La mentalità degli psichiatri non pare certo identificarsi con il giusto riconoscimento del valore e dell’importanza del lavoro come
unico mezzo per contribuire al benessere economico della comunità, ma sembra essere piuttosto quella nazista, che distingue le
persone in produttive e improduttive e identifica la persona “debole”( qualunque sia la ragione che causa quella debolezza) con un
oggetto da cestinare e naturalmente da sfruttare (si pensi all’entità del mercato degli psicofarmaci, agli stipendi degli psichiatri, alle
parcelle degli psicologi e dei medici disponibili a inchinarsi loro, al denaro a disposizione di fratelli e genitori degli internati, ma
anche al senso di enorme potere di chi si sente parte di un gruppo di eletti con il potere legale di trattare gli altri come bambole o di
torturarli e ucciderli senza conseguenze). È un fatto che gli psichiatri non producono niente né aiutano generalmente, con e senza il
camice, chi è in difficoltà( anche quando basterebbe fornire qualche informazione disponibile ai più o un minimo di sostegno nella
difesa legale da abusi e violenze) e non possono essere definiti nel complesso utili alla comunità( che è un insieme di individui e non
di privilegiati), come tutti possono constatare semplicemente osservando quasi tutti coloro che ne hanno subito il potere concesso
loro dalla legge( chi non conosce ormai qualcuno che sia stato in contatto con la categoria o abbia assunto per qualche periodo
ansiolitici, sonniferi o i sempre più criticati - e quindi più raccomandati…- antidepressivi?): ormai studiosi e non affermano sempre
più spesso che la violenza degli psichiatri e dei loro collaboratori genera violenza, le loro umiliazioni prostrano, la dipendenza, la
passività e l’isolamento uccidono, gli psicofarmaci – non solo l’immobilità fisica forzata - causano gravissimi danni psicologici,
sociali, economici e fisici…Una persona rispettata nella sua dignità umana e sostenuta nello sforzo di comprendersi e di comunicare,
attraverso il porsi di fronte a lei con un atteggiamento onesto e rispettoso della sua libertà, è invece sicuramente condotta con molte
probabilità a superare nel tempo i propri limiti e anche a diventare più utile almeno ad alcune delle persone che incontrerà, oltre che
naturalmente più facilmente produttiva a livello economico, almeno se viene contemporaneamente realmente ascoltata e aiutata a
trovare quelle informazioni e quello spazio, la cui mancanza può bloccare davvero chiunque (a volte basta davvero così poco per
permettere a qualcuno di modificare radicalmente la propria vita e ci sono tante esperienze che lo dimostrano, tanto che l’unico vero
modo per sapere se è così nel caso specifico incontrato è provare, cioè dare quello spazio, per quanto si può, e soprattutto quelle
informazioni- anche quelle che sembrano ovvie-, pur avendo cura di farlo con precisione, insistenza e rispetto particolari e chiarendo
possibilmente alternative per riuscire a farsi udire e fare breccia attraverso i muri e il caos che un dolore profondo e lungo sempre
portano con sé fin tanto che la persona non riesca a cambiare la prospettiva con cui lo vive: certamente non si cambia da un giorno
all’altro, certamente ci saranno periodi di crisi, errori e anche perdite economiche all’inizio, ma in pochissimi anni si può senz’altro
arrivare così, naturalmente, a sentirsi stabili e realizzati e ad apparire quasi irriconoscibili). Inoltre la legalità, o la prassi illegale ma
comune, degli abusi della privacy, delle violenze psicologiche e della diffamazione che sfruttano le conoscenze derivanti da tali abusi
una volta manipolate, le coercizioni, la negazione di diagnosi obiettive e cure mediche e le altre violenze fisiche attuate o sostenute
dalla maggioranza degli psichiatri creano e alimentano una mentalità deleteria per l’ordine sociale, un cinismo che è alla base di ogni
guerra e decadenza e che può comportarsi come un cancro anche per chi lo abbraccia senza problemi.
