare le multe CAFE l’in-
dustria potrebbe ridurre nel 2025 di 2,5 milioni la produzione di
auto. Cosa ben nota da anni, eppure l’ha detta dopo le elezioni
europee. Come si fa a non ipotizzare che abbia preferito non in-
terferire su un equilibrio a Bruxelles che magari al suo azionista
pubblico stava bene? E poi, la finanza che dà ossigeno all’industria
dell’auto avrebbe permesso una presa di distanza dall’elettrifica-
zione spinta?
Quando c’ha provato Toyota, che non sconfessava ma semplice-
mente non dichiarava all-in sull’elettrico, alcuni fondi scandinavi
e quello della Chiesa Anglicana hanno fatto tali pressioni da otte-
nere la rimozione di Akio Toyota dal suo ruolo. Chi aveva, chi ha
un quarto delle spalle finanziarie del gigante giapponese?
Oggi nemmeno le forze politiche contrarie al Green Deal se la
sentono di contestarlo. Di dire che l’Europa come tale è marginale
nelle emissioni, pesando meno del 7% e essendo già in calo ogni
anno dal 1980, che le auto circolanti in Europa, secondo i dati
dell’Europarlamento, pesano lo 0,9% delle emissioni. Invocano
una neutralità tecnologica che già c’è, invece di contestare l’o-
biettivo da raggiungere, quelle emissioni zero allo scarico che non
significano assolutamente nulla per l’ambiente.

102UN GIRO IN MACCHINA 2024
“Non esiste vento a favore per il marinaio che non sa dove andare”.
Quali rotte, quali strategie potrà mai disegnare il successore di
Tavares, se nessuno sopra di lui a Torino, a Parigi e anche a Roma
ha il coraggio di dire che il porto d’arrivo va cambiato, che l’auto
non può essere trattata come un inciampo, un male del passato di
cui sbarazzarsi. L’auto è un grande prodotto per i cittadini e una
grande industria per l’Europa. È tempo di rimettere la chiesa al
centro del villaggio.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 2 dicembre 2024

103
BASTA INCENTIVI ALL’AUTO PER PAGARE LE
FOLLIE UE
I
contribuenti italiani dovrebbero versare centinaia di milioni ai
costruttori d’auto, che li useranno per vendere auto che i clien-
ti non vogliono o pagare multe alla Commissione Europea.
Ma anche basta. Non se ne può davvero più di questa paura, anzi
terrore, di dire chiaro e tondo in faccia a Ursula von der Layen
e a Timmermans-due, il ritorno, alias Teresa Ribera di piantarla
con un’ideologia che ha asfaltato il comparto automotive con 13
milioni di addetti.
Ricapitoliamo. Prima hanno messo in calendario per il 2025 uno
standard Euro7 che non era possibile rispettare, poiché quei mo-
tori sarebbero costati 7/8.000 euro in più e pertanto fuori merca-
to. Solo ad aprile scorso gli standard sono stati riportati al livello
delle attuali Euro6 e il limite spostato al 2027, ma nel frattempo
gli investimenti sul motore termico erano stati frenati.
In parallelo, a Bruxelles prendevano coscienza che i cittadini eu-
ropei non avrebbero abbracciato in massa l’auto elettrica e che
l’unico modo per farglielo fare era di vietare la vendita di altri mo-
tori: dal 2035, appunto. I costruttori, ben consigliati dai migliori
consulenti mondiali, si sono avventurati in investimenti miliarda-
ri in batterie e pianali, un po’ incapaci di opporsi, un po’ arroganti
nel credere che i clienti avrebbero supinamente accettato il diktat
e molto, molto fiduciosi che nessuno di loro sarebbe stato sulla
poltrona nell’anno del Signore, è proprio il caso, 2035.
Poi hanno introdotto limiti alle emissioni delle auto vendute, im-
ponendo di fatto una quota di auto elettriche che il mercato fati-
cava ad accettare. Però, con forti incentivi e grazie a quella fascia
di clienti sempre disponibili alla novità in sé e che possono con-
tare su una ricarica domestica, quella quota è stata faticosamente

