analisi del testo personali..........pdf

nadinebenedetti1981 17 views 118 slides Dec 24, 2024
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About This Presentation

Quanto al GENERE FANTASY, in generale trovo molto utile confrontare i testi fantasy con Simboli della trasformazione di Jung
(per esempio il capitolo La doppia madre con Stardust e i capitoli Simboli della madre e della rinascita, La doppia madre e
Sacrificio con La storia infinita e con Il cannocch...


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Corretto e completato il giorno 2 dicembre 2024
ANALISI DEL TESTO PERSONALI
IL TRONO DI SPADE (Martin)
FONTI MITOLOGICHE E LIBRI CHE CONSENTONO DI COMPRENDERE I MOTIVI TIPICI DELLA FANTASY DAL
PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO C ON RIFERIMENTI ALL’ALCHIMIA ANTICA E MEDIEVALE UTILIZZATA
NELL’INTERPRETAZIONE DI ALCUNI SOGNI (I SOGNI RICCHI DI SIMBOLI CODIFICATI IN TEMPI LONTANI E
ACCOMPAGNANTI ANCORA OGGI LE FASI DI ALCUNE EVOLUZIONI PERSONALI PROFONDE IN INDIVIDUI DEI PIÙ
DIVERSI LIVELLI CULTURALI E PROVENIENZE). Per ciò che concerne i testi utili alla piena comprensione della fantasy dal
punto di vista psicologico, tenete presenti http://www.slideshare.com/simboli e i seguenti capitoli e libri: Simboli della
trasformazione, i capitoli sui simboli sulla mitologia di Archetipi e inconscio collettivo, Psicologia e alchimia, La psicologia della
traslazione illustrata con l'ausilio di una serie di immagini alchemiche in Pratica della psicoterapia, L'uomo e i suoi simboli, La
conoscenza di sé in Mysterium Coniunctionis (C. G. Jung). Ritengo molto utile anche la lettura del capitolo La personalità mana in
Due testi di psicologia analitica. Può essere meno utile quando si tratta dell’opera di Martin leggere Il drago come realtà (S. De
Mari), Albero e foglia (Tolkien), Il linguaggio dimenticato (E. Fromm), i capitoli su Mercurio ed Efesto di Lezioni americane di
Calvino,e il capitolo La magia della lettura in Imparare a leggere (B. Bettelheim e K. Zelan). Segnalo Donne che corrono coi lupi
(C. Pinkola Estes), per i rimandi a miti e fiabe. Non ho letto, ma segnalo Il mondo incantato. Uso, importanza e significati
psicanalitici delle fiabe (B. Bettelheim). E ricordate che bisogna considerare che i simboli qui considerati sono gli stessi codificati
nei miti (pensate alla mitologia antica greca, romana, norrena, orientale ecc. e pensate all'opera di Wagner o al Faust di Goethe), nelle
fiabe del passato (pensate a quelle di Andersen, Perrault e dei Grimm), in libri per bambini molto noti (Pinocchio di Collodi, per
esempio), in certi romanzi di formazione (come Lord Jim di Conrad) e soprattutto, appunto, nella letteratura fantasy di Tolkien, Ende,
Rowling, Pullman, Paolini, Gaiman, Troisi e appunto Martin.
Le mie fonti per ciò che qui riporto sulla mitologia norrena (soprattutto norvegese e vichinga) sono state diverse e i contenuti sono
facilmente rintracciabili. Leggete Nei mari del Sud di R. L. Stevenson.
Considerate della mitologia norrena ciò che segue: i lunghi e tetri inverni precedono di 3 anni la fine del mondo nella mitologia del
nord e sono quelli della Norvegia (per quanto Jung afferma che il nord è da sempre ritenuto il luogo degli spiriti o di ciò che è oscuro
o misterioso e molti scrittori situano a nord i regni dominati da magia e soprannaturale) e dei miti raccolti nell’Edda di Sturluson, cui
rimanda il titolo stesso, dato che nell’Edda la vita sorge dal contrasto tra fuoco e gelo; i dèmoni al di là del muro sono i Jötunn e
“l’uomo di ghiaccio” è presente nei miti islandesi; le mura di difesa dai dèmoni sono il recinto di Vitgard (per il recinto, rimando
anche all’Edda); il potere distruttore del fuoco sui “non-morti” e quello delle armi in vetro di drago sugli “estranei” è quello dei
lampi che Thor scaglia sui Jötunn e sembra essere connesso al potere dei draghi e dei Targaryen.
Forse la vicinanza al Polo degli Stark e quindi di Jon (uno Stark, che forse è per metà di Targaryen) fa riferimento al fatto che il Polo
nei testi dell’alchimia è un simbolo del Sé (inteso come centro della psiche intera e anche come essa stessa) attorno a cui gira tutto
(sono infatti i destini individuali a creare la vita) e vi ha sede il “cuore di Mercurio, che è il vero fuoco”, citazione di un testo
alchemico che ricorda l’espressione “la falsa luce” usata da Aemon, che diffida del dio rosso richiedente sacrifici umani e della luce
della spada fredda del re Stannis (la falsa luce di un intelletto rigido e usurpatore è rappresentata in questo re dal carattere e dai
principi troppo rigidi e convinto di poter regnare e mentire sul numinoso, dimentico che la sua casata ha usurpato il trono legittimo
dei Targaryen). A proposito della luce falsa e fredda si deve ricordare anche che in genere nella fantasy è definito così il potere per il
potere e che qui questo concetto è ribadito attraverso molti particolari, compresa la canzone del guitto sulle mani fredde dell’oro.
La forgiatura difficile, lunga e magica della spada di Azor Ahar riprende un motivo mitologico tipico, che sta a indicare la grande
difficoltà, la lentezza, la necessità di sacrificare molta energia e domare desideri profondi e la parziale irrazionalità misteriosa di ogni
vero processo creativo di maturazione e mi ricorda in particolare le pagine dedicate alla riparazione del coltello di Will in Queste
materie oscure di Pullman, quelle in cui viene descritto come Brisingr viene forgiata in Il ciclo dell'eredità di Paolini e in cui la spada
di Bastiano rifiuta di essere estratta in La storia infinita di Ende come quella di John Snow e i paragrafi di Simboli della
trasformazione dedicati al ruolo paterno del fabbro e dell’artigiano in molti miti e fiabe: questo capitolo vuole probabilmente
significare che abbandonare definitivamente l’infanzia e acquisire il potere è un lavoro lungo e faticoso, un lavoro che, per avere
buon esito, deve assorbire tutta l’attenzione e le principali energie e non solo una parte di esse, come invece accade in chi è pavido e
rigido per via di blocchi emotivi, transfert, di una nevrosi ancora troppo difficile da superare o di conoscenze troppo limitate (si tratta
di sviluppare e stabilizzare la propria personalità per impedirle di cedere alle naturali tendenze alla fuga dalle responsabilità, ai
desideri caotici, all’inerzia e a una troppo duratura introversione). Anche la trasformazione della spada dell'assassinato re del Nord
Ghiaccio in altre spade striate di rosso probabilmente rappresenta il ricomporsi della vita dai frantumi e il cambiamento di direzione
dell'energia psichica ed è connessa al fatto che la personificazione del buonsenso tipica è un fabbro o un artigiano e in tal caso
richiama anche la riforgiatura della spada del re Aragorn e forse la sostituzione della spada (cfr. con Il signore degli anelli di Tolkien)
e quella di Ido (cfr. con Le cronache del mondo emerso di Troisi), oltre al fatto che nella fantasy spesso il padre dell'eroe è un
fabbricante d'armi o un artigiano (es. nella citata saga della Troisi): in Simboli della trasformazione, Jung sottolinea l'episodio
dell'opera di Wagner in cui la spada di Siegmund viene conservata rotta per Sigfrido e infine ricomposta e, dopo aver ricordato che lo
smembramento dell'eroe avviene in alcuni miti (ad esempio in quello di Dioniso), segnala che nel Rgveda il creatore del mondo è un
fabbro, che Efesto è un dio artigiano come il padre di Adone e come Giuseppe (cfr. con miti antichi greco-latini e con la Bibbia) e che
nelle fiabe il padre dell'eroe spesso è uno spaccalegna; secondo Jung a questo motivo dello scettro rotto e della spada riforgiata si può
collegare anche il miracolo di Medea (cfr. con il relativo mito greco) e il modo in cui il mondo è tenuto insieme da cavicchi nel
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Timeo di Platone. Anche la spada magica è un motivo ricorrente nella letteratura fantasy e cavalleresca, oltre che epica (bisogna
ricordare Excalibur di Re Artù e l'Edda): in particolare la spada fiammeggiante compare anche nell’Edda e nella saga di Paolini,
mentre la spada di Frodo si illumina e quella di Aragorn si chiama "fiamma dell'occidente" in Il signore degli anelli di Tolkien e tutto
ciò probabilmente perchè la potenza della libido (quindi dell’energia inconscia in genere e non solo sessuale) è rappresentata
ovviamente dalla spada infuocata (il fuoco consente la vita e la forma della spada è fallica) come anche dai simboli correlati dei
draghi, delle bevande inebrianti, di una serie di simboli materni e cioè di nascita e rinascita (nella saga di Paolini la caverna con i
cuori e le uova di drago e l'albero di Menoa) e della danza elfica (nella saga di Paolini battere il suolo col piede ha chiaro significato
sessuale e cioè di rigenerazione psichica, come potete leggere per esempio negli scritti di Jung, il quale ricorda che era con un
altrettanto ritmico sfregamento o con la percussione che si accendeva il fuoco anticamente). Anche nell'Apocalisse dalla bocca di
Cristo esce una spada... La spada è insomma forza solare, fuoco che genera, verbo/logos, energia. La spada infuocata esaltata
dall’adoratrice del Dio della luce, come quella di Azor Ahar, è in relazione con la spada fiammeggiante del custode di Muspell
(l’antimondo ardente delle origini) nell’Edda, cioè con colui che nel mito nordico torna alla fine del tempo per distruggere (bruciare)
il mondo con un lupo e un serpente mentre sarà suonato il corno (altro elemento ripreso in parte da Martin).
Il nome della moglie uccisa da Azor Ahar per ottenere la spada magica mi ricorda la fiaba orientale Vassilissa sull’anima femminile
che ritrova e affina l’intuito, rappresentato come un fuoco in un teschio che guida e brucia i nemici (rimando a Donne che corrono
coi lupi di Clarissa Pinkola Estes).
Lo sposarsi tra fratelli e la sessualità mutevole o ambigua dei draghi sono rimandi ai simboli alchemici dell’ouroboros (il drago che si
morde la coda), della coppia regale, della congiunzione sole-luna e dell’ermafroditismo di Mercurio, Luna, Anthropos e anima (tonda
e unificante il corpo femminile allo spirito maschile, l’anima è rappresentata anche come acqua che ha in sé una parte maschile e una
femminile): l’inconscio è infatti creatore per sua natura di sogni, idee risolutive, spirituali o artistiche, da qui l’idea di creazione
“spontanea” espressa con le immagini dell’autosufficienza, cui è connessa anche l’idea della madre vergine, presente in religioni e
miti (concezione soprannaturale significa proprio che un contenuto inconscio si è incarnato in modo percettibile alla coscienza senza
l’intervento di quest’ultimo). La scena della caverna che coinvolge il controllato e civile Jon e la “selvaggia” Ygritte dei Bruti
suggerisce probabilmente anch’essa, come la coppia regale fratello-sorella, la congiunzione degli opposti nel vaso alchemico quale
simbolo di totalità (la buia caverna in alchimia ha spesso tale significato come la compresenza di acqua – la pozza – e fuoco – la
lanterna): non è solo il mezzo per Jon di avvicinarsi al suo istinto e alle radici barbare di sé, ma un raggiunto equilibrio laboratorio tra
tratti opposti del carattere. Nella vita l’unione degli opposti è ottenuta attraverso ascolto di sé, analisi dei sogni, riflessione distaccata,
idee e concezioni capaci di soddisfare il simbolismo dell’inconscio collettivo (l’”aqua doctrinae” dell’alchimia) e soprattutto
attraverso il riconoscimento delle proiezioni inconsce (quelle degli altri su di sé, quelle del proprio lato oscuro sugli altri, quelle della
parte inconscia profonda della propria personalità su esponenti del sesso opposto e ciò che si fantastica su se stessi) ed è quindi un
equilibrio parziale ottenuto per gradi nel corso dell’esistenza e perseguito perché lo stato di conflitto interiore è troppo contrario alla
vita: i simboli “unificatori” sono creati dall’inconscio proprio come compensazione dell’opposizione all’Io cosciente dei lati negativi
o considerati inaccettabili di sé, oltre che probabilmente per indicarci l’esistenza di un centro della personalità diverso dall’Io e
comprendente e accentrante la porzione conscia e quella inconscia e in parte barbara e inconoscibile, anche al fine di infondere in noi
una salutare incertezza. Tra i simboli unificatori onirici molti assomigliavano a mandala animati, quando non sono rappresentati da
serie o gruppi di quattro (rimando a http://www.slideshare.com/analisi-dei-sogni-con-mitologia-e-alchimia). I simboli dell’Uno e
della totalità sono però sfruttati anche dall’aspirazione religiosa e qui sono abusati dalla sacerdotessa del crudele R’hllor, la quale li
utilizza con procedimento contrario a quello descritto nell’alchimia e cioè se ne serve per delirare sulla fede cieca nella natura
unilaterale di un dio in realtà ignota e per dividere il mondo e gli individui con le categoria altrettanto ciecamente unilaterali
dell’assolutamente buono o cattivo, dell’infedele, ecc. Forse l’insistere sull’illegalità e immoralità dell’incesto tra Cersei e Jaime è un
modo per affermare che l’incesto affascina anche per l’idea che trasmette di sposare un altro se stesso (quindi di unire l’io cosciente
al Sé) e può avvisare dell’esistenza nell’inconscio di leggi che è molto pericoloso ignorare: nelle raffigurazioni dell’alchimia la
coppia è sempre regale, mentre Cersei e Jaime sono solo i figli del cavaliere di un re usurpatore del regno legittimo dei Targaryen.
Ricordo vagamente che l’unione tra fratello e sorella appartiene, nel mito o forse nell’alchimia stessa, al regno dell’umano e non del
soprannaturale. L’unione della coppia regale in alchimia sono le nozze sole-luna, espressione simile all’appellativo con cui Daenerys
viene istruita a chiamare il marito da cui non ha figli e che uccide quando ridotto a vita solo biologica (non molto meno inferiore a
quella precedente nel suo caso), serie di immagini per indicare che gli non è il compagno adatto per per la donna destinata a salvare il
mondo dai demoni Estranei.
Forse non è un caso che a sposarsi tra fratelli siano solo i Targaryen; anche nell'opera di Wagner Sigfrido nasce dalla sposa/sorella e,
secondo Jung, questo ne fa un Hor, un sole rinato, e infatti, se non sbaglio, Osiride sposò le sorelle e il mito egizio solare è per sua
natura in relazione con qualunque mito sui draghi, per il cui significato rimando a quanto segue e che ho dedotto considerando
soprattutto altri libri fantasy dove il drago è associato a Thor, il dio norvegese che strepita in cielo scagliando lampi e che incarna la
potenza della natura e quella dell’inconscio, il loro potere di creare e distruggere: Nihal, cavaliere di drago in Le cronache del mondo
emerso, ha un legame con un dio simile alla divinità nordica, essendo questo personaggio per metà probabilmente Sagittario (segno
legato al pianeta Giove, il dio romano che pure scagliava saette) e venendo nel terzo libro attratta dalla statua di un dio rappresentato
con saette in mano, e la dragonessa Saphira di Paolini vola, ruggisce e sputa fuoco come questo dio e lo richiama anche
nell’abitudine di bere molti barili di idromele, una bevanda che trasmette coraggio e vitalità e a volte inebria fino alla follia proprio
come la magia e il liquore elfici e anche come certe risorse e ispirazioni messe realmente a disposizione dall’inconscio in alcuni
frangenti della vita. In Il drago come realtà De Mari riporta che tra le possibili interpretazioni del drago c’è quella del male, della
guerra, delle armi, ecc., ma anche quella dell’autorità paterna, che è combattuta dall’adolescente, perciò il fatto che nella letteratura
fantasy recente l’eroe a volte adotti un drago e combatta con esso fa pensare a un recente superamento della mentalità del Sessantotto
(l’adolescente rifiuta l’autorità paterna e supera il padre ma non lo disprezza più a priori). Per altri significati da attribuire ai draghi
rimando a Simboli della trasformazione di Jung. I draghi sono tre e viene ripetuto “Il drago ha tre teste”, perché la trinità è divina e
indica l’Uno, la totalità, nell’alchimia, oltre che in diverse religioni, ma anche perché nei testi di alchimia il drago mercuriale è
raffigurato come tricefalo (drago e serpente sono tra i più tipici simboli di Mercurio); anche il diavolo si trova rappresentato a volte
con tre teste, il che può suggerire un intenzionale accenno di Martin al conflitto tra triade superiore e triade inferiore delle funzioni
psichiche, spiegato da Jung come base del dinamismo psichico (quella inferiore è costituita dalle radici inconsce di quella superiore;
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la quarta mancante è quella dominante e del tutto cosciente). In Il signore degli anelli di Tolkien o almeno negli antefatti del libro
narrati nel Silmarillion è il dio del male a presiedere alla formazione e alla vita del ghiaccio e del fuoco.
Il nome della regina dei draghi forse vuole ricordare Deianira, la donna rapita da un centauro della mitologia dell’antichità. L'andare
errando della regina Daenerys vuole richiamare quello del sole ed è quello del re ramingo Aragorn (l'eroe di Tolkien con la stella in
fronte e la spada sfolgorante che ne illuminano l'aspetto fosco) e di altri eroi fantasy e mitici (Gilgamesh, Dioniso, Eracle, Mithra,
ecc.): secondo Jung, gli eroi viandanti esprimono il desiderio dell'anima e della madre perduta (la pace dell'infanzia, le sorgenti
dell'essere, l'inconscio o il perduto legame con esso) e quindi rappresentano semplicemente l'esigenza dell'inconscio di essere preso
in considerazione, il che è indispensabile per una maturazione equilibrata che porti a divenire completi. Forse il viaggio verso oriente
di Daenerys ha a che fare con il fatto che, secondo una leggenda, il Graal (ennesimo simbolo del Sé) era destinato ad andare in
Oriente oppure è una rappresentazione del rapporto speculare tra mondo cosciente e inconscio, per cui appare sensato che per andare
in una direzione si prenda quella opposta; inoltre in tal modo quando Danaerys tornerà in occidente lo farà provenendo da est e
ricordando così il quotidiano cammino del sole (l’inconscio non tiene conto delle scoperte scientifiche sul movimento della Terra
quando si serve dei simboli), del quale lei è simbolo (i demoni di ghiaccio desiderano la notte eterna ed è stata prevista la decisiva
“battaglia per l’alba”). Il mito solare dell’antico Egitto e di altri miti analoghi rispecchiano l’esigenza di superare una naturale
tendenza alla pace (il nemico del sole è la notte intesa come desiderio profondo di riposo, silenzio, appagamento immobile) e l’eroe
solare doveva vincere la sua tendenza all’inerzia o all’irresponsabilità che diventa rischiosa nelle naturali fasi di immersione in se
stessi; rappresentando personificato il sole nelle sue fasi quotidiane e stagionali di declino, rinascita e ascesa e attraverso l’uso
accurato di altri simboli i miti volevano distogliere l’individuo dall’assecondare la tendenza a non lasciare la protezione e la libertà
dell’infanzia, si voleva spingerlo cioè a convogliare l’energia psichica nella direzione di uno scopo accettabile considerando le
esigenze dell’Io e della società quanto quelle di istinti, emozioni e forze creative. La fede nella possibilità e nel valore della rinascita
poteva scongiurare il rischio di essere gettati in balia di istinti opposti, di affetti e degli eventi, che è una delle conseguenze delle
introversioni senza misura: Daenerys è il sole e l’eroe solare e non lo è invece il fratello impazzito ucciso da Drogo, perché il fratello
resta sordo a tutti gli ammonimenti di chi lo avvisa di come gli altri ora giudichino i Targaryen spodestati e non sa insomma
rinunciare ai modi dell’infanzia vissuta quando sul trono c’era la sua famiglia, mentre Daenerys sa accettare le esigenze della realtà
presente mutata pur senza dimenticare chi è per nascita o abbandonare i suoi sogni e così lascia i desideri e le illusioni infantili
sempre più dietro di sé; Daenerys è capace di adattamento anche grazie al calore che per lei sprigionano le uova di drago, quindi
perché è donna oltre che partecipe della natura del fuoco (le uova sono noti simboli del Sè, dell’anima, della madre e dell’inconscio
creatore, come luce e fuoco lo sono di altrettanto e anche dell’energia psichica e di ciò che di vivificante, forte e vero promana
dall’inconscio quando integrato nella coscienza). Quando il drago nero allontana Daenerys dal matrimonio deleterio con l'Arpia, la
allontana dalla falsa sicurezza e dalla confusione fatta su di sé e sul suo regnare: Jung osserva che il drago, come il cavallo nero (cfr.
con l'opera di Tolkien) o il pesce mostruoso (cfr. con Pinocchio di Collodi e con miti e fiabe), personifica in genere la resistenza alla
tendenza a rimanere bloccati dal proprio bisogno di protezione, a sua volta tipicamente simboleggiato dalla fantasia dell'incesto
(immagine del voler ritornare bambini che si manifesta col desiderio di sposare la propria madre). Dopo il primo volo sul drago si
salva dalla schiavitù dei Dothraki uccidendone un cavallo: il sacrificio del cavallo nei miti denota che l’eroe ha sacrificato il
desiderio di potenza e possesso (“volevo essere regina”) e l’energia animale di cui dispone e investita in altri compiti e attività fino a
quel momento, in altri termini che è diminuito l’attaccamento all’Io a favore del legame sano con l’inconscio e di una fase controllata
di introversione. Se il drago in precedenza aveva approfittato della libertà concessagli per uccidere una ragazza, donde la sua
reclusione nel sottosuolo (lontano dalla coscienza insieme alle due forze creative inconsce sorelle), una volta liberatosi (l’inconscio
diviene autonomo, prende l’iniziativa come reazione alla sua eccessiva repressione), si ciba di una delle vittime dell’Arpia a capo
della città, una donna ferita da un cinghiale, rischiando così di morire crivellato di frecce (rischio di perdita della creatività e distacco
doloroso dall’infanzia a causa delle ferite provocate da errati non appagati desideri, illusioni, sospetti di tradimento, dato che nel mito
e nelle fantasie è questo in genere il significato dei colpi di freccia), tanto che solo Daenerys lo salva salvando però così anche se
stessa dai precedenti rapporti e dal veleno (liberazione da ciò che alimenta dubbi e delusioni); non a caso di si tratta di un cinghiale,
perché esso è simbolo di istinti sfrenati (è come per la morte di Robert Baratheon), come le arpie della mitologia lo sono di crudeltà e
anche il motivo mitico della vergine data in pasto al drago è atto crudele e simbolo del sacrificio della concupiscenza (il segno
distintivo delle città degli schiavisti è proprio un miscuglio di crudeltà e lussuria senza limite): il compito affidato dall’inconscio
all’Io è di concentrarsi al contempo sul mondo esterno e sul bisogno di nutrire, ascoltare e assecondare la parte inconscia di sé per
quanto possibile, ma viene ignorato a causa del volgersi dell’Io alla repressione e alla regolamentazione con mezzi solo propri, quindi
troppo limitati, dell’eccessiva istintualità; attribuire all’Io compiti e poteri eccessivi crea una situazione che, se protratta, può portare
ad una scissione della personalità di tipo nevrotico o schizofrenico e in ogni caso a frequenti comportamenti non guidati dalla volontà
(alla coazione) e quindi alla perdita di potere, tuttavia per una persona forte i segnali di questa esplosiva situazione interiore possono
anche essere l’occasione di rendersi conto in tempo del rischio che corre e dei propri errori e per riattivarsi subito al fine di ristabilire
l’equilibrio interiore servendosi di nuovi energie e punti di vista (a generare energia e vita è lo scontro tra l’istinto, le esigenze
dell’Io, la coscienza naturale e anche la morale convenzionale, come vale anche per altre energie nel mondo materiale).
Daenerys perde tutti i capelli nel rogo in cui nascono i draghi dopo la morte del primo marito e quando il drago nero la attacca dopo il
secondo matrimonio: in alcuni miti l’eroe perde i capelli a causa del calore infernale e da incubazione e “rinasce” simile a lattante nel
capo quando è ingoiato da un drago, una balena, ecc., perché quando la coscienza agisce esasperando i contrari e discende
pericolosamente nell’inconscio può esserne assorbita, così il corpo prende il sopravvento a causa della tensione tra opposti.
A liberare Daenerys dal matrimonio con un uomo a capo di stupratori, razziatori e schiavisti è invece la maegi proprio quando
Daenerys viene a contatto con il lato inaccettabile della barbarie dei Dothraki, come se la maegi fosse un suo strumento. La maegi è
stata troppo crudele, ma le sue rivendicazioni suonano giuste, segno che lei è una voce inconscia di Daenerys: la maegi è una strega,
perché ciò che proviene dall’inconscio ha spesso carattere numinoso o strano per la coscienza; è spietata, perché tutti i dinamismi
inconsci lo sono e perché rappresenta l’azione punitiva dell’inconscio al non perseguire compiti assegnati dal destino, e viene
bruciata in sacrificio per la nascita dei draghi perché nei miti è chiamata madre terrificante e assimilata al drago contro cui l’eroe
combatte (qui il drago dell’inconscio diventa benigno grazie al risveglio della coscienza e del ruolo attivo e non più sottomesso di
Danaerys) e perché riconosciuta come demone a causa dell’atteggiamento unilaterale che non tiene conto del sentimento (Jung
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sottolinea che in Le tentazioni di Sant’Antonio di Flaubert i demoni argomentano con acume e dicono alcune verità o si presentano
come santi).
Come potete leggere in Psicologia e alchimia di Jung, il fiore azzurro sulla parete di ghiaccio nella visione di Daenerys nel palazzo
degli eterni indica il “fiore d’oro” dell’alchimia cinese e la “rosa” dell’alchimia occidentale nella versione che ne diede il
Romanticismo ottocentesco e rappresenta un luogo dove trovare amici affini per chi ha tanto vagato per vie non sicure e senza la sua
gente (chi si è distaccato dalla mentalità diffusa e dalla tradizione per assecondare o trovare la propria personale verità). Il passaggio
da una stanza all’altra attraverso porte di diverso aspetto nel palazzo degli Eterni può in parte ricordare il passaggio dell’anima
individuale nel corso dell’esistenza attraverso i pianeti della carta natale astrologica, ma solo così come la descrisse Origene
(rimando a La conoscenza di sé in Mysterium coniunctionis di Jung) in cui il pellegrino mistico attraversava la stanza di Saturno
attraverso una porta di piombo e così via: il viaggio di Origene aveva come scopo la conoscenza, l’accettazione e l’armonizzazione
dei tratti negativi e positivi del carattere avuto in sorte – magari mediante la vittoria su un “complesso” psicologico coattivo – mentre
il viaggio di Danaerys è nell’inconscio collettivo e le dà una conoscenza sovrapersonale, ma esso comunque fa parte del suo
vagabondare e dei suoi piani generali, che sono simbolo del divenire del Sé come la ricerca descritta da Origene. Il palazzo degli
Eterni è pericoloso e richiede istruzioni rischiose perché il dono che fa della veggenza non è spontaneo come lo sono ad esempio
quello che l’albero del cuore fa a Jaime e i sogni-visione dei draghi di Aemon, la cui cecità è da sempre nei miti accostata a veggenza
(gli occhi dell’Io spenti e quelli della mente aperti sono simbolo chiaro della profondità di alcune intuizioni concesse dall’inconscio).
Intuizioni profetiche ne ha anche il giullare di Stannis, perché il mare rappresenta l’inconscio collettivo in quanto il suo contenuto è
misterioso e profondo e i suoi moti comunicano un senso di eternità e atemporalità e tuttavia non del tutto prevedibili. Il palazzo
degli Eterni composto di tante stanze, la direzione nel percorrerlo e ciò che vi si vede sono tipicamente onirici e in Psicologia e
alchimia e altri testi sull’interpretazione dei sogni troverete indicato quanto segue al riguardo: nei sogni le stanze nella forma e nella
disposizione stesse indicano l’organizzazione della personalità oppure lo stato più o meno cosciente e meno sviluppato delle funzioni
psichiche (intuito, sentimento, pensiero, sensazione) del sognatore o l’equilibrio o squilibrio dei mandala spontanei (cerchi, quadrati e
altre figure geometriche protettive) quali rappresentazioni del rapporto tra la coscienza del sognatore e l’inconscio; la parte di
inconscio collettivo di ogni individuo e l’inconscio personale possono avere a volte visioni subliminali di ciò che la coscienza non
può o non può ancora conoscere; la direzione del movimento verso destra nei sogni indica che un contenuto inconscio cerca di
divenire cosciente e non trova troppa resistenza da parte dell’Io e il graduale divenire coscienti delle quattro funzioni psichiche,
mentre la direzione verso sinistra segnala il pericoloso procedere verso l’inconscio con il rischio di esserne sommersi e restarvi
intrappolati.
Gli Eterni vengono sconfitti dal fuoco del drago, come l’anima del marito Drogo viene liberata dal rogo della strega che porta alla
nascita dei draghi, come Daenerys si serve della nave sia come mezzo di trasporto sia come materiale con cui costruisce un “cazzo di
legno” nella battaglia che vince grazie ai “topi di fogna”, come Jon e Sam si abbandonano all’istinto frequentando i Bruti e gli
abitanti delle Isole dell’estate e come Bran e Jon sono aiutati dai metalupi: il chiaro messaggio è che avvicinarsi troppo all’inconscio
con le speculazioni intellettuali e il misticismo o provocandolo con eccessivi freni all’istinto è pericoloso per l’uomo e che i mezzi
per fuggire alle seduzioni e agli inganni che possono derivarne sono il rispettare e salvaguardare i confini (la “Barriera”, la ragione),
ma anche il calore umano, l’istintualità e l’intuizione; in altri termini si vuole ribadire che serve un intelletto versatile e collegato in
modo armonico alle altre tre funzioni psichiche, un intelletto che si può vedere rappresentato appunto dal modo in cui viene sfruttata
nelle diverse circostanze la nave di Daenerys (costruzione umana e quindi simbolo di metodo e riflessione qui, come spesso nei
sogni). Questo intelletto, vivificato dalla passione quanto equilibrato, in alchimia viene definito acqua “viva”, acqua “nostra”, argento
“vivo” o “fuoco” proprio per distinguerlo dall’intelletto astratto, dominatore e sprezzante senza criterio di ciò che ancora non
comprende. L’intelletto di questo tipo è in alchimia indicato come lunare o quale sale o lunaria (un albero di corallo bianco e rosso il
cui sale è chiamato “dolcezza dei saggi”) o acqua salata (come è detta la “terra” di provenienza del fratello vivo di Daenerys e come
le “lacrime” dell’albero portale del Forte della Notte): tutto ciò vuole evidenziare che la saggezza sta nel conoscere bene anche il lato
spiacevole di sé e nel consolare l’amarezza dei frutti della ragione grazie all’esperienza che dalle enormi delusioni deriva a volte
un’inconscia intensificazione e una notevole evoluzione del sentimento. Inoltre questo intelletto alimentato dal sentimento e
dall’intuito e consapevole delle radici anche oscure e poco nobili della personalità è rappresentato in alchimia come una soluzione
dissolvente ovvero separatrice di elementi: si vuole in tal modo ricordare che vanno superati gli atteggiamenti intellettuali irrigiditi e
le proiezioni inconsce della coscienza non evolutasi.
Che il viaggio in nave di Daenerys rappresenti quello interiore verso il Sé (verso le maggiori possibili totalità e armonia della psiche)
lo si può comprendere anche dal fatto che il mare è il più antico e noto simbolo dell’inconscio collettivo e la nave è un tradizionale
simbolo del mandala e della Grande Madre (mare e nave sono entrambi assimilabili all’utero, in quanto contenitori, e il sole sembra
nascere dal mare ogni giorno). “Madre” Daenerys viene più volte acclamata e si deve considerare che una dea madre antichissima è
associata alla giumenta e che il cavallo è simbolo del destino, del tempo e dell’energia e della veggenza dell’inconscio collettivo: non
è un caso che la cavalla sia d’argento come vengono definiti i capelli biondissimi di Daenerys e che la vita adulta e libera di Daenerys
inizi solo nel momento in cui riceve in dono la sua cavalla nel giorno delle nozze.
In Daenerys il matrimonio con un “selvaggio” Dothraki, le steppe dove cavalca, il suo camminare a volte a piedi nudi e il suo amore
per il mare (il suo legame con la terra, che è simbolo della fertilità dell’inconscio e degli istinti), il suo copricapo a forma di testa di
leone e il suo migrare come il sole insieme ai figli draghi (la sua natura di drago.leone) sono tutte rappresentazioni simboliche della
forza che origina dal legame con l’istinto e con l’inconscio, necessaria per resistere al gelo dei demoni del nord, quindi all’intelletto
tagliente e mortifero perché sradicato dall’anima e troppo preminente rispetto alle altre funzioni psichiche (considerate anche Donne
che corrono coi lupi di Pinkola Estes sul femminino selvaggio). Nella sua natura di bionda madre di draghi invulnerabile al fuoco
Daenerys ha in sé l’oro alchemico (quello dell’oro della fase dell’opus, del tesoro difficile da raggiungere, del lapis, della pietra
filosofale), ma ha in sé anche l’elemento di Mercurio e della luna regolatrice di acque e nel suo essere definita “nata dalla tempesta”e
nei capelli definiti argentei come la sua cavalla.
Una delle principali caratteristiche di Tyron è l’andatura claudicante: lo zoppo, spiega De Mari, è un archetipo molto antico (Achille,
Edipo, Giasone) e sta a indicare che solo chi conosce la sofferenza può curarla e che chi cammina sia nel mondo dei vivi che in
quello dei morti, come lo sciamano, nel parlare zoppica, perché si può solo balbettare se si parla contemporaneamente la lingua dei
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due mondi: io posso ricordarvi il maestro malato di Eragon nel mondo degli elfi di Paolini, De Mari ricorda Dumbo, il vecchio film
Disney.
Leggendo il secondo capitolo di Psicologia e alchimia di Jung vi sarà chiaro però che anche Tyron rappresenta il Mercurio
dell’alchimia in quanto ha in comune molti aspetti con questo artefice dell’opus definito un ingrediente indispensabile ma quasi
vapore evasivo della soluzione bollente e quindi una preziosa ma a volte ingannevole guida (infatti è pericoloso sia avvicinarsi molto
che distaccarsi nei rapporti con l’inconscio e inoltre è vero sia che i contenuti inconsci tendono a sottrarsi all’integrazione della
coscienza sia che esiste un’aspirazione della natura a una maggiore consapevolezza e civiltà e un anelito degli individui alla totalità e
quindi anche al divenire completi): Tyrion è astuto e con qualcosa dell’archetipo del briccone; ha una doppia natura dato che il suo
aspetto e la sua eccessiva sensualità contrastano con i suoi carattere e doni intellettuali e che inoltre porta alla sua famiglia sia bene
(salvando la città e con altre idee utili) che male (uccidendo i genitori e danneggiando direttamente i fratelli e, indirettamente, i
nipoti): è nano e deforme (ad avere con Mercurio il ruolo di messaggeri nel mito, nelle fiabe e nella fantasy sono i nani e le figure
come Pollicino e i deformi e potenti Cabiri, figli dello zoppo e geniale Efesto padre di Ermete, e tutti loro mediano tra le potenze
inconsce e il mondo esterno, come, ad esempio, fanno i nani di Tolkien commercianti con gli elfi l’argento inalterabile alchemico
della rivelazione); è connesso a drago e leone, come Daenerys, e ciò fin dall’infanzia a causa della sua casata e dei suoi sogni di
riscatto sui draghi poi sfociati “casualmente” nell’incontro con i Targaryen (drago e leone sono attributi di Mercurio come lo sono del
diavolo, perché Mercurio/intelletto può distaccarsi dall’anima e dal sentimento e a causa di quanto ho già scritto sull’ambiguità di
Mercurio quale guida): è parricida e il padre è un simbolo frequente della mentalità diffusa e tradizionale o dell’intelletto freddo e
così limitante da sbarrare del tutto la strada all’anima e da inaridire al punto da rendere troppo vulnerabili agli infantilismi proprio
con l’eccesso nel rifiutarli senza criterio (la morte tra le feci e il sorriso persistente della salma di lor Tywin sono chiari simboli di
regressione all’infanzia e la causa della sua morte e la prostituta morta trovata con lui ricordano il suo disprezzo per l’istinto).
L’aspetto univocamente deleterio, a meno che non si consideri la visione d’insieme, di Mercurio è rappresentato invece dal versatile,
inventivo e mefistofelico intelletto di Ditocorto, la cui abilità nel procurare a sé e altri dell’oro allude al ruolo di Mercurio nell’opus
degli alchimisti e che del diavolo ha anche il pizzetto (faccio riferimento a Goethe, oltre che a Jung; peraltro spesso compare così
nelle allucinazioni e nei sogni) e gli abiti mutevoli nei colori come la pelle dei serpenti in un’epoca in cui si dovevano portare i colori
della casata in certe situazioni. Ditocorto, che ha fornito il coltello a Joffrey per il tentato omicidio di Bran, ha un po’ anche l’aria di
ciò che Jung chiamava Ombra e che nei sogni a volte ha l’aspetto di un uomo con pizzetto o armato di coltello.
Anche Jon rappresenta il dio Mercurio dai piedi alati, il Mercurio-drago e argento vivo alchemico, e anche per questo Jon è chiamato
corvo, ha occhi grigi come il metalupo dell’emblema degli Stark e, come Spettro, viene colpito dall’aquila dei Bruti quando il suo
terzo occhio si apre per spiare il popolo selvaggio, anticipando il suo ruolo di osservatore: egli diviene, come i corvi, messaggero tra
due mondi molto diversi (viene colpito alla fronte per analogia con i sogni di Bran durante il coma e gli incubi) e poi in alchimia
l’uccello che scende dall’alto è un elemento unificatore e qui infatti c’è un ampliamento della visione che presuppone l’abbattimento
di barriere preesistenti; un uccello che cala dall’alto indica anche un avvicinamento a un lato del carattere più terrestre, istintivo o
femminile e anche questo coincide con ciò che accade a Jon durante la sua permanenza tra i Bruti e con Ygritte (lo stesso significato
probabilmente ha la caduta delle rocce nel fiume che salva Jame, perché da quel momento i ruoli tradizionali si invertono e Brinnie
assume quello di protettore e Jame quello di persona fragile ed indifesa). L’insistenza sugli uccelli non dovrebbe stupire, dato che il
legame sano con l’inconscio comporta potenzialità spirituali e che in alcuni mandala dei testi di alchimia il Sè è un cielo-perla
circondato dalle quattro forze cosmiche. Jon diventa comandante grazie a un corvo, perché questo uccello è simbolo anche di
maturazione e saggezza (rimando a Il mondo incantato di Bettelheim).
In cielo invece Danaerys vede stelle e esse formano un volto che le parla di saggezza dopo che è volata via su Drogon, come una
cometa rossa appare alla nascita dei suoi draghi: stelle cadenti in alcuni miti e in alcune religioni sono spesso associati alla nascita e
ciò perché fuoco e luce sono fonte di vita e l’energia psichica emana calore e illumina, ma anche perché tutto ciò che cade a terra
richiama l’atto del coltivarla o calpestarla nel ritmo base dell’attività sessuale e dell’agire in generale creatori di vita.
Daenerys comprende i suoi errori e le loro motivazioni reali e ritrova la sua strada meditando sulla riva di un fiume e osservandovisi
riflessa e di nuovo l’acqua-madre è feconda e d’aiuto, come il drago che la nutre e la protegge (l’inconscio si è avvicinato alla
coscienza senza più essere una minaccia grazie all’introversione sana, cioè temporanea e volta ad uno scopo attinente con i compiti
del presente e futuri). E se il ruscello è per lei causa di malattia fisica, ben di peggio le sarebbe derivato dal cibo avvelenato dal
secondo marito, il capo delle Arpie (peraltro nel mito le arpie danneggiano davvero il cibo). L’acqua è un’importante fonte di
conoscenza personale profonda e sovrapersonale anche per Jaime, che ha perso la mano destra (la mano della direzione della
coscienza, del dominio dell’Io sicuro di sé e impulsivo, quanto la sinistra è quella delle vie dell’inconscio), ciò durante il bagno con
Brinnie e nel suo sogno-visione in cui lui e Brinnie si trovano rinchiusi in un buio sotterraneo allagato con le gambe immerse
nell’acqua e una spada luminosa in mano: in alchimia, come nei sogni, l’immersione nel bagno indica spesso unificazione nella parte
inferiore della personalità, l’acqua che sale dal basso avvisa che sta agendo Mercurio quale elemento unificatore (è infatti l’artefice
dell’opus) e l’immersione in acqua in generale può rappresentare che si avvia la soluzione di un problema e comprensione dopo lo
scioglimento degli atteggiamenti coscienti più rigidi, come se fosse una sorta di discesa nell’Ade buio che prelude a una rinascita
come dalla fase Nigredo in alchimia si arriva alle fasi colorate o alla Cauda Pavonis; l’acqua che sale dal basso è anche, in alchimia,
un equivalente dell’uccello che scende dall’alto e quest’ultimo denota in alchimia un amore spirituale, come quello che nasce tra
Jaime e Brinnie dopo il dialogo nel bagno; inoltre nei testi di alchimia si trovano raffigurazioni in cui fratello e sorella sono rinchiusi
in una casa di vetro (l’inconscio può tenere prigionieri in molti modi, non solo con la malattia mentale) ma hanno in entrambe le
mani un simbolo radiale trasmesso loro dallo Spirito Santo, come Brinnie e Jaime tengono la spada di luce per salvarsi; nella visione
di Jaime, Brinnie ripete di temere un orso, e ciò non solo rispecchia la situazione in cui lei si trova nella realtà nella fossa da
combattimento, ma rimanda al simbolo alchemico dell’orso, rappresentazione dell’aspetto pericoloso della materia prima,
dell’elemento ctonio nero (qui sono la paura di essere abbandonato e indifeso e i rimorsi di Jaime, simboleggiati dagli spettri del
sotterraneo) che può gremire ma anche essere lo stadio preliminare dei quattro colori che conducono al lapis e infatti per Jaime la
fossa con l’orso in cui viene lasciata Brinnie senz’armi è l’occasione di riscatto che gli consente un’evoluzione personale profonda
attraverso l’intuizione del suo bisogno di dimostrare nuove fedeltà. Peraltro uno dei modi in cui Jame si riscatta è regalare a Brinnie
una spada di materiale quasi magico e appunto di colori eccezionali di grigio, oro e rosso: l’oro rosso è il colore della fase ultima
dell’opus, della trasformazione del e operata con Mercurio-argento vivo e infine del cinebro quale principale minerale del mercurio e
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un tempo classificato tra i rubini splendenti (fa pensare al raggiungimento del tesoro); forse a ciò peraltro sono dovuti i colori degli
occhi di Spettro e Estate. Per chiudere con ciò che riguarda Jame, Tuttavia sentirsi sollevare verso le stelle, come gli accade dopo la
mutilazione e i maltrattamenti, è paragonabile ai sogni in cui si lievita verso l’alto e che rivelano così inconsci impulsi suicidi
(Brinnie se ne accorge e per questo lo riscuote e gli ricorda i motivi per vivere) e attraversare un fiume è nei miti un antico simbolo
del prendere un’importante decisione, del cambiare vita, di rinascita o morte ed è importante anche, oltre alla caduta dei massi già
citata, la scena in cui in esso Jame si specchia appena evaso e nota di essere imbruttito, invecchiato e diverso ormai dalla gemella
(l’infedele e fredda Cersei): vedersi allo specchio nel mito può indicare il vedersi per ciò che si è realmente al di là delle illusioni
coltivate su di sé e della maschera usata nei rapporti sociali; questo osservarsi prelude al vedere anche la sorella più simile a ciò che
lei è davvero al di là delle menzogne di lei e delle tipiche proiezioni inconsce maschili sull’amata e, infatti, uno scontro decisivo tra
due fratelli avviene in seguito in bagno. L’acqua delle sorgenti calde del parco degli alberi del cuore, oltre che il sotterraneo dove
parla del suo tradimento, è il luogo della comprensione decisiva di sé e dei suoi desideri per Theon, che in grazia di ciò muta
ulteriormente (i cambiamenti fisici e mentali avvenuti in Theon a causa della tortura sono enormi e a ciò vuole alludere lo
scuoiamento di alcune zone del corpo che Theon subisce, perché nei miti lo scorticamento rappresenta la muta dei serpenti e quindi la
rinascita). Jung rileva che in genere acqua e albero, se insieme, designano in particolare proprio nostalgia e anelito ad una condizione
totalmente inconscia, quindi alla morte nella speranza che essa sia uno stato privo di dolore, paura e rimorso (albero e acqua sono
entrambi simboli materni), ma l’introversione riserva sempre sorprese e nel caso di Theon ha prodotto per lo meno il
ricongiungimento con la sua identità rammentandogli infanzia e adolescenza trascorsi anche al parco alberato e umido. Il vero nome
è germe di libertà: al problema del vero nome (il nome giusto è l’essenza di qualcosa e potere, perchè la conoscenza è fonte di potere
sul nominato) alcuni miti e libri fantasy hanno dato massimo rilievo, ma Martin vi dà un ruolo forse più contenuto (vi accenna
descrivendo la comunicazione tra i Figli della Foresta e il modo in cui i regnanti sottovalutano il pericolo proveniente da oltre la
