Jam Saliare Numæ carmen qui laudat, et illud,
Quod mecum ignorat, solus vult scire videri:
Ingeniis non ille favet plauditque sepultis;
Nostra, sed impugnat, nos, nostraque lividus odit.
Quod si tam Graiis novitas invisa fuisset,
Quam nobis; quid nunc esset vetus? aut quid haberet
Quod legeret, tereretque viritim publicus usus?
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Del resto, come già notai, Plauto e Terenzio, chepur formavano la
delizia de’ romani teatri, avevano dedotto le loro commedie dal
greco; più liberamente Plauto, che le ama almeno adattate a foggia
nazionale; meno invece Terenzio, ch’ei medesimo proclama d’aver
fedelmente tradotto Menandro e se ne recaa vanto.
Ritemprata così la letteratura latina nella greca,si preparò quello che
si disse il secolo d’oro della latinità. Tito Livio, Crispo Sallustio, Giulio
Cesare, Tacito e Cornelio Nipote nella storia; Cicerone, Ortensio,
Crasso, Cornelio Rufo, Licinio Calvo edaltri molti nell’eloquenza, la
quale però coll’avvenir dell’impero perdette di sua libertà e di molta
parte di suo splendore; Catullo, Tibullo, Virgilio, Orazio, Properzio,
Ovidio, Cornelio Gallo nella poesia, chiamano ancora la nostra
ammirazione e formano tuttavia l’oggetto de’ nostri studi: essi poi
capitanavanouna schiera di molti altri ingegni minori.
Coll’eloquenza, di cui ho ricordato i campioni, purla giurisprudenza
offrì le egregie sue prove e i suoi valorosi cultori. Sesto Elio Peto
(184 anni av. G. C.)publicò l’Jus Civile Elianum e furono celebri
giureconsulti M. Porcio Catone, P. Mucio e Quinto Mucio Scevola,
che indagarono primi i veri principj del diritto ed applicarono alla
giurisprudenza la dottrina morale degli stoici. Quando poi il potere
supremo siaccolse nelle mani di un solo, i rescritti, i decreti, gli editti
e le costituzioni degli imperatori dischiusero nuova fonte alla scienza
del diritto, che si vide collegata alla filosofia. I più rinomati
giureconsulti del tempo di Cicerone furono L. Elio, Servio Sulpizio
Rufo e A. Ofilio; sotto Augusto C. Trebazio Testa, P. Alfeno Varo,
autore de’ Digestorum, Libri XL,che si conservarono nel Digesto. M.
Antistio Labeone e C. Ateio Capitone originarono due sette, che