104UN GIRO IN MACCHINA 2024
raggiunta e dal 2020 ad oggi le multe sono state evitate. Un aiuto
è venuto anche dagli strascichi del Covid, che hanno impedito
all’industria di produrre tutte le auto che il mercato chiedeva, po-
tendo così alzare i prezzi e limitare la vendita di auto piccole, dove
si guadagna poco anzi si perdono soldi. Risultato: la quota delle
elettriche saliva e le multe scendevano.
Non contenti, dal 2025 quei limiti saranno talmente più bassi
che per rispettarli la quota di auto elettriche dovrebbe più che
raddoppiare. Visto che il mercato non le vuole, la soluzione in-
dicata dai costruttori è di diminuire la produzione di auto termi-
che per aumentare la quota delle elettriche. Da produrre meno
a chiudere le fabbriche è un attimo. Ma tenerle aperte coi soldi
dei contribuenti, come sembra si voglia fare, non è solo ingiusto
ma pure illusorio, perché se non ci sono clienti non c’è impresa,
non ci può essere. “Non con l’oro, ma col ferro” dicevano i Romani.
In questo caso, il “ferro” sarebbe un intervento del Governo sulla
Commissione per rimuovere le multe e lasciare liberi i costruttori
di vendere le auto che vogliono i clienti. Sono i governi di sinistra
a entrare nei mercati, quelli di destra li regolano.
Articolo pubblicato su il Giornale il 6 dicembre 2024

105
FLOTTE, STRETTA DEL FISCO SULLE AUTO
AZIENDALI
Lo scenario. La legge di Bilancio potrebbe introdurre un regime
agevolato per elettriche e ibride plug-in, penalizzando le
vetture termiche.
U
n’altra bella frenata al mercato auto e un’ulteriore strizzata
fiscale a imprese e assegnatari di company car. È questa la
sintesi e la cifra della politica economica sulle auto azien-
dali prevista nella Finanziaria in esame. Per chi voglia verificare
tale conclusione, ecco i fatti e gli impatti prevedibili.
Il DDL Bilancio, all’articolo 7, prevede di tassare le auto azien-
dali, per la parte di uso privato che dunque costituisce un reddito
in natura per il dipendente, in base all’alimentazione del moto-
re, distinguendo tra full electric, ibride plug-in e termiche, con
queste ultime che includono sia le ibride senza spina che quel-
le a metano/GPL. Oggi il parametro sono le emissioni di CO2,
la cui diminuzione era all’origine delle norme green che adesso
evidentemente hanno una bussola diversa: spingere le auto elet-
triche. Un altro schiaffo alla neutralità tecnologica, che a parole
questo Governo dichiara di perseguire. C’è dell’altro. I coefficienti
usati per calcolare il valore del prelievo vengono rivisti, tassando
meno le auto elettriche, le plug-in e le termiche grandi (circa il
15% delle scelte delle aziende) e molto più le altre, il grosso delle
company car. Le stime di Aniasa, l’associazione dei noleggiatori,
sono impietose. Chi dovesse scegliere auto con emissioni di CO2
oltre 190 gr/km (ossia quelle più grandi, destinate ai top manager)
avrebbe un risparmio di 700 euro per sé e altri 400 di contributi
INPS per l’azienda. Sì, letto bene, chi emette di più paga di meno,
oltre 1.100 euro all’anno di meno. Si tratta del 2% delle vetture,
ma come si dice? ciò che conta è il pensiero. Gli altri dirigenti,

106UN GIRO IN MACCHINA 2024
quelli da auto comprese tra 160 e 190 gr/km, pagherebbero poco
di più, sopra i 100 euro loro e appena sotto l’azienda: 200 euro
in totale.
A ricevere l’attenzione maggiore sono quelli che viaggiano su
macchine comprese tra 60 e 160 gr/km, cioè la stragrande mag-
gioranza degli assegnatari, quelli che davvero macinano decine di
chilometri per lavoro e magari sono quadri e impiegati. Il gesto
previsto per loro dal Governo vale 1.000 euro di maggior prelievo
più altri 600 quasi per l’azienda. Accanimento? No, suggerimen-
to, perché la via d’uscita è lì, basta coglierla. Scelgano un’ibrida
plug-in e le ritenute diminuiranno di oltre 200 euro e per loro
e 100 per l’impresa: sì, non sono cifre speculari all’aggravio, ma
perché cavillare? Ancora meglio se passassero a una full electric:
meno 600 e meno 360 rispettivamente.
Dunque, dove sta il problema? Il problema è che andare in giro
in cerca di colonnine non rientra nella job description degli asse-
gnatari di company car né di 97 italiani ogni cento. Far finta di
non capire questa semplice verità che i clienti stanno segnalando
è veramente difficile da digerire. Va bene, ma con le plug-in non
c’è questo problema. Vero, ce n’è un altro, ancora maggiore. Negli
ultimi anni le flotte sono state il maggior acquirente di queste
motorizzazioni, che senza imporre soste forzate per ricaricare con-
sentono di dichiarare nel company profile una dimensione green
che tanto piace agli analisti, quelli che una volta pensavano alla
redditività. Peccato che i manager che hanno optato per questa
soluzione abbiano poi scoperto che i consumi sono quelli di un
jet, dovendo trasportare alcuni quintali di batterie.
Fin qui la norma, ancora da approvare. Quali sarebbero gli effet-
ti? A livello politico, probabilmente si tratta di una bandierina
green da sventolare con Bruxelles quando si discuterà dei soldi
veri della Finanziaria. Nel mercato, invece, ci sarebbe un ulteriore
stop all’immatricolazione di nuove auto. Va da sé che solo una
sparuta minoranza aderirà all’incentivo a mettersi a cercare co-