Barriera), a meno che non si consideri in questa luce il passaggio da Sterminatore di re a Ser Jame nel modo in cui Brinnie si rivolge
a Jame e il proliferare smisurato di soprannomi e il fatto che gli schiavisti si facciano chiamare buoni o bravi e le loro città siano
definite libere. Questa epifania di Theon sulla sua reale identità è, in ogni caso, significativa e la rinascita di Theon ricorda quella di
Jame, dato che entrambe sono guidate da acqua e alberi (l’umido parco degli dei pieno di vapori, il bagno e il sogno fatto dormendo
con il capo sul ceppo di una albero diga). L’albero è simbolo materno perché protettore e molto utile alla vita umana e perché
rimanda all’albero genealogico, inteso come una sorta di progenitrice, e inoltre in molti miti l’eroe è rinchiuso nell’albero a
significare la sua rinascita: hanno insomma radici molto lunghe questi alberi del cuore resi “vivi e coscienti” da Bran e dai suoi
simili o dalla magia a protezione della Barriera e collegati all’eternità (l’albero portale dell’abbandonato Forte della Notte è peraltro
raggiungibile dalla cucina, che è noto simbolo dell’inconscio probabilmente in ragione del rapporto madre-allattamento/nutrimento).
Forse riguardo il sogno di jame c'è una vaga allusione ad un noto episodio biblico, quello in cui Giacobbe fa un sogno profetico in
viaggio dormendo una sera all'aperto con una pietra per guanciale e poi ritiene tale pietra abitata da spiriti e valorizza. Se Theon
comprende chi è e cosa desidera alle sorgenti calde tra gli alberi del parco degli dei, lo stesso accade a Jon attraverso il suo incubo su
Ygritte, le riflessioni nelle vasche da bagno e l’incontro tra la neve con Spettro ritornato al castello dopo la separazione e la proposta
a Jon di divenire lord Stark.L’acqua, la neve, è anche ciò che risveglia la consapevolezza di Sansa, che al nord ricorda chi è (una
possibile erede al trono, non la mendicante che la zia ritiene che sia) e comprende di poter essere forte e se stessa solo nel luogo in
cui è nata (non in quello offertole dalla Regina di spine).Davos ammette con se stesso le proprie colpe riguardo gli antichi dei e gli
omicidi della donna rossa riflettendo su uno scoglio abbandonato davanti al mare. A volte il risultato del contatto con l’acqua in
questo libro, nei sogni e nella vita è simile a quello di alcune pratiche di meditazione (qui un esempio è la preghiera al tempio di
Catelyn, che peraltro si rivolge a sette dei non casualmente, dato che 7 è numero attribuito da alcune tradizioni al divino e il numero
degli Arconti o pianeti regolanti il destino e che in alcuni testi di alchimia sono sette gli spiriti di dio contenuti nel Mercurio e
trasformati in Mercurio dall’opus, dove Mercurio è associato al creatore di luce e vita, il biblico verbo di dio); le persone che Catelyn
intravede o immagina nei volti informi delle statue delle divinità sembrano, del resto, avere un ruolo importante per la salvezza della
Vita minacciata dagli Estranei (hanno un compito sacro), a cominciare dall’odiato figliastro Jon.
Rinascite di tipo diverso sono quelle degli zombi come lady Catelyn e i risorti con l’acqua, altre rappresentazioni dell’inconscio
divenuto autonomo e quindi pericoloso, distruttivo.
Con parallellismo con quanto accade a Daenerys, una ferita da freccia accompagna Jon nella sua fuga dai selvaggi oltre la Barriera,
diversa solo in parte da quella di Danaerys dai selvaggi orientali e nel caso di Jon e Danaerys il colpo di freccia ha il significato che
ha in genere nei miti, nelle fantasie nei sogni: esso è una ferita alla vita più naturale vissuta dal suo istinto , alle illusioni sulla
possibilità che la sua relazione con Ygritte potesse avere un esito diverso, all’impressione di aver in parte tradito la confraternita e
che a molti sarebbe parso un traditore (è la fine dell’infanzia, che nel caso di Jon è un cambiamento improvviso anticipato e
simboleggiato, comè tipico, da un lampo sul lago, paragonato non a caso dall’autore a un a pugnalata). Forse perfino la morte per
ferita da balestra di lord Tywin ha qualcosa a che vedere con il distacco dall’infanzia di Tyron e la morte simile del fratello di Tywuin
ha rapporto con le illusioni di costui su Tywin nate nell’infanzia e non intaccate nemmeno dalla crudele e maledetta morte riservata
da Tywin a Robb e a sua madre e ai suoi soldati.
L’attardarsi di Danaerys e Jon tra i selvaggi è anche uno smarrirsi preludente a rinascita, mentre Bran è creduto morto o è introvabile
per chi lo sa vivo e Sam viene trovato da Manifredde quando si è perso oltre la Barriera : nel mito, nella vita e forse nei sogni lo
smarrimento è spesso una introversione durata troppo a lungo non proprio per decisione, perché nata con scopo diverso dalla
nostalgia o dall’aspirazione alla pace, e questo tipo di introversioni, una volta superate, portano ad una vita nuova perché arricchita
dall’immersione in se stessi, dato che ciò che di vivo c’è nell’inconscio si arricchisce così dei molti ricordi sopraggiunti e si potenzia
al punto da portare alla coscienza utili impulsi e ispirazioni, utili soprattutto perché adatti ad un nuovo orientamento nella vita resosi
necessario.
La cicatrice alle dita che accompagna Jon per lunga parte della saga è un attributo di quasi tutti gli eroi fantasy con un ruolo
importante e si può trovare qualcosa di analogo anche nei più noti libri di Tolkien, Ende, Pullman, Rowlin.
La piccola statura dei Figli della foresta, l’handicap e l’età di Bran e i suoi strani aiutanti, l’aspetto del nano deforme Tyron, l’aspetto
e il sesso di Brinnie e l’età e la timidezza del suo scudiero, l'obesità e la sensibilità di Samuel, la giovane età e l’infanzia misera di
figli illegittimi di re (mi riferisco soprattutto al fabbro amico di Arya) e principi cacciati da usurpatori (le sorelle Stark e soprattutto I
fratelli Targaryen) o traditi vilmente dopo molte vittorie meritate (la morte orribile di Robb) e l'aspetto piccolo e dimesso della porta
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che consente a Danaerys di svoltare e trovare gli Eterni nel labirinto di Piat Pree sono motivi ricorrenti nei miti dove le forze creative
sono spesso personificate da persone piccole e piccolissime (esempi tratti dalla tradizione sono nani, Cabiri, Dattili e Pollicino e,
nella fantasy, gli eroi di Tolkien, gli alleati Tialys e Salmakia di Pullmann, il folletto e il satiro di Troisi e l’elfo Dobbin della
Rowling), deformi o di origini o infanzia o giovinezza misere (Aragorn, Eragon e Brom, Nihal, Will e Harry Potter, quindi i
protagonisti di tutte le saghe fantasy citate qui) oppure da oggetti meschini (la pianta Atheles nella celebre saga di Tolkien, la pietra
nella spada nella saga della Troisi, la chiave in Faust e nel primo libro della serie su Harry Potter e forse anche il santo Graal in
alcune versioni del mito) o ritrovati in condizioni meschine o pericolose (il libro e la spada in Harry Potter e i doni della morte) o con
nomi ridicoli (nella saga di Tolkien la spada elfica di Bilbo e Frodo è chiamata "Pungolo") e dove gli eroi spesso vengono traditi
(ricordo, a parte i casi simili nella mitologia antica, la morte per tradimento dell’eroe elfico un tempo a capo degli altri cavalieri nella
saga di Paolini): ciò accade in parte per l’affinità di tali simboli nelle dimensioni alle dita e quindi agli attributi sessuali (ai generatori
del processo creativo della vita e del potere e quindi, per analogia, ai processi inconsci di creazione artistica, di risoluzione dei
problemi e di maturazione); dare aspetto e infanzie miseri a molti dei personaggi principali mira in genere però forse soprattutto a
sottolineare segretezza e carattere elettivo del lavorio interiore, il fatto che la forza creativa non si manifesta in tutti, ma solo a coloro
che le obbediscono, e che il lavoro creativo è per certi versi straordinario ma si svolge ed è celato nell’interiorità (luogo interno, non
appariscente e misero per gli osservatori esterni) ed è un processo molto fragile (è avversato naturalmente dall’inconscio geloso ed
esposto a mille condizioni ambientali per il suo avviarsi e ancor più per la sua riuscita). Inoltre la psiche collettiva può apparire
insignificante quando si pensa che è una pluralità da cui costa tanta fatica differenziarsi e che si è formata per cumulo di molte
esperienze anche comuni ereditarie (anche per questa interpretazione e per quella precedente rimando ai capitoli 2 e 3 di Psicologia e
alchimia, oltre che a Simboli della trasformazione di Jung). Due ulteriori spiegazioni al riguardo sono la semplice constatazione che
le funzioni psichiche meno coscienti e sfruttate sono assimilabili a bambini e nanerottoli a causa del loro minore sviluppo e possono
sembrare adatte a mediare tra coscienza e inconscio proprio perché non interamente coscienti e il fatto che è l’infanzia l’età in cui la
mente è più vicina all’inconscio.
Riguardo alla profezia su Cersei, a quella sul corno e al segno della cometa rossa, occorre ricordare che quasi in ogni libro fantasy
c'è una profezia: essa in genere serve a dare speranza e a creare nel lettore un'illusione sulla certezza del futuro che in realtà sempre
manca a qualunque essere umano (per questo rilievo rimando a Il drago come realtà di De Mari).
Riguardo all'insistenza sui giuramenti e sul tradimento, occorre invece rilevare non solo che si tratta di un tema ricorrente in ogni
libro che tratti di cavalieri del passato e che tradimenti terribili sono presenti probabilmente in tutti i poemi epici, ma anche che il
rispetto delle promesse e la condanna di chi trasgredisce una promessa o ignora un divieto sono l'idea fondamentale attorno alla quale
sono costruite moltissime fiabe tradizionali.
Per quanto riguarda la “vera lingua dei Figli della foresta” bisogna approfondire il significato del vero nome, problema cui ho
accennato a proposito di Theon, Jame e dei soprannomi e anche un leitmotiv della fantasy. Bisogna di nuovo fare riferimento anche
all’Edda per comprendere l’insistenza sulla nominazione come mezzo di appropriazione del mondo: i veri nomi fondano le cose,
perché, radicandole nel passato, le confermano e distinguono dal caos e dalle false apparenze (a questo tema dell’inganno spesso
celato nell’apparenza vanno riportati i molti travestimenti e i molti tradimenti sparsi nell’Edda e in tutta la saga di Martin). Vi ricordo
che il leitmotiv dell'intero La storia infinita (M. Ende) è proprio il tema del trovare/dare il nome giusto a ogni cosa al di là di ogni
menzogna individuale e collettiva e di ogni fraintendimento. Se è poi Il ciclo dell'eredità di Paolini a insistere maggiormente sul tema
del vero nome tra i libri fantasy che conosco, tenete anche presente che nella celebre saga della Rowling su Harry Potter di continuo
si insiste quasi in tutti i libri sull'opportunità di chiamare col suo nome e senza perifrasi il mago oscuro Lord Voldemort (nell'ultimo
libro invece si richiama l'attenzione sull'importanza di non rimuovere o, meglio, di non tacere per rabbia il nome di un caro amico del
cui tradimento non si sia certi). Dare il nome giusto alle esperienze è del resto possibile solo attraverso la cultura e la riflessione su di
esse resa acuta e obiettiva attraverso i libri giusti ed è grande l’effetto distruttore della confusione, delle illusioni, delle menzogne e
della falsa propaganda: se in molta fantasy, nei miti tradizionali e nelle credenze di molti primitivi il nome è magico, ciò è dovuto al
fatto che dare un nome è davvero un atto creatore e guaritore, il che è davvero uno dei concetti chiave di molti libri straordinari
(come La storia infinita di Ende) e utili (come Il taccuino d’oro di Lessing). La lingua degli elfi (la “vera” lingua, una smarrita lingua
universale) ha qualcosa a che vedere innanzitutto con la musica (l’arte umana sviluppatasi prima del linguaggio articolato secondo
Darwin), con cui è possibile appunto comunicare con tutti ma senza sapere bene come la comunicazione avvenga e senza prevederne
gli esiti su individui diversi, come se si fosse smarrita la chiave un tempo nota di questo linguaggio (col quale peraltro è possibile
influenzare anche le piante); del resto, il ritmo ha rivestito un’importanza fondamentale in tutte le culture primitive. In alcuni libri di
Tolkien la musica è all'origine del mondo, secondo la mitologia celtica dell'altomedioevo. Gli elfi ovviamente sono anche simbolo
della primavera fecondante (ogni primavera è giovane e nuova e insieme antica come gli elfi), ma con un alone di mistero, perchè il
mistero avvolge sempre l'inconscio. Linguaggi universali dimenticati sono però soprattutto quello onirico (con simboli e schemi
precisi e ricorrenti, anche se variabili in parte da individuo a individuo) e in generale quello delle leggi dell'inconscio (la sua
conoscenza non superficiale e efficace richiede davvero un lungo processo di apprendimento). Se la lingua della ragazza antica
incontrata da Bran tra i ghiacci ha tono musicale, nella saga di Paolini il canto degli elfi è gioioso e favorisce l’accoppiamento degli
animali e di tutti gli esseri come il canto degli uccelli, ai quali assomigliano anche per la rapidità, la grazia, la possibilità di volare
(attraverso i draghi o la magia) e la “diversità” (rimando a Elogio degli uccelli in Operette morali di G. Leopardi, soprattutto per
quanto riguarda la funzione degli uccelli rispetto alla fertilità di tutto quanto è in natura). La figlia della foresta che aiuta Bran è
adorna di foglie forse anche per alludere all'Anthropos, che, alcuni miti raffigurano ricoperto di foglie per esprimerne il carattere
autogeno, privo di impulsi egoistici, libero; la sua forza e soprattutto la sua età e longevità associate alla sua bassa statura ricordano le
personificazioni mitiche del Sè volte a rappresentarne la natura altra rispetto a ciò che fa parte del mondo limitato spazialmente e
temporalmente della coscienza.
Il potere della vera lingua è in relazione con l'impossibilità di mentire davanti a un albero del cuore, con quella di poter osservare
dagli occhi di alberi e animali (anche in volo) e con la capacità dei metalupi di percepire la menzogna altrui. É degno di nota che il
termine "spell" in inglese antico indica sia una vicenda narrata sia una formula di potere sugli uomini viventi. La comunicazione è un
vantaggio nella sopravvivenza e il non poter comprendere se chi parla è sincero nè poter comunicare con gli animali è sempre stato
avvertito come un limite, una sorta di condanna. La vera lingua, l'antica lingua, nei libri fantasy ha sempre il potere di ridurre le
distanze dell'uomo dal regno animale e dagli altri uomini, che ciò avvenga grazie all'obbligo alla sincerità o al potere di leggere nel
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pensiero o di spiare non visti di coloro che la apprendono. In Albero e foglia Tolkien nota che "altre creature sono come altri reami
che l'uomo vede solo a distanza essendo con loro in guerra o precario armistizio (...) Il merito delle fiabe è di soddisfare alcuni
desideri primordiali, soprattutto quelli di sondare le profondità dello spazio e del tempo e quello di avere comunione con altri esseri
viventi, comprendere il linguaggio di animali e alberi." Questo tema è in rapporto con l'origine del mito dell'anello di re Salomone
biblico, che permetteva di comprendere il linguaggio degli animali e con altri miti simili. Ovviamente dietro all'immagine del
metalupo selvaggio che fiuta la menzogna e riconosce che cosa per il suo padrone è giusto o in accordo col destino prima di lui c'è
anche l'idea che le rivelazioni delle nostre percezioni subliminali da parte dell'inconscio sono spesso più esatte di ciò che percepiamo
con l'attenzione cosciente. Tutto questo è in rapporto però anche con il tema tipico del genere fantasy degli aspetti positivi della
menzogna e quindi con l’anello che rende Roran invisibile nella saga di Paolini e con l’anello del potere di Tolkien, ma di anelli
simili se ne trovano in diverse fiabe e leggende moderne e antiche (ad esempio è tale l’anello del re Gige, antico regnante della
Lidia), insieme ad altri strumenti analoghi (i mantelli elfici che si mimetizzano dei componenti della compagnia dell'anello di Tolkien
o il mantello dell'invisibilità di Harry Potter): ciò che rende invisibili è la disponibilità a mentire quando serve a salvare verità
definitive come la sacralità della vita (questa spiegazione non è mia , ma la trovate nel saggio citato della De Mari al capitolo 9).
Nominare fatti e cose richiama in vita tali fatti e cose grazie al potere dei segni (magico è quello delle Rune nell’Edda) e per
analogia: l’analogia è alla base sia della paraetimologia (un procedimento abituale che contribuisce spesso a mantenere vivi i miti) sia
della magia dei riti primitivi (in quanto tale è studiata ad esempio in Il ramo d’oro) sia delle figure e perifrasi della poesia (quello
poetico è un linguaggio cifrato, segreto come il sapere divino dei nomi), compresa quella epica (l’Edda è tale e è dai poemi epici che
provengono le storie tanto citate da Martin nei capitoli incentrati su Bran). Esiste anche la "menzogna sincera" dei narratori di grandi
storie e del resto chi conosce la vera lingua sembra avere qualche affinità con gli scrittori anche in altri libri fantasy (il padre
dell'Eragon di Paolini è sia un cavaliere di drago che un bardo, come i protagonisti di Pullman ed Ende diventeranno scrittori come il
Sennar della Troisi e il Frodo di Tolkien scrivono infine la loro vicenda). Vi faccio notare che in astrologia il segno sagittario ha
attributi tradizionali molto simili a quelli associati agli eroi fantasy, tra i quali i seguenti certamente: drago e spada come principali
associazioni mitiche, idealismo, simbologia legata in parte alla rinascita dall'inverno e appunto genio (spesso nello scrivere) e buona
mira con le armi e con le parole.
Il percorso di Bran serve a Martin per ribadire il ruolo e il potere della memoria, della parola, della letteratura: anche nell’Edda colui
che beve alla fonte che si trova nella terra dei giganti (che richiama l’oltrebarriera di Martin) sotto a una delle radici del Frassino (nel
mito dell’Edda albero della vita e della morte, che non può non far pensare agli alberi del cuore e agli “alberi diga” del culto nordico
immaginato da Martin, alberi tra le radici dei quali Bran incontra il suo maestro) diviene saggio (acquista infatti il nome di Mimir,
che richiama etimologicamente la “memoria”: Odino, nell’Edda, avrà l’aiuto del saggio Mimir, come Bran ha l’aiuto del “grande
Corvo dal terzo occhio”).
Quanto all’immagine del lupo alato incatenato e da liberare e lasciar “volare” associata a Bran nella visione del Piccolo nonno, si
deve ricordare il mito nordico dell’eterno ritorno e anche la rappresentazione in alchimia dell’anima del mondo (Anthropos) come
incatenata nel caos/uovo e poi liberata da Mercurio/aquila, nochè quella di un antico testo religioso di un falco volante via dall’uovo
e quella, ancora alchemica, di una scintilla imprigionata nel mare; comunque si deve considerare anche che l’alchimia rappresenta
Mercurio come drago alato e anche non alato, perché lo ritiene composto di elementi sia spirituali che terrestri e, in effetti, Bran è
“vissuto” anche nel suo lupo e la madre di questo metalupo era stata uccisa da un unicorno (istintualità dell’elemento animale e
femminile del lupo si uniscono allo spirituale e al logos generatore di cui l’unicorno è simbolo). Nel mito corpi incatenati e dormienti
nell’Ade rappresentano uno stato inconscio o di coscienza insufficiente. Lo sviluppo di “ali” (la creatività e l’intuizione spirituali) in
Bran è comunque una compensazione, proveniente dall’inconscio, della lesione della sua istintualità (le gambe e in generale la parte
inferiore del corpo indica gli istinti).
Forse non è privo di significato nemmeno il fatto che Bran sia paralizzato e non mutilato, dato che l’opera di Martin abbonda di
mutilazioni fisiche al punto da infastidire: si tratta di mutilazioni interiori, quindi di pensieri non sviluppati interamente, non
assimilati dalla coscienza e non pesati con razionale equilibrato giudizio, perché non è mai possibile completare il processo di
integrazione della parte inconscia di sé. Molte figure mitiche bisognose di essere liberate, nel senso però di “redente”, hanno metà
inferiore del corpo nella forma di serpente. Il fatto che Bran sia un bambino fa sì che egli richiami il fanciullo d’oro, noto simbolo del
Sè: è l’unità degli opposti e la rinascita, perché questa figura, tipica di miti e religioni, indica inizio e fine e Bran sembra un cadavere
risorto nello spirito una volta preso il suo posto accanto al corvo veggente tra le radici del sottosuolo (i bambini sono, infatti, un
divenire e esistono psichicamente anche prima dello sviluppo della coscienza vera e propria, come forse esisteranno come entità
psichica anche dopo la morte cui si accompagna la dissoluzione della coscienza almeno così come si è evoluta). Peraltro Mercurio è
raffigurato anche come vecchio e bambino insieme (caratteristica in linea con quella dell’ermafrodotismo). L’età di Bran però resta
simbolo anche di quanto ho già scritto a proposito della statura di Tyrion e di due degli aiutanti di Bran, della bruttezza e stranezza di
Brinnie, ecc. (i motivi per cui la pietra stessa, tesoro degli alchimisti, era definita di aspetto meschino e vile nonostante la sua
potenza).
Il fatto che Bran sia spesso chiamato principe può essere un ulteriore riferimento all’opus alchemico perchè Bran è un bambino e
all’opus dovevano collaborare anche le forze inconsce creative, rappresentate da essi, ma anche perché il risultato ideale dell’opera
era definito “figlio di re” per indicare che il Sè (la personalità nella sua totalità) è come un uomo nuovo: esso viene a sostituire il
padre, il precedente individuo il cui Io era arrogante o debole e in ogni caso poco consapevole e incapace di un equilibrato utilizzo
delle funzioni psichiche.
Tutti i fan di Martin sanno che Jon non può morire, nonostante le numerose coltellate ricevute, e il cadavere riportato in vita è infatti
un simbolo di rinascita e di una fase dell’opus alchemica che porta al figlio di re ora descritto.
Quando Sam uccide il non-morto infilandogli in bocca un residuo di legno ardente ripercorre il motivo mitico dell’eroe che accende
il fuoco dentro il ventre del mostro, magari per poter vedere (trionfo della coscienza) proprio come Bran quando assume la doppia
vista tra le radici degli alberi diga nel sottosuolo (simbolo dell’utero e della madre, quindi dell’inconscio veggente). Dopo aver ucciso
il non-morto, Sam trova ad aiutarlo molti corvi, come è un corvo ad aiutare il suo amico Jon a divenire capo della confraternita, e ciò
perché in alcuni miti l’eroe, dopo aver ucciso il mostri dall’interno, trova ad aiutarlo un uccello; peraltro poi spesso tale uccello si
leva a volo sull’acqua a indicare rinascita, come Sam, salvatosi grazie anche ai corvi, dopo il ritorno al castello attraversa il mare per
diventare maestro, medico: è ciò che risulta necessario nella situazione del momento, ma anche ciò cui da tempo aspirava senza
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sperarvi a causa del padre, come per Tyron andare in oriente è sia una fuga obbligata che il realizzarsi di un desidero intralciato dal
padre o dalle illusioni sull’eredità del padre (si compie così il proprio destino, divenendo se stessi al di là dei freni che hanno radici
nell’infanzia).
Accarezzare un animale che faceva o fa anche paura nei miti ha il significato di un superamento dell’infanzia e delle tendenze alla
regressione: all’arrivo alla Barriera è un liberarsi del passato il gesto affettuoso di Sam con Spettro mentre in lacrime ricorda i
maltrattamenti subiti durante la crescita e si accorge di essere leccato dal metalupo e della sincera compassione e dell’ascolto di Jon. I
lupi giganti sono personaggi chiave nel mito dell’Edda, come ho già scritto, insieme a giganti e nani (si trovano anche nella fantasy
di Ende e in molte altre) e corvi messaggeri. I fratelli Stark e Jon sono sostenuti dai loro metalupi finché non se ne separono per
scelta (solo Sansa ne è separata da altri) e nel caso di Robb e Jon la separazione porta alla loro aggressione fisica: se l’eroe nel mito
ha spesso due madri, una di esse a volte è un animale dalle caratteristiche straordinarie; inoltre un eroe molto abile nei miti spesso
cade a causa di qualcosa di apparentemente insignificante (l’opus alchemica richiede costanza e non porta a risultati con certezza). I
cani discendenti dai lupi sono compagni e aiuti nella generazione (es, nel mito egizio solare) o nella caccia (es. per dee della terra o
della luna). I “metamorfi” non si identificano semplicemente con i licantropi, perché, potendo la loro coscienza pervadere alberi e
animali, essi rimandano, come i “non-morti”, ad aspetti fondamentali della cultura primitiva, dato che molti popoli primitivi
“animavano” il mondo naturale e si sentivano spiati e assediati dagli spettri dei parenti defunti e degli uomini uccisi dalla loro tribù:
soprattutto nei boschi e di notte solo il riunirsi attorno a un fuoco poteva farli sentire protetti (al riguardo potreste leggere anche solo
I mari del Sud di Stevenson).
I non-morti e gli Estranei rappresentano anche la morte che si autonomizza (il contrario del mito i Proserpina), una sorta di "danza
macabra" come quella che comparve in epoche passate di genocidi come la nostra (rimando all'ultimo capitolo del saggio della De
Mari): i genocidi e la minaccia della fine del mondo compaiono in molti libri del genere fantasy a cominciare dal capolavoro di
Tolkien (la saga che conosco in cui questi temi sono più sviluppati è Le cronache del mondo emerso di Licia Troisi) ed è uno dei
motivi del successo che oggi ha questo genere letterario. Nella maggior parte dei libri fantasy i personaggi impegnati nella difesa
non cercano nemmeno di discutere con gli orchi, i Nazgul, i Ra’zac , ecc. e anche quando alcuni di loro vengono analizzati e
compresi (è il caso dei Fammin della Troisi) essi vengono combattuti e fermati con le armi: la De Mari commenta questo
comportamento affermando che dove c'è una psicosi di massa e si sono persi fin i primi fondamenti della morale non è possibile
risolvere i problemi con il dialogo. C'è infine un legame tra Estranei, non-morti, il dio rosso, la voce del "dio" cui fu sacrificato Varys
da bambino e il dio sconosciuto (il settimo degli dèi dell'Occidente non nordico): in una scena ambientata in un tempio il dio
sconosciuto è dipinto con tratti un po' deformati, volto nero e occhi brillanti "come stelle" e così vengono rappresentati i non morti
oltre la barriera e ci appare il cielo di notte (il simbolo più inflazionato ma "efficace" di ogni alto e oscuro enigma, dal mistero della
morte a quello del male, delle leggi dell'inconscio e dell'intima estraneità degli individui). Gli Estranei e in parte anche le loro
creature hanno molti aspetti in comune con gli spettri come Durza e soprattutto con i Ra’zac (definiti come alieni, incubi e predatori
del genere umano) della saga di Paolini, che rappresentano panico e depressione, quando causano la paralisi del corpo e della mente:
per questi effetti, potete leggere, tra i tanti esempi possibili, il passo di Il processo di Kafka in cui K. non riesce ad andarsene dal
tribunale, quello in cui non riesce a scrivere e quello in cui decide di non recarsi in campagna con lo zio; oppure potete leggere il
passo in cui i due protagonisti di 1984 di Orwell non cercano di scappare quando è imminente la cattura; forse possono essere
accostati ai “dissennatori” nella serie di Harry Potter, agli spettri della saga di Pullman, al Lupo e al Nulla del capolavoro di Ende e
ai cercatori dell’anello di Tolkien.
A proposito del rapporto con i cattivi odori di Reek e Ramsey può darsi che qui ci sia anche un rimando indiretto alla analogia
esistente tra odori e emozioni e al fatto che molti animali avvertono come cattivo odore la paura anche umana, come in altri libri del
genere fantasy è sottolineato attraverso l'invenzione di esseri maligni dall'odore terribile e paralizzante: i Ra’zac di Paolini,
corrispondenti alle cavalcature alate di Sauron, sono descritti così e peraltro sono definiti alieni provenienti dal sottosuolo della luna,
che è tradizionalmente associata all'emotività.
Il fuoco verde compare anche in Il signore degli anelli e in Queste materie oscure, dove si trova anche il fuoco resistente all'acqua. Il
verde è il colore più spesso associato alle potenze inconsce, perchè è quello associato alla vegetazione (la terra è madre come
l'inconscio) e del serpente: il verde è un colore associato alla magia benefica (ad esempio gli occhi di Arya sono verde intenso nel la
saga di Paolini, il fuoco di Gandalf è verde in quella di Tolkien) o all'ira dei malvagi (se nel capolavoro di Tolkien gli occhi di Smigol
avvampano di verde quando la sua personalità malvagia prende del tutto il sopravvento, molti personaggi malvagi fantastici hanno
occhi o pelle di color verde, come verdi sono spesso gli occhi dei nati sotto il segno dello Scorpione), perchè l'inconscio è misterioso
e non è umano e può salvare come distruggere proprio come le forze della natura.
Ci sono RIFERIMENTI AL GENERE EPICO: il banchetto-sposalizio in cui muoiono Robb e i suoi ricorda l’episodio simile del re
Storno e del re Fingal nei Canti di Ossian; il tradimento degli ospiti nel castello mi ricorda gli episodi finali di I Nibelunghi, sebbene
la vicenda vi si concluda nel modo opposto, oltre che il banchetto del re Atli nell’Edda. Ci sono RIFERIMENTI AL GENERE
CAVALLERESCO E AVVENTUROSO, infatti alcuni dettagli fanno pensare a Ivanhoe di Scott e soprattutto a Re Artù e i cavalieri
della Tavola Rotonda di Malory: nomi, soprannomi, espressioni, colori delle armature, tecniche di combattimento con lancia, mazza
e spada, mischie e altre prove ai tornei, giganti, profezie (cfr con quella del corno o con quella sulla morte di Cersei), destini con una
sorta di contrappasso per quanto non sempre morale (cfr. con la perdita della mano di Jamie, che aveva storpiato Bran e fu sul punto
di mozzare la mano a Arya, o con la morte del torturatore “guitto” dei villaggi, che ascolta, a ogni ferita inflittagli, le frasi
pronunciate durante i suoi crimini, o con il morso ricevuto da Brinnie dopo aver staccato l’orecchio di chi aveva tentato di stuprarla o
con la morte ridicola e infamante al bagno e con una prostituta nel letto e l'odore e il sorriso accentuato del cadavere di lord Twin
poco prima che sua figlia fosse umiliata nuda per la strada con lo stesso destino che lui aveva deciso per la concubina del padre, del
quale si era tanto riso che lui, il figlio erede, non aveva mai voluto sorridere), episodi come quello della schermaglia di Bellamano e
Lynet, dove, nonostante la sfiducia, i motteggi e gli insulti di lei, il cavaliere valoroso pazientemente la protegge e porta a termine il
viaggio insieme per via del giuramento fatto (cfr con il ritorno di Jamie sotto la protezione di Brinnie) o come quello in cui Palamede
supera se stesso al torneo perché vuole incoronare Isotta come la più bella dama presente da vincitore (cfr. con la conquista della
moglie da parte di Mormont), quelli dove parti del corpo sono tagliate via e appese al collo in viaggio (cfr. con il percorso a cavallo
di Jamie con la propria mano mozzata appesa al collo), si duella per discolparsi o per discolpare qualcuno sotto processo (cfr. con i
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duelli in difesa di Tyron o Cersei e quello tra Clegane e lord Dondarrion), ferite sono inferte da spade con la lama avvelenata (cfr. con
la morte causata dal veleno del maggiore dei Clegane) o si imprigiona qualcuno sotto processo senza lasciarlo dormire (cfr. con il
processo a Cersei) o si uccide con il coltello "Misericordia" (cfr. con le morti del bruto precipitato dalla barriera di ghiaccio e del
ragazzo della locanda ferito da Arya finiti con una pugnalata al cuore così chiamata). Il gran numero di vicende incentrate su figli
illegittimi di re, figli adottivi e figli scambiati è un leitmotiv della letteratura cavalleresca, avventurosa e fantasy (pensate ad Artù e ai
suoi cavalieri o a Robin Hood, ma anche a Eragon – il personaggio di Paolini –, a Nihal – il personaggio della Troisi – e a Harry
Potter), ma Jung notò che l’avere doppi genitori è un attributo tipico dell’eroe (una caratteristica dell’archetipo dell’eroe nella mente
umana) e potete riscontrare questa caratteristica in molti eroi. Per quanto riguarda il personaggio di Hodor, c'è da rilevare che il
personaggio del gigante buono e tardo si incontra molto di frequente nei libri per bambini e ragazzi (la serie sui Moschettieri di
Dumas e La principessa sposa sono solo i primi libri che mi vengono in mente). Per le scene di battaglia sicuramente le fonti di
ispirazione di Martin sono molte e tra queste credo ci sia il bel classico medievale La chanson de Roland, ricco di dettagli realistici e
ben scritto. Tra i libri recenti, un punto di riferimento per Martin sembrano essere stati i libri di Wilbur Smith (es. Monsone,
soprattutto per le descrizioni di duelli, navigazioni e incontri con i mercanti di schiavi e per il tema della rivalità e degli odi
irriducibili tra fratelli).
Ci sono riferimenti precisi anche a DATI DI FATTO STUDIATI ANCHE IN EPOCA RECENTE. La parola ha carattere magico non
solo per le culture primitive, ma anche per i bambini attuali e il fascino e il potere guaritore della letteratura si basa anche sulla
conservazione a livello subconscio di tale mentalità istintiva negli adulti (rimando al capitolo La magia della lettura di Imparare a
leggere di Battelhem e Zelan o a tutto il libro). La filosofia del linguaggio interessa molti aspetti e ha impegnato studiosi anche in
tempi recenti (rimando alle dettagliate pagine di Wikipedia (rimando alle dettagliate pagine di Wikipedia sull'argomento). Bisogna
considerare i metamorfi anche in relazione al rapporto particolare degli Stark con i loro meta-lupi e ricordare che la telepatia tra
animali (soprattutto tra lupo solitario e branco lontano) e tra persone (soprattutto, ma non solo, nelle coppie di conviventi, che
possono involontariamente trasmettersi pensieri e fare lo stesso sogno notturno), casi di contatto a distanza tra cani o gatti e i loro
proprietari (il contatto si è reso evidente a causa del comportamento dell’animale, a una data ora del giorno, in corrispondenza con
quanto accadeva al padrone lontano) e l’esistenza di ragioni profonde della preferenza emotiva delle persone per cani o gatti
(soprattutto l’odio e il disprezzo molto comune per i gatti e il quasi altrettanto frequente timore eccessivo dei cani non sembrano
essere casuali, e non è del tutto senza fondamento nemmeno il luogo comune secondo cui certi cani finiscono col somigliare molto al
padrone: l’inconscio dell’uomo sembra trovare qualche corrispondenza e possibilità di legami sotterranei con quello di questi animali
vicini all’umanità da millenni e la legge di attrazione forse a volte davvero avvicina a un individuo un certo animale, una certa razza
di cani/gatti, un certo cane/gatto in una cucciolata). Può non essere del tutto indifferente confrontare il carattere di Samwel Tarly con
la descrizione degli uomini con il complesso materno positivo di Jung (rimando a Archetipi e inconscio collettivo). I particolari della
saga sono realistici anche riguardo fatti minori apparentemente inverosimili, come ad esempio alcuni tratti dei personaggi che
ricordano la descrizione che Erik Fromm fa del carattere “anale” e delle personalità necrofile in Psicanalisi dell’amore, quali i
seguenti: l’odore cattivo ineliminabile del servo Reek, che infatti è cosa possibile (esiste una malattia che dà odore di pesce a ogni
fluido corporeo indipendentemente dall’igiene e dall’alimentazione e in rari casi si tratta di un odore molto forte); la crudeltà
eccezionale, l’aspetto e la predilezione per i cattivi odori del suo padrone Ramsey; il vivere tra la sporcizia, il lavoro di boia, la
freddezza e il pallore e in generale l’aspetto di ser Ilyn Pain; gli occhi chiarissimi e l'ossessione per il benessere intestinale e le
sanguisughe (per feci, malattie e sangue!) di lord Bolton, il signore con un uomo scuoiato come emblema. Il fatto che gli incendi
eccitassero re Aerys anche sessualmente mi ricorda invece le riflessioni di Jung sul rapporto tra fiamma e libido e sui piromani che si
masturbano osservando gli incendi.
Come la saga di Paolini riprende episodi descritti peraltro in La guerra gallica di Cesare e in Vite di uomini illustri di Nepote, anche
in quella di Martin ci sono chiari e interessanti RIFERIMENTI AI FATTI STORICI e del resto ho l’impressione che le principali
fonti di ispirazione di Martin siano noti autori di romanzi e drammi storici (Scott e Shakespeare) e quei resoconti storici e saggi che
riportano terribili torture e intrighi in pace e in guerra e una compresenza e un avvicendarsi di regnanti dal brevissimo regno che
ricordano quelli da lui descritti, come i seguenti: Wikipedia e le altre descrizioni attendibili sulla guerra inglese detta delle Due Rose
tra York e Lancaster, che fu scenicamente rappresentata dall'ora menzionato Shakespeare; le prime due Verrine e quella intitolata
Punizioni corporali (Cicerone); Annali e Storie di Tacito; I dodici Cesari di Svetonio; i libri di Tito Livio; il primo libro della Storia
augusta; Wikipedia sugli imperatori romani, sui tiranni siciliani e greci antichi, sui Vandali, su Alarico e i Goti, su Attila e gli Unni,su
Gengis Khan e soprattutto Tamerlano e i Mongoli; le pagine sulle torture, legalizzate o meno, in uso nel passato remoto e recente che
si trovano ad esempio in molti scrittori che scrissero delle colonie americane ed europee (Simone de Beauvoir, Maupassant, ecc.) e in
autori come Seneca, Apuleio, Montaigne e Voltaire. Nel undicesimo e dodicesimo libro della saga si fa riferimento a consuetudini che
hanno un riscontro storico che si può verificare e approfondire anche online: il diritto della prima notte era prassi in epoca feudale,
mentre la caccia all’uomo fu praticata anche nel secolo scorso su indigeni e schiavi in America e Australia, come già nell’antica
Sparta e probabilmente altrove. Quanto alla schiavitù, la crudeltà verso gli schiavi nei paesi dove era ed è praticata la schiavitù è
ampiamente documentata. La ghettizzazione di chi contrae la malattia contagiosa che trasforma in pietra ricalca ovviamente quella
che sempre hanno subito nella storia lebbrosi e appestati. Per conoscere la lebbra consiglio Wikipedia, ma per conoscere la peste
consiglio di leggere la sua descrizione in Storia della guerra del Peloponneso di Tucidide (la migliore) e poi anche quella di
Manzoni (in I promessi sposi), Poe (in un racconto ispirato al libro di Manzoni) e Camus (in La peste). La consuetudine di sposarsi
tra fratelli nelle famiglie reali ha antecedenti nei popoli antichi (in Egitto i Faraoni). L’usanza di tenere ostaggi a corte e quella di
“provare” la propria innocenza combattendo in “singolar tenzone”o facendo impegnare un altro consenziente in un duello sono
realmente esistite in passato (nel Medioevo). Il ruolo decisivo svolto dallo spionaggio facente capo a Varys e la sua enorme
estensione possono essere inquadrati con conoscenze storiche precise, come quelle raccoglibili almeno dai seguenti libri: Annali
(Tacito); Il re sole (Simon); Memorie d'oltretomba (Chateaubriand); La scuola dei dittatori (Silone); Buio a mezzogiorno (Koestler);
Wikipedia e le pagine di Il taccuino d'oro (Lessing) su meccartismo e stalinismo; I persuasori occulti (Packard); notizie online sulle
schedature dei dipendenti delle aziende o al limite il capitolo relativo di Non ho parole (Goldoni). É un fatto accertato anche la
pratica di trasformare uomini in eunuchi. La "passeggiata" di espiazione di Cersei trova un corrispettivo in pratiche del passato
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(avendone tempo, mi piacerebbe verificare se fu un avvenimento realmente accaduto anche quella della duchessa di Gloucester
Eleonora all'epoca della guerra delle Due Rose di Enrico VI – parte seconda – di Shakespeare). Riguardo alla vicenda di Robb,
considerate che le conseguenze della rottura del fidanzamento tra figli o fratelli delle famiglie regnanti in Stati che avessero deciso di
cementare così un’alleanza sono state spesso in passato effettivamente gravi (un esempio noto è la rottura tra Riccardo Cuor di Leone
e Filippo Augusto, la cui sorella fu rifiutata dal primo dopo che il fidanzamento era già ufficiale: le conseguenze per le guerre di
Riccardo in Oriente furono di un certo peso, perché egli già non aveva molti alleati e questi non erano uniti, come nel caso di Robb;
se i drammi storici di Shakespeare sulla guerra delle Due Rose sono attendibili, ve ne potete trovare un altro esempio nella vicenda
del futuro Edoardo IV descritta nella terza parte di Enrico VI). Il banchetto-tranello in cui muore Robb con i suoi soldati e parenti non
è un’invenzione priva di realismo e posso rimandarvi almeno a un episodio simile tratto dalla storia degli Unni (Wikipedia riporta
questo e altro di Attila!) e a un tentativo analogo nella storia dei Mongoli (rimando a Wikipedia sull’impero mongolico), mentre un
video su You Tube incentrato sulla saga cita episodi simili della storia scozzese, se non sbaglio, a cui Martin sembra essersi ispirato
anche per l'episodio della morte di Joffry. Le armi e il modo di schierarsi in formazioni in guerra degli Immacolati e anche la prassi
di organizzare combattimenti mortali tra belve feroci e persone (e non solo uomini!) si rifanno di certo almeno agli antichi Romani e
Greci: in proposito leggete le note a Annali di Tacito e a L’Asino d’oro di Apuleio oppure Wikipedia e sfogliate Quo Vadis?, un’opera
letteraria che ha per base molti studi storici e che in alcune descrizioni di massacri richiama moltissimo certe scene rappresentate da
Martin. Credo che il fuoco resistente all'acqua sia effettivamente stato usato in guerra (informatevi sul colore del fuoco associato alle
armi al fosforo o ad armi simili); tuttavia posso ricordare anche che Walter Scott ha scritto in una nota a Ivanhoe di un “fuoco greco”,
un materiale combustibile impiegato un tempo per incendiare le navi nemiche. Riguardo alla pugnalata al cuore che viene calata,
invocata o meno, sui feriti detta “Misericordia”, in una nota a Ivanhoe Walter Scott scrisse che è davvero esistito qualcosa di simile (è
il pugnale che veniva chiamato così in tali frangenti). Potete confrontare quanto si dice delle spade magiche con la leggenda sulla
“Spada di Marte” del re unno Attila e con il culto religioso delle spade di certi popoli nomadi antichi (rimando a Wikipedia). I
Dothraki ricordano per molti aspetti i Mongoli (Wikipedia ne spiega usanze e vicende in dettaglio) e per alcune usanze Spartani e
altri popoli antichi e forse anche alcune tribù degli gli Indiani d’America. In Le mille e una notte la violenza fisica e soprattutto
quella verbale sono davvero molto simili a quelle descritte in questa saga e queste celebri novelle orientali rispecchiano abbastanza
fedelmente la realtà dei paesi dove si svolgono le vicende narratevi, al di là ovviamente dei riferimenti alla magia. L’esattezza dei
riferimenti di Martin a tradizioni e pratiche orientali è confermata da tutti i romanzi la cui vicenda si svolge anche in Oriente (l’uso
dei veleni, l’arte e il gusto dei travestimenti si ritrovano in libri come Il conte di Montecristo di Dumas e Il talismano di Scott). Anche
il grande disprezzo per i nani e il divertirsi a loro spese è ricalcato su vicende del passato: addirittura fino all’epoca rinascimentale si
conservò la pratica di far crescere in gabbie persone normali per arrestarne e distorcerne la crescita e poi esibirle a chiunque avesse il
gusto dello strano e del mostruoso, mentre in diversi romanzi ambientati nel Medioevo si trovano strani nani a corte trattati quasi
come giullari oltre che come servi (ad esempio in Il talismano di Scott il nano è brutto, deforme e dagli occhi scaltri e inquietanti
come Tyron, sebbene, a differenza di quest’ultimo, sia pazzo). La presenza a corte dei nani indipendentemente da deformità e
demenza è attestata comunque e si sa che essi vi servivano spesso (già in Re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda e poi altrove – ad
esempio in Il talismano – quest’uso è confermato in più punti). Anche le dicerie sull'iniquità e la lussuria dei figli illegittimi erano
davvero comuni in passato e infatti non sono pochi i libri che vi accennano (il primo che mi viene in mente è Re Lear di Shakespeare,
nota tragedia incentrata sul rapporto padre-figlio). Il carattere per secoli nomade e libero della vita dei popoli vicino al Polo come i
Lapponi (o meglio Sami) rispecchia quello dei Bruti. La grande intolleranza degli adoratori del nuovo e “unico” dio e la loro esaltata
energia nel far proseliti trovano riscontro nell’atteggiamento molto simile dei primi cristiani e nel loro progressivo imporsi
sanguinoso, una volta ottenuto l’appoggio dei regnanti e poi potere politico e militare (la somiglianza della concezione religiosa di
questi adoratori del Dio della luce con i seguaci di Plotino e con i manichei è molto meno rilevante di questi aspetti, sui quali potete