Del resto non mancano certo gli scrittori che aiutano a vedere chiaro dietro alla bandiera della psichiatria, quando essa si
autodefinisce di utilità collettiva: da Cicerone a Quintiliano, da Dostoevskij a Levi, da Simone Weill a Simone de Beauvoir, da
Lessing a Koestler o Arendt, da Virginia Woolf al giornalista e scrittore svedese morto di recente Larsson si ribadisce di continuo il
concetto di dignità umana, della differenza tra ciò che è utile e ciò che è onesto, l’orrore che ispira la mentalità primitiva di psichiatri
e collaboratori, il legame tra la loro falsa morale dell’”utile" e le dittature sanguinarie, e come questo sofisma sia un orribile modo di
colmare il vuoto lasciato dalla coscienza, per la quale un individuo vale in sé, indipendentemente dal livello culturale o economico e
da se lavora o meno, e ha diritto ai propri valori e a opinioni personali, finchè rispetta la libertà essenziale degli altri (è chiaro che
voler impedire, magari anche con ogni mezzo, agli psichiatri di continuare a torturare e uccidere non significa affatto voler violare la
libertà fondamentale altrui, ma il contrario). Anche nei libri in cui si descrivono le torture praticate dai colonizzatori sugli indigeni
potete leggerne di molto simili a quelle praticate oggi e da sempre dagli psichiatri (rimando ad esempio a I mari del Sud di
Stevenson). In L’uomo in rivolta Camus delinea il percorso culturale che ha condotto la civiltà contemporanea alla proliferazione di
élites di persone-funzioni totalmente al di sopra della morale che regnano su una massa di schiavi-oggetto: chi conosce la psichiatria
riconosce senza esagerare anche questa casta in élite di questo tipo e potrebbe fare un serio confronto, raccogliendo dati e
testimonianze, tra le tecniche di violenza della polizia segreta di stato dei regimi totalitari con quelle attuali degli psichiatri, che
infatti trovano una rappresentazione abbastanza fedele in 1984 di Orwell, che a quei regimi faceva riferimento (per esempio oggi
chiunque, con minima spesa, può procurarsi microdispositivi di videosorveglianza e può contare sulla collaborazione di una massa
sempre meno istruita dalle scuole e più cinica per posizionare, su richiesta di psichiatri, camere abusive in ogni luogo privato e/o per
divulgarne il contenuto manipolato, oltre che per sfruttare le piccole debolezze che esse inevitabilmente documentano per tentare
violenze psicologiche, da aggiungere a quelle fisiche ottenibili con l’ostracismo negli ospedali e negli ambienti lavorativi secondo
l’antichissima e crudele pratica del “boicottaggio” – per comprendere la vera natura della quale, con riferimento all’Italia, si può
leggere il capitolo sesto di Il fascismo di Silone, che permette di farsi anche un ‘idea più precisa di cosa si intende quando si definisce
primitiva la mentalità diffusa negli ambienti dove si collabora attivamente con psichiatri). L’abbastanza recente libro 3096 giorni è il
primo che mi viene in mente quando penso agli psichiatri come a dei criminali e nient’altro: una donna vi descrive la vita condotta
realmente per anni con un sadico in seguito a rapimento e sequestro ed è impossibile non pensare ai manicomi quando scrive di
essere stata filmata costantemente ovunque, spesso legata, sempre disprezzata, isolata, privata di letture, visioni, dialogo ed
esperienze indispensabili come della speranza. Erich Fromm, Jung, Larsson e anche Musil e Leopardi sono i primi autori che mi
vengono in mente quando voglio definire gli psichiatri (o meglio quelli di loro che acconsentono a marchiare e torturare fisicamente e
psicologicamente) dei “narcisisti sadici” e quindi dei malati di mente. Ciò faccio con tutta la pacatezza e lucidità di cui sono capace,
lasciando da parte per quanto mi è possibile il mio profondo e innegabile rancore personale, perché so che non si tratta solo di saper
vedere nella incapacità di molti psicologi e psichiatri di dubitare di sé il sintomo di quella malattia che, per Jung, costituisce il
prodromo del “Delirio di potere/onnipotenza”, ma anche di comprendere a fondo che il sadismo è, in quanto bisogno di controllo
assoluto sugli altri, un modo di essere molto profondamente radicato nell’uomo e altamente e irrimediabilmente condizionante tutti
gli aspetti della vita in coloro (moltissimi) nei quali esso emerge, che insomma non si tratta di un vizio o di un moto dell’animo
passeggero come la collera o razionale come l’odio: l’internamento e le “Camere senza stimoli” sono, come afferma Larsson,
effettivamente l’equivalente di seppellire vive le persone, ma assomigliano anche al gesto di chi afferra un oggetto e lo mette in un
cassetto e Fromm spiega bene come l’impossibilità per ogni essere umano di avere il minimo controllo reale sulla propria vita, unita
alla consapevolezza di ciò, provoca in molti individui purtroppo il bisogno e il desiderio di controllare tutto e quindi - soprattutto o
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