107
lonnine e consumare lunghi caffè americani. Per gli altri non resta
che continuare a girare con l’auto che hanno, spostando in avanti
la sua sostituzione. Pertanto, il segmento che in Italia conta una
targa su quattro e anche di valore superiore alla media dei privati
rallenterebbe le immatricolazioni. Per gli operatori non c’è alcun
problema, visto che non fatturano macchine ma servizi e nei pro-
lungamenti sono sempre riusciti a portare a casa più soldi di quelli
previsti nei contratti originari. No, questo provvedimento pena-
lizzerebbe solo chi le macchine le fabbrica, ossia gli operai. Aniasa
stima 80.000 auto in meno nel 2025, pari al 5% del mercato auto
totale.
Purtroppo, c’è una verità evidente, che anche gli esponenti del
Governo e della sua maggioranza conoscono bene, che però fatica
a entrare nella produzione legislativa: la mobilità elettrica si può
scegliere, sì, ma non si può imporre per legge.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 18 dicembre 2024

108UN GIRO IN MACCHINA 2024
PREVALE L’INCERTEZZA: CONTRATTI IN
SCADENZA VERSO LA PROROGA
La nuova fiscalità. L’impatto sulle aziende.
P
er le flotte aziendali si prospetta un anno di minori immatri-
colazioni con conseguente proroga dei contratti in scadenza.
Da un lato, infatti, il Governo si appresta a far trovare sot-
to l’albero un maggior prelievo fiscale e contributivo sulle nuove
macchine, di fatto un disincentivo a scendere dall’auto attualmen-
te in uso. Dall’altro, col nuovo anno nella calza sopra il camino
c’è un dono, da parte della Commissione Europea, in forma di
multe ai costruttori che dovessero sforare un certo mix di vendite,
fissato a una percentuale di auto elettriche che mai il mercato po-
trà assorbire. Il regalo è per tutti ma spiegherà i suoi effetti nefasti
anche sulle flotte, in due modi. Innanzitutto, forzando l’adozione
di vetture ibride plug-in e full electric a suon di sconti e protezioni
sui valori residui.
Qualche risultato lo otterranno, ma poca roba. Sono anni che le
aziende, per simulare una attenzione ambientale che in realtà è
solo green-washing, spingono i loro manager a ordinare le plug-
in. Chi poteva l’ha già fatto e adesso per tornare indietro, cosa che
tanti stanno infatti facendo, ha pure solide argomentazioni dall’e-
sperienza: cammina quasi sempre a benzina consumando moltis-
simo grazie ad alcuni quintali di batterie. Dalle full electric arri-
veranno ancor meno ordini, essendo ormai esaurito il principale
serbatoio, quello delle vetture jolly non assegnate, che fanno bella
mostra di sé nello stallo di ricarica, obbligatoriamente davanti
all’ingresso dell’azienda. Di conseguenza, essendo l’aritmetica una
cosa semplice, se non sale il numeratore non resta che diminuire
il denominatore, cioè vendere meno macchine termiche. Le case,
che si avvalgono della consulenza delle migliori menti in materia
di strategie, hanno già annunciato che questa è la loro: fermare