informarvi leggendo alcuni scritti di Voltaire e Nietzsche, le pagine Wikipedia sugli imperatori romani Diocleziano, Giustiniano e
Costantino, articoli recenti di studiosi o monaci come quelli di Fonte Avellana online e varie fonti sull'attività dei missionari a danno
dei Lapponi e di altri popoli nordici). Una cometa rossa era davvero considerata malaugurante dall’antica astrologia, una scienza che
è ancora oggi valida, per quanto bistrattata e spesso banalizzata, ma che un tempo era molto più precisa grazie a calcoli andati
perduti: la considerazione di cui l’astrologia godeva aveva conseguenze positive e negative sulla qualità e sull’abbondanza dei
“segni” interpretati (alla cometa rossa presagio di morte si accenna ad esempio in Uccelli da preda di Wilbur Smith). Da un punto di
vista storico il potere dei “veri” nomi è comprensibile leggendo gli scritti in proposito di chi ha studiato le culture primitive (ad
esempio Jung, Freud, De Beauvoir), perché da tempi immemorabili al nome è stato attribuito un potere magico, per via dell’effettivo
potere che concetti e nomi hanno di mettere ordine, chiarire dubbi e calmare paure. Per chiudere, una curiosità a proposito e in parte a
conferma di quanto ho già scritto del rapporto con i cattivi odori di Reek e Ramsey : se i Ra’zac di Paolini sono definiti quali esseri
abitanti un tempo la luna, ciò probabilmente riprende un aneddoto riportato da Jules Verne riguardante la "notizia", apparsa su un
giornale ottocentesco e da alcuni contemporanei creduta, che esseri enormi con ali di pipistrello erano stati avvistati sulla luna con un
potente cannocchiale.
IL SIGNORE DEGLI ANELLI (Tolkien)
Bisogna innanzitutto consiederare che il libro è stato scritto poco dopo la seconda guerra mondiale, le cui vicende sono state
plasmate da un narcisismo estremo, delirante, avido. Scrivendo del nazismo e della sua prigionia in un lager, Primo Levi definì il
bisogno di prestigio come un'aspirazione ineliminabile della mente umana. Tolkien esprime il suo dissenso a questa mentalità prima
di tutto con la creazione della compagnia dell'anello, che è multiraziale e unita da amicizia, anche se a trasmettere in modo esplicito
il messaggio di Tolkien non è un suo componente ma Faramir: la guerra serve a portare la pace (benessere, ma anche cultura e
bellezza), ma non va ricercata e amata in se stessa e per il prestigio che essa può procurare. É tale la fede di Faramir, che pure per
razza e discendenza è il più vicino a noi di tutti coloro che accompagnano Frodo con la sola eccezione del fratello e che inoltre
dimostra di non essere abituato a ragionare prescindendo del tutto dalla comune sete di prestigio (conosciuta l'intraprendenza di Sam,
se ne stupisce e non sa evitare una domanda a Frodo circa la considerazione di cui godono i giardinieri come Sam tra la sua gente).
Sono in linea con la nobiltà e la mancanza di vanità o sfrenata ambizione di Faramir molti degli aspetti di seguito elencati, che sono
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forse gli elementi più originali del libro: l'invenzione degli Hobbit (esseri simili agli uomini forse in tutto eccetto che nell'ossessione
per il prestigio personale); la scelta del ridicolo nome Pungolo per la spada dei coraggiosi Bilbo e Frodo; il fatto che sia Sam che
Aragorn e i suoi guerrieri siano paragonati a dei cani mentre valorosamente combattono gli Orchi; il fatto che Sam e Frodo perfino
nei pressi di Mordor definiscano il loro rapporto quello di padrone e servitore (Frodo è padrone, anche se non di schiavi come
Sauron); l'abitudine di Sam – fastidiosa in genere per il lettore fino alle ultime pagine – di rivolgersi sempre a frodo antecedendo un
rispettoso "signor" che sembra contraddire, non solo l'intimità raggiunta tra loro nel corso del viaggio, ma anche l'abilità e
l'autonomia decisionale sempre maggiori di Sam (l'unica eccezione – le sole tre occasioni in cui Sam chiama il compagno
semplicemente "Frodo" – sono momenti intensi come quando lo crede morto o quando Frodo è sull'orlo della voragine di fuoco e
l'urgenza della situazione e l'ansia lo sconvolgono).
L'evoluzione del rapporto tra Frodo e Sam è però certa ed è forse questa a meglio esprimere il valore che possono assumere rapporti
e imprese quando la vanità è assopita e il narcisismo è ridotto al minimo. L'insieme di reciproche scoperte e di cambiamenti nel
relazionarsi di Frodo a Sam viene descritto in pagine che probabilmente sono tra le più belle del libro, perciò mi è impossibile farne
una sintesi adeguata, sebbene il paragrafo seguente possa darne un'idea: inizialmente si dice che il signor Frodo prova grande affetto
soprattutto per Bilbo e Gandalf e che inoltre ha per amici in particolare due Hobbit che nel corso del libro vengono a volte presentati
da Frodo come il signor Tuc e il signor Brandibuck ma non Sam che viene sì trattato come un amico ma non davvero considerato tale
(è il giardiniere per Frodo, che non lo conosce affatto bene e lo presenta e spesso chiama tra sè semplicemente "Samvise Gamgee");
fin dalle prime tappe del viaggio, Frodo scopre che in Sam vi è più di quanto pensasse e superficialmente appaia (in effetti si tratta di
un personaggio gradualmente e bene delineato e anche complesso, nonostante che la sua mente venga definita dall'autore una "mente
semplice"); dopo l'influenza che la prima breve ospitalità degli elfi nella radura ha su entrambi, Frodo si scopre felice che Gandal
abbia scelto come suo compagno Sam anzichè Pipino o Marry; quando rimangono isolati dagli altri componenti della compagnia
dell'anello, Frodo rivolgendosi a Sam dice: "Samvise Gamgee, mio caro Hobbit...anzi Sam, mio più caro Hobbit, mio adorato
amico", come in seguito ripeterà aggiungendo e ripetendo "mio unico amico"(di nuovo tutto è giocato sul nome, come quando Frodo
viene avvelenato da Shelob e sembra a Sam ormai morto); quando scopre che cosa Sam ha saputo fare per salvare entrambi da
Smeagol,da Shelob, dai guardiani del cancello e dagli Orchi della torre, Frodo gli dà la sua spada elfica con una motivazione che
appare subito al lettore sensibile in parte un pretesto e dimostra di esserlo davvero quando in seguito Frodo chiede all'amico di
tenerla mentre vengono onorati come vincitori dai compagni infine riuniti. L'apparente o parziale ritorno finale allo stato iniziale con
la riunione di Frodo a Bilbo e Gandalf e la sua separazione forse non definitiva ma lunga da Sam in realtà sottolineano ancor più il
cambiamento avvenuto in entrambi e la profondità della loro amicizia resi possibili dalla presenza in ciascuno di loro di ciò che serve
ad una evoluzione individuale, a quel tipo di maturazione personale che moltissime persone non raggiungono mai: Frodo e Sam non
difettano della disponibilità all'onestà nel pensiero, nelle parole, nelle azioni e pertanto possono crescere davvero.
Il libro è infatti principalmente un romanzo di formazione come sono tutti o quasi tutti i libri fantasy ed è anzi la trasposizione di ciò
nella forma a dare all'ultima parte della saga quel carattere angoscioso e "adulto" che si pone in contrasto con la prima e conferisce
grandezza all'amicizia e all'eroismo dei protagonisti della guerra contro Sauron: il ragno/demone Shelob è davvero inquietante e un
incontro pesante per il lettore avvolto già da tempo in un'atmosfera deprimente, creata da infiniti dettagli tormentosi, e la violenza
verbale di Saruman nel suo dialogo con Vermilinguo, che non a caso si trova nelle ultime pagine, si potrebbe credere più adatta a
quei libri che fin dall'inizio si rivolgono chiaramente a lettori adulti (è evidente che Tolkien ha voluto esaltare questi episodi
mediante tutte le sue arti di scrittore quanto si era moderato nel rappresentare nella prima parte del viaggio gli incontri, in fondo
altrettanto pericolosi, con alcuni dei Nove Spettri di Sauron, con il Grande Salice e con gli Spettri dei Tumuli).
L'eroismo e la natura ideale di molti dei protagonisti può a volte infastidire il lettore che ha esperienza e sa cosa in realtà si può
aspettarsi dagli altri e in genere si può e non si può chiedere, almeno con qualche speranza fondata, perfino al più caro amico o al
partner e naturalmente ai parenti; tuttavia il carattere archetipico dei personaggi (rimando agli scritti di C. G.Jung), alcune finezze
psicologiche, il valore emblematico della vicenda narrata e l'abilità come scrittore di Tolkien sono tali da poter affascinare anche
alcuni dei lettori con meno inclinazione per questo tipo di letteratura. Il ruolo e il carattere di Sam lo rendono più simpatico di Frodo
ai suoi paesani e probabilmente a molti lettori, ma è ovvio che Frodo – portatore dell'anello, col suo crescente peso, per quasi tutto il
percorso – non è da meno del compagno e forse ne è davvero anche migliore come Bilbo, Gandalf e Faramir lo stimano; in ogni caso
può apparire confermata la previsione che Gandalf, dopo che Frodo è stato ferito dalla lama di uno dei Nove, fa su ciò che questo
eroico mezzuomo sarebbe forse diventato ("come un bicchiere empito di limpida luce, visibile agli occhi meritevoli"). É bello
comunque anche che Sam conquisti la stima del lettore per meriti non poco diversificati e che, se Frodo viene da Faramir dichiarato
senza mezzi termini più intelligente di Sam, in fondo Frodo rispetto al compagno dimostri soprattutto di saper trovare più spesso le
parole, tacerne altre e comprendere meglio il desiderio altrui dell'anello fino a che è il solo a portarlo: la mente di Sam, definita "lenta
ma scaltra", si dimostra non solo tale, ma anche capace di iniziativa e spesso tenace e perspicace con l'aiuto della sensibilità e della
capacità affettiva; inoltre non sempre le parole difettano a Sam, che sceglie bene in due occasioni quelle per descrivere le impressioni
lasciate in lui dagli elfi e dalla dama elfica; a Sam manca, in particolare all'inizio della vicenda, il fascino che a Frodo conferisce la
sua inquietudine, ma Sam in parte acquista anche questo dopo che il suo primo incontro con gli elfi gli lascia la strana e indefinita
convinzione di avere un compito da assolvere nel futuro e dopo aver compreso nel finale il duro e pietoso destino di Gollum. Sam e
Frodo eguagliano Aragorn nel celare in sè qualcosa di grande e nel realizzarlo.
La scalata della montagna è un noto simbolo di ascesa e sviluppo spirituali tra fasi determinate.
A proposito dell'inquietudine e della trasformazione di molti dei personaggi bisogna forse riflettere sul fatto che comunemente
l'inquietudine interiore è l'espressione di una vocazione nel senso di una specie di sottile o inconscia intuizione di non stare vivendo
in modo abbastanza fedele a se stessi e di dover agire in modo più corrispondente alla parte più vera di sé oppure porta ad
un'evoluzione prossima della personalità, ad un lavoro creativo o alla necessaria ripresa di compiti trascurati: si tratta in fondo di
qualcosa di simile a quella sorta di richiamo che nella contea spinge un Frodo ancora inconsapevole a raggiungere e superare i
confini e le solite strade. Questo sempre meno vago proposito di vivere perchè si pensa di dover realizzare qualcosa di cui non si
scorge ancora bene il profilo può far pensare un po' alla espressione, ripetuta nel libro, "eventi al di là della gioia e della tristezza",
perchè, Frodo e, nell'ultima parte dell'ascesa al monte Fato, anche Sam non sperano davvero nella riuscita della loro impresa e non
fanno quanto fanno per essere felici, nè alla sua conclusione lo sono del tutto (Sam piange e ride allo stesso tempo quando il suo
progetto e il suo sogno si realizzano e il viaggio al di là del mare di Frodo, non guarito, può trasmettere non poca malinconia). Non è
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un caso che all'inizio del viaggio a Sam gli elfi sembrino "felici e tristi" e "al di sopra di ciò che piace e non piace" e alla fine del
viaggio egli si ritrovi a piangere e a ridere.
Questo concetto di un agire e di un traguardo al di là della gioia come della tristezza è, secondo me,comprensibile da alcuni individui
reduci da un trauma o bloccati per anni nell'espressione di sè da una seria nevrosi nata nell'infanzia, o meglio credo che questo tipo
di persone possa comprendere bene tutto ciò appena si offra loro qualche possibilità di superare la loro paralisi pur tra innumerevoli e
grandi ostacoli, perchè non di rado in casi simili sorge un tipo di determinazione che la lunga e profonda sofferenza, l'odio di molti o
la scarsità di prospettive di successo non possono abbattere, ma credo che queste non siano questioni da porre a chi vive per
accumulare (e non intendo certo solo denaro o immobili) e quindi alla grande massa di persone dominate, per dirla come Erich
Fromm, dall'impulso di avere e non di essere: la maggioranza non sembra in grado di concepire che si possa volere qualcosa ancora
più che la felicità e non sembra poter accettare l'idea di veri e propri rinuncie e sacrifici se non in sporadici sogni su altri, secondo le
aspettative infantili e le egoistiche pretese sul prossimo che emergono nei discorsi o negli atteggiamenti di molti... E ciò affermo pur
sapendo che i tre film girati su questa saga sono stati, come si sul dire, campioni di incassi in tutto il mondo.
Credo che la maggior parte delle persone possa invece approvare che Tolkien abbia deciso di stemperare nel finale l'angoscia
terribile di molte pagine della sua fantasia e della nostra Storia e il pathos della vicenda e di ciò di cui essa è emblema, ma ciò è
proprio ciò che probabilmente non approva affatto un lettore davvero onesto quanto sensibile: non tutti potrebbero perdonare a se
stessi di concepire il dolore eccessivo come redimibile e riscattabile in questa vita o nell'indefinito Aldilà sognato da Tolkien... Si
deve però considerare che, sebbene Tolkien sia definito cristiano ed esaltato in genere dai cristiani che apprezzano la fantasy, il suo
credo non corrispondeva alla teoria cattolica di un dio unico e onnipotente che accetta il male (ciò perché desidera che vi sia libertà,
anche se è difficile scorgerne in realtà più che brandelli): Tolkien nel suo saggio Albero e foglia sostiene che esiste invece una
continua lotta tra forze del bene e forze del male e che Dio non può distruggere il male, proprio come in questo romanzo insiste nello
specificare che gli elfi non possono distruggere le opere di Saruman (possono solo creare a propria volta e favorire lente guarigioni
in certe condizioni e la possibilità di trarre bene dal male) e più volte ribadisce che la volontà di Saruman di accettare il male a fin di
bene lo rende un ibrido indegno di fede e rispetto. Non si tratta in fondo che della rappresentazione simbolica della verità psicologica
che non si può mai tornare indietro e riavere ciò che si è perduto, ma solo cercare di cambiare, adattarsi e trarre dei vantaggi dai
dolorosi eventi senza però rinunciare alla coscienza per non avvelenare alla radice la propria opera di rinascita; e non porta ai dogmi
cattolici il trasporre su un piano metafisico questa verità psicologica. Ammirevole senza dubbio è però la grazia artistica con cui
questa leggerezza è ottenuta e la trasfigurazione della tortura viene fatta, perchè è notevole che il canto con cui il cantastorie esalta
Sam sul trono dell'eroe al ritorno da Mordor ricordi i fuochi di artificio di Gandalf descritti all'inizio del libro, che quei fuochi magici
vengano ricordati in qualche modo almeno al lettore di buona memoria, che perciò tornerà a rileggerli e noterà allora che essi
avevano tracciato nel cielo figure rappresentanti alcune delle vicende più significative del libro: il canto degli elfi nella radura e nella
casa di Elrond (uccelli dal dolce canto); la primavera fatata,gli elanor, le lanterne, le stelle e la barca di Lothlorien (una primavera
sbocciata in un attimo, farfalle tra gli alberi, sfavillanti fiori, falangi di cigni); il Re dei Venti (aquile); l'impresa per mare di Aragorn
e forse le emigrazioni verso l'ovest al di là del mare (navi); gli incantesimi con cui Gandalf combatte (tempeste rosse); gli eserciti e
forse la marcia degli Ent (foresta di lance); il monte Fato (montagna dalla cima incandescente); gli alleati di Sauron e il suo anello
del potere (il drago); il terremoto sul monte Fato dopo la distruzione dell'anello (lo scoppio assordante del drago); la maturazione
degli Hobbit e il regno di Aragorn (il pranzo) e il recarsi infine di Frodo e Bilbo e dei portatori degli elfici anelli magici in una terra
bella come i sogni (lo speciale pranzo di famiglia).
Per chiudere un accenno al personaggio di Gollum: lo strano interesse che Gollum ha sempre avuto per le "origini" fa da contrappeso
a quello di Faramir per la storia della civiltà e alla fede di Tolkien negli alti fini della Provvidenza divina, oltre a far pensare al
percorso fatto dalla scienza dell'epoca che ha prodotto la bomba atomica (un'arma che sfrutta appunto l'energia delle origini, ovvero
degli atomi); bisogna anche considerare, a proposito di Gollum, che l'ostracismo deciso da sua nonna e dalla comunità appare
ingiusto sia di per sé (chi resisterebbe alla tentazione di spiare un po' gli altri e di approfittarsi delle scoperte fatte? E il primo suo
omicidio è un'azione impulsiva e che attesta che egli era capace di amicizia), ma anche per le conseguenze deleterie per tutti (presso i
primitivi, i cui riti e miti attestano una conoscenza dell'inconscio migliore di quella di molti di noi, l'ostracismo era considerato così
grave da attirare sulla comunità che lo praticasse gli spiriti maligni e quindi terremoti, alluvioni, epidemie, ecc. e in ogni epoca si
sono riscontrate strane corrispondenze nei fatti, oltre che nella narrativa, con questa credenza, quasi fosse qualcosa di più che la
trasposizione simbolica di un'intuizione vera). In ogni caso da sempre si è scritto molto sul tema dell'ostracismo: i saggi e le opere
letterarie migliori su questa pratica sempre attuale quanto barbara sono testi imprescindibili.
Chi poi desideri comprendere anche meglio questo classico della fantasy dovrebbe tener presente che i parallelismi lessicali
all'interno del libro sono i mezzi forse più utilizzati dall'autore per esprimere i messaggi più importanti e considerare almeno come il
tema dell'invisibilità proprio con questo semplice mezzo retorico viene fin dall'inizio delineato nei due aspetti contrapposti che il
segreto, la fuga e la menzogna possono avere: Bilbo si allontana da casa per lo stesso sentiero di Frodo ed entrambi senza rumore
"come un fruscio sull'erba" si avviano l'uno a trovare, l'altro a distruggere l'anello del potere che può renderli invisibili; il cappello
che Sam indossa mentre si avvia con Frodo lontano dalla contea lo fa "rassomigliare molto a un nano" ovvero a uno degli
accompagnatori del grande viaggio di Bilbo ed è una sorta di investitura (il copricapo conferisce dignità professionale, regale, ecc.);
la compagnia degli hobbit, grazie al loro abituale rispetto per la natura, si inoltra nei campi così silenziosa da risultare invisibile
come se i componenti fossero "muniti ognuno di un anello magico"; quando, avendo deciso di lasciare gli amici per proteggerli,
Frodo scopre che il "suo" segreto non era per loro tale, li apostrofa proprio con la stessa espressione usata da Gollum quando
pretende l'anello trovato dall'amico hobbit e lo uccide ("amico caro"/amici cari").
Come nelle poesie di Ossian, le azioni eroiche sono descritte con similitudini che richiamano la lotta tra le forze della natura e in
particolare tra luce e ombra. Poiché il tema dell'invisibilità è centrale lo sono quelli dell'ombra e della luce, delle cui immagini il
libro è così percorso che sarebbe assurdo farne un elenco: la contrapposizione principale ovviamente è tra "la vera luce del giorno" e
"della consapevolezza" di sé e dei propri limiti da una parte e il brillare dell'oro e delle illusioni del potere dall'altra, contrasto che
viene delineato a partire dalla descrizione delle ricche tombe di Tumulilande. Il pericolo è però additato anche nella luce mistica o
proveniente dai ricordi d'infanzia o dal sogno, poichè nel viaggio necessario alla maturazione e alla junghiana individuazione non
sono possibili che brevi soste e il bisogno di pace e conoscenza va quindi controllato: è questo il significato delle nebbie insidiose del
sonno pressio il malvagio salice e in prossimità dei tumuli, ma anche, in parte, dello scavare troppo a fondo a Moria l'argento
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(l'argento vivo della spiritualità e dell'intelletto) commerciati con gli alti elfi dai nani (messaggeri tradizionali tra mondo interiore e
mondo esteriore) e delle ardite e solitarie speculazioni di Saruman, del re di Gondor e in fondo anche di Gollum. Lapis invisibilitatis
nell'alchimia indica l'impossibilità di conoscere i confini della psiche individuale, perchè la sua parte inconscia ha radici
nell'inconoscuibile inconscio collettivo: un messaggio implicito è che la concretizzazione di ciò che si è appreso e la rassegnazione a
ridimensionarsi e a non ambire a conoscere ciò cui nessuno è destinato o che è troppo pericoloso è l'unico atteggiamento equilibrato.
La terra magicamente fertile che Sam porta con sé ha il suo esatto corrispettivo in quella detta antimonio, che Adamo portò dal
paradiso con sé nel mito biblico.
IL CICLO DELL’EREDITÀ (Paolini)
* Questa saga è poco apprezzabile secondo me, soprattutto dal secondo libro compreso, ma i simboli in essa impiegati si prestano
molto bene all'analisi e all'interpretazione dei contenuti della fantasy in chiave psicologica.
Ci sono molte cose da considerare e vorrei elencarne alcune. Quanto ai TRATTI COMUNI AL GENERE, bisogna osservare
innanzitutto che la cicatrice sul palmo e soprattutto quella alla schiena di Eragon sono attributi di quasi tutti gli eroi fantasy (vedete
le cicatrici provocate all’inizio del destino degli eroi e/o a metà del loro cammino nei libri di Tolkien, Ende, Pullman e Rowling). Il
fallimento di Eragon con la cerva, che dà inizio al cambiamento nella sua vita nei primi capitoli è quello di Atreiu con il bisonte in
La storia infinita e probabilmente esistono corrispondenze con altri libri del genere fantasy, sebbene l’inizio di questo primo libro
della saga nell’insieme è soprattutto un omaggio al Ciclo di Shannara. La morte del compagno – in questo caso Brom – e
l’allontanamento del cavallo (Fiammabianca) sono eventi tipici nella vicenda dell’eroe e rappresentano la tappa della perdita di
istintualità e vitalità naturale, come sacrificio necessario a far emergere come guida la parte di sé spirituale e consapevole, che è
rappresentata spesso dal drago cavalcato (così Atreiu perde il cavallo in La storia infinita; così Nihal perde il padre e Fen in Le
cronache del mondo emerso; così Will, Lyra e i loro amici abbandonano casa, mondo e daimon in Queste materie oscure). La
meschinità delle origini di Eragon e il suo aspetto mediocre è nei miti un motivo frequente che va collegato, come il destino un po’
ridicolo di Brom e probabilmente anche la morte per tradimento dell’eroe un tempo a capo degli altri cavalieri, al fatto che la forza
creativa non si manifesta in tutti e il lavoro creativo è per certi versi straordinario ma si svolge ed è celato nell’interiorità (luogo
interno, non appariscente e misero per gli osservatori esterni) ed è un processo molto fragile (è avversato naturalmente dall’inconscio
geloso ed esposto a mille condizioni ambientali per il suo avviarsi e ancor più per la sua riuscita): per i termini di paragone
nell’ambito della fantasy che mi vengono in mente rimando a ciò che ho scritto più sotto a proposito dell’aspetto e delle infanzie
miseri di molti dei personaggi principali di Martin. La maledizione e l’età di Elva e soprattutto la malattia di Oromis, oltre che a
questo, rimandano probabilmente al fatto che lo “Spirito” - o l’inconscio stesso – non è né bene né male, ma resta ambiguo anche
quando è positivo (incarnato nell’archetipo del “vecchio saggio”) e anzi sembra quasi contribuire a provocare cicatrici dolorose che
spingano a immettersi in certi percorsi di maturazione oppure provoca dolore ed eccessivi e pericolosi sforzi da cui solo a volte
emergono conseguenze positive (rimando a Lo spirito nella fiaba in Archetipi e inconscio collettivo di Jung, un capitolo in cui
peraltro si dà una spiegazione ulteriore delle dimensioni insignificanti o piccolissime di molti personaggi nel mito, nella fiaba e nel
sogno che ho più sotto collegato alla meschinità vera o apparente di origini o di tratti di molti eroi e loro alleati: l’inconscio non è
solo umano e perciò le dimensioni antropomorfe non hanno senso per esso e tutto ciò che è minuscolo o gigantesco è ammesso
quanto quello che è proporzionato alle dimensioni umane). Se volete, approfondite questo aspetto della meschinità dei tratti di certi
eroi e oggetti utili eggendo quanto riportato più sotto su Bran, Tyron, i giganti e altri personaggi del Trono di spade (Martin) e
sfogliando Simboli della trasformazione, i capitoli sull’archetipo del “fanciullo” in Archetipi e inconscio collettivo (Jung) e la mia
analisi di Il cannocchiale d’ambra (Pullman) e forse anche la mia analisi di Lord Jim (Conrad) più sotto. Nella trasformazione di
Eragon le due gemelle diverse nel colore dei capelli sembrano avere un ruolo particolare in quanto tali, perché in Archetipi e
inconscio collettivo Jung spiega come in momenti decisivi, in cui si sta per apprendere qualcosa di sé e si sta per prendere una
decisione importante, càpita di sognare duplicazioni in cui le due parti sono diverse in poco, a significare che il contenuto nuovo non
è univoco perché è in parte ancora inconscio. Nello stesso capitolo Jung spiega anche come la possibilità di anticipare il futuro
(come accade a Eragon) nei sogni non sia un’invenzione popolare ma un evento probabilmente possibile in certi momenti particolari
della vita e ciò a causa della legge della sincronicità (la stessa che spiega la validità dell’astrologia almeno quando si tratti di carta
natale e non di oroscopo!). La malattia del maestro elfo di Eragon mi ricorda la deformità che costringe Tyron, il nano di Il trono di
spade di Martin a zoppicare: lo zoppo è, come spiega De Mari, un archetipo antico giunto a noi (es. Dumbo della Disney) e ha tra i
suoi antichi rappresentanti Achille, Edipo e Giasone, mentre fa pensare agli sciamani; solo chi ha sofferto può curare e zoppica nel
parlare chi parla anche la lingua del mondo superiore, dello spirito, dei morti. Da Il signore degli anelli provengono le cavalcature
dei Razac, gli spettri, l'aspetto sempre giovane e l'aria matura degli elfi, la loro bellezza, le loro abitazioni sugli alberi, la loro veglia
costante, i loro cavalli sicuri, il loro canto ,la loro voce, le loro spade che non si macchiano nè spezzano. Da Le cronache del
ghiaccio e del fuoco vengono molti dettagli, come la spada che prende fuoco (che proviene anche dall’Edda di Sturluson, dove è la
spada di Surtr nel mito degli inizi e della fine del mondo), i capelli d’argento, gli occhi viola, il nome Arya, il fuoco verde, il corvo
bianco, le ampolle che incendiano, i “Figli della foresta” e forse altri ancora. Le cavalcature dei Ra'zac (esseri provenienti dalla
Luna) ricordano negli aspetto gli enormi esseri con ali da pipistrello che nell''800 un uomo scrisse su un giornale di aver osservato
sulla Luna con un potente cannocchiale (notizia riportata in un libro di Verne). Il fatto che Eragon rinunci infine anche all’amore di
Arya per proseguire è un motivo presente in alcuni altri miti: una delle funzioni principali dei miti è sempre stata quella di far
comprendere ad ascoltatori e lettori che non è possibile imitare in tutto gli eroi delle nostre fantasie consce e inconsce, perché gli
uomini non sono eroi e non possono rinunciare a tutto nè proseguire indefinitamente nella loro ricerca. Per capire il rapporto tra
Eragorn e il cugino e la differenza tra i loro due percorsi, bisogna considerare quindi anche questa antica funzione pedagogica del
mito di favorire la disidentificazione dalle spontanee infinite ed esaltanti elaborazioni mitologiche inconsce in nome delle umane
esigenze di compromesso e stabilità (rimando a quanto ne scrisse Jung). Solembum in parte fa parte della categoria degli animali
soccorritori tipica di fiabe e miti e descritta in Simboli della trasformazione di Jung (è sempre dal gatto mannaro Solembum che
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viene il potere, la spada e anche i cuori e le uova di drago). . Ci sono probabilmente RIFERIMENTI AD ALTRI NOTI CLASSICI
PER RAGAZZI, infatti la colazione di Roran in luogo esposto ai nemici fa pensare a quella analoga dei quattro protagonisti de I tre
moschettieri e l’incontro dei fratellastri nel primo libro ricorda, sotto molti aspetti, il primo viaggio di Raul e il conte di Guiche di
Vent’anni dopo (il seguito de I tre moschettieri). Dato che c’è già un riferimento a dei libri di Dumas, probabilmente una delle fonti
di ispirazione per la vicenda di Sloan è Il conte di Montecristo, perché il potere e il modo di fare giustizia del protagonista è tale da
far pensare a quelli di un dio proprio come accade per Eragon, nonostante la magia non faccia parte che dei mezzi di quest’ultimo.
L’aspetto dei Monti Beor e quello del mostro marino probabilmente sono ispirati a Viaggio al centro della terra, il classico per
ragazzi di Verne. PUÒ FORSE FAR COMPRENDERE MEGLIO L’ORIGINE DEL MITO DEGLI ELFI (il loro mondo è il sogno
più giovane dell’umanità ovviamente), farvi notare che il canto degli elfi è gioioso e favorisce l’accoppiamento degli animali e di
tutti gli esseri come il canto degli uccelli, ai quali assomigliano anche per la rapidità, la grazia, la possibilità di volare (attraverso i
draghi o la magia) e la “diversità” (rimando a Elogio degli uccelli in Operette morali di G. Leopardi, soprattutto per quanto riguarda
la funzione degli uccelli rispetto alla fertilità di tutto quanto è in natura). Nei libri di Tolkien la musica è all'origine del mondo,
secondo la mitologia celtica dell'altomedioevo. Gli elfi ovviamente sono anche simbolo della primavera fecondante (ogni primavera
è giovane e nuova e insieme antica come gli elfi), ma con un alone di mistero, perchè il mistero avvolge sempre l'inconscio. Per
quanto riguarda il loro aspetto esteriore magro e i loro lineamenti affilati e allungati, forse bisogna considerare che nei classici della
letteratura il sangue nobile, il sangue antico, conferisce di solito ai personggi un fisico snello e alto, dita lunghe e affusolate, ecc. La
vera lingua è anche in relazione con l'arte della scrittura. Non è un caso che Eragon sia figlio di un bardo e si scopra portato per lo
scrivere ed eloquente, perchè molti eroi fantasy diventano scrittori o almeno scrivono la loro vicenda (ad esempio Frodo, Bastiano,
Will e Sennar). La lingua degli elfi (la “vera” lingua, una smarrita lingua universale) ha qualcosa a che vedere innanzitutto con la
musica (l’arte umana sviluppatasi prima del linguaggio articolato secondo Darwin), con cui è possibile appunto comunicare con tutti
ma senza sapere bene come la comunicazione avvenga e senza prevederne gli esiti su individui diversi, come se si fosse smarrita la
chiave un tempo nota di questo linguaggio (col quale peraltro è possibile influenzare anche le piante); del resto, il ritmo ha rivestito
un’importanza fondamentale in tutte le culture primitive. Linguaggi universali dimenticati sono quello onirico (con simboli e schemi
precisi e ricorrenti anche se variabili in parte da individuo a individuo) e in generale quello delle leggi dell'inconscio (la sua
conoscenza non superficiale e efficace richiede davvero un lungo processo di apprendimento). Ma è più interessante osservare i
riferimenti alla storia e alla mitologia antiche! QUANTO AI RIFERIMENTI STORICI, segnalo che il potere dei “veri” nomi è
comprensibile leggendo gli scritti in proposito di chi ha studiato le culture primitive (ad esempio Jung, Freud, De Beauvoir), perché
da tempi immemorabili al nome è stato attribuito un potere magico, per via dell’effettivo potere che concetti e nomi hanno di mettere
ordine, chiarire dubbi e calmare paure (rimando anche a ciò che ho scritto sulla vera lingua e sul vero nome a proposito della saga di
Martin più sotto). L’aspetto fisico orientaleggiante degli elfi (zigomi alti, occhi a mandorla e corporatura snella) è in linea con il loro
gesto di saluto, perché il saluto dei Musulmani più tradizionale è molto simile (consiste infatti nel portare la mano al cuore e alla
bocca). Le case degli elfi invece ricordano la attuale moda di costruire alberghi e case sopraelevate o sugli alberi e le loro città
ricordano lo stile architettonico di F. L. Wright e la sua più celebre creazione (la casa sulla cascata o “Fallinfwater”). Potete
confrontare quanto si dice delle spade magiche con la leggenda sulla “Spada di Marte” del re unno Attila e con il culto religioso delle
spade di certi popoli nomadi antichi (rimando a Wikipedia). Gli Urgali mi ricordano un po’ i Germani descritti da Tacito per il loro
modo di vivere e combattere mantenendosi separati dalle altre tribù, la loro bellicosità, gli spostamenti rapidi a piedi, la prestanza
fisica e l’usanza di acquistare credito come uomini, moglie e seguito combattendo e uccidendo. Alcuni usi descritti degli Urgali come
quello di cuocere in sacche di pelle, ricalca pratiche dei popoli primitivi. L'ostracismo praticato dal clan dei Nani contro il nano che
aveva attentato alla vita di Eragon segue tecniche tipiche tra i popoli primitivi che, maledicendo un compagno, lo trasformavano
istantaneamente in un morto, in uno spettro (si fingeva di non vederlo e di non udirlo e ci si convinceva che in un certo senso era
davvero ormai morto grazie alla maledizione del suo spirito), così la vittima era spinta ad andarsene, il che comportava in genere la
sua morte nella foresta: a parte che ai saggi sull'argomento, rimando alla descrizione fattane in La figlia della terra di J. M. Auel, il
primo dei libri di una nota e lunga saga. I riti dell’Helgrind richiamano quelli che nell’antichità si riservavano alla dea Bellona
(sorella di Marte) oltre che a quelli dell’India e di altri culti barbari (ne parla ad esempio la Storia Augusta). Alcune imprese di Roran
riecheggiano la storia greca classica, come l’aver condotto tutto il villaggio via dal paese a combattere sulla nave e il furto della nave
stessa (rimando a Vite di Cornelio Nepote) o come l’episodio in cui egli accumula cadaveri per usarli come difesa da cui lanciare
dardi con cui abbatte molti nemici (rimando a La guerra gallica di Giulio Cesare, 2, 27). La crudeltà verso gli schiavi nei paesi dove
era ed è praticata la schiavitù è documentata. L'orribile e paralizzante odore delle cavalcature dei Ra'zac, come quello dei diversi
personaggi negativi nei libri fantasy si spiega in parte con l'analogia realmente esistente tra odori ed emozioni (la paura e
l'insicurezza anche umana puzzano in modo avvertibile da molti animali). Quanto alle FONTI MITOLOGICHE, segnalo che in
Simboli della trasformazione Jung spiega che il “vero nome” non è altro che la personalità e la sua energia psichica o, in altri termini,
l’”anima” e il suo potere magico o “libido” o “mana”. La potenza della libido (quindi dell’energia inconscia in genere e non solo
sessuale) è rappresentata ovviamente dalla spada infuocata (il fuoco consente la vita e la forma della spada è fallica) e anche dai
draghi, dalle bevande inebrianti, da una serie di simboli materni e cioè di nascita e rinascita (la caverna con i cuori e le uova di drago
e l’albero di Menoa e forse anche Saphira) e dalla danza elfica (battere il suolo col piede ha chiaro significato sessuale e cioè di
rigenerazione psichica). Il lungo capitolo dedicato alla fabbricazione della spada Brisingr mi ricorda quello dedicato alla riparazione
del coltello di Will nella saga di Pullman, il racconto della forgiatura della spada leggendaria di Azor Ahar in Il trono di spade di
Martin e i paragrafi di Simboli della trasformazione dedicati al ruolo paterno del fabbro e dell’artigiano in molti miti e fiabe e alla
spada di Siegmund e questo capitolo vuole probabilmente quindi significare che abbandonare definitivamente l’infanzia e acquisire il
potere è un lavoro lungo e faticoso (un lavoro che, per avere buon esito, deve assorbire tutta l’attenzione e le principali energie e non
solo una parte di esse come invece accade in chi è pavido e rigido per via di blocchi emotivi o transfert, di una nevrosi ancora troppo
difficile da superare o di conoscenze troppo limitate): si tratta di sviluppare e stabilizzare la propria personalità per impedirle di
cedere alle naturali tendenze alla fuga dalle responsabilità, ai desideri caotici, all’inerzia e a una troppo duratura introversione.
Riguardo alla spada magica rimando anche a ciò che ho scritto a proposito di Excalibur di Re Artù nel sottogruppo del genere
cavalleresco e quanto ho scritto più sopra sull’Edda. Il fatto che la “vera lingua” renda fra l’altro possibile comunicare con gli
animali fa pensare anche al potere acquisito da certi eroi mitici e all’anello del biblico Salomone, che rendeva capaci di comprendere
il linguaggio degli animali perché vi era impresso il vero nome di Dio. A proposito di anelli, l’anello che rende Roran invisibile fa
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pensare all’anello del potere di Tolkien, ma di anelli simili se ne trovano in diverse fiabe e leggende moderne e antiche (ad esempio è
tale l’anello del re Gige, antico regnante della Lidia), insieme ad altri strumenti analoghi (i mantelli elfici che si mimettizzano dei
componenti della compagnia dell'anello di Tolkien o il mantello dell'invisibilità di Harry Potter): ciò che rende invisibili è la
disponibilità a mentire quando serve a salvare verità definitive come la sacralità dlla vita (questa spiegazione non è mia , ma la
trovate nel saggio citato della De Mari al capitolo 9). La dragonessa Saphira invece vola, ruggisce e sputa fuoco come Thor, il dio
norvegese che strepita in cielo scagliando lampi e che incarna la potenza della natura e quella dell’inconscio, il loro potere di creare e
distruggere: Nihal, il cavaliere di drago in Le cronache del mondo emerso, ha un legame con un dio simile, essendo per metà
probabilmente Sagittario (segno legato al pianeta Giove) e venendo nel terzo libro attratta dalla statua di un dio rappresentato con
saette in mano, perciò forse ci sono corrispondenze al riguardo anche in altra letteratura fantasy. Saphira richiama Thor anche per
l’abitudine di bere molti barili di idromele, bevanda che trasmette coraggio e vitalità e a volte inebria fino alla follia., come la magia
e il liquore elfici, ma anche come certe risorse e ispirazioni messe realmente a disposizione dall’inconscio in alcuni frangenti della
vita. In Il drago come realtà De Mari riporta che tra le possibili interpretazioni del drago c’è quella del male, della guerra, delle armi,
ecc., ma anche quella dell’autorità paterna, che è combattuta dall’adolescente, perciò il fatto che nella letteratura fantasy recente
l’eroe a volte adotti un drago e combatta con esso fa pensare a un recente superamento della mentalità del Sessantotto (l’adolescente
rifiuta l’autorità paterna e supera il padre ma non lo disprezza più a priori). Per altri significati da attribuire ai draghi rimando al
citato Simboli della trasformazione. I Ra’zac (definiti come incubi e predatori del genere umano) rappresentano panico e
depressione, quando causano la paralisi del corpo e della mente: per questi effetti, potete leggere, tra i tanti esempi possibili, il passo
di Il processo di Kafka in cui K. non riesce ad andarsene dal tribunale, quello in cui non riesce a scrivere e quello in cui decide di
non recarsi in campagna con lo zio; oppure potete leggere il passo in cui i due protagonisti di 1984 di Orwell non cercano di scappare
quando è imminente la cattura. I Ra’zac possono essere accostati forse ai “Dissennatori” nella serie di Harry Potter, agli spettri di
Queste materie oscure (Pullman), al Lupo e al Nulla di La storia infinita (Ende) e forse ai cercatori dell’anello di Tolkien, anche se è
soprattutto Durza a richiamare questi servi di Sauron. L’episodio rievocato da Arya in cui il corvo acceca un nemico del padre e
ripetuto con il nemico di Roran è tratto da una leggenda celtica sulla dea della guerra, tradizione di cui narra per esempio Tito Livio.
Se Arya profuma di aghi di pino probabilmente non è un caso, dato che nella mitologia antica il pino era associato a Diana e alla
verginità e che Arya è o fa il possibile per apparire vergine ed è una donna indipendente, fiera e armata a suo agio nella natura
quanto l'antica dea della caccia. Cercate voi altri riferimenti, se volete: trovarli rende più interessante la lettura e chiarisce il senso
veicolato dai simboli.
IL CANNOCCHIALE D’AMBRA (Pullman) e LA STORIA INFINITA (Ende)
Citazione da I fratelli Karamazov (F. Dostoevskij), nei capitoli dedicati a Ivan, dove egli cita Schiller (pensate all'intensità di I
masnadieri) e fa riferimento a Milton, parlando del suo L'inquisitore e di ciò che l'ha spinto a scriverlo.
"Se morirà ciò che è cresciuto in te, allora diventerai indifferente alla vita e comincerai a odiarla (...) Tutto ciò che vive, tutto ciò che
è cresciuto in te resterà uno solo in virtù del contatto – legame con altri mondi misteriosi da cui Dio ha preso i semi (...)
Sulla terra tre poteri per soggiogare le coscienze: miracolo, mistero e autorità (...) Uomini ribelli come ragazzini (...) uomini ribelli
fieri di ribellarsi (...)
Eretici bruciavano ogni giorno a Siviglia (...)
All'inferno bruciavano quelli che continuavano a essere fieri (...)
Se non si può capire, è un mistero cui sottomettersi ciecamente a dispetto della coscienza".
Da questa citazione da I fratelli Karamazov emerge una corrispondenza tale con i temi e i simboli scelti da Pullman, che non credo
sia possibile ritenerla casuale.
Citazione da Buddha
"Non crediate semplicemente all'autorità dei vostri padri".
Sebbene molti buddisti non abbiano voluto seguire questo prezioso insegnamento di Buddha, esso rappresenta il simbolo delle forze
che contrastano tutto ciò che distorce o inibisce la riflessione imparziale e attenta. Il tema è molto attuale non solo a causa degli esiti
degli estremismi cattolici o islamici, ma perché in ogni campo si discute di far prevalere sul far riferimento alle tendenze di
un'autorità/luminare/leader/teoria la riflessione aperta basata su dati sperimentali e bibliografici, anche se a volte con esiti anche
molto negativi, arroganti e contraddittori (EBM in Medicina, Psicologia Sperimentale, Fisica e la tendenza a modificare la scuola,
almeno negli USA, sono alcuni esempi).
** PER I CAPITOLI DEI LIBRI DI JUNG CON CUI CONFRONTARE QUESTE MATERIE OSCURE E LA STORIA INFINITA
VEDI IL PRECEDENTE SCRITTO SULLA FANTASY
LYRA – EVA – LILITH – PROMETEO = SPERANZA – INDIPENDENZA (LA SPERANZA STA NEL FONDO DEL VASO DI
PANDORA DONATO
INGANNARLO, A PROMETEO).
LYRA
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TRA DUE MONDI
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APOLLO E ORFEO = ARTE (LIRA) = LETTERATURA (IL “GIUSTO MODO” DI ANDARE IN FANTÁSIA E IL
DIVENTARNE IMPERATORI IN LA STORIA INFINITA, ENDE)
PERSEO DAI SANDALI ALATI + MERCURIO COME DIVINITÀ DAI SANDALI ALATI = INTELLIGENZA, INVENTIVA,
FINZIONE DELL’ARTE (VEDI LE RIFLESSIONI SLLA LETTERATURA) + MERCURIO COME DIO MEDIATORE TRA
UOMINI E DEI E TRA INFERI E TERRA (VEDI RIFIUTO DELLA TRASCENDENZA E DELLA FEDE RELIGIOSA, TEMA
PRINCIPALE DI TUTTI E TRE I LIBRI DELLA SERIE) + MERCURIO COME PRINCIPIUM INDIVIDUATIONIS - ARTEFICE
DELLO SVILUPPO DELLA PERSONALITÁ- SECONDO IL RAPPORTO ESISTENTE TRA PSICOLOGIA E ALCHIMIA
(VEDI LA MATURAZIONE DI WILL E LYRA ADOLESCENTI) + MERCURIO COME DUPLICE ARTEFICE (AIUTANTE E
MEFISTOFELICO DISTRUTTORE) NELL’ALCHIMIA (PER IL VOLTO DIABOLICO DI MERCURIO VEDI COLTELLO DI
WILL E ARMI DELL’INQUISIZIONE) + MERCURIO COME DIO RAPPORTABILE A TOTH, IL DIO INVENTORE DEGLI
SCRITTORI DALLA TESTA DI IBIS (VEDI I DAIMON DI STREGHE E STREGONI E I PARAGRAFI SULLA LETTERATURA
E SUL COMPITO DI WILL ALLA FINE DEL LIBRO) // VOLTO CONTRADDITTORIO E DOPPIA NATURA DI
ARPIA/SIRENA // DUE VOLTI DI VENERE (URANIA E NON) = MEDIATORI PER UN’ARTE SINCERA, AL SERVIZIO
DELLA VERITÁ (SCHILLER). LA “FANTASIA CHE NON MENTE” DEL DISCORSO FINALE A LYRAIN CONTRASTO CON
L’INVENTIVA DISGIUNTA DA CONSAPEVOLEZZA E DALLE FONTI SANE E COSTRUTTIVE DATE DA EMOZIONI,
SCIENZA E PROCESSI VITALI INCONSCI
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LUPO*/ SPADA DI BASTIANO (LA STORIA INFINITA)
LINGUA ARGENTINA → ARGENTO = ARGENTO VIVO INTELLETTO/INVENTIVA/MENZOGNA/RIVELAZIONE
ARGENTO=MERCURIO E LUNA (JUNG) /
MENZOGNA E MERCURIO SONO CONNESSI AL SEGNO ZODIACALE GEMELLI E LYRA SEMBRA PER METÀ
GEMELLI, COME LA MADRE CHE È SCORPIONE
COLTELLO COME INVENTIVA/ LIBIDO CREATIVA OLTRE CHE VOLONTÁ
SCRITTORE=COMPITO DI WILL ADULTO E DI BASTIANO ADULTO ( LA STORIA INFINITA)--. ERAGON E BROM
SONO ANCHE BARDI ( IL CICLO DELL'EREDITÀ)-- BRAN É UN UTURO SAGGIO E UNA SORTA DI FUTURO
SCRITTORE (IL CICLO DELLE SPADE)
[VEDI ANCHE IL TIRSO (BAUDELAIRE)] -- CADUCEO (MERCURIO)/TIRSO/BASTONE DI ESCULAPIO

M. COULTER ______________ CULTURE _____ CONTRASTO “CULTURA”-NATURA (MOVIMENTI CULTURALI
DELL’800 E DEL PRIMO ‘900)
CULTO -- CULTO DI STATO (STEREOTIPO DEI GESUITI E DEGLIINQUISITORI [VEDI ANCHE L’INQUISITORE DI
SIVIGLIA (EL GRECO)]
“RAGIONE
” INTESA SECONDO BLAKE (LA BIMBA SMARRITA; IL FANCIULLO PERDUTO; LA TIGRE → CIELO DEL PALLONE
NEL 2° LIBRO, PAESAGGIO MEDITERRANEO ALL’INIZIO DEL 3° L IBRO, I CHING, RAGGI: BENE/OMBRA)
LUPO*---MAGA CATTIVA (LA STORIA INFINITA)---SPETTRI—SICARIO: “OMBRE” DEI PROTAGONISTI
(“Il massimo grado di coscienza mette l’io a confronto con la sua ombra e l’esistenza psichica individuale di fronte alla psiche
collettiva”- Mysterium coniunctionis di Jung, vol. 2°)
BASTIANO MAGO E IMPERATORE (LA STORIA INFINITA , ENDE)– PADRE STREGONE DI WILL= ARCHETIPO
DELLA PERSONALITÁ MANA (VEDI LA PERSONALITÀ MANA IN DUE TESTI DI PSICOLOGIA ANALITICA, JUNG)
IMPERO, FALLIMENTO ED EVOLUZIONE DI BASTIANO E ALTERNARSI DI BASTIANO E ATREIU: Tra gli eventi tipici
della storia dell'eroe c'è la sua hybris, che può essere definita come peccato d'orgoglio o tendenza ad esso, un tentare gli dei ed
un'eccessiva separazione tra ego e Sè e che può anche essere una conseguenza della recente vittoria dell'eroe contro il suo desiderio
illusorio, infantile e nefasto di pace e sicurezza o comunque del passato. All'hybris segue la caduta dell'eroe, ma egli può talvolta
riscattarsi rinunciando al potere e all'attività. Spesso l'immagine dell'eroe si evolve come quella di Bastiano e nei miti si può
individuare una progressione dal concetto più primitivo a quello più elaboorato delll'eroe attraverso quattro fasi, una delle quali
comporta sempre l'intervento di esseri dai poteri soprannaturali; le fasi corrispondono a anatura istintiva, poi avventurosa e pugnace
ma pià socializzata e disciplinata, quindi malvagia e infine volta al sacrificio di sè. Il testo di riferimento è L'uomo e i suoi simboli a
cura di C. G. Jung.
GENITORI DI LYRA – CAPO CHIESA: CONCETTO DI MANA PRIMITIVO (VEDI JUNG E ALTRI)
LAMA CHE TAGLIA VIA I DAIMON
COLTELLO CHE TAGLIA TUTTO
BUSSOLA D'ORO –AURYN – CENTRO DI FANTASIA/OCCHI D'ORO – CENTRO NECESSARIO ALL'INTEGRAZIONE
DELL'IO NELL'EVOLUZIONE INTERIORE – IL SEGRETO DEL FIORE D'ORO (CLASSICO CINESE)
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TORRE D'AVORIO – FORSE SI RIMANDA ALLA FASE DELL'ALBEDO ALCHEMICA OPPURE ALLE PORTE DEL SOGNO
D'AVORIO (OMERO/ARTEMIDORO)
SPETTRI = CREATURE DEL COLTELLO E DELL’ABISSO-VUOTO CHE INDUCONO UN NICHILISMO CHE CONDUCE A
PAZZIA, DISPERAZIONE E MORTE. ESSI PARALIZZANO MENTRE LA BUSSOLA D’ORO INVITA A MUOVERSI
LUPO + MENZOGNE E PAZZIA GENERATE DALLE CREATURE DI FANTÁSIA STRAPPATE AL LORO MONDO E
CONDOTTE TRA GLI UOMINI ( LA STORIA INFINITA) – FORSE RA’ZAC E DURZA (CICLO DELL’EREDITÁ),
DISSENNATORI E MEDAGLIONE (ULTIMO LIBRO SU HARRY POTTER), ANELLO E CERCATORI DELL’ANELLO ( IL
SIGNORE DEGLI ANELLI) [VEDI IL PARAGRAFETTO SULLA FANTASY]
*LUPO – IL NULLA: IN FIABE E MITI ANTICHI IL LUPO È UN TIPICO SIMBOLO DELL’ASPETTO PERICOLOSO –
“DIVORATORE” DELL’INCONSCIO, COME LO SONO IL SERPENTE/DRAGO, L’ORCO, LA STREGA, LA BALENA/IL
PESCE; NELL’ EDDA LA DISTRUZIONE DEL MONDO AVVIENE DOPO IL RISVEGLIO DI UN SERPENTE IL CUI NOME
LETTERALMENTE SIGNIFICA “LUPO UNIVERSALE”(VEDI SIMBOLI DELLA TRASFORMAZIONE, JUNG)
IL NOME GIUSTO – LA VERA LINGUA/IL VERO NOME (VEDI IL CICLO DELL'EREDITÀ DI PAOLINI E IL GIOCO DEL
TRONO DI MARTIN)
DITA DI WILL TAGLIATE VIA DAL COLTELLO – GAMBA DI ATREIU MORSA DAL LUPO E FORSE DOLORE DI FUCUR
QUANDO CADE PER SALVARE DAL LUPO ATREIU – CICATRICE DELL’EROE IN NOTI LIBRI FANTASY (DA IL
SIGNORE DEGLI ANELLI ALLA SERIE DI HARRY POTTER)
ROTTURA E FABBRICAZIONE DEL COLTELLO: “Ecco ricomparire il motivo dello smembramento. Come un fabbro salda i
frammenti, così il corpo smembrato viene ricostituito. Questa ascesa significa rinnovamento (…) rinascita della coscienza (…) dalla
regressione nell’inconscio.” (Simboli della trasformazione, Jung). Forse c’è un rimando alla rottura dello scettro che compare in certi
miti e che indica il sacrificio della libido orientata in una data direzione fino a quel momento, cioè della potenza posseduta, sacrificio
che prepara all’ingresso nell’aldilà, perché vita spenta genera aspettazione (vedi ancora Simboli della trasformazione, Jung)
LA SPADA INFRANTA DI SIEGMUND VIENE CONSERVATA PER SIGFRIDO (WAGNER) COME QUELLA DI ISILDUR
VIENE CONSERVATA ROTTA E RIPARATA PER ARAGORN (TOLKIEN) – LA SPADA DI BASTIANO RIFIUTA DI FARSI
ESTRARRE (ENDE), COME QUELLA DI JHON SNOW (MARTIN) – UN FABBRICANTE D’ARMI È IL PADRE DI NIHAL IN
CRONACHE DEL MONDO EMERSO (TROISI) – VEDI IL LUNGO CAPITOLO SULLA FABBRICAZIONE DELLA SPADA
INFRANGIBILE DI ERAGON (PAOLINI): “La vita si ricompone dai frantumi (…) La spada significa forza solare (…) L’eroe
viene smembrato in vari miti (…)Nel Rgveda il creatore del mondo Brahmanaspati è un fabbro (…) Il fabbro è l’archetipo del
vecchio saggio, personificazione del senno (…) L’anima è sempre in un rapporto filiale con il vecchio saggio (…) Spesso nei miti
l’eroe è cresciuto da un fabbro o da un fabbricante d’armi o bravo artigiano o carpentiere” (Simboli della trasformazione di Jung)
FIDUCIA TRA LYRA E WILL NEI DUE MONDI – AMICIZIA TRA ATREIU E BASTIANO ( LA STORIA INFINITA)
MADRE DI WILL= LATO “FEMMINILE” INCONSCIO DEBOLE E IRRAZIONALE DI WILL? IN OGNI CASO
RAPPRESENTA IL PASSATO E L’INCONSCIO (TERRA MADRE), QUINDI LA TENTAZIONE DELLA LIBIDO DI WILL
ALLA REGRESSIONE ALL’INFANZIA
MADRE DI LYRA= ASPETTO NEGATIVO DELL’IMAGO MATERNA CHE SI ATTIVA PER WILL, SPEZZANDO IL
COLTELLO, NEL MOMENTO IN CUI C’È PER LUI PIÙ PERICOLO DI REGRESSIONE. È L’ASPETTO MALIGNO
DELL’INCONSCIO
MALATTIA MENTALE DELLA MADRE E MORTE DEL PADRE DI WILL _____DEPRESSIONE DEL PADRE E MORTE
DELLA MADRE DI BASTIANO (LA STORIA INFINITA)
ULTIME PAROLE DI WILL AL PADRE: DISIDENTIFICAZIONE DELL’IO DALL’ARCHETIPO MANA (DALL’ARCHETIPO
DEL MAGO E DELL’EROE) E QUINDI RIAPPROPRIAZIONE DI WILL DELLA LIBIDO E STABILIZZAZIONE DEL
RITORNO DI QUESTA IN PROGRESSIONE
IOREK____________________ EFESTO È CON MERCURIO SIMBOLO DELL’INTELLETTO E DELL’INVENTIVA
LETTERARIA IN LEZIONI AMERICANE (CALVINO)
|____________________ANGELI RIBELLI IN ARMI LA NOTTE PRECEDENTE LA RIBELLIONE E IN GUERRA (IL
PARADISO PERDUTO, MILTON)