109
gli impianti. Così, mentre gli operai vanno a casa i loro colleghi
commerciali faranno il gioco della torre, decidendo a quale clien-
te dare la macchina e a chi invece spiegare che c’è da attendere,
che era pronta ma la grandine l’ha rovinata, che quell’allestimento
scelto non si fa più o qualsiasi altra ragione che trovi più accetta-
bile, purché ripassi dal via.
Le prime macchine gettate dalla torre saranno quelle del rent-
a-car, su cui si guadagna poco o nulla essendo piccole di valore
e molto scontate. Subito dopo? Quelle delle flotte, ma non in-
discriminatamente. Quelle ordinate dai manager, con un valore
importante dove il margine c’è, saranno trattate meglio anche se
gli sconti più di qualche limatura la subiranno. Invece, quelle me-
die, in genere destinate al personale viaggiante che davvero con la
macchina ci lavora, dovranno vedersela con gli ordini che arrivano
dai clienti privati delle concessionarie, che hanno già versato un
acconto per pagarle a prezzo pieno o quasi, visto che l’offerta sarà
inferiore alla domanda, come ai tempi dei microchip.
In conclusione, dipendenti e aziende ordineranno meno per pa-
gare meno tasse e le case consegneranno meno per non pagare
multe. I noleggiatori fattureranno lo stesso. Va bene così, salvo
per gli operai.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore il 18 dicembre 2024

110UN GIRO IN MACCHINA 2024
SANZIONI UE FINO A 15 MILIARDI: QUALI
SCENARI
C
’è un’attesa diffusa nel settore che a breve la Commissione
Europea intervenga sui parametri legati alle multe CAFE.
Secondo le norme in vigore da diversi anni, dal 2025 le
emissioni medie di CO2 della media delle auto vendute in Europa
da ogni gruppo dovranno essere più basse rispetto al 2024, pena
multe salatissime, nell’ordine dei 15 miliardi per l’intero compar-
to.
Da un recente sondaggio proposto da AgitaLab un think tank, è
emerso che uno su tre si aspetta proprio che la Commissione de-
cida di modificare tali regole. Però c’è anche un 30% che prevede
“chiusura di fabbriche e perdita di posti di lavoro”, mentre il 28%
si aspetta “interventi dei Governi con forti incentivi alla vendita di
auto elettriche”. Pochi, uno su 13, credono invece che “nei prossimi
anni la domanda di BEV crescerà molto”.
A parte gli incentivi, che i Governi non paiono intenzionati a
concedere, i due principali effetti potrebbero non essere alterna-
tivi. Pur se la Commissione decidesse di alleviare il peso di quelle
regole inutili e autolesioniste, le fabbriche chiuderebbero lo stesso.
Come abbiamo sempre ricordato, l’industria automobilistica è
una nave enorme, che non vira agilmente come un motoscafo.
Sarà meglio tardi che mai, ma il danno è comunque stato già fatto.
Articolo pubblicato su Forum Automotive il 23 dicembre 2024

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COSÌ IL SINDACATO VERDE HA SACRIFICATO
GLI OPERAI
D
avanti alla crisi dell’auto è partito il gioco “trova le colpe”.
Unica regola: non può essere il Green Deal. Grande spet-
tacolo della fantasia umana che spazia da “pochi e tardi-
vi investimenti nella elettrificazione” alla “scarsa competitività verso
l’industria cinese”, due menzogne insostenibili. Se c’è una cosa che
mette in crisi le industrie europee è aver investito troppo e, per
qualcuno, troppo presto; per altri, troppo e basta. La competitivi-
tà dei cinesi è cosa nota da anni e frutto di pianificazione statalista,
regole ridotte ai minimi e lavoro a basso costo: che si fa, imitiamo?
Il fatto è che quasi nessuno dei commentatori e dei reporter ha il
fegato di andare contro i promotori dell’utopia green, che sono i
figli in salsa verde degli utopisti rossi, entrambi poco amanti delle
auto e di chi le fabbrica e sorvoliamo che sarebbero i loro elettori.
Anche l’industria non ha brillato per coraggio e vediamo come.
La genesi delle crisi industriali tedesca e italiana è culturale prima
che economica e industriale. Sono sempre le idee che guidano
le decisioni degli uomini. Qui l’idea è che i problemi, invece di
affrontarli, si possano aggirare e nascondere sotto il tappeto finché
è possibile anche un po’ dopo. L’altra idea è che i redditi vadano
garantiti e la ricchezza distribuita, a prescindere se sia stata creata
o distrutta. L’Europa è una socialdemocrazia? Bene, questa idea è
la parte “social”.
Ora però caliamo la filosofia nella vita vera. L’industria automo-
bilistica dell’Europa occidentale soffre di una sovraccapacità pro-
duttiva da almeno due decenni, unita a un costo del lavoro molto
elevato. Finché si poteva, se la sono suonata e cantata in casa.
Giusto la Spagna nel secolo scorso si affermò come produttore di
automobili conveniente rispetto a Germania e Italia, ma nulla che
non si potesse sopportare. Poi con gli anni giapponesi e coreani