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NORD _____ NEL NEOCLASSICISMO SEDE DELLO SPIRITO ASTRATTO CONTRAPPOSTO ALLA GRECIA
(ARCHETIPO DI
BELLEZZA E DIVINITÀ VICINE ALLA NATURA)
|_____ FORSE GERMANIA DI LUTERO (A NORD RISPETTO ALLA SEDE STORICA DEL PAPA)
_____ SEDE DI MISTERO, DELL’ORIGINE DEL MONDO, DEGLI SPIRITI, DEI DEMONI O DELL’INCONSCIO
NEL SUO
ASPETTO PIÙ CONTRADDITTORIO E TERRIBILE (TRADIZIONI RIPORTATE DA JUNG)

MONTAGNA ANNUVOLATA -- CARRO ( IL PARADISO PERDUTO, MILTON) -- SEDE DEL VECCHIO O LA MEMORIA DI
FANTÀSIA (LA STORIA INFINITA )
ABISSO: -- PUPILLA DELL’OCCHIO DI SAURON COME “FINESTRA SUL NULLA” ( IL SIGNORE DEGLI ANELLI,
TOLKIEN) -- ABISSO DI YGRAMUL -- NULLA ( LA STORIA INFINITA) -- “ACUSTICA DEL VUOTO” (L'UOMO SENZA
QUALITÀ, MUSIL) -- NICHILISMO DEL ‘900

ABBANDONO DEI DAIMON SULLA RIVA DEL LIMBO (MITO GRECO DELL’ACHERONTE) E FORSE PERDITA DELLE
DITA DELLA MANO SINISTRA (ZONA DELL’INCONSCIO E DELL’EMOTIVITÀ) --- MORTE DEL CAVALLO DI ATREIU:
LA MORTE DEL CAVALLO DELL’EROE È UN ELEMENTO TIPICO DI ALCUNI MITI E RAPPRESENTA IL SACRIFICIO
DELLA PARTE ISTINTUALE DI SÉ E DELLA PROPRIA VITALITÀ NATURALE. IL SERPENTE – DRAGO, IN QUANTO
SIMBOLO DELLA PARTE SPIRITUALE DELL’ANIMA INCONSCIA DELL’EROE, SOSTITUISCE IL CAVALLO. (VEDI
Simboli della trasformazione, Jung)
PRECIPITAZIONE NELL’ABISSO = SACRIFICIO TIPICO . IN PASSATO C’ERA L’USO RITUALE DI GETTARE FOCACCE
E OBOLI IN FOSSE CHE RAPPRESENTAVANO LA TERRA DEI MORTI [“Nell’antichità numerose erano le vie d’accesso
all’Ade. Così nei pressi di Eleusi vi era una voragine attraverso la quale Aidoneo salì e poi discese dopo aver rapito la Kore.
Esistevano delle gole fra le rupi attraverso le quali le anime potevano risalire sulla terra (…) È attraverso tale voragine quindi che si
accedeva al luogo dove si poteva trionfare della morte.” (Simboli della trasformazione di Jung)]
WILL NELLA GROTTA DELLA MADRE DI LYRA – LA MINIERA DI BASTIANO CON I SOGNI PERDUTI – DISCESA AGLI
INFERI SENZA DAIMON – SEPARAZIONE DEL VIAGGIO INIZIATICO DELLE STREGHE – SOFFERENZE E SOLITUDINE
DELLA PREPARAZIONE DEGLI SCIAMANI: Rimando anche ai paragrafi L'odore del sangue e Nascondersi e spiare del Cap. 2 di
Donne che corrono coi lupi (C. Pinkola Estes) sulla caverna come luogo d'iniziazione per "spiare" la verità su di sé e sugli altri
opponendosi con decisione e astuzia alle forze psichiche che vogliono nascondere alla consapevolezza personificate da Barbablu.
LYRA SUL SENTIERO PRESSO L’ABISSO RIESCE A FARE ATTENZIONE ANCHE PERCHÉ NON SA DELLA BOMBA –
ATREIU SULLA RETE SULL’ABISSO SA FARE ATTENZIONE PERCHÉ NON SA DEL LUPO
FUCUR RECUPERA AURYN GETTANDOSI NELL’ABISSO --- L’ARPIA “ALI BENIGNI” SALVA DALL’ABISSO LYRA (E
LA SUA BUSSOLA D’ORO): Rimando anche al paragrafo I mangiatori di peccati del cap. 2 di Donne che corrono coi lupi (C.
Pinkola Estes) sulla forza ritrovata di smantellare e riutilizzare in modo utile il predatore della psiche e sulla credenza sugli uccelli
mangiatori di peccati o trasportatori di cadaveri da far ritrasformare alla dea della vita-morte.
IL CASO (DESTINO) ATTRAVERSO LYRA IMPEDISCE CHE IL PADRE DI LYRA SIA UCCISO – IL “CASO” (LA
CHIAMATA DELL’IMPERATORE) FA SÌ CHE ATREIU MANCHI LA PREDA (IL BISONTE) (ENDE) – IL “CASO”
(L’INCENDIO CAUSATO DALLO SPETTRO) FA SÌ CHE ERAGON MANCHI LA PREDA (LA CERVA), IL CHE LO INDUCE
A PORTARE A CASA L’UOVO DI DRAGO CREDENDOLO UNA PIETRA DA VENDERE PER ACQUISTARE LA CARNE
PERDUTA CON IL FALLIRE IL BERSAGLIO (PAOLINI)

GROTTA DI LYRA E DELLA MADRE = GROTTA DELLA MORTE E DELLA RINASCITA
VALLE DEI MORTI _____________________________ INNO ALLA BELLEZZA INTELLETTUALE (SHELLEY)
|_____________________________FORSE ASPIRAZIONE (VERLAINE)
|_____________________________POESIE FILOSOFICHE (SCHILLER)
|_____________________________ ODISSEA / ASPETTO DEL PASSATO (VEDI SIMBOLI DELLA
TRASFORMAZIONE DI SIMBOLI DELLA TRASFORMAZIONE (JUNG): “Benché riuniti con tutto ciò che un tempo si ebbe caro,
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non è dato degustare di questa felicità, giacché tutto è ombra, impalpabile e privo di vita (…) La terra dei morti è l’infanzia nel
ricordo (…) Pericolo di regressione”
TIALYS E SALMAKIA ALLEATI DI WILL E LYRA NEL REGNO DEI MORTI: -- FORZE CREATIVE PERSONIFICATE DA
PERSONE PICCOLE O PICCOLISSIME (ESEMPI SONO CABIRI, DATTILI, POLLICINO E NANI). VEDI SIMBOLI DELLA
TRASFORMAZIONE (JUNG) -- INFANZIA MISERA DI HARRY POTTER (ROWLING), DI ERAGON (PAOLINI) O DEI
PRINCIPI CACCIATI E DEI FIGLI ILLEGITTIMI DI RE (MARTIN) -- PICCOLA STATURA DEGLI EROI DI TOLKIEN --
ASPETTO DELLA CHIAVE CHE APRE LA PORTA DEI SOTTERRANEI, DELL’ELFO DOMESTICO CHE SALVA HARRY
(ROWLING) E DEI FIGLI DELLA FORESTA, DI BRAN E TYRON (MARTIN)

ARPIE → ANTICHE SIRENE NELL’ISOLA DEI BEATI -- PUTREDINE DEL GIARDINO DELL’INFANTA IMPERATRICE
INVASO DAL NULLA (LA STORIA INFINITA , ENDE) -- PUTREDINE DELLA COLPA – MORTE ( IL PARADISO
PERDUTO,MILTON). ANTICAMENTE SI CREDEVA CHE LE ARPIE RAPISSERO I BAMBINI E LE ANIME DEI MORTI.
NEBBIA E SPETTRI-- GRIGIORE NEL SOBBORGO-LIMBO E NEBBIA SUL LAGO E NELLA TERRA DEI MORTI ---
LEITMOTIV DI LA STORIA INFINITA (PALUDE, MARE DELLE NEBBIE, IL NULLA) E DI L’UOMO SENZA QUALITÀ
(MUSIL) -- FOLLIA, FALSITÁ, PREGIUDIZIO, ISMI – ASTRATTO, PERDITA DI CONTATTO CON LA “VOLONTÀ
INTERIORE” (MUSIL, ENDE, CAMUS)
LAMA CHE SEPARA I DAIMON DAI BAMBINI: DISSOCIAZIONE DELL’IO DAL SÈ, DELLA CONSAPEVOLEZZA
DALL’ISTINTO E DALLE POTENZE INCONSCE (VEDI L’OPERA DI JUNG)
MONDI PARALLELI: -- LIBRO 6 DELLA SECONDA PARTE DI I FRATELLI KARAMAZOV (DOSTOEVSKIJ) -- IL
CAPITOLO IL TETTO DEL MONDO IN IL LABIRINTO OSCURO (DURRELL) -- FANTASIA (LA STORIA INFINITA) -- PAESE
DELLE MERAVIGLIE (ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE, CARROLL) -- REGNO MILLENARIO (L'UOMO SENZA
QUALITÀ, MUSIL) -- INCONSCIO (COLLETTIVO) – PRINCIPIO SPIRITUALE INCONSCIO (JUNG) -- LO STRANIERO
MISTERIOSO (TWAIN)
GIOCO DEI DADI: LE MORTI NEL LIMBO -- I PAZZI NELLA CITTÀ DEGLI IMPERATORI (LA STORIA INFINITA)
CANI CHE METTONO IN FUGA L’ANGELO________________ CANI DI ECATE, CERBERO?
|________________ SERVILISMO
PER LA DIFFERENZA TRA ANIMA E SPIRITO: VEDI JUNG ( ARCHETIPI E INCONSCIO COLLETTIVO ), OLTRE A S.
PAOLO
EPISODIO DELLA FORZA DI GRAVITÀ SOSPESA SULLA TERRAZZA DELL’ALBERO-- ”POLVERE” ATTRATTA
DALL’ABISSO -- EPISODIO DI ATREIU IN CIMA ALL’ALBERO DAVANTI ALL’AVANZARE DEL NULLA
ALBERO DEI MULEFA: ALBERO DELLA CONOSCENZA/NAAS
DOTTORESSA MALONE _______ SCIENZA UNITA A MITO-ARTE [NASCITA DEL COLTELLO 6/700 → GALILEO E
ILLUMINISMO]
MELUSINA
VEDI GLI DEI DELLA GRECIA IN POESIE FILOSOFICHE (SCHILLER)
MALONE -- SERAFINA -- DONNA APPARSA IN SOGNO (LILITH?) -- IL PADRE STREGONE DI WILL
“La collisione con la vita e con il mondo dá luogo a esperienze che possono generare una riflessione prolungata e profonda, da cui
sorgeranno con il tempo intuizioni e convinzioni personali (il processo che gli alchimisti volevano esprimere con l’immagine
dell’albero filosofico). Il succedersi di queste esperienze è, in qualche modo, regolato da due archetipi: quello dell’anima, che
esprime la vita, e quello del vecchio saggio, che personifica il significato (…) l’Ermete tre - volte – grande, la fonte di ogni
saggezza”. (Il viaggio attraverso le case dei pianeti in Mysterium coniunctionis di Jung, vol. 1°)
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OMBRE – FORSE MITO DI PLATONE RIVISTO SECONDO SCHILLER (LA SFIDUCIA NELL’ARTE DI PLATONE VIENE
SUPERATA E LE “OMBRE” NON HANNO PIÙ VALENZA NEGATIVA)
OMBRE DELLA CAVERNA DI PLATONE -- SOGNI E MITI -- LA LAMA SOTTILE (NEI PRIMI CAPITOLI WILL SI
MUOVE COME SI FA IN SOGNO)
RIFLESSI DI COLTELLO E DAIMON DI WILL, D’ACQUA NELLA PIANURA DEI MULEFA E POLVERE DELLA
CONOSCENZA IN ESPANSIONE: -- ACQUA DELLE FONTI DELLA VITA (FONTANA DEL FINALE) ( LA STORIA INFINITA
) -- L’ULTIMA PIETRA DELL’AMULETO DI LE CRONACHE DEL MONDO EMERSO DI TROISI E ALTRI SIMILI
RIFERIMENTI DELLA LETTERATURA FANTASY -- IMMAGINE/TOPOS ORIENTALE (ES. IL TAI-CHI E L’ARTE
DELL’ESISTENZA) -- LUCE NEL CAPITOLO IL TETTO DEL MONDO IN IL LABIRINTO OSCURO-- CAUDA PAVONIS
(JUNG) -- ANGELI DERIVANO DAL SUDORE DEL PAVONE -- FASE DEL PROCESSO DI CREAZIONE DEL LAPIS IN
ALCHIMIA
REAZIONE DI BASTIANO ALLA FONTANA______________ CONFRONTARE AD ESEMPIO CON QUANTO DICE IL
PROTAGONISTA DOPO LA MORTE DELL’ASINO IN ALTRE VOCI, ALTRE STANZE (T.CAPOTE)
“Ciò che prima era un peso che si portava controvoglia (…) viene riconosciuto – grazie a un’intuizione (…) – come possesso della
propria personalitá e si comprende che non si può vivere di null’altro che di quello che si è (il che non sempre pare poi così ovvio!)”.
[Il viaggio attraverso le case dei pianeti in Mysterium coniunctionis di Jung, vol. 1°]
FRUTTI RIGENERATORI E DIALOGO NELLA "CASA CHE MUTA": dopo la discesa nell'inconscio con il rischio di esserne
intrappolati, lo spirito a volte giunge come aiuto inatteso o sperato, porta il sapere e rigenera con frutti magici da un albero cresciuto
durante la sofferenza e la prigionia dell'eroe... ciò accade nel mito e in alchimia perché si riteneva che l'opera di trasformazione
avesse bisogno dell'aiuto di dio in forma di maestro o di ispirazione. Si deve tenere presente che da sempre l'albero è simbolo di
forza vitale, guarigione, sviluppo spirituale e anche procreazione.
FRUTTO ROSSO/ PELLICCIA DELLA MARTORA DAIMON/ TRONCHI CON L’OLIO DELLA CONOSCENZA DEI
MULEFA:
-- FIORE DEL BOSCO NOTTURNO E DRAGHI DELLA SOGLIA ( LA STORIA INFINITA) -- ROSSO LO SHOCK
GENERANTE COMPRENSIONE PER “ BRAMOSIA D’AMORE”(BOHME) -- IN ALCHEMIA IL SUCCESSO -- PIETRA
FILOSOFALE ROSSO-ORO - RUBEDO (FASE ALCHEMICA)
“Unione di coscienza e inconscio in un “acceso” conflitto in cui gli opposti si preparano a fondersi” (…) “Gli opposti si logorano
a vicenda: l’uno divora l’altro come i due draghi (…) del simbolismo alchemico” (vedi il viaggio attraverso le case dei pianeti in
Mysterium coniunctionis di Jung, vol. 1°)
“Crescita di calore e luce che provengono dalla coscienza corrispondente alla crescente partecipazione e reazione anche a livello
emotivo della coscienza rispetto ai contenuti prodotti dall’inconscio” (vedi il viaggio attraverso le case dei pianeti in Mysterium
coniunctionis ,vol. 1°)
LIBELLULA DEGLI AMICI DI LYRA E WILL -- CAVALCATURE DEI MESSAGGERI ( LA STORIA INFINITA)
DAIMON + LYRA E WILL L’UNO PER L’ALTRO= DOPPIO -- “STELLA” DEL SÉ E ANIMA DEL SESSO OPPOSTO (JUNG)
-- DOPPIO = INCONSCIO -- ATREIU – BASTIANO (LA STORIA INFINITA)

FALLIMENTO DELL’INCARICATO DELL’OMICIDIO DI LYRA -- IL SERPENTE INNAMORATO
(IL PARADISO PERDUTO, MILTON)
BARUC -- ACCENNO AMBIGUO ALL’OMOSESSUALITÀ DEGLI ANGELI DI MILTON
-- FORSE BARUC, 6 (BIBBIA) PER RIF. A IDOLI FALSI.
-- FORSE RIF. ALL' ANGELO PATERNO/ALBERO DELLA VITA
LORD JIM (Conrad)
“Essi dicevano ‘Maledetto pazzo!’ appena voltava le spalle. Era questa la loro critica della squisita sua sensibilità (…)
Era rimasto stupefatto dalla scoperta che aveva fatto – la scoperta di se stesso – (…) e non intendeva affatto diminuirne
l’importanza (…) e qui stava la sua distinzione (…)
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Era sopraffatto dall’inesplicabile; era sopraffatto dalla sua stessa personalità – il dono di quel destino che egli aveva fatto del suo
meglio per padroneggiare.” (J.Conrad, Lord Jim)
“La vita, per compiersi, ha bisogno non della perfezione, ma della completezza (…) La totalità è pericolosa… stare vicino a Dio è
stare vicino al fuoco.” (C. G. Jung, Psicologia e alchimia)
“Per gli uomini ogni realtà è incompiuta. I loro stessi atti sfuggono loro in altri atti, tornano a giudicarli sotto volti inattesi. Gli
uomini ambiscono all’unità e alla coerenza (…) Cogliere finalmente la vita come destino, ecco la loro vera nostalgia (…) Tutte le
concezioni improntate alla rivolta si concretizzano (…) in un universo chiuso (…) Sembra che lo sforzo della grande letteratura sia
quello di creare universi chiusi o tipi compiuti (…) L’arte ci riconduce così alle origini della rivolta, in quanto tenta di dar forma a
un valore che fugge nel divenire perpetuo, ma che l’artista ha presentito.” (A. Camus, L’uomo in rivolta)
“Raggiungono un più alto grado di coscienza solo quegli uomini che per loro natura vi sono destinati o ne hanno la vocazione, vale
a dire hanno le capacità e l’impulso verso una più alta differenziazione (…) Non occorre un’intelligenza particolare (…) poiché in
questo sviluppo possono intervenire qualità morali a integrare l’insufficienza intellettuale.” (C. G. Jung, Due testi di psicologia
analitica)
“Tutto fluisce secondo una legge immutabile ed enunciata per l’eternità (…) Una causa dipende dall’altra, una lunga catena
determina le vicende pubbliche e private: si deve sopportare tutto coraggiosamente perché tutte le cose non avvengono, ma
vengono. Una volta per tutte fu stabilito l’oggetto delle tue gioie, delle tue lacrime (…) e tutto si riduce a questo: effimeri riceviamo
l’effimero (…) Per questo siamo al mondo (…) È proprio di un uomo buono offrirsi al fato (…) La sventura è occasione di virtù.
Sarebbe giusto chiamare infelice chi è snervato da un eccesso di prosperità, chi come un cuore immobile è prigioniero della
bonaccia: qualunque cosa gli capiti sarà una sorpresa (…) Fuggite una prosperità che vi snerva e svigorisce l’animo e, se non
interviene qualcosa che gli ricordi la sorte umana, lo fa marcire come nel sopore di una continua ubriachezza (…) fa vaneggiare,
offusca la differenza tra il vero e il falso (…) C’è bisogno di una prova per conoscersi (…) Come posso conoscere la tua fermezza di
fronte al disonore, al discredito se ti segue inalterabile il favore e la simpatia della gente? (…) La fortuna cerca chi le stia pari, i più
coraggiosi; certuni non li degna di uno sguardo (…) Nature fiacche, destinate al sonno o a una veglia del tutto simile al sonno, sono
tramate di elementi inerti: per formare un uomo degno di questo nome, ci vuole un destino più vigoroso. La sua vita non sarà in
piano: bisogna che vada su e giù, sballottato dai flutti e piloti la nave nella tempesta. Deve tenere la rotta contro la fortuna: gli
capiteranno molte vicende dure e difficili, che sarà lui a mitigare e appianare. Il fuoco mette alla prova l’oro” (L. A. Seneca, La
provvidenza)
“Quanto è difficile per lo psicanalista trovare qualcosa di nuovo che qualche artista non avesse già saputo prima di lui.” (S. Freud)
PREMESSA (IL MESSAGGIO DEL LIBRO)
Il vero obbiettivo della naturale spinta all’autorealizzazione è l’integrazione alla coscienza delle parti inconsce della personalità,
ovvero quella sintesi di io e non-io nel sé che nei miti di tutte le tradizioni e della letteratura fantasy è rappresentato dal tesoro
difficile da raggiungere, nell’alchimia dal lapis e in alcune tradizioni religiose (soprattutto orientali) dal gioello. Jim non confonde
l’amata con il lapis al suo giungere a Patusan (alla sua discesa in se stesso), quando la fuga istintiva dalla prigionia e il salto nel
fango lo portano da Doramis e salvano, evocando il suo arrivo spericolato lungo il fiume simile a un salto nell’ignoto (iniziativa
irriflessiva come di chi fugga) e anche il salto nella barca dalla nave Patna e le parole di Stein sui sogni da perseguire immersi
nell’elemento distruttivo. Il lapis, il coronamento dell’opus alchemico (si parla anche esplicitamente di "maghi") sembra essere a Jim
invece quel’opportunità intravista alla sua morte, quando espia per scelta e senza esitazione il fallimento del tutto imprevisto (le sue
ultime parole scritte denotano sgomento): non fugge da se stesso e non rinnega il suo dovere, ma soltanto si riscatta come può, anche
se al prezzo di un nuovo abbandono; egli muore bene come ha vissuto bene tra sbagli e sbandamenti, perché resta fedele, si prende
sul sero e si fa padrone del suo destino. Se il destino gli si è mostrato infine ostile è forse perché il villaggio gli avrebbe potuto far
perdere la libertà morale, che svanisce con il perdersi della colpa. Forse, però, l’inconscio lo ha tenuto prigioniero al villaggio
(simbolo materno oltre che del mandala) perché non lo riteneva ancora pronto per fare ciò che avrebbe dovuto? L’opportunità
intravista da Jim era predestinata? L’isolamento è pur sempre la conseguenza naturale dello sviluppo della personalitá (così
sottolinea Jung nei suoi libri più volte) il fatto è che un finale diverso non sembra possibile, date la natura ricca di immaginazione, la
sensibilità, la giovinezza e l’educazione paterna stupidamente intransigente di Jim (il padre è il simbolo del sapere tradizionale,
fondato su pregiudizi e confusi luoghi comuni) e considerato anche il bisogno umano di autostima: il pirata sembra fare parte, come
l’incidente del Patna, dei disegni dell’inconscio collettivo su Jim, dei progetti autonomi del sé (o del destino se così si vuol dire),
dato che certe vite sembrano davvero avere un senso e che esiste nella psiche un archetipo del significato (il "vecchio saggio” qui
rappresentato soprattutto da Marlow e Stein, che infatti conducono Jim a Patusan, e forse anche da Doramin che, proteggendolo, fa sì
che egli vi resti e poi lo uccide). Secondo me il pirata è la coscienza di Jim sotto l’influsso dell’anima (inconscio collettivo in lui
divenuto nemico, perché provocato) quindi l’intelletto mefistofelico. In generale l'intuito e l'aspetto di Brown fa pensare a un
animale o a un essere allo stesso tempo al di sotto e al di sopra dell’uomo e ciò in netto contrasto con Jim, il cui aspetto ne sottolinea
la civiltà. Il nome stesso Brown evoca colori piatti, banalità e una terra senz’acqua e senza verde come un intelletto lontano dalle
fonti del sentimento, della morale, del buon senso (intelligenza manipolatoria, il contrario della ragione umana secondo per esempio
Jung e Fromm: questo volto temuto del duplice Mercurio ha trovato molte rappresentazioni nei miti e nella letteratura), come il
soprannome Lord Jim fa pensare a gem – gioiello in inglese - quindi a regalitá, all'essere protettore e salvatore dei deboli come un
dio – Cristo stesso è un simbolo del sé – o come un principio di luce, oltre che evocare il carattere numinoso dell’inconscio
collettivo. I parallelismi tra lui e Jim sono molti per sottolinare il contrasto e il legame tra i due. Secondo questa interpretazione
quindi la nave del pirata è la nave di Jim condotta da un estraneo (autonomia dell’inconscio), è la personalitá di Jim dominata
dall’intelletto sotto la possessione dell’anima (l’inconscio collettivo di cui acqua e nave stessa sono simboli molto comuni) e
rafforzato in tale posizione dall’ombra (inconscio personale, l'"Ombra" affine al buio, il traditore Cornelius). La nave giunge dal
fiume, quindi probabilmente è attirata dalla madre di Gioiello (figura possibile della funzione "mentale" – nel senso dato al termine
da Jung - del tutto inconscia di Jim connessa all’inconscio collettivo, che in lui – maschio - ha carattere femminile; la madre di
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Gioello comunque è stata abbandonata ed esclusa come lui; ella rappresenta anche la sana e in fondo giustificata diffidenza verso
l’esterno) che era stata “attivata” da Jim (attraverso il suo legame con la figlia e la sua chiusura dei rapporti con le proprie figure
paterne) con la partecipazione di Cornelius, resosi particolarmente ostile perchè provocato. Il conflitto con il pirata è il doppio
fallimentare del primo conflitto con il pirata locale, vinto grazie all’idea avuta dopo gli attentati creati o favoriti da
Cornelius/l’ombra e grazie all’aiuto avuto da Gioiello (alla vigilanza della coscienza e degli alleati della coscienza). Ora la coscienza
si trova isolata, perché Jim, a causa della sua felicità e del suo disprezzo per Cornelius, ha in parte dimenticato l’instabilitá e la
stanchezza generate dai continui attentati subiti nei primi tempi al villaggio e solo il fiume ricorda (per via dei sicari gettati in acqua),
fiume che conduce Brown a Patusan (sottovalutare la propria Ombra e voler dimenticare gli sbagli fatti, è un errore tipico della
coscienza, in particolare di quella maschile). La colpa, ricordatagli da Brown, e che lui ancora sopravvaluta, devia il suo giudizio
lontano dai suggerimenti del villaggio (le riserve dell’insieme della sua personalitá: la diffidenza verso l’esterno sarebbe stata
salutare ora quanto prima era stata controproducente). L’eroe spesso nei miti muore a causa di un tradimento e per cause
insignificanti dopo tante fatiche coronate da successo come del resto ha nascita insignificante che fa da contraltare alle possibilità di
realizzazione prodigose (il processo creativo e lo sviluppo della personalità sono per certi versi straordinari ma si svolgono
nell’inconscio - quindi in luogo interno, non appariscente e misero per gli osservatori esterni - e inoltre essi sono fragili perché
avversati naturalmente dall’inconscio geloso e perché esposti a mille condizioni ambientali per il loro avviarsi e ancor più per la loro
riuscita). Conrad sembra dirci che nella vita si vince di rado al modo desiderato, perché essere completi rende troppo difficile alla
lunga convivere con se stessi, ma che è pericoloso anche ignorare il bisogno di conoscere se stessi e di sviluppare la propria
personalità: la vita svolge continuamente il suo gioco senza che nessuna strada sia mai sicura, senza pietà e senza scopo (secondo
Jung l’inconscio collettivo produce destini senza un fine ultimo, cioè per la sua natura stessa di creatore), ma alcuni individui non
“snobbati dal destino” spiccano fra gli altri (“la natura è aristocratica” scrive Jung) per l’intensità con cui vivono il conflitto e per la
loro fedeltà al gioco se non altro e queste qualità morali consentono loro di non subire il destino con la passività dei mediocri. Jung
afferma più volte che la chiave nel processo di individuazione e della possibilità di difendersi dalle aggressioni dell’inconscio è data
da un insieme di fedeltà, onestà e perseveranza nel confronto con se stessi e ribadisce anche più spesso che la pace è impossibile in
ogni caso all’uomo, perché chi rifiuta il dialogo con i propri fantasmi e la propria ridicola o abbietta ombra finirà col lottare
maggiormente con altri individui e probabilmente col cedere senza dignità all’azione dell’inconscio compensatore o in stato di aperta
ostilità…e forse si dovrebbe aggiungere che la pace è dell’uomo anche indegna. In questo libro non hanno pace nemmeno i testimoni
e infatti i giudizi di Marlow sui personaggi mutano spesso, tanto che quando viene, a proposito d’altro, sottolineata l’importanza
delle sfumature, questa affermazione sembra la giustificazione che Conrad dà di questa altalena di opinioni che non viene meno
nemmeno nelle ultime pagine: i giudizi frettolosi e lapidari della folla sono qui considerati ciò che sono sempre di fatto, cioè brutalità

ANALISI CHE USA CONCETTI E TERMINI DI JUNG
JIM= LA COSCIENZA E PROBABILMENTE ANCHE IL SÉ IN DIVENIRE (JIM/GEM = GEMMA IN INGLESE, IL SÉ E IL
CENTRO DEL SÉ E DEL MANDALA). IL SUO SOPRANNOME EVOCA QUELLO CHE EGLI DÀ ALL’AMATA (GIOLELLO),
PERCHÉ ANCHE LA COPPIA È SIMBOLO DEL SÉ.
IL PARAGONARE FREQUENTEMENTE EMOZIONI O ESPRESSIONI DEL VISO (SOPRATTUTTO DI JIM) A PAESAGGI MI
HA RICORDATO OSSIAN, CHE ABBONDA DI TALI SIMILITUDINI E CHE SI ATTAGLIA A JIM, PERCHÉ POEMA DOVE
UN EROISMO “ROMANTICO” SI DISPIEGA IN UN MONDO PIENO DI FANTASMI E DEL SENSO DEL DESTINO. OSSIAN
ERA CERTAMENTE NOTO A CONRAD, CHE È INGLESE.
COLORI E ETÀ DI JIM = ARCHETIPO DELL’EROE GIOVANE O DEL “FANCIULLO D’ORO” (= SÉ)?.
VILLAGGIO = MANDALA E “CAVERNA” DELLA RINASCITA (INTROVERSIONE E LAVORIO INTERIORE PER UN
RISCATTO ATTIVO).
NON PUÓ ESSERE UN CASO CHE IL CAPITANO DEL PATNA SIA DEFINITO UNA SORTA DI ESILIATO E RINNEGATO
(COME È E SARÁ JIM), CHE IL CAPO MACCHINISTA SIA REDUCE DAL NAUFRAGIO DELLA NAVE CHE FU SOTTO LA
SUA RESPONSABILITÁ QUANDO ERA MOLTO GIOVANE (COME SARÁ JIM), CHE IL SECONDO MACCHINISTA SIA
UN RAGAZZO MILLANTATORE ANCHE SE NON DEL TUTTO VILE E UN GIOVANE INESPERTO UBRIACO DI VANITÁ
PIÙ CHE DI ALCOOL (COME JIM, LA CUI ASSOLUTA TRANQUILLITÁ FACEVA NASCERE IN LUI SOGNI AUDACI),
CHE IL CUORE DI GEORGE NON REGGA (COME QUELLO DI JIM, SOPRATTUTTO NEGLI ISTANTI DELL’INCIDENTE).
SECONDO ME IN QUESTO LIBRO TUTTI I PERSONAGGI SONO SENZ’ALTRO PARTI DI JIM, FUNZIONI DELLA SUA
PERSONALITÁ PROIETTATA O DEL SUO SUBCONSCIO E INCONSCIO, CHE ASSUMONO NUOVI VOLTI A OGNI
CAMBIAMENTO DI LUOGO (IL PARALLELO GIUSTO VA FATTO CON I PROCEDIMENTI ONIRICI, MA ANCHE NELLA
REALTÀ DELLA VEGLIA CAPITA DI “ATTRARRE” – INCONTRARE IN MODO SOLO APPARENTEMENTE CASUALE –
PERSONE SIMILI A SÉ PER QUALCHE DIFETTO CHE ESSE POSSIEDONO PERÓ IN VERSIONE AMPLIFICATA… È
IRONICO CHE JIM SIA CONVINTO DI NON AVERE NIENTE IN COMUNE CON I TRE COLLEGHI). NON SAPENDO IO
ATTRIBUIRE TALI PARTI COSTITUTIVE DEL SÉ AI PERSONAGGI CON UN ORDINE DI CUI SIA CERTA, TRALASCIO DI
SCRIVERE COSA PENSO DI ESSE E DELLA PERSONALITÁ DI JIM E SCRIVO SOLO CHE CREDO CHE IN LUI LE
FUNZIONI INCONSCE (TERZA POSSIBILE AUSILIARIA E QUARTA DEL TUTTO INCONSCIA) SIANO QUELLE
“SENTIMENTO” E “SENSAZIONE”, PERCHÉ CIÓ SPIEGHEREBBE LA SUA SENSIBILITÁ ECCESSIVA E IL SUO
APPROCCIO PROBLEMATICO E UN PO’ GOFFO ALLA REALTÁ. È PROBABILE CHE LE FUNZIONI DEL TUTTO
INCONSCE O CHE DIVENGONO TALI E I RICORDI RIMOSSI SIANO RAPPRESENTATE DAI PERSONAGGI IMMERSI
NEL SONNO O MORTI O NELL’ATTO DI MORIRE (FORSE IL CAPO MACCHINISTA, GEORGE, LA MADRE DI
GIOIELLO, IL SICARIO…) E CHE IL SUO INCONSCIO PROFONDO (COLLETTIVO) SIA RAPPRESENTATO DA DONNE
INDIGENE O METICCE (GIOIELLO E SUA MADRE E FORSE LA MOGLIE DI DORAMIN E LA MADRE DI JIM MAI
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NOMINATA) E IL SUO SUBCONSCIO (INCONSCIO PERSONALE O SOMMA DELLE RADICI INCONSCE DELLE PRIME
TRE FUNZIONI) SIA RAPPRESENTATO NEL SUO INSIEME DA GROTTESCHE FIGURE DI UOMINI METICCI O SPOSATI
A METICCE (CON OGNI PROBABILITÁ CORNELIUS E FORSE IL FUNZIONARIO GOVERNATIVO VICINO A PATUSAN).
CREDO ANCHE CHE I CONTENUTI PREZIOSI INCONSCI INTEGRATI DALLA COSCIENZA DI JIM CON FATICA SIANO
RAPPRESENTATI DA PERSONAGGI INDIGENI DI ELEVATA POSIZIONE (IL CAPO ALLEATO DORAMIN E IL FIGLIO) E
CHE QUELLI MENO CONSAPEVOLI SIANO RAPPRESENTATI DA INDIGENI DALLA NATURA SELVAGGIA VICINI A
LUI (I DUE MALESI SUL PATNA AL TIMONE, TAMB ITAM) E DALLA FOLLA INDIGENA (LA POPOLAZIONE CHE LO
VENERA O CONTRASTA SENZA MOLTO CRITERIO).

INCIDENTE DEL PATNA = È PREANNUNCIATO DA QUELLO DELLA NAVE SCUOLA E DEL SUCCESSIVO IN CUI JIM SI
INFORTUNA. SUL PATNA JIM VA IN CRISI PERCHÉ SI SENTE “LASCIATO SOLO”, RICHIAMANDO LA SITUAZIONE
DEL SUO COLLOQUIO COL PIRATA BROWN A PATUSAN.
IL GIORNO DELL’INCIDENTE, IL PATNA AVEVA NAVIGATO APPARENTEMENTE TRANQUILLO E IN LINEA RETTA MA
ERA STATO GRANDE IL CONTRASTO TRA DA UNA PARTE LE ASPIRAZIONI DEI PELLEGRINI INDIGENI ALLA PACE
ETERNA O QUELLE DI JIM ALLA TRANQUILLITÁ ASSOLUTA LUNGO IL MARE LUMINOSO E DALL’ALTRA PARTE IL
SONNO TORMENTATO DEI PASSEGGERI, QUELLO ANIMALE DEL PRIMO MACCHINISTA SBRONZO,
L’IMMAGINAZIONE DI JIM ECCITATA E SOPRATTUTTO LA SALA MACCHINE NERA (COME IL FUMO DELLA NAVE
CON CODA DI SERPENTE) E PIENA DI RUMORI IMPREVEDIBILI, “SINISTRI” E TRASMETTENTI L’IMPRESSIONE DI
ESSERE MANIFESTAZIONI DI “IRA FEROCE”… IN TERMINI PSICOLOGICI, TUTTO CIÓ SIGNIFICA CHE ERA
INEVITABILE L’URTO TRA LE DIVERSE PARTI DI JIM IN STATO DI OPPOSIZIONE COME SONO UNA NOTTE SENZA
LUNA E IL GIORNO. I RIPETUTI E GROTTESCHI TENTATIVI DI SCIOGLIERE LA PICCOLA IMBARCAZIONE PER
POTER LASCIARE LA NAVE SI CONTRAPPONGONO ESATTAMENTE ALL'IMMOBILITÀ DI JIM E DEI DUE INDIGENI
DI SERVIZIO: ALTRA RAPPRESENTAZIONE DI COME LA NAVE SEMBRI TENUTA IN EQUILIBRIO DA DUE FORZE
OPPOSTE. QUESTI TENTATIVI RIDICOLI DA UN PUNTO DI VISTA QUANTO ANGOSCIOSI DA UN ALTRO A ME FANNO
PENSARE AGLI SFORZI DI UN INSETTO ROVESCIATO DI RIMETTERSI SULLE ZAMPE E QUINDI A CORNELIUS, CUI
COMUNQUE CONRAD RIMANDA AFFERMANDO CHE SEMBRAVANO UNA BEFFARDA, VILE E ASTIOSA VENDETTA
SU JIM (SUI VOLI ARDITI RIPETUTI PER ANNI DELLA SUA IMMAGINAZIONE), MENTRE LA LORO FURTIVITÀ PUÒ
FAR PENSARE AI TENTATIVI DI JIM DI SALVARE L'IMMAGINE DI SE STESSO NELLE SUE PRIME CONFIDENZE CON
MARLOWE ANCHE PER VIA DEI RIMANDI LESSICALI. GEORGE MUORE (IL CORAGGIO DI JIM SVANISCE, IL SUO
CUORE CEDE), I PELLEGRINI, I MALESI E LA NAVE SI ALLONTANANO (JIM È CONFUSO, DISSOCIATO… “SI STENDE
L’OMBRA DELLA PAZZIA”), JIM RIMANE BLOCCATO SULLA BARCA SENZA NEMMENO CAPPELLO (SENSO
DELL’IDENTITÁ) O TIMONE, MA SOLO LA BARRA DI ESSO USATA DA LUI IN MODO PRIMITIVO (REGRESSIONE
AGLI ISTINTI: JIM È FUORI DI SÉ), IL PRIMO MACCHINISTA IMPAZZISCE, IL SECONDO MACCHINISTA SI ROMPE UN
BRACCIO: CIÓ SIGNIFICA PROBABILMENTE CHE, PER DIVERSO TEMPO DOPO L’INCIDENTE, LO STATO INTERIORE
DI JIM SARÁ AGITATO, IL SUO SPIRITO AVRÀ “UN’ALA SPEZZATA” ED EGLI NON SAPRÁ NÉ AFFRONTARE LE
SITUAZIONI USANDO CON EQUILIBRIO L’INSIEME DELLE SUE RISORSE, NÉ STARE A LUNGO IN CONTATTO CON
LA PARTE MENO PIACEVOLE O CONSAPEVOLE E CONTROLLABILE DI SÉ. ECCO PERCHÉ ERA NECESSARIO PIÚ
VOLTE L’INTERVENTO DI STEIN, CIOÈ DELL’ARCHETIPO DEL VECCHIO SAGGIO CHE, IN SITUAZIONI SENZA VIA
D’USCITA APPARENTE E GRANDE INCERTEZZA, PERMETTE DI CONCENTRARE LE FORZE MENTALI, ARRIVARE A
UNA VISIONE D’INSIEME E AVERE INTUIZIONI POCO SCONTATE, DOVE L’INTELLETTO INVECE SI ARRESTA O
GIRA IN TONDO RESTANDO IN SUPERFICIE (JIM SI SPOSTA SULLA COSTA), QUANDO NON SCHIACCIA CON LA
MORALE CONVENZIONALE PIÙ FALSA INCITANDO AL SUICIDIO (COME IL CAPITANO BRIERLY) O SI FA
INFLUENZARE FINO A SUGGERIRE DI BUTTARSI VIA (IL MERCANTE CHE VUOLE JIM A SPALARE GUANO).
LA NAVE PATNA, CHE FLUIVA SICURA SUL MARE CALMISSIMO E SICURO, SI ROMPE (PRIMA SCISSIONE DELLA
PERSONALITÁ) ISTANTANEAMENTE E SENZA CLAMORE, SCORRE SULL’OSTACOLO E LO SUPERA COME UN
SERPENTE (COMUNE SIMBOLO DELL’INCONSCIO COLLETTIVO, COME L’ACQUA E LA NAVE SONO SIMBOLI
MATERNI E IN QUESTO CASO MATRICI DEL SÉ IN DIVENIRE DI JIM): FORSE QUESTO FLUIRE DELLA NAVE TORNA
NEL MODO IN CUI CORNELIUS SI AVVICINA A BROWN SUPERANDO IL VECCHIO TRONCO COL SUO FARE
STRISCIANTE DA VIPERA E SCARAFAGGIO… SE JIM SALTA DAL PATNA (CADUTA DAL PIEDISTALLO COMODO SU
CUI JIM SI ERA POSTO) E SE TROVA POSTO NELLA BARCA, DIPENDE PERÓ DALLA MORTE DI GEORGE.
GEORGE = MEDIOCRE SACRIFICATO ALLE POTENZE INCONSCE (CHE SEMPRE CHIEDONO UN SACRIFICIO PER
LEGGE NATURALE). È LA PARTE DI JIM CUI PIACEVA IL LAVORO MEDIOCRE SUL PATNA, QUELLA CHE SI ERA
ABITUATA AL TRANQUILLO MARE (ALLA “ZONA DI COMFORT”, CONCETTO COMUNISSIMO IN PSICOLOGIA) CHE
RICHIAMAVA LA PACE DEI PRESBITERI (LÌ ERA NATO JIM) E INOLTRE INCITAVA AL SOGNO. IL PATNA TRASPORTA
UNA FOLLA CHE ASPIRA AL PARADISO (LA PACE ETERNA, LA TRANQUILLITÁ), CIOÈ PENSIERI E SENTIMENTI DI
JIM (I PELLEGRINI SONO ALL’INTERNO DELLA NAVE E IN DISPARTE) VOTATI A UNA VITA SENZA FATICA. IL PATNA
SCORRE IN UN CLIMA CHE PARALIZZA PENSIERO, CUORE, FORZE ED ENERGIE SU UN MARE MORTO MENTRE IL
SOLE STRISCIA SINISTRO, ADERENTE COME UN’OMBRA O UN SICARIO. JIM ERA “TROPPO INTERESSANTE” PER
CONDURRE UNA SIMILE ESISTENZA… L’INCONSCIO HA BISOGNO CHE QUESTA PARTE DI JIM MUOIA PER
AVVIARE LO SVILUPPO DELLA SUA PERSONALITÁ (DECISIONE AUTONOMA DELLA PSICHE, DEL SÉ DI JIM, CHE
ESISTE ANCHE PRIMA CHE JIM LO SCOPRA). L’ASPIRAZIONE DI JIM ALLA COMODITÁ È ANCHE PERÓ UMANA
ASPIRAZIONE ALLA PACE (CHE AUMENTA QUANDO LA SPERANZA VIENE SCOSSA), E JIM NON RIESCE A
PERDERLA DEL TUTTO, TANTO CHE ESSA SARÁ UNA DELLE CAUSE DELLA SUA SCONFITTA AL VILLAGGIO. LA
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SCONFITTA FINALE PERÓ SE NON ALTRO NON È MORALE – ALMENO DAL PUNTO DI VISTA DI JIM, CHE È UNO DEI
POSSIBILI E VALIDI - E AVVIENE QUANDO ORMAI JIM HA VISSUTO ANNI SENZA IMPULSIVITÁ, SENZA MENTIRSI
E INTENSAMENTE E DOPO CHE EBBE RICOPERTO RUOLI ADATTI ALLA SUA IMMAGINAZIONE ESIGENTE E ALLA
SUA SENSIBILITÁ SINGOLARE (“LA FIABA AVEVA SCELTO LUI”; “HAI CAMBIATO TUTTO QUI”; “LO CREDEVANO
CAPACE DI PORTARE DEI CANNONI SULLE SPALLE”; “UN SUCCESSO CHE MAI NEI SUOI SOGNI DI
ADOLESCENTE...”).
CAPO MACCHINISTA ALL’OSPEDALE CON DELIRIUM TREMENS = IMMAGINE DEL RIVOLGIMENTO INTERIORE DI
JIM (“EGLI CORREVA…BARCOLLAVA”) O DEL SUO POSSIBILE FUTURO (“NON VOLEVO VEDERLO DARSI AL
BERE”).
CAPITANO DEL PATNA E DORAMIN: CONTRASTO NELL'ASPETTO DIVERSO CHE L'OBESITà ASSUME IN LORO
SPARIZIONE NEL NULLA DEL CAPITANO DEL PATNA, DI CHESTER E DI ROBINSON: MISTERO DELLA REALTÀ (IL
SOPRANNATURALE È SUPERFLUO PER CONRAD)
IL CAPITANO BRIERLY AL PROCESSO = IL LIMITATO “SPIRITO TRADIZIONALE” PORTATO ALL’ECCESSO A CAUSA
DI UN NARCISISMO COSÌ ESTREMO DA SPEZZARE CHIUNQUE.CAPO MACCHINISTA ALL’OSPEDALE CON
DELIRIUM TREMENS = IMMAGINE DEL RIVOLGIMENTO INTERIORE DI JIM (“EGLI CORREVA…BARCOLLAVA”) O
DEL SUO POSSIBILE FUTURO (“NON VOLEVO VEDERLO DARSI AL BERE”).
FA PENSARE A UN INCIDENTE “ATTIRATO” DA JIM STESSO INCONSCIAMENTE L’EQUIVOCO CHE COINVOLGE IL
BOTOLO, CHE HA UN CHE DI CORNELIUS (PICCOLO, BRUTTO E RINGHIOSO), DATO CHE SI VOLGE A SUO
VANTAGGIO (ALMENO SE NON SI CONSIDERA LA SUA MORTE, CHE DERIVA ANCHE DA QUEI COLPI DI FORTUNA,
QUALCOSA CAPACE DI GETTARE UNA LUCE SCURA SU TUTTO IL SUO PASSATO): LA VITA APPARE PIENA DI
MISTERO ANCHE PER VIA DI EVENTI SIMILI, CHE NON SONO RARI O ECLATANTI, MA FANNO PARTE DI CIÒ DI CUI
SCRISSE CONRAD NELLA SUA PREFAZIONE A LA LINEA D’OMBRA (IL SUO RICONOSCIMENTO DEL FATTO CHE I
MISTERI DELL’INCONSCIO PERMEANO TUTTA LA REALTÁ AL PUNTO CHE RENDONO INUTILE E ASSURDA LA
FEDE TRADIZIONALE IN DIO E NELL’ALDILÁ).

MARLOW E STEIN = DIOSCURI = AMICI PROTETTORI DEL SÉ (DELLA PERSONALITÁ SVILUPPATA-RINATA) DAI
PERICOLI DEL MARE (= “OSCURE POTENZE” = INCONSCIO) = “L’AMICO INTERIORE” (VOCE DEL SÉ). IL NOME DI
STEIN RICORDA LA PIETRA PREZIOSA, L’ANELLO DI RICONOSCIMENTO (STEIN = PIETRA IN TEDESCO)

IL PADRE DI JIM = SPIRITO TRADIZIONALE LIMITATO, SPESSO COSTITUITO DI LUOGHI COMUNI INADATTI A
MOLTISSIME SITUAZIONI UMANE E IGNORANTE DELLA PROFONDITÁ DELLA PSICHE E DELLE POSSIBILITÁ
DIVERSE DI REALIZZAZIONE UMANA. RICHIAMA IL DESTINATARIO DELLA LETTERA DI MARLOW IN CUI EGLI
RACCONTA LA MORTE DI JIM. IL PADRE DI JIM VIENE SOSTITUITO DA MARLOW CHE È L’UNICO A VOLER BENE A
JIM E INSIEME A COMPRENDERLO E A FIDARSI DI LUI (“QUANTO È IMPORTANTE CHE VOI, UN UOMO PIÙ
ANZIANO…”; “MI AVETE DATO FIDUCIA, PROPRIO QUEL CHE MI CI VOLEVA”) E CHE CON IL TEMPO SI
APPROSSIMA AL PIANO SU CUI È JIM (“I RISCHI CHE STAVA PER CORRERE CI AVEVANO AVVICINATI”) PERCHÉ JIM
CRESCE MORALMENTE E MATURA. MARLOW DIVIENE COME UN FRATELLO (VEDI I RICHIAMI DI JUNG AD AL
KHADIR E MOSÈ), COME GIOIELLO È, ALMENO IN POTENZA, UNA SORTA DI SORELLA (LA COPPIA
MATRIMONIALE DI FRATELLO E SORELLA È UN SIMBOLO TIPICO DELL’ALCHIMIA E DI MOLTI MITI); MARLOW
NON PERDE PERÓ IL RUOLO DEL PADRE AL VILLAGGIO, DOVE LA MOGLIE DEL CAPO INDIGENO E LA MADRE DI
GIOIELLO CHIAMANO PROBABILMENTE IN CAUSA LA MADRE DI JIM.

GIOIELLO = IN INDIA IL CENTRO DEL MANDALA, IL CENTRO DEL SÉ. IL SUO LEGAME CON LA MADRE È
EVOCATO DAL FATTO CHE SPESSO ENTRA IN SCENA COME UN’APPARIZIONE, LASCIA UNA SCIA DI MALIA E
VESTE IN MODO PER CUI A VOLTE FA PENSARE A UN FANTASMA. FORMA CON JIM UNA COPPIA REGALE (JEM E
GIOELLO SONO SINONIMI) CHE IN ALCHIMIA RAPPRESENTA APPUNTO IL SÉ.
IL NOME RIMANDA ANCHE ALLA LEGGENDA SULLO SMERALDO (VERDE = VEGETAZIONE E SERPENTI =
INCONSCIO/TERRA MADRE/REGNO DELLE MADRI) PORTATORE DI SFORTUNA RACCONTATA DAL VECCHIO
OMONIMO DEL PROTAGONISTA E DEL FUNZIONARIO (DESCRITTO IN MODO DA FAR PENSARE A CORNELIUS E A
BROWN INSIEME)
“Un uomo bianco giunto a Patusan si era impossessato di una gemma straordinaria (…) Un tale gioiello si conserva meglio se lo
tiene nascosto una donna (…) ma non dovrebbe essere giovane (…) e deve essere insensibile alle seduzioni dell’amore (…) La
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maggior parte dei miei informatori era d’opinione che la pietra preziosa con tutta probabilità portasse sfortuna – come la famosa
pietra del Sultano di Succadana, che nei tempi passati aveva fatto scatenare guerre e calamità su tutta la contrada. Chi sa che non
fosse la stessa (…) Lo smeraldo pare colpire l’immaginazione orientale più di qualsiasi altra gemma.”
GIOIELLO RIGIDA DOPO L’ABBANDONO = FARFALLA DI STEIN = EFFIMERO SOGNO UMANO, EFFIMERE
REALIZZAZIONE ED ESISTENZA DI JIM “Effimeri riceviamo l’effimero.” (La provvidenza, L. A. Seneca).
TAMB ITAM: TRA IL SERVO INDIGENO TAMB ITAM E CORNELIUS C’È FORSE QUALCHE PARALLELISMO, PERCHÉ
LA SUA AMMIRAZIONE E FIDUCIA CIECHE E IL SUO SEGUIRE OVUNQUE JIM RICORDANO L’ASTIO COSTANTE E
LO STRISCIARE NOTTE E GIORNO ATTORNO A JIM DI CORNELIUS E PERCHÉ TAMB ITAM È COLUI CHE UCCIDE
CORNELIUS CHE AVEVA AGITO DI NUOVO COME UN SICARIO (IL SICARIO SI COMPORTA COME L’OMBRA DELLA
VITTIMA, PER POTER UCCIDERLA SENZA RISCHI). IN TAMB ITAM COMUNQUE C’È EVOLUZIONE PERCHÉ
COMPRENDE IL LIMITE DI JIM E, PUR RIFIUTANDOGLI UN SERVIZIO SUICIDA, NON ARRIVA A DISPREZZARLO E
TRADIRLO.
CORNELIUS PATRIGNO DI GIOIELLO = OMBRA DI JIM O TRICKSTER (INCONSCIO PERSONALE). È GROTTESCO
COME IL TRICKSTER DESCRITTO DA JUNG, MA PIÙ PERICOLOSO POICHÉ È L’OMBRA PROVOCATA, ATTIVATA,
NON PLACATA DAL DIALOGO CHE JUNG RACCOMANDA. L’OMBRA È INIZIALMENTE PROIETTATA SULLA MADRE
DI GIOIELLO (DA QUI GLI INSULTI DI CORNELIUS A LEI E ALLA FIGLIA) ED È TIPICO NEI MASCHI PROIETTARE
L’OMBRA SU DONNE. LA COSCIENZA/JIM, LIBERANDO GIOIELLO, LIBERA LA MADRE DI LEI DALLA PROIEZIONE
(I MALTRATTAMENTI). CORNELIUS, PER GLI INSULTI, PER IL SUO ETERNO “STRISCIARE” E PER IL SUO
COMPARIRE SOPRATTUTTO IN SCENE NOTTURNE, RICORDA UN SERPENTE MINORE DA CUI FORSE IL NOME CHE
FA PENSARE ALLA VIPERA CORNUTA (IL NOME SCIENTIFICO DOVREBBE ESSERE LATINO, DA CORNU) O A UN
QUALCHE INSETTO DAL NOME AFFINE, SE NE ESISTONO (I NOMI DEGLI ALTRI PERSONAGGI NON SONO
CASUALI). IL SERPENTE IN GENERE È UN TIPICO SIMBOLO DEGLI STRATI PIÙ PROFONDI DELLA PSICHE
(DELL’INCONSCIO COLLETTIVO) PERCHÉ A SANGUE FREDDO, STRISCIANTE E DI STRUTTURA PRIMITIVA E PER
VIA DELLA MUTA E DEL POTERE DEL SUO SGUARDO. CORNELIUS È DEFINITO “SCHIFOSO INSETTO” E SI MUOVE
E AGITA GROTTESCAMENTE COME ALCUNI INSETTI. È DEFINITO ANCHE “SCARAFAGGIO” E IN QUESTO
PARAGONE NON PUÓ NON RICORDARE IL CONTENUTO DELLE TOMBE CHE STEIN AVEVA DISPOSTO ACCANTO A
QUELLE DELLE FARFALLE QUASI A MARCARE IL LEGAME TRA LUCE E OMBRA (JIM NON SOPRAVVIVE A
CORNELIUS) L’OMBRA PRIMA INDIRETTAMENTE CONTRIBUISCE A FORNIRE, CON LA PAURA O L’INSTABILITÀ E
L’ESASPERAZIONE CHE PROVOCA, L’IDEA GIUSTA PER VINCERE IL PRIMO GRANDE CONFLITTO (QUELLO CON I
PIRATI LOCALI) E POI, ATTIVATA E SOTTOVALUTATA, “APRE LA VIA” ALL’IRRUZIONE DISTRUTTIVA DELL’ANIMA
(= INCONSCIO COLLETTIVO) E COLLABORA CON L’INTELLETTO POSSEDUTO DALL’ANIMA E DIVENUTO
DISTRUTTIVO.
IL PIRATA = COSCIENZA DI JIM SOTTO L’INFLUSSO DELL’ANIMA (INCONSCIO COLLETTIVO IN LUI DIVENUTO
NEMICO, PERCHÉ PROVOCATO) QUINDI L’INTELLETTO MEFISTOFELICO, DOPPIO DI MARLOW (“COME SE FOSSE
GRANDE DAVVERO, AVEVA UN DONO SATANICO…”) E VOLTO NEFASTO DI MERCURIO DUPLICE (IL MERCURIO
CHE SOCCORRE O ANNIENTA L’OPUS ALCHEMICA) E CHE QUI FA IRROMPERE LE FORZE POTENZIALMENTE
DISTRUTTRICI DELL’INCONSCIO/ANIMA TRASCINATE DALL’”ATTIVAZIONE” DELLA MADRE DI GIOIELLO (LA
QUARTA FUNZIONE, INCONSCIA) CHE CONTAMINA GIOIELLO (LA TERZA FUNZIONE AUSILIARIA INCONSCIA
ELEVATA ALLA COSCIENZA IN PARTE). IL GRANDE INTUITO DI BROWN PER SCOVARE I PUNTI DEBOLI ALTRUI È
UNA DOTE TIPICA DELL’ANIMA E DI ALCUNE MALATTIE MENTALI E ASSOMIGLIA A UNA SORTA DI FIUTO
ANIMALE. IN GENERALE BROWN FA PENSARE A UN ANIMALE O A UN ESSERE ALLO STESSO TEMPO AL DI SOTTO
E AL DI SOPRA DELL’UOMO (I SUOI OCCHI SONO GIALLI, LA SUA BARBA INCOLTA) E CIÒ E IN NETTO
CONTRASTO CON JIM, I CUI COLORI LUMINOSI, IL CUI ASPETTO CURATO E GIOVANE E I CUI ABITI BIANCHI NE
SOTTOLINEANO LA CIVILTÀ. IL NOME STESSO BROWN EVOCA COLORI PIATTI, BANALITÀ E UNA TERRA
SENZ’ACQUA E SENZA VERDE COME UN INTELLETTO LONTANO DALLE FONTI DEL SENTIMENTO, DELLA
MORALE, DEL BUON SENSO (INTELLIGENZA MANIPOLATORIA, IL CONTRARIO DELLA RAGIONE UMANA
SECONDO PER ESEMPIO JUNG E FROMM). I PARALLELISMI TRA LUI E JIM SONO PERÒ MOLTI: IL PIRATA, COME
JIM, È DEFINITO VANITOSO, FEDELE, SENZA PATRIA, EGOISTA, ESALTATO E UN UOMO CHE SI TROVA LÌ PERCHÉ
HA “AVUTO PAURA UNA VOLTA NELLA VITA”; LA SUA VERA O PRESUNTA NASCITA NOBILE (È BARONETTO O LO
SI DICE TALE) RICORDA IL SOPRANNOME “LORD” DI JIM (LORD FA PENSARE A GEM/GEMMA, A REGALITÁ, AL
SUO ESSERE PROTETTORE E SALVATORE DEI DEBOLI COME UN DIO – CRISTO STESSO È UN SIMBOLO DEL SÉ – O
UN PRINCIPIO DI LUCE) OLTRE CHE EVOCARE IL CARATTERE NUMINOSO DELL’INCONSCIO COLLETTIVO.
L’INTELLETTO DISTRUTTORE COME VOLTO TEMUTO DEL DUPLICE MERCURIO HA TROVATO MOLTE
RAPPRESENTAZIONI NEI MITI E NELLA LETTERATURA PRECEDENTE E IN QUELLA RECENTE: IN QUESTE MATERIE
OSCURE, PULLMAN HA CREATO I SIMBOLI DELL’OSCURO MERCURIO - COLTELLO DI WILL E LAMA
DELL’INQUISIZIONE - E VI HA CONTRAPPOSTO UNA SERIE DI SIMBOLI DEL VOLTO POSITIVO DI MERCURIO; IL
FAUST DI GOETHE È UN INDIVIDUO CHE HA USATO MALE IL SUO INTELLETTO E CHE PER QUESTO ATTIRA A SÉ
IL DIAVOLO (UN CANE E UN UOMO COL PIZZO, DUE IMMAGINI NEFASTE DI MERCURIO CHE AVVIANO UNA
TRASFORMAZIONE NEGATIVA, COME L’APPARIZIONE DEL FANCIULLO D’ORO, DELLA PERLA ECC. SPESSO
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ACCOMPAGNANO LA TRASFORMAZIONE CHE SI COMPIE SOTTO LO SGUARDO BENIGNO DI MERCURIO IN ALTRI
LIBRI E CHE DA GOETHE È EVOCATA NEI SIMBOLI DEI CABIRI, DEI DATTILI, NEL CORO DEL FINALE, ECC.).

NAVE DEL PIRATA = NAVE DI JIM CONDOTTA DA UN ESTRANEO (AUTONOMIA DELL’INCONSCIO). È LA
PERSONALITÁ DI JIM DOMINATA DALL’INTELLETTO SOTTO LA POSSESSIONE DELL’ANIMA (L’INCONSCIO
COLLETTIVO DI CUI ACQUA E NAVE STESSA SONO SIMBOLI MOLTO COMUNI) E RAFFORZATO IN TALE
POSIZIONE DALL’OMBRA (INCONSCIO PERSONALE, CORNELIUS). LA NAVE GIUNGE DAL FIUME, QUINDI
PROBABILMENTE È ATTIRATA DALLA MADRE DI GIOIELLO (FIGURA POSSIBILE DELLA FUNZIONE DEL TUTTO
INCONSCIA DI JIM CONNESSA ALL’ANIMA) CHE ERA STATA “ATTIVATA” DA JIM (CURA DELLA TOMBA;
LIBERAZIONE DI GIOIELLO DAGLI INSULTI A ENTRAMBE; FORSE CONFESSIONE DI GIOIELLO A MARLOW; DI
CERTO CHIUSURA DEI RAPPORTI CON LE FIGURE PATERNE, MARLOW E PADRE NATURALE) CON LA
PARTECIPAZIONE DI CORNELIUS (L’OMBRA AFFINE AL BUIO, L’INCONSCIO PERSONALE CONNESSO CON QUELLO
COLLETTIVO) RESOSI PARTICOLARMENTE OSTILE PERCHÈ PROVOCATO (FURTO DI GIOIELLO; STRAPOTERE DI
JIM; MANCANZA DA PARTE DI JIM DI DIALOGO, CONSIDERAZIONE E SUO RIFIUTO DI PATTEGGIARE; RIMOZIONE
- IN SENSO PSICOLOGICO - DEL “RICHIAMO” DEL MARE E DEI BIANCHI; IL FATTO CHE JIM HA DIMENTICATO IL
PERICOLO RAPPRESENTATO PER LUI DA CORNELIUS I PRIMI TEMPI QUANDO GETTÒ I SICARI NEL FIUME, CHE
EVIDENTEMENTE “RICORDA” INVECE E ATTIRA NUOVE CALAMITÀ).