112UN GIRO IN MACCHINA 2024
cominciarono a premere, con prodotti di qualità a prezzi compe-
titivi.
Nel frattempo, e per ragioni del tutto diverse, l’Unione si allar-
gava a est, inglobando economie ex-comuniste con standard di
vita assai più frugali a cui non parve vero di ricevere insediamenti
produttivi della grande industria delle quattro ruote. Così, invece
di chiedersi se e quale fosse la soluzione alle debolezze delle fabbri-
che occidentali, si scelse di aumentare la capacità produttiva con
impianti nell’est, i cui costi inferiori tornavano utili per bilanciare
quelli fuori mercato dell’ovest. Per fare un paragone, a seguito
della crisi Lehman del 2008 gli Stati Uniti tagliarono la capacità
produttiva chiudendo alcune decine di impianti, cosa che l’Euro-
pa si guardò bene dal fare: da noi le fabbriche non si chiudono,
mai. Che può essere anche una politica giusta. A nessuno piace
essere sbattuto in mezzo a una strada senza reddito, come si vede
nei film americani. Bene, allora vediamo di aggiustare e risolvere
i problemi.
No, le cause non si devono rimuovere, tanto siamo ricchi abba-
stanza per sopportare diseconomie industriali. Davvero il grande
sindacato IG Metall, che siede nel Consiglio di Volkswagen dun-
que concorre a gestirla, vedeva il commercio globale avanzare in
uscita dalla Germania e pensava che sarebbe stato solo e sempre
così, a senso unico? Già dagli Stati Uniti arrivavano segnali di
insofferenza verso un Paese che gli vendeva tante macchine ma ne
comprava poche. Ma niente, le loro macchine andavano a ruba tra
gli affluenti cinesi, un esercito di nuovi e benestanti consumatori
che stava creando il più grande mercato del mondo. Allora, perché
dannarsi e discutere in casa quando dall’altra parte del globo si
facevano profitti con la pala? Sì, è vero che quelle fabbriche erano
in joint con i locali che si appropriavano della tecnologia, ma dove
stava il problema? Allora forse si poteva fingere di non vederlo,
oggi invece fa male: i cinesi stanno preferendo le auto domestiche
a quelle europee, i cui volumi sono in caduta libera.

113
Non arrivando più soldi dalla Cina, in Germania è arrivato il do-
lore: bisogna tagliare i costi del lavoro. Come, si può discutere.
E infatti hanno discusso e hanno trovato un accordo. Ma hanno
risolto il problema? Hanno rimosso le cause? Almeno, le hanno
individuate in modo esplicito? Macché. Il gioco delle idee conti-
nua alla grande: è il mercato che non c’è, non è colpa di nessuno.
Al massimo, abbiamo ritardato la corsa alla Thelma&Louise verso
l’elettrico, quel vuoto fatto dai clienti che non ci sono. In effetti,
sì, si poteva accelerare… peccato non averci pensato. Eppure, pro-
prio questo chiedeva a Volkswagen il sindacato tedesco tre anni fa,
di anticipare il progetto Trinity: auto elettriche e guida autonoma
per sfilare a Tesla la leadership delle auto elettriche.
Era quella la strada che indicava pure il Governo della Bassa Sas-
sonia, accortosi di come Volkswagen non riuscisse a far fronte alla
domanda crescente di auto elettriche. Un film che era una proie-
zione delle idee, di quella cultura che non accettava, e non accetta,
di misurarsi con la realtà. Perché, tra aiutare la competitività delle
proprie fabbriche e sostenere le politiche green, il sindacato ha
scelto la seconda? Perché tra rappresentare i lavoratori e rappre-
sentare una parte politica, ha scelto la seconda? È questo il cor-
tocircuito ideologico che ha mandato fuori binario la locomotiva
industriale d’Europa. In questa crisi il sindacato non è la soluzio-
ne, fa parte del problema. Per quell’idea fissa di avversione per il
mercato, che spesso può non piacere ma ha di bello che è sincero:
ti indica sempre ciò che non funziona. Poi diventa una tua scelta,
se aggiustare o tenerti lo squilibrio, che ci può anche stare in un
contratto sociale. Basta essere chiari e non prendersi in giro, come
sovente amano fare tutte le parti, anche da noi.
Il fatto è che non si può, le regole del gioco non lo consentono.
Le colpe vanno cercate sì, ma fino a livello dell’industria. Sopra, a
quel terzo livello che indicò pure Buscetta a Falcone, non si può
arrivare. Nei decenni scorsi i problemi di scarsa competitività in-
dustriale non sono stati affrontati ma nascosti sotto tappeti vari,
dalle fabbriche nell’est Europa fino al mercato cinese. Allo stesso