CONFLITTO CON IL PIRATA = È IL DOPPIO FALLIMENTARE DEL PRIMO CONFLITTO CON IL PIRATA LOCALE (IL
QUALE RICORDA QUELLO DI STEIN NEL SUO RACCONTO A MARLOW), VINTO GRAZIE ALL’IDEA AVUTA DOPO
GLI ATTENTATI CREATI O FAVORITI DA CORNELIUS/L’OMBRA E GRAZIE ALL’AIUTO AVUTO DA GIOIELLO (ALLA
VIGILANZA DEGLI ALLEATI DELLA COSCIENZA). ORA LA COSCIENZA SI TROVA ISOLATA, PERCHÉ JIM, A CAUSA
DELLA SUA FELICITÀ E DEL SUO DISPREZZO PER CORNELIUS, HA IN PARTE DIMENTICATO L’INSTABILITÁ E LA
STANCHEZZA GENERATE DAI CONTINUI ATTENTATI SUBITI NEI PRIMI TEMPI AL VILLAGGIO E SOLO IL FIUME
RICORDA (PER VIA DEI SICARI GETTATI IN ACQUA), FIUME CHE CONDUCE BROWN A PATUSAN (SOTTOVALUTARE
L’OMBRA, VOLER DIMENTICARE IL PERICOLO, COME GLI SBAGLI FATTI, È UN ERRORE TIPICO DELLA
COSCIENZA, IN PARTICOLARE DI QUELLA MASCHILE). AD ISOLARE LE FORZE DELLA COSCIENZA È ANCHE IL
FATTO CHE L’IO, PER REPRIMERE L’INCONSCIO COLLETTIVO (SCACCIARE LA NAVE DEL PIRATA) ESPELLE
ISTINTIVAMENTE LA QUARTA FUNZIONE (LA MADRE DI GIOIELLO) CONTAMINATA CON ESSO (IN QUANTO
INCONSCIA), MA ESSA RAPPRESENTA ANCHE LA SANA E IN FONDO GIUSTIFICATA DIFFIDENZA VERSO
L’ESTERNO ED È LEGATA ALLA TERZA FUNZIONE (GIOIELLO, LA FIGLIA), COSÌ DUE POSIZIONI ALLEATE DELLA
COSCIENZA VANNO PERSE E RIMANGONO SOLO LE DUE FUNZIONI RAPPRESENTATE DA PADRE E FIGLIO
INDIGENI. INFINE JIM PERDE ANCHE QUESTI DUE ALLEATI, QUANDO SI TOGLIE L’ANELLO IN UNA NOTTE SENZA
LUNA (LA LUCE E I LEGAMI), SI OSTINA CONTRO IL PARERE DI ENTRAMBI A CONSENTIRE IL PASSAGGIO AL
PIRATA (I BIANCHI CHE GLI RINFACCIANO “QUELLA VECCHIA COLPA”) A CAUSA DEL SUO SOPRAVVALUTARE
ANCORA LA PROPRIA PASSATA PAURA (QUELL’”AZIONE IMPULSIVA DI UN ATTIMO”), SE COLPA ERA (“TUTTI
HANNO PAURA; TUTTO STA A NON FARSI SCOPRIRE”). È QUELLA COLPA, RICORDATAGLI DA BROWN, A DEVIARE
IL SUO GIUDIZIO LONTANO DAI SUGGERIMENTI DEL VILLAGGIO (LE RISERVE DELL’INSIEME DELLA SUA
PERSONALITÁ), AD ALLONTANARLO CON UN CENNO DA GIOIELLO, COME LEI AVEVA PUR PREVISTO. LA
DIFFIDENZA VERSO L’ESTERNO SAREBBE STATA SALUTARE ORA QUANTO PRIMA ERA STATA
CONTROPRODUCENTE. JIM NON PUÓ NON DESIDERARE CIÓ CHE PERSE CON L’INCIDENTE DEL PATNA, CIOÈ LA
STIMA E LA VICINANZA DEI BIANCHI (“DITE LORO… NIENTE”; “SONO SODDISFATTO… O QUASI”; “HO DI NUOVO
FIDUCIA IN ME E UN BUON NOME, EPPURE A VOLTE VORREI…”; “ERA UN RICHIAMO”), MA NON PUÒ NEMMENO
CERCARE DI REALIZZARE TALE DESIDERIO (ESSO NON PUÓ CHE ESSERE RIMOSSO, RAFFORZANDO
L’INCONSCIO PERSONALE, CIOÈ CORNELIUS, CHE INFATTI SI AVVICINA A BROWN). QUESTO DESIDERIO FORSE È
LEGATO A CIÓ CHE PERSE LA MADRE DI GIOIELLO QUANDO FU ABBANDONATA AL VILLAGGIO COME LUI (LA
NATURA HA RESO LA QUARTA FUNZIONE INCONSCIA IN TUTTI PROPRIO PERCHÉ PORTARE TUTTE LE FUNZIONI
ALLA COSCIENZA È PERICOLOSO, ANCHE SE È LA NATURA STESSA A GENERARE L’IMPULSO ALLA TOTALITÀ E
DESTINI CHE PORTANO AD ESSA).
LA MORTE DI JIM A CAUSA DEL TRADIMENTO: L’EROE SPESSO NEI MITI MUORE PER CAUSE INSIGNIFICANTI
DOPO TANTE FATICHE CORONATE DA SUCCESSO (ES. ERACLE, SIGFRIDO), COME DEL RESTO HA NASCITA
INSIGNIFICANTE CHE FA DA CONTRALTARE ALLE POSSIBILITÀ DI REALIZZAZIONE PRODIGOSE (IL PROCESSO
CREATIVO E LO SVILUPPO DELLA PERSONALITÀ È PER CERTI VERSI STRAORDINARIO MA SI SVOLGE
NELL’INCONSCIO - QUINDI IN LUOGO INTERNO, NON APPARISCENTE E MISERO PER GLI OSSERVATORI ESTERNI -
E INOLTRE ESSO È FRAGILE PERCHÉ AVVERSATO NATURALMENTE DALL’INCONSCIO GELOSO E PERCHÉ
ESPOSTO A MILLE CONDIZIONI AMBIENTALI PER IL SUO AVVIARSI E ANCOR PIÙ PER LA SUA RIUSCITA).

UNA TRADUZIONE IN TERMINI PSICOLOGICI DI TUTTO QUESTO POTREBBE ESSERE LA SEGUENTE:
INTROVERSIONE E PRESA DI COSCIENZA DEL SÉ, QUINDI DELLA TOTALITÀ DELLA PERSONALITÀ, RIMOZIONE E
SOPRAVVALUTAZIONE HANNO FATTO AVANZARE L’INCONSCIO PROVOCANDO L’INTELLETTO A PRENDERE UN
ATTEGGIAMENTO SBAGLIATO, CHE LO RENDE FACILE PREDA DI IMPULSI IRRAZIONALI E DISTRUTTIVI E CHE
ISOLA LA COSCIENZA DAL NON-IO, UCCIDE O RENDE INERTI, OSTILI E INUTILI DEI CONTENUTI INCONSCI
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PREZIOSI E CONDUCE A SCEGLIERE TRA LA MORTE DELLA COSCIENZA, NUOVI TENTATIVI DI FUGA DALLA
VERITÀ O UN CONFLITTO INTERIORE DOLOROSO E CAUSA DELL’ASSISTERE DELL’IO ALLA DISINTEGRAZIONE
DELLA PERSONALITÀ.

IL “PECCATO” O GLI ERRORI INIZIALI DI JIM SEMBRANO ESSERE LA SOPRAVVALUTAZIONE DELL’IO E LA
SFIDUCIA NEL SÉ PERCHÉ IN REALTÀ LA NAVE NON ERA AL SICURO E PERCHÉ NON SAREBBE AFFONDATA (IL
CONTATTO CON IL MARE – L’INCONSCIO – NON ERA DIRETTO A CIÒ MA A FAR SCOPRIRE A JIM SE STESSO. LO
STATO DI CONFLITTO DOLOROSO È NECESSITÀ TIPICA DELL’EROE NEI MITI DOVE ESSO VIENE RAPPRESENTATO
DAL MOTIVO DELL’”ABBANDONO DEL FANCIULLO”. IL “PROCESSO DI INDIVIDUAZIONE” ERA NEL DESTINO DI
JIM A CAUSA DELLA SUA SENSIBILITÀ E IMMAGINAZIONE POCO COMUNI (SI DICE CHE LUI ERA
“ECCESSIVAMENTE ROMANTICO” E CHE AVEVA UN “EGOISMO ESALTATO” E UN’”IMMAGINAZIONE RICCA” CHE
ATTIRÓ SU DI LUI UN DESTINO NÉ FACILE NÉ BANALE).
IL SECONDO “PECCATO” DI JIM CREDO SIA L’AVER VOLUTO DIMENTICARE. NON SO SE L’ABBANDONO DI
GIOELLO SIA UN NUOVO SBAGLIO, UN ULTIMA INFRAZIONE UMANA E MOLTO COMPRENSIBILE, OPPURE SE NON
SIA DAVVERO UN RISCATTO (L’ACCETTAZIONE CORAGGIOSA DEL DESTINO, L’ATTO DI FEDE DOVUTO), MA DI
CERTO LA PERDITA DELLA DONNA E DELL’AMICO INDIGENO, LA MORTE DI CORNELIUS E L’INFRANGIMENTO
DEL MANDALA PRELUDONO ALLA MORTE DI JIM E LA FANNO APPARIRE INEVITABILE: LA PERDITA DEL SÉ È
INFATTI L’IMMERSIONE DEFINITIVA NELL’INCONSCIO (LA VITTORIA DELL’ANIMA PIRATA) E SEMBRA PROPRIO
CHE IL DESTINO DI JIM SIA PREDETERMINATO, COME DEL RESTO ALL’INIZIO DEL LIBRO MARLOW DEFINISCE
OGNI DESTINO UMANO.
UNA MAGGIORE FIDUCIA NEL SÉ AVREBBE FAVORITO IL CONTATTO DI JIM CON L’ESTERNO NELLE PERSONE DI
STEIN E MARLOW A CONOSCENZA DEL SUO SEGRETO - COSì DA PARTE SUA CI SAREBBERO STATE MINORI
PRETESE DI DIMENTICARE L’INCIDENTE DEL PATNA E MINORE DESIDERIO DELLA STIMA DEI BIANCHI E DEL
CONTATTO CON LORO; LA FIDUCIA NEL SÉ AVREBBE SPINTO JIM A SMETTERE DI SOPRAVVALUTARE GLI ALTRI -
COSì CI SAREBBE STATO IN LUI UN MINOR BISOGNO DELLA FIDUCIA INCONDIZIONATA DA PARTE DEGLI
INDIGENI E QUINDI MINORI PRETESE DA PARTE LORO DI UNA SUA INFALLIBILITÁ E MINORE INVIDIA DA PARTE
DI CORNELIUS (“EGLI COMANDA TUTTO… BELLO E GIOVANE… SOLO UN BAMBINO”), MENTRE IL PIRATA O NON
SAREBBE MAI GIUNTO O SAREBBE STATO BATTUTO O SPIATO E FATTO PASSARE DISARMATO DOPO AVER
ALLONTANATO LA POPOLAZIONE INERME; INFINE LA FIDUCIA NEL SÉ AVREBBE SPINTO JIM ALLA SINCERITÀ
CON GIOIELLO – FAVORENDONE LA TRANQUILLITÁ.
FUORI DI METAFORA E IN TERMINI PSICOLOGICI, LA FIDUCIA NEL SÉ (IL METTERE IL CENTRO DEL SÉ AL POSTO
DELL’IO NELL’OCCASIONE DI OGNI DECISIONE E RIFLESSIONE) ERA LA STRADA DA PRENDERE, MA LA
COSCIENZA, CHE HA SUBÌTO UNA CERTA INFLAZIONE A CAUSA DELLA LUNGA INTROVERSIONE, SI FOSSILIZZA
NELL’IO ISOLANDOSI (“ERA SOLO A DECIDERE” COME SUL PATNA COLPITO E RIEMPITOSI IN PARTE D’ACQUA SI
ERA SENTITO “LASCIATO SOLO”), IRRIGIDENDOSI (COME ERA DIVENUTO INNATURALMENTE IMMOBILE SUL
PATNA CHE PAREVA AFFONDARE E NELLA STANZA DI STEIN DOPO LA REVOCA DELLA PATENTE), SCINDENDOSI E
NON CONSIDERANDO PIÙ IL TUTTO E ANZI FACENDOSI STRADA UCCIDENDO LE DIFESE INTERIORI (GLI
INDIGENI CUI SPARA BROWN) E MANIPOLANDO CON RAGIONAMENTI CAPZIOSI LA VERITÀ: È PROPRIO QUESTO
L’INIZIO TIPICO DI NEVROSI, DI ALCUNE MALATTIE MENTALI E DI ALTRE INIZIATIVE DA PARTE
DELL’INCONSCIO, PERCHÉ L’INCONSCIO VIENE PRIMA SPINTO AD AGIRE IN AUTONOMIA DALLA SUA
ATTIVAZIONE SMODATA (I COMPLESSI VENGONO COSTELLATI E I CONTENUTI IGNOTI STRAPPATI E PORTATI
ALLA LUCE, MENTRE IL DISPREZZO O LA PAURA IMPEDISCE IL DIALOGO EFFICACE CON ALCUNI DI ESSI) E POI,
AL SUO AVVICINARSI ALLA COSCIENZA, VIENE PROVOCATO DALL’ISTINTIVO RIFIUTO DIFENSIVO DELLA
COSCIENZA (INCIDENTI, INCONTRI, EQUIVOCI DELETERI E MENZOGNE A SE STESSI SONO CONSEGUENZE
TIPICHE DI QUESTO STATO DI COSE).
JIM SI FIDA DELLE ASSICURAZIONI DEL PIRATA A CAUSA DELLA PROPRIA SENSIBILITÀ, UMANITÀ E UMILTÀ -
CHE NON IMPLICA DISISTIMA DI SÉ O DEBOLEZZA NÉ SMINUISCE (MARLOW RICONOSCE LA “GRANDEZZA” DI
JIM, CHE FORSE SA ORA NON PRETENDERE NÉ DA SÉ NÉ DA ALTRI COMPORTAMENTI DA EROI) - MA ANCHE A
CAUSA DI RESIDUI DELLA SUA VANITÁ FERITA (“NON HO ANCORA DIMENTICATO”; “NON SI RITENEVA DEGNO”;
“SI PREOCCUPAVA TROPPO DEL SUO ONORE”). È JIM AD ATTIRARE QUESTA NUOVA CATASTROFE SU DI SÉ CON
LA PARTE PIÚ PROFONDA DEL SUO INCONSCIO, A CAUSA DEL SUO VOLER DIMENTICARE O ANNULLARE LA
COLPA DI FRONTE A TUTTI, DEL SUO SOPRAVVALUTARE GLI ALTRI (IL “MONDO IMPECCABILE”), DEL SUO
RINCORRERE UNA PACE POSSIBILE SOLO AI MORTI (LA SUA PARVENZA È POSSIBILE INVECE SOLO AI MEDIOCRI
PROTETTI DA BANALI MENZOGNE).
JANE EYRE (Bronte)
X: L’introduzione alla nostra edizione di Jane Eyre mi piace, però non è corretta quando indica il contrasto principale e più
significativo del libro in quello tra il rosso (il calore e la forza dell’energia vitale, dell’immaginazione, dall’amicizia e dell’amore) e il
grigio (la miseria anche morale, la bruttezza, un certo tipo di razionalità, il limite in genere), perché quello è solo la contrapposizione
più appariscente, mentre mi sembra che il più ricorrente e importante sia il contrasto tra un suono vago di solito simile a uno scroscio
lontano o rauco, profondo e inquietante e un rumore invece argentino, spesso simile a un tintinnio che spezza un ritmo (dato dal
paesaggio o da un insieme di divagazioni o di eventi…): fin dal primo capitolo Jane si raccoglie tra le tende rosse alla finestra e il
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paesaggio esterno grigio, mentre al rumore forte della pioggia fa da sfondo il suono del vento in lontananza e la nebbia; la presenza
della moglie pazza si manifesta sempre con questi due suoni in successione; l’incontro tra Jane e Rochester è preceduto da questi
suoni contrastanti attribuiti a corsi d’acqua situati a distanze diverse e a quello scalpiccio, sovrastante tutto, del cavallo al galoppo;
l’orologio di casa rispetto alla pendola dà questa alternanza di suoni nella notte in cui si racconta del velo nuziale strappato e quella
sera il vento è violento e rumoroso per poi cedere di colpo e suggerire un malinconico gemito, che scaccia Jane dal frutteto; dopo il
fallimento del matrimonio i pensieri giungono a Jane “come un fluire buio e confuso”, mentre la coscienza della perdita si abbatte su
di lei “come una piena” in cui lei affonda. Il rumore più lontano e profondo ha la funzione di interrompere i sogni, riportando alla
realtà, o quella di introdurre un evento nuovo, un’apertura sul futuro misterioso e incombente, la cui consapevolezza sembra esistere
per smorzare la luce di qualsiasi risata argentina.
Opposti simili che non coinvolgono il suono sono frequenti del resto nel libro: durante la lunga separazione da Rochester, per
esempio, i sogni di Jane sono sempre movimentati e pieni di passione quanto la sua vita esteriore è tranquilla.
Y: Il contrasto tra un oggetto in evidenza in primo piano e uno sfondo indefinito è anche l’elemento più caratteristico dei quadri di
Jane, che rimandano del resto implicitamente al suo passato come allo sfondo cui connettere ogni nuovo evento dell’intreccio (il
tema dei quadri dipinti da Jane richiama quello della lettura fatta da lei nella prima infanzia a casa Reed, oltre e più che a quello di
alcuni sogni descritti in seguito) e tutto il libro è percorso di rimandi evidenti che proiettano la vicenda su un piano più alto, mentre
le conferiscono unità, come una ripetizione saggia contrapposta al ripetere ottuso, folle e venefico del delirio della moglie rinchiusa.
X.: Naturalmente si vuole contrapporre così lucidità e sogno e sottolineare l’essenza della vita come sintesi di contrari, dove ogni
decisione e moto interiore ha delle ripercussioni sottili, ma profonde e inevitabili sull’insieme, anche se forse questo marcare il senso
della distanza è da connettere anche con il messaggio espresso dal capitolo sul fidanzamento, quando vengono descritti l’odio di Jane
per i sentimentalismi e i suoi sforzi per difendere da essi il sentimento (ci vuole distanza da se stessi e dal partner per amare) e per
mantenere un distacco sufficiente a preservare la dignità propria e di Rochester, dominandone con fermezza la tendenza a indulgervi
con lei…Lei esercita sempre del resto un controllo sui suoi stessi sentimenti, trovando sempre la forza di staccarsene quando
necessario, e sottopone sé e gli altri ad analisi acute continue, pur essendo per natura impulsiva e passionale, il che è ciò che poi la
accomuna di più a Rochester (si parla di capacità di penetrazione e di fuoco interiore per entrambi e la loro unione viene descritta
come una fiamma alta, pura e forte)
Y: Jane e Rochester sono entrambi pieni di contraddizioni perché la vita è fatta di contrari…
X: Appunto e nel libro non vedo distinzioni di valore ferree, nonostante le apparenze, mentre i punti deboli diventano punti di forza e
la sfortuna porta alla soluzione di tutte le difficoltà nel finale: lei trova l’indipendenza economica e un ruolo nuovo, che le
permettono di sentirsi più a proprio agio con lui; lui si ammorbidisce, imparando a essere più flessibile e umile nei giudizi, nel modo
di comunicare e in quello di affrontare gli ostacoli.
Y: Vero anche che se di Rochester si sottolinea la particolare lunghezza delle braccia e se ne lodano la ricca casa, i begli occhi, la
forza fisica e la sicurezza, corrispondentemente nel finale si notano una mano in meno, un rudere, un occhio solo, l’invalidità
assoluta! Sembra uno scherzo…
X: Quello è un aspetto strano del libro, che non saprei se in questo è più ridicolo o inquietante. Ma ci sono cose da considerare al
riguardo: dopo il fallimento del tentativo di sposarsi, la coscienza interviene dicendo: “Ti strapperai da sola l’occhio destro e la mano
destra” e in uno dei suoi quadri l’occhio destro è coperto e l’espressione cupa e spenta è messa in risalto da un turbante nero e dal
pallore dell’incarnato dipinto, che sono caratteristiche sottolineate in Jane appena rimane sola dopo aver visto la moglie di Rochester
con gli invitati e il legale ("occhi chiusi e coperti", "oscurità turbinante", "pallido volto"); inoltre la notte prima del matrimonio
Rochester si rivolge a Jane, che crede che tutto finirà in un sogno, così: “È un sogno questa?” e sporge la mano, che viene definita
“tornita, muscolosa e robusta”.
Tornando al punto direi che a prima vista sembra un libro un po’ puritano, ma a ben guardare non mi pare tale, dato che non mi
sembra che Jane abbia un reale rispetto proprio per tutti i valori di cui parla e che mi pare che più che altro lei rispetti il concetto di
limite…
Y: In effetti avevo notato che un termine ricorrente è “lacci” e quasi ogni volta che si nomina Rochester non si parla che di legami
intesi o descritti come catene, che egli intende saldare o spezzare, aggirandoli, ignorandoli o nascondendoli (siano quelli delle
relazioni sociali o familiari, del sentimento, del passato, delle leggi civili o divine, del destino ecc…).
X: Nella vita bisogna essere morbidi, se si vuole avere qualche possibilità di ottenere ciò che si vuole quando ciò non pare permesso:
così fa Jane, così farà anche Rochester, infine, perché, accettando con sincerità quanto con distacco certi limiti e mantenendo chiaro
davanti a sé il proprio obiettivo di felicità con la mente aperta a ogni percorso nuovo imposto o suggerito dagli eventi, spesso accade
che si apra una strada anche a chi ha avuto poca fortuna o ha alle spalle molti sbagli. Il rito del sacrificio non ha nulla a che vedere
con le convenzioni o convinzioni moralistiche o religiose: si tratta di una legge naturale. Mi fa pensare a Jung il richiamarsi a leggi
morali naturali emergenti dallo scontro fra gli elementi opposti della personalità e della vita.
Y: Un concetto coerente con il resto del romanzo, dove non sempre ciò che viene definito, comunemente o secondo una certa etica
religiosa, uno sbaglio, viene interamente presentato come tale: nella prima parte l’imperturbabile capacità di calma rassegnazione di
Helene non rende disprezzabile l’energica autodifesa di Jane bambina, che del resto il più delle volte, nel corso del romanzo, si salva
proprio grazie alle sue reazioni impulsive e al suo bisogno prepotente di giustizia e di sentirsi amata e viva! Considerando la lettera
che l’autrice inviò a Thackeray, forse gli occhi verdi di Jane sono quelli di Rebecca e il nome deriva dall’omonimo personaggio di
La fiera delle vanità (ne è infatti la figura femminile più equilibrata e positiva): il vento impetuoso è l’immagine più frequentemente
usata per connotarne l’energia psichica!
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Y: Di certo l’autrice dà molto risalto al ruolo dell’attrazione inconscia e dell’istintualità nel destino di Jane e ai loro simboli. Il
pettirosso alla finestra nutrito da Jane all’arrivo del proprietario del collegio a casa della zia non è casuale probabilmente: un uccello
che si cala a terra nei sogni, in alchimia, nei miti e in certa narrativa (soprattutto quella fantasy) indica che lo spirito del sognatore sta
assumendo o assumerà un carattere più terrestre o più vicino alla natura femminile, che una sua aspirazione vaga diventerà più
precisa e determinata o che si annuncia anche un amore spirituale ed è un equivalente del simbolo dell’acqua che sale dal basso, un
simbolo che segnala che sta agendo l’ elemento unificatore dell’inconscio, il Mercurio alchemico (è infatti l’artefice dell’opus). E a
Jane Rochester giunge su un cavallo anticipato da un cane su cui lei fantastica attribuendogli potere magico: il cavallo rappresenta
molto spesso nei sogni e nell’arte la vita corporea e l’istinto in quanto veicolo e forza trascinanti connessi alla magia nel bene o nel
male (vedi la nota poesia di Yeats, per esempio).
X: Penso piuttosto al sogno descritto da Jung sul cavallo che scalpita in casa e poi si getta nel vuoto uccidendosi: è la comunicazione
alla sognatrice ignara della malattia terminale che l’aveva colpita, come l’asino che, in Altre voci altre stanze, fa lo stesso, anticipa la
svolta nella maturazione di Joel, quindi la morte del ragazzo che fa posto all’uomo che egli doveva diventare. Il fatto è che qui a
lanciarsi nel vuoto è la moglie di Rochester, un’altra immagine di istinti non domati, la cui morte segna l’inizio della maturazione di
Rochester.
Y: Passionale e insieme riflessiva e razionale, Jane fa pensare anche me a Jung, ma alle sue pagine sul “tipo introverso” di donna:
ella si realizza unendosi a Rochester, che sembrerebbe essere il suo “doppio” del “tipo estroverso” (di nuovo l’unione degli opposti).
X: A proposito delle sue contraddizioni, per me è stato particolarmente interessante il dialogo tra lei e Rochester la vigilia del
matrimonio: alla prima lettura del libro avevo letto quelle pagine con fastidio, perché trovavo che spezzassero il ritmo - in realtà
volevo conoscere il seguito della vicenda con troppa curiosità -, ma rileggendole ho notato molti particolari che mi hanno colpito,
come l’identificazione del neonato del sogno (il bambino che la intralcia e quasi la soffoca, facendola precipitare) con Adele che la "
teneva stretta dormendo”, con la quale del resto il passato era già tornato a vivere quando con lei aveva passato sulle scale del tempo
ad ascoltare i divertimenti altrui come aveva fatto a casa della zia; ma il neonato del sogno si identifica anche in modo più diretto con
Jane bambina (la signora Reed le ricorda poi con disprezzo il pianto lamentoso che aveva da neonata), con la parte di lei che più
risente del suo passato di maltrattamenti (solitudine e miseria sono troppo in contrasto con la nuova prospettiva di abiti costosi,
viaggi e relazioni sociali), con il suo amore in pericolo e fragile (in seguito dirà: “Il mio amore rabbrividiva come un bambino in
pena entro una fredda culla” e “La coscienza, divenuta una tiranna, strinse la passione alla gola”) e anche con la fede eccessiva che
lei ha in Rochester e che asssomiglia all'innocenza di Adele ("sonno innocente"). Un bambino sembra in effetti un simbolo adatto a
rappresentare la fragilità di un amore e di una vita nuova in rapporto al passato e inoltre la perdita di innocenza, fiducia e stabilità
comportate da un necessario sviluppo.
Y: Lui infatti è colpito da quella fede al punto da osservarla con disagio e invitare Jane a cambiare atteggiamento.
X: A confrontare questi sogni con L’interpretazione dei sogni di Freud si resta poi sorpresi da quanto siano ricchi di riferimenti
sessuali e in effetti quel presentimento di rottura corrisponde anche a una grande inibizione della libido, che per Freud è la causa più
frequente della grande angoscia provata in certi incubi (so bene che l’interpretazione di Freud è quasi sempre riduttiva, ma in questo
caso è plausibile). Già l’albero del frutteto spaccato è un noto simbolo di castrazione (Jung, in Simboli della trasformazione, lo
definisce “rifiuto dell’impossibile”).
L’autrice sapeva ciò che scriveva al riguardo! Telepatia, legge di attrazione, intuizioni, sogni, visioni (della natura personificata, non
di Dio) e capacità di concentrazione metodica sostituiscono per lei la preghiera e gli altri riti convenzionali. Visioni, frutto del potere
inconscio, sembrano essere alla base dei dipinti di Jane descritti, alcuni dei quali contengono simboli alchemici tradizionali, che,
come dimostrò Jung, sono ricorrenti nei sogni provenienti dall’inconscio collettivo. È il caso del quadro che rappresenta l’annegata
cui l’uccello sfila il bracciale d’oro risplendente nella notte, riferimento a “Re e Regina”, la coppia del “Rosarium philosophorum”,
cui la colomba di Noè giunge con un ramo fiorito nel becco: l’uccello rappresenta la riconciliazione, ovviamente, quindi l’unione tra
il divino e il mondo (la materia); i fiori del ramo trasportato sono spesso, in sogni simili (ad esempio quelli descritti da Jung),
rappresentati da pietre preziose con riferimenti a mandala nel numero, nei colori e nella disposizione; l’oro è il tradizionale simbolo
del divino e del Sé, che nascono dalla lotta tra gli opposti; al buio si ricollega la fase della “nigredo” e l’idea di caos e di madre,
intesa come materia prima originaria in cui gli elementi si scontrano; la tempesta è un altro simbolo del caos degli elementi
contrapposti; l’acqua è il più noto e frequente simbolo dell’inconscio; al cadavere è connessa l’idea della rinascita, quindi sia il Sé sia
il nuovo essere risultante dal matrimonio di Jane. L’unione tra Jane e Rochester è un’altra manifestazione dell’unione degli opposti
come le nozze tra gli elementi nell’alchimia medievale o quelle mistiche, cui si ricollegano. I riferimenti alle fiabe sono in sintonia
con questi rimandi alle leggi naturali meno facilmente comprensibili e che l’autrice accumula fino a mettere in scena il
soprannaturale nel finale. Ci sono le riflessioni di Jane sul fondo di verità delle leggende delle fiabe, quando incontra sulla strada
solitaria per la prima volta Rochester e ci sono i dodici rintocchi della pendola la notte della vigilia delle nozze, quando è più turbata
per il presentimento della separazione (si rimanda a Cenerentola, ovviamente, perché anche la protagonista di questa fiaba è
un’orfana senza risorse economiche, vittima della matrigna e perché anche il suo sogno dura solo fino a mezzanotte). Anche la
“trasformazione” di Rochester e la scena in cui le appare in sogno “madre natura” sono tratti fiabeschi e si possono ritrovare in più di
una fiaba celebre.
Y: Questo non toglie che certi tratti fiabeschi non si riferiscano anche ad altro: nella vicenda per esempio c'è, come del resto in tutti i
libri dell'autrice che conosco e in Cime tempestose della sorella,un riferimento a Shakespeare, nella cui opera abbondano i "diversi"
per natura o destino. Il missionario a suo modo eccentrico cugino di Jane le dice: "Voi siete originale e per niente timida".
LE AVVENTURE DI PINOCCHIO (Collodi)
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Vorrei solo accennare a Le avventure di Pinocchio di C. Collodi: non commettete l’errore di non leggerlo pensando di conoscere già
la vicenda, ascoltate l’album di Bennato che vi si è ispirato, informatevi su Internet su altre opere di ogni genere in stretta relazione
con questo libro e leggete delle introduzioni in biblioteca o online che ne chiariscano il valore dal punto di vista psicologico, tenendo
presente anche Simboli della trasformazione (Jung). A proposito del capolavoro di Collodi, tenete presente comunque almeno che
Pinocchio è l’eroe che vince la ressa degli istinti (causa di continue perdite e sfortuna, un tipo di destino che Jung definì
“Heimarmene”) e una forte resistenza a maturare, cioè a liberarsi del desiderio dell’irresponsabilità infantile (il regno delle madri, che
attrae chiunque nei periodi di regressione e introversione e che con i suoi richiami intralcia di continuo, inconsciamente, i nevrotici –
è qui il Paese dei Balocchi, uno dei tanti simboli possibili dell’incesto, da intendere non nel senso sessuale ma semplicemente come
involuzione psichica, come il bloccarsi dello sviluppo del carattere): la storia di Pinocchio è quindi quella di ogni eroe che riesce a
maturare e stabilizzarsi nonostante la difficoltà di tale processo, la storia insomma di ogni eroe dei miti e delle fiabe della tradizione, i
cui frammenti ancora tornano nei nostri sogni e incubi (infatti sono proprio motivi tipici della vicenda degli eroi la nascita dal legno,
la connessa impiccagione all’albero, il padre adottivo artigiano, il nemico presentatosi inizialmente come una seconda madre (nei
miti spesso rappresentata da terribili draghi, cavalli neri e pesci mostruosi), la trasformazione in asino, lo scorticamento come
rinascita, l’essere divorato dal pesce, la luce e il fuoco nella caverna-pesce, l’essere salvato da un altro pesce e anche la crescita della
madrina e la morte di Lucignolo, entrambe anticipatrici della trasformazione finale); per quanto riguarda i personaggi più inquietanti
di Pinocchio, vi consiglio di ripensare all’Omino di burro ogni volta che incontrate o sentite parlare di una psicologa o di un'adulta
qualunque che con fare materno invita in gruppi più o meno religiosi (e magari di facciata cristiana) dei ragazzi molto giovani
maltrattati dai familiari o con disturbi psichici o problemi di adattamento.
ECCENTRICI DIALOGHI
CITAZIONI INTRODUTTIVE
“Gli individui con il centro del cervello nell’emisfero destro sono capaci di creare rapidamente e in modo automatico collegamenti
insoliti tra cose apparentemente lontane tra loro.” (Piccola guida per persone intelligenti che non pensano di esserlo, Milletre)
“Gli individui creativi e fuori dall’ordinario mostrano, secondo una logica ben precisa, una tendenza a un pensiero di natura
“allusiva”, che forse è in grado di renderli capaci di trovare collegamenti logici fra idee o situazioni molto distanti (…) Il creativo
trova collegamenti inarrivabili ai soggetti normodotati, ma estremamente logici e privi di gap o imprecisioni atti a invalidarli (…) È
come se fossero soggetti ipersensibili alle stimolazioni, come certi animali il cui olfatto molto sviluppato li rende capaci di annusare
qualsiasi traccia olfattiva, anche la più impercettibile. I creativi (…) presentano una fluenza ideativa e una spiccata preferenza per la
complessità delle cose che potrebbero derivare da più elevati livelli di attenzione che stimola un migliore utilizzo delle aree cerebrali
deputate al ragionamento (…) “Sommersi”da stimoli (…) sono in grado di trovare il bandolo della matassa, (…) riescono (…) a dare
un nome alle cose. È molto probabile, inoltre, che i soggetti creativi, oltre a mostrare un livello attentivo superiore alla media,
presentino anche una maggiore e specifica capacità di associazione (…) unita ad un’incredibile velocità di elaborazione (...) La
creatività è la capacità di ristrutturare un vecchio pensiero, (… ) di renderlo nuovo, originale, di arricchire quindi vecchie conoscenze
già apprese (…) Un soggetto, un artista, per essere creativo deve presentare diverse caratteristiche irrinunciabili: deve essere
innanzitutto curioso (…) La personalità creativa è anche caratterizzata dal bisogno di successo: solo puntando in alto, infatti, si
possono raggiungere obiettivi insperati (…) Deve essere anche una persona autoritaria, in grado di ordinare i suoi pensieri e di
obbligarsi a perseguirli (…) Il creativo è scarsamente inibito, (…) ha (…) un animo non convenzionale (…), è intuitivo e (…)
versatile (…) Non si ferma in un solo campo e (…) ha la forza di andare avanti (…) Ha una capacità di autoanalisi non indifferente
(…) Gli artisti sono persone solitarie, che amano la solitudine e il silenzio, perché in questi trovano la dimensione giusta per capire,
per comprendere, per scoprire, per creare appunto. (Creatività, E. Balconi e M. Erba)
“Era precisa e metodica, ma ** aveva notato quasi subito che possedeva anche la qualità che per lui era la più preziosa per portare
avanti le indagini difficili. Aveva fantasia e capacità di associazione. In almeno due inchieste complicate, era riuscita a sollevare
collegamenti insoliti che ad altri erano sfuggiti e che avevano condotto a una svolta determinante nelle indagini.” ("La ragazza che
giocava con il fuoco", Larsson)
“Tutti i progressi (…) consistono nello scoprire i rapporti. Ora, (…) l’immaginazione è la (…) feconda e meravigliosa ritrovatrice de’
rapporti.” ("Zibaldone", Leopardi)
“Non una riflessione esauriva compiutamente e sostanzialmente l’oggetto, ciascuno si volgeva secondo le più diverse concatenazioni
portando ora avanti ora indietro (…) Il senso di tutte le considerazioni non mi (…) era ben chiaro, ma grazie appunto a quelle
debolezze, esse gettavano luce lontano come lampi (…) Tanti esempi della vita e del pensiero vi si addicevano, sollecitando a
trasformare in un concetto più chiaro quello sentimentale (…) Anche soltanto chiacchierare di qualcosa ha lo stesso senso di
appropriarsi del mondo, (…) di improntare l’incerto di sé.” (“L’uomo senza qualità”, Musil)
“Che non lo vedesse stampato gli importava poco. Lo scriverlo era l’atto culminante di un lungo processo mentale, l’accostamento di
tutti gli sparsi fili del pensiero, la sintesi di tutti i dati dei quali la sua mente era carica (…) Uno sforzo col quale liberava la mente,
lasciandola pronta a ricevere ed elaborare il nuovo materiale e i nuovi problemi. Era in certo qual modo, una cosa simile all’abitudine
di certe persone contristate da sofferenze vere o immaginarie, che ogni tanto rompono, volubili, il loro lungo silenzio per dire una
buona volta tutto quello che hanno nel cuore (…) Il desiderio di scrivere era la cosa più vitale che aveva in sé (…) Aveva una mente
di studioso (…) Era per natura molto forte di pensiero e di sensibilità, ed il suo spirito creativo era ostinato ed impellente (…) A ogni
minimo stimolo del mondo esterno sulla sua coscienza, i suoi pensieri, le sue simpatie, le sue emozioni balzavano (…) Era
straordinariamente ricettivo ed entusiasta e la sua immaginazione, che spaziava sempre in alto, lavorava incessantemente per stabilire
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relazioni di somiglianza o di differenza (…) Con un rapido sguardo confrontava (…) un’ondata di ricordi (…) La sua immaginazione
analitica cominciava a lavorare (…) moltiplicando, per forza di contrasto, la splendida qualità (…) Il suo cervello era un magazzino
accessibilissimo di ricordi, di fatti e di fantasie (…) Qualunque cosa avvenisse, la mente presentava subito antitesi associate o
similitudini, che generalmente si esprimevano sotto forma di visione (…) che s’accompagnava all’avvenimento presente (…) in
maniera automatica (…) Con una tendenza logica alla conclusione (…) identificando e classificando le sue impressioni, nuove
visioni sorgevano nella sua mente (…) Queste visioni sorgevano dalle azioni o dalle sensazioni del passato, dalle cose e dagli
avvenimenti, dai libri di ieri e della settimana scorsa, (…) che fosse sveglio o addormentato.” (“Martin Eden”, London)
“Le (…) fantasticherie gli si affollavano nel ricordo (…) balzate avanti, improvvise (…), da semplici parole (…) Parlare di queste
cose, cercare di comprenderne la natura e, avendola compresa, cercare lentamente, con umiltà e costanza, di esprimere, di tornare a
spremere (…) una immagine di quella bellezza che siamo giunti a comprendere… questo è l’arte (…) Quando (…) vedi che è quella
cosa che è e nessun’altra (…) l’essenza di una cosa, (…) la mente in quel misterioso istante è un carbone che si spegne (…) Quella
qualità (…) dell’immagine (…) viene percepita limpidamente dalla mente, già arrestata dalla sua interezza e affascinata dalla sua
armonia.” (“Ritratto dell’artista da giovane”, J. Joyce)
“In società ero sempre troppo agitato e distratto per poter fermare la mia attenzione su qualcosa di bello. Ci sarebbe voluto, per
catturarla, il richiamo di una realtà che si rivolgesse alla mia immaginazione o (…) qualcosa di generale, comune a diverse apparenze
e di esse più vero, capace di risvegliare, in quanto tale, in me lo spirito interiore assopito, il cui riemergere (…) mi dava gioia”. (“La
prigioniera”, Proust)
“Per sbloccarmi e riuscire a scrivere il componimento e superare l’esame di cultura generale, (…) immaginai di parlare con le mie
amiche, scrivendo le mie riflessioni in forma di dialogo e alla fine unii i paragrafi.” (“Piccola guida per persone intelligenti che non
pensano di esserlo”, Milletre)
** L’intento artistico manca del tutto; il modello dei temi scolastici è completamente ignorato; le introduzioni pubblicate sono
ignorate oppure sono messe in discussione (a volte sottoposte a critiche, altre volte integrate esplicitandolo); i commenti sono
personali e i collegamenti tra letture di vario genere e film sono spontanei quanto inusuali; i dialoghi sono comprensibili solo a chi
abbia sensibilità e senso critico e ovviamente conosca bene i libri e i film citati; le citazioni introduttive servono a chiarire come i
collegamenti insoliti presenti in quasi ogni dialogo siano da considerar qualcosa di molto diverso dalla bizzarria,
indipendentemente dal valore (naturalmente modesto) di quel che scrivo io.
** Per avere una rapida visione dei libri e film di riferimento leggete i titoli in corsivo.