114UN GIRO IN MACCHINA 2024
modo il Green Deal, che ha cappottato l’industria europea non
solo automobilistica, non può essere denunciato, nemmeno da
quelle forze politiche che lo cancellerebbero in un secondo. Tut-
to per “servo encomio” culturale a quella socialdemocrazia che è
all’angolo quasi ovunque e non vuole sapere perché. Poi a febbraio
ci stupiremo del successo di AFD in Germania e ci chiederemo
come mai. Già, come mai? Chissà? Certamente non per colpa di
quelle idee scollegate dalla realtà. Quelle no. Quelle mai.
Articolo pubblicato su il Giornale il 24 dicembre 2024

MERCATO AUTO A VALORE 2024

116UN GIRO IN MACCHINA 2024
MERCATO AUTO A VALORE 2024
Mercato auto e fuoristrada – valori assoluti
Mercato valore e volume

117
Gruppi automobilistici e alimentazione

Prezzo medio netto

118UN GIRO IN MACCHINA 2024
Top 15 brand e model (ordinati per valore unitario €)

119
Top 15 brand e model (valore e volume)

MERCATO AUTO A VALORE 2024 - NOLEGGIO

122UN GIRO IN MACCHINA 2024
MERCATO AUTO A VALORE 2024 – NOLEGGIO
Mercato auto e fuoristrada – valori assoluti
Mercato noleggio

123
Nlt e Rac

Quota noleggio sul totale vendite in valore dei top
brand

124UN GIRO IN MACCHINA 2024
Top 15 brand e model (ordinati per valore unitario €)

125
Top 15 brand e model (valore e volume)

Pier Luigi del Viscovo
UN GIRO IN MACCHINA 2024
Tutti i diritti riservati.
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Maggio 2025

Un giro in macchina
2024
Pier Luigi del Viscovo
Articoli pubblicati su Il Sole 24 Ore,
e il Giornale e Forum Automotive
con una prefazione di Massimo Artusi
Pier Luigi del Viscovo
Sono professor e di Marketing e Sistemi di Distribuzione e
Vendita. Ho insegnato presso la LUISS di Roma e Alma Mater di
Bologna, nonché in altri pr estigiosi atenei.
Ho fondato e dirigo il Centro Studi Fleet&Mobility e l’Istituto
Sperimentale di Marketing. Ho creato e animo la community
La Società del Marketing e i format La Capitale Automobile
e Auto-conv ersazioni, tutti luoghi dedicati al confronto e al
dibattito speculativ o.
Sono stato il co-fondatore, insieme all’amico e maestro
Tommaso Tommasi, di InterAuto Fleet&Mobility e il direttore
scienco di Car Fleet. Pubblico regolarmente articoli
su IlSole24Ore, Il Giornale, InterAuto News e altre testate.
Sono stato consulente del CESE (Comitato Economi-
co e Sociale Europeo dell’UE) per la Direttiva sul Mercato
Unico R etail della Commissione E uropea.
In una precedente carriera (o vita?) sono stato manager
di Hertz Leasing (Ford Credit), Colgate-Palmolive,
Cirio-Bertolli-D e Rica ed Ellesse, con esperienz e in Italia e
all’estero, oltre che consulente per lo Studio Ambrosetti, a
capo della practice sales&mar keting.
Ho un master in marketing e commercio internazionale
(Istituto per il Commer cio Estero), conseguito dopo la laurea
in giurispr udenza alla Federico II di Napoli e la maturità clas-
sica presso i S alesiani.
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