CONVERSAZONI CON I CLASSICI SUI "DIVERSI"
INTRODUZIONE
Negli ultimi dieci anni "ho trovato" i libri da leggere di volta in volta lungo il cammino, cioè in libri letti da poco a partire da una
base proveniente dalla lettura di antologie liceali e classici durante l'adolescenza e da pochissimi consigli e discorsi di conoscenti.
Spesso i libri da me scelti si sono rivelati in corrispondenza stranamente precisa con quanto avevo da poco detto oppure letto e forse
ciò accade spesso quando una persona si dedica ogni giorno a qualcosa per la quale ha sviluppato doti particolari a partire da
un’inclinazione e da un talento naturali. Tuttavia non ho mai trovato libri che mi aiutassero a conoscere cose che non erano ancora
alla portata di una mia comprensione non astratta, nulla che non avessi già intuito con chiarezza o almeno in modo confuso, cioè non
ho mai potuto avere una guida vera e propria. Inoltre ricevetti e ottenni anche meno negli anni del liceo e in quelli immediatamente
seguenti, prima di iniziare il percorso che ha portato a queste pagine: all’epoca molto di rado ho trovato libri in corrispondenza con le
mie intuizioni e con ciò che stavo vivendo e quei libri non erano fatti per dare speranza… Anche le mie ricerche online per anni non
hanno avuto buoni risultati. Credo ci sia un momento giusto per avere ciò che di meglio la cultura può dare, cioè penso che certi
processi richiedano determinate condizioni di vita e della mente per avviarsi e stabilizzarsi e questo è il motivo per cui ho scritto
questo documento: non si può attendere il momento giusto quando si ha davvero bisogno di certe informazioni, quando tutta la vita
dipende prevalentemente dall’avere o meno certe informazioni e il sostegno di certi scritti da conservare presso di sé.
“Pensare” e rivedere spesso i testi che ho messo in rete non mi è costato alcuna fatica, solo batterli al PC e correggerli mi ha richiesto
un certo impegno: per me leggere e scrivere è più naturale che parlare e inoltre collegare i brani lontani di un libro fra loro o con
molte altre letture ed esperienze è per me automatico, cioè immediato e senza sforzo (in generale ho tutte le principali caratteristiche
della minoranza con centro cerebrale nell'emisfero destro). Da molti anni ripeto al mio compagno che le cose che “scrivo” si
scrivono da sole. Non ho bisogno quindi di approvazione e non leggo né mi faccio riferire mai critiche e lodi: chi può e vuole
approfitti della mia ricerca, gli altri trovino qualcos’altro da leggere semplicemente.
Ci sono persone per le quali l’analisi del testo è ormai cosa naturale grazie all’esercizio fatto e anche a una memoria particolare per i
vocaboli e i dettagli presenti all’interno di un libro, per quanto per alcuni di loro la memoria per elenchi di nomi e date non legati
concettualmente sia scarsa e magari inferiore alla media. Ci sono persone per le quali i personaggi principali e minori di un libro
acquistano voce e faccia senza che esse lo decidano e persone che ricordano la scena di un libro come se l’avessero vista e non letta.
Ci sono persone che hanno bisogno più di altri di leggere, analizzare, organizzare e comunicare. Io sono una di queste persone.
Spero che ciò che scrivo arrivi alle persone giuste: la mia capacità di esprimermi e di vivere è stata per molto tempo misera quanto lo
erano l’ambiente in cui ero costretta a vivere e la mia visione della vita. Ora sono un’altra e anche per me la realtà, che mi appariva
piatta, ha acquistato la dimensione della profondità. Tutto è stato trasfigurato da leggi intrinseche alla mia natura particolare e alla
realtà. La strada in cui, a un certo punto, ho potuto immettermi si è rivelata giusta per me. Non ho trovato niente di simile ai miei testi
online nel corso di molte ricerche su internet o in libreria e pertanto ho preferito espormi a qualsiasi critica che rinunciare a scriverli.
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È stata un’esigenza profonda a spingermi a raccogliere certe informazioni e a condividere anche il risultato delle mie esperienze più
dure. Ci sono necessità che si accompagnano ad un carattere di urgenza fin dal loro primo affacciarsi alla coscienza e che si
presentano ripetutamente alla mente distratta o oppressa e ciò anche se ci si sforza di ignorarle e se non si sa darne una spiegazione
razionale nei dettagli: sono desideri che pretendono attenzione e reclamano il loro diritto di esistere ed essere concretizzati nonostante
qualsiasi difficoltà oggettiva o resistenza interiore… essi sono come il bisogno di giustizia, che di razionale ha poco ma va e non può
non essere ascoltato da chi ha la vocazione innata di farlo. La libertà è un’illusione molto più di quanto sembri. Mentre compilavo e
rifinivo più volte gli scritti che ho messo in rete, sapevo bene che tutti loro possono essere fraintesi, criticati, sporcati o ignorati e che
potrebbero non arrivare mai a chi ne ha bisogno. D' altra parte chi, come me, ha subìto l'ostracismo ed è sopravvissuto arriva a volte a
conoscere bene alcune forme di libertà poco comuni.
Forse ogni eccentrico sicuro di sé è spesso un individuo che ha cercato di divenire più simile ai più, poi ha compreso che non gli era
possibile e che illudersi e fingere al riguardo gli appariva peggiore che essere morto ed è tornato allora a percorrere, più calmo, la
strada solitaria e priva di chiare indicazioni dell’eccentrico, apprezzando meglio quel suo dialogare intimo e sincero, che se non altro
era espressione di vita (dolore, frustrazione, amore, passione sono vita al contrario di tutte le finzioni!), La menzogna sa di morte,
come scriveva Conrad, il cui Lord Jim come Il seme sotto la neve, che pure è uno dei libri peggiori di Silone, ha pagine che per me
sono state importanti su chi viene dal suo destino spogliato gradualmente di tutto ciò che ha e non gli è essenziale.
Avere personalità significa possedere consapevolezza, completezza, coerenza (Seneca sa esprimere questo concetto probabilmente
meglio di chiunque altro) e spesso significa anche avere un prestigio almeno inconscio sugli altri, perciò chi la ottiene può arrivare a
sentirsi bene anche se non dimentica di certo l’aver subìto una sofferenza fisica e psicologica intensa e lunga. Si può divenire
abbastanza felici o sereni anche se non si può voltare pagina del tutto quando a lungo si ha vissuto una scissione consapevole quanto
irrimediabile dalle proprie emozioni rimuovendole di continuo, non prendendo decisioni ad esse conseguenti e non esprimendole con
chiare parole e razionali azioni; conseguenze durature hanno anche il distacco dal proprio corpo e dalle sorgenti inconsce delle idee,
della libera energia e dell’affettività naturale: sembra troppo difficile vivere quando non si riesce e non si è quasi mai riusciti né a dire
ciò che si pensava nel momento in cui era necessario né a fidarsi del proprio intuito e ad agire con prontezza, quando ogni passo crea
e per tanto tempo ha creato dolore, ci si agita e ride dolorosamente e si è ballato mentre si voleva invece urlare o piangere come la
sirenetta esiliata dal mare, tuttavia può valerne la pena se è vero che la vita può cambiare in modo radicale e diventare bella e piena
anche se non facile né sicura. Sono parole che descrivono bene la condizione in cui ho vissuto io per quasi 30 anni e la mia ricca
tarda fioritura. Come molte persone di cui scrissero Jung, Fromm, Millètre, come alcuni artisti e come i protagonisti di romanzi
(come Jane Eyre) o fiabe (come La sirenetta, Richetto dal ciuffo, I cigni selvatici di Andersen o Pollicino di Perrault), a un certo
punto forse si approfitterà delle proprie doti particolari e di una strana fortuna avuta in una vita dura e triste e allora si imparerà a
parlare, ad agire, ad esprimere naturalmente le emozioni, ad ascoltare l’intuito e pensare in autonomia e rapidamente, mentre si
riempiranno i vuoti affettivi creati e lasciati dai blocchi emotivi e dall'altrui comportamento e forse si arriverà anche a comprendere
perchè in Il pazzo e la fanciulla Selma Lagerlof si spinse fino ad affermare che non c'è vergogna che non si possa affrontare e domare
quando si ama e si è amati dalla persona giusta... La protagonista di La sirenetta di Andersen e quella di Richetto dal ciuffo di
Perrault sono due estranee nella loro famiglia e nel loro mondo e ciò che ottengono infine è forse per i diversi tutto ciò che essi
possono sperare: la stima e l’affetto della persona giusta per superare i blocchi emotivi, immettersi in un mondo più vasto e legarsi a
un altro destino oppure la vita dei “figli dell’aria”, cioè dei figli del Pensiero quali sono i saggi, i guaritori, gli scrittori, coloro che
hanno relazioni con gli altri indirette e improntate ad altruismo selettivo e distaccato.
Forse due sono le leggi della realtà che trovo più positive e in contraddizione con quasi tutte le altre: quella per cui una donna che ha
subìto a lungo una grave ingiustizia incontra non di rado e del tutto inaspettatamente una persona particolarmente buona e paziente o
per lo meno disposta ad averne cura sinceramente e fedelmente (ho in mente soprattutto le esperienze di miei conoscenti e la mia e
ora come ora mi vengono in mente solo i personaggi femminili di Chiedi alla polvere e I demoni) e quella per cui chi è sincero e
quindi fedele nell'impegno di comprendere ed evolvere, capace di perseverare a lungo, finisce spesso con il trovare ciò di cui ha
bisogno anche dopo una ricerca a dir poco ostacolata e inizialmente mal condotta (di nuovo penso soprattutto alla mia esperienza
personale, ma ne scrissero bene Jung e Tolkien). Aiuta davvero leggere il passo del saggio Albero e foglia in cui, senza
semplificazioni, forzature ed esaltazioni del vivere (quelle tipiche dei romanzi più famosi – e peggiori – di Tolstoj per esempio), si
nota con semplicità che per lo meno nella vita spesso non c'è una sconfitta totale: l'esempio brevissimo scelto da Tolkien per
riassumerlo è tratto da una fiaba o un racconto in cui un personaggio ottiene il risveglio di un altro dopo che molti tentativi sono
andati a vuoto ed è ormai giunto all'esasperazione e questo episodio ha suscitato in me la commozione profonda che avevo provato
poco tempo prima leggendo Il pazzo e la fanciulla. Si tratta di due leggi della realtà in contrasto con la mentalità della maggioranza e
che forse solo una società estremamente repressiva può annullare nei loro effetti.
Anche la frequenza della telepatia (quella all'interno della coppia oppure con un raggio d'azione più ampio) e la carta natale sono,
nelle difficoltà, un tipo di sostegno che prescinde dall'approvazione della maggioranza e dalle capacità personali e fa così sentire
meno soli, regalando senso di comunione e qualche avvertimento (vi ricordo che l'astrologia è scienza antica, che sulla veridicità di
alcune carte natali è quasi impossibile accampare dubbi e che la telepatia è cosa assai semplice e accertata sia nelle persone che negli
animali, senza contare che qualche contatto verificabile esiste anche tra la mente umana e quella animale). E proprio lo stesso tipo di
sostegno forniscono in fondo lapsus, incubi e sogni significativi, la pratica della meditazione e il contatto solitario (controcorrente)
con la natura: si avverte che non si è soli contro tutti e che la gente non è tutto. Jung ha notato come il razionalismo – che nega tutto
ciò ed è oggi alimentato nella scuola – abbia in alcuni casi certamente favorito l'insorgere di malattie mentali e che l'inizio di una
guarigione da una seria nevrosi in genere è provocato e accompagnato anche da eventi e sogni percepiti come inspiegabili e che
spingono a esprimere una buona volta i diritti ignorati, i giudizi, i desideri profondi e in generale la propria natura a dispetto delle
pretese altrui e di capacità, emozioni, conoscenze e circostanze inadatte (è l'inizio dell'autonomia e passa per le fasi dello stupore e
quindi della speranza o almeno dell'urgenza). Forse ciò che di più grave fa la scuola è proprio che toglie la speranza ai meno fortunati
non informando o disinformando su queste leggi regolanti il reale, come se la vita fosse determinata solo dalle leggi della violenza e
da quelle che premiano abilità e sforzi ordinari. Queste sono invece informazioni essenziali che, come molte altre, la scuola rifiuta di
fornire, anche se di solito non si possono comprare. Quindi la scuola non annienta la speranza di chi soffre ed è giovane soltanto non
fornendo ai ragazzi alcuna possibilità di difendersi da compagni e insegnanti bulli. Io spesso ripeto come uno slogan che da sempre si
tortura e si ammazza soprattutto con la mancanza d'informazione e che l'ignoranza diffusa favorisce senz'altro tutti coloro – e sono i
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più – per i quali non conta la realtà ma l'interesse. La maggioranza dà giudizi sommari sui diversi e sui meno fortunati perché crudele
o indifferente, ma la verità è che anche chi non può contare sulla famiglia e non possiede le capacità apprezzate dalla maggioranza
può migliorare la propria vita e perfino farne qualcosa di grande se può contare sui libri e i siti Internet giusti e su condizioni di vita
rese sopportabili seguendo un progetto preciso (niente che richieda la guida di un estraneo).
Riguardo all'ostracismo dei diversi, può essere utile ricordare che perfino un romanzo senza pretese come Il mulino sulla Floss
ricorda la credenza primitiva che l'ostracismo attirasse alluvioni, terremoti, epidemie ecc. sulla comunità che lo praticasse e ciò a
causa della gravità di questa pratica, una credenza con strane corrispondenze nella realtà e che dovrebbe - anche se non lo fa - fare
riflettere chi è sempre pronto ad approfittare di tale violenza estrema sui diversi e su chi ha ricevuto di meno.
Non c’è quasi grande scrittore che non abbia parlato dell'ostracismo: credo si tratti di una delle forme di violenza attuali e di ogni
tempo in assoluto più barbare e più rappresentative della natura della maggioranza delle persone. Di tutti gli autori di cui ho riportato
i brani, solo Kafka non analizza e non presenta l’ostracismo da un punto di vista morale e realmente razionale: egli non si basa
affatto su quei valori che provengono dall’analisi storica. Ci sono comunque molti altri testi che trattano questo argomento in termini
obiettivi e non limitati da vigliaccheria o ottusità, come per esempio Middlemarch. George Eliot aveva conosciuto bene l’ostracismo
essendone stata vittima. In Middlemarch il medico ne viene sconfitto, ma Dorothea riesce a schivarlo pur perseverando nella scelta
del proprio compagno: così la storia di Dorothea rispecchia solo parzialmente la vita dell’autrice. Nel finale di Il mulino sulla Floss
Eliot rappresenta invece l’evoluzione peggiore di una situazione sociale e soprattutto familiare più simile a quella da lei vissuta,
tuttavia, se i fratelli di questo libro costellano la loro vita di dolorose rinunce e la sorella in particolare si sacrifica per non essere del
tutto allontanata dal fratello e per il bene di una rivale sostenuta dalle convenzioni, l’autrice fece invece una scelta più sensata di
quella che qui decise di rappresentare, dato che è noto che continuò a dispetto di tutti a convivere con il suo compagno già sposato
(separato di fatto ma non legalmente), accettando la disapprovazione della sua società e sopportando anche la separazione dall’amato
fratello. Sperò probabilmente che qualche evento meno tragico e irreparabile di quello descritto nel romanzo operasse col tempo sul
fratello quell’auspicabile ampliamento dei confini mentali troppo ristretti che permette al suo personaggio Tom di riconciliarsi con la
sorella poco prima di morire con lei (“nella morte non furono divisi”). Maggie non ha mai smesso di volergli bene e Tom riesce
infine a comprenderla, ma solo quando la stanchezza e la disperazione di lei operano sul destino al punto da causarne la morte a
vent’anni e da coinvolgere anche lui in quella morte! Non si nasce per morire a vent’anni! Forse questo libro è un invito a
comprendere che è bene prepararsi più presto possibile a lasciarsi alle spalle certi legami (la famiglia, il paese e, in un certo senso, la
“società” stessa). Maggie è diversa dalle altre donne solo in parte, ma c’è chi lo è stato in modo radicale e alle “vie oscure ai propri
occhi” (quelle della gente) e al “mondo” ha preferito la solitudine e il dialogo sterile e solitario con la parte di sé passionale che non
poteva esprimersi, con il proprio desiderio tormentato di uscire al sole e con la propria consapevolezza che in certe situazioni uscire
non è possibile e che in certi stati d’animo la luce è solo un’intrusa e i fiori qualcosa che ricordano troppo quel che non si può avere.
Sono espressioni prese dai versi di Emily Bronte, che, come forse tutti gli eccentrici, ha voluto probabilmente a un dato momento
mischiarsi agli altri. Forse ogni eccentrico sicuro di sé è spesso un individuo che ha cercato di divenire più simile ai più, poi ha
compreso che non gli era possibile e che illudersi e fingere al riguardo le appariva peggiore che essere morto ed è tornato allora a
percorrere, più calmo, la strada solitaria e priva di chiare indicazioni dell’eccentrico, apprezzando meglio quel suo dialogare intimo e
sincero, che se non altro era espressione di vita (dolore, frustrazione, amore, passione sono vita al contrario di tutte le finzioni!).
Nella sua introduzione a Il mulino sulla Floss Debenedetti scrisse che l'autrice sbagliò a rinunciare del tutto a amici, lavoro e
soprattutto alla famiglia perchè secondo lui ne soffrì eccessivamente e perchè i legami con la famiglia d'origine sono secondo lui
troppo importanti o sacri, ma questo critico sbaglia: nel romanzo infatti si afferma che Maggie adulta, dopo le sue eroiche rinunce,
non trae alcuna gioia derivata dal presente dal rapporto col fratello e dalla vita esterna alla famiglia, ma solo un riflesso rimandato dai
ricordi del passato irrecuperabile e si dice chiaramente che dopo l'ennesimo sacrificio (succeduto alla "fuga" in coppia) ella
desiderava ormai morire: il senso del libro è che lei sarebbe morta in ogni caso, perdendo così tutto e non solo familiari, amicizie,
colleghi e ammiratori. E non fu solo George Eliot a soffrire molto dell'ostracismo nella sua prima fase, anzi ciò accade sempre e
indipendentemente dalla situazione familiare e lavorativa, ma dopo i primi tempi chi ha personalità e risorse viene affinato anche da
questa espeienza e torna a respirare abbastanza liberamente. In ogni caso spesso per ottenere qualcosa bisogna rinunciare a
qualcos'altro e sacrificare la propria pace: lei vi guadagnò un marito affezionato e dei libri attraverso i quali ha potuto comunicare più
intimamente di prima con gli altri e che ci permettono ancora di comunicare con lei: al contrario di quanto scrisse Debenedetti, non è
affatto così importante che sia riuscita a scrivere solo nei primi anni dei libri davvero grandi e nemmeno che abbia sofferto di
emicranie anche a causa della sua attivià di scrittice... E poi non ha senso criticare la sua scelta come se lei fosse stata davvero libera
al riguardo e definire la sua fuga col futuro marito "un atto violento e distruttore": secondo Jung il prezzo di diventare una Personalità
è sempre l'isolamento – spesso da compensare poi con l'arte o donando alla società qualcosa di molto utile – e si diventa tali per una
vocazione presente alla nascita. Insomma essendo nata diversa è stato sensato che abbia avuto una vita diversa da quella che
comunemente ci si aspettava da lei come un dovere. In fondo non avrebbe studiato se fosse nata per avere una vita comune. Fu una
delle pochissime donne che nella sua epoca riuscirono a elevarsi attraverso lo studio. I suoi libri sono stati e saranno amati ancora da
grandi scrittori e dai lettori come noi, nonostante i loro numerosi difetti. Scrivo di lei non perchè ami i suoi libri, ma perchè come lei
sono nata diversa, ho vissuto una vita sempre molto diversa da quella dei miei coertanei e conoscenti, sono stata abbandonata dalla
famiglia d'origine e a un ostracismo generale sono sopravissuta. Riguardo all’ostracismo, forse bisognerebbe sempre considerare
prima di tutto se la vittima è una persona come lei e anche come me, oppure una persona convenzionale esclusa dal gruppo in cui era
ben inserita (ad es. coloro che vengono incriminati, chi si ammala o subisce una perdita economica).
Gli eccentrici hanno spesso un passato da nevrotici pieno di contraddizioni dalle quali la gente ha di solito evitato di trarre le esatte
deduzioni: quando le loro azioni, parole ed espressioni contraddittorie sono così numerose da lasciar intravedere che in costoro c'è
qualcosa di diverso dalla confusione mentale, si tende a “dimenticare” quei loro aspetti che sono più in contrasto con il giudizio
banale che l’egoismo generale ha dato di loro e né si approfondisce né si sottopone onestamente a verifica le informazioni in
proposito sebbene vaghe e di seconda mano. È tuttavia proprio l’origine di quelle contraddizioni degli eccentrici nevrotici a
determinare che le conseguenze dell’ostracismo generale siano a volte più sopportabili per loro che per le persone comuni che
vengono estromesse dai propri gruppi, perché non sono in genere solo somatizzazioni, idiosincrasie e deficienze a far sì che i
“diversi” spesso non trovino per molto tempo modo di superare nevrosi e solitudine: a volte essi possiedono una serie di
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caratteristiche che, pur limitandoli nella prima giovinezza, col tempo conferiscono loro una sorprendente e ineguagliabile ricchezza
di risorse in situazioni molto dure, se appena essi decidono di voler vivere e migliorare la loro condizione a ogni costo e trovano
anche solo un accenno di ciò che per loro è essenziale avere per iniziare a costruire solidamente il proprio futuro (perchè di certo un
aiuto, una base da cui partire deve loro arrivare perchè comincino a sperare, a loro come a tutti: non è mai dal dolore che viene la
speranza, al contrario di ciò che dicono in molti, in genere coloro che non sanno nemmeno cosa sia il mancare dell'essenziale per
anni). Jung scrisse che la nevrosi è a volte davvero considerabile come una ricchezza per la sua origine e per alcune delle sue
conseguenze. Forse parlare di fortuna è in ogni caso esagerato, considerando la grande sofferenza e le difficoltà di ogni genere
causate spesso dalle nevrosi e dall'essere dei diversi, ma è vero che i nevrotici che più hanno sofferto hanno però, dopo la guarigione,
avuto una sorta di compenso e anche che le dure esperienze descritte nel libro della Millètre su chi nasce con un cervello sano ma
diverso da quello della maggioranza avrebbero potuto in effetti essere molto più amare. In Donne che corrono coi lupi Pinkola Estes
descrisse proprio questi destini difficili e i loro tipici compensi. Comunque è meglio forse non pensare troppo a questo, dato che la
propria natura e il proprio destino non possono mutare e che fin dai tempi dei tragici greci si ripete che cercare di fuggire al proprio
destino è proprio ciò che più scatena la vera e propria tragedia.
E parlando di destini, so che la tradizione afferma l’esistenza di coincidenze numeriche significative e connesse a un certo tipo di
futuro e invita a osservare data di nascita, certe somme delle lettere del nome con valore numerico, numeri civici o di altro genere
con cui si torna stranamente ad avere a che fare nei momenti decisivi della vita: non è improbabile tale corrispondenza almeno nel
caso di certe persone, considerando che le leggi della realtà non sono a misura d’uomo e che tra le principali leggi regolatrici del tutto
ci sono quella del numero e quella di attrazione attivata dalla somiglianza o dall'attenzione. Al numero 13 la tradizione attribuisce il
destino doloroso del genio, presentato come una persona spronata dall'emarginazione a trovare percorsi nuovi per sopravvivere e
spesso in grado di salvarsi da situazioni che schiaccerebbero persone comuni: egli appare in alcuni frangenti stranamente fortunato
nonostante sofferenze e fatiche così dure da portarlo a maledire la sua diversità. Una cosa curiosa è che ho trovato una definizione
molto simile della genialità in un libro di Jung, anche se senza ovviamente riferimenti a numeri di sorta. Jung ha anche cura di
specificare che il genio spesso è superiore alla media in alcune cose e inferiore alla media in altre e cioè che egli spesso non è colui
che sa fare bene tutto o prima degli altri, perchè è tale proprio perché non c’è equilibrio nelle sue capacità, memoria, ecc. Comunque
la fortuna nella sfortuna non è certamente caratteristica di tutti coloro che hanno genio e poco in comune con la maggioranza: pensa
alla morte precoce e solitaria del ragazzo di cui scrive Krakauer in Nelle terre estreme, un individuo dotato e a dir poco eccentrico e
peraltro con molte caratteristiche di chi ha il centro cerebrale nell’emisfero destro (senso esasperato della giustizia, sensibilità, doti
notevoli nella comunicazione, nello studio, al pc). Eppure la tradizione per molti altri casi non mi sembra sbagli nell’attribuire ai
dotati di una qualità diversa e non inferiore di intelligenza momenti di eccezionale fortuna, forse dovuta a un destino particolare da
compiere o a risorse inconsce particolari di attrazione di certi interventi o a veloce e buona capacità di analisi, creatività, intuito e
rapidità nella reazione istintiva. Chateaubriand si descrive come un diverso incapace di apprezzare onori e ricchezze, comprendere i
familiari, essere da loro amato e accettare con noncuranza i privilegi della propria classe, un eccentrico di doti intellettuali e creative
non comuni, vita difficile e…appunto eccezionale fortuna in numerose situazioni di pericolo per la sua vita. Tornando alla narrativa,
in Millenium Lisbeth è una diversa con una vita difficile, ma i colpi di fortuna eccezionali non mancano in quel suo destino strano e
non è un caso che il suo compleanno cada nella data di una festività molto antica dedicata alle streghe: la fortuna nel suo caso forse è
in relazione con il destino e la morte della madre, cioè con una liberazione di energia inconscia (l’inconscio di madri e figlie è in
pratica lo stesso) e fortuna ed eccentricità, quando sono attributi femminili, fanno ben pensare alle streghe e alle fate della tradizione,
dei miti e delle fiabe. Un tempo lo sciamano acquisiva il suo potere di alleviare dolore fisico intenso e di intuire le vie della
guarigione interiore dopo una grave malattia o dopo lunghe sofferenze di altro genere ed è questo che, in un certo senso, accade
anche alla pensierosa e scontenta sirenetta, che diviene una sorta di benefattrice dopo aver a lungo sofferto e dopo essere stata
respinta dal Principe (forse uomo troppo convenzionale per poterla comprendere e per riuscire a renderla in grado di comunicare ed
esprimersi). Per rimanere nell'ambito degli autori di libri per ragazzi, Pullman negli ultimi due libri della sua trilogia Queste materie
oscure ritrae così il percorso di vita di sciamani, stregoni e streghe.
CONVERSAZIONI
X: L’introduzione alla nostra edizione di Jane Eyre mi piace, però non è corretta quando indica il contrasto principale e più
significativo del libro in quello tra il rosso (il calore e la forza dell’energia vitale, dell’immaginazione, dall’amicizia e dell’amore) e il
grigio (la miseria anche morale, la bruttezza, un certo tipo di razionalità, il limite in genere), perché quello è solo la contrapposizione
più appariscente, mentre mi sembra che il più ricorrente e importante sia il contrasto tra un suono vago di solito simile a uno scroscio
lontano o rauco, profondo e inquietante e un rumore invece argentino, spesso simile a un tintinnio che spezza un ritmo (dato dal
paesaggio o da un insieme di divagazioni o di eventi…): fin dal primo capitolo Jane si raccoglie tra le tende rosse alla finestra e il
paesaggio esterno grigio, mentre al rumore forte della pioggia fa da sfondo il suono del vento in lontananza e la nebbia; la presenza
della moglie pazza si manifesta sempre con questi due suoni in successione; l’incontro tra Jane e Rochester è preceduto da questi
suoni contrastanti attribuiti a corsi d’acqua situati a distanze diverse e a quello scalpiccio, sovrastante tutto, del cavallo al galoppo;
l’orologio di casa rispetto alla pendola dà questa alternanza di suoni nella notte in cui si racconta del velo nuziale strappato e quella
sera il vento è violento e rumoroso per poi cedere di colpo e suggerire un malinconico gemito, che scaccia Jane dal frutteto; dopo il
fallimento del matrimonio i pensieri giungono a Jane “come un fluire buio e confuso”, mentre la coscienza della perdita si abbatte su
di lei “come una piena” in cui lei affonda. Il rumore più lontano e profondo ha la funzione di interrompere i sogni, riportando alla
realtà, o quella di introdurre un evento nuovo, un’apertura sul futuro misterioso e incombente, la cui consapevolezza sembra esistere
per smorzare la luce di qualsiasi risata argentina.
Opposti simili che non coinvolgono il suono sono frequenti del resto nel libro: durante la lunga separazione da Rochester, per
esempio, i sogni di Jane sono sempre movimentati e pieni di passione quanto la sua vita esteriore è tranquilla.
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Y: Il contrasto tra un oggetto in evidenza in primo piano e uno sfondo indefinito è anche l’elemento più caratteristico dei quadri di
Jane, che rimandano del resto implicitamente al suo passato come allo sfondo cui connettere ogni nuovo evento dell’intreccio (il
tema dei quadri dipinti da Jane richiama quello della lettura fatta da lei nella prima infanzia a casa Reed, oltre e più che a quello di
alcuni sogni descritti in seguito) e tutto il libro è percorso di rimandi evidenti che proiettano la vicenda su un piano più alto, mentre
le conferiscono unità, come una ripetizione saggia contrapposta al ripetere ottuso, folle e venefico del delirio della moglie rinchiusa.
X.: Naturalmente si vuole contrapporre così lucidità e sogno e sottolineare l’essenza della vita come sintesi di contrari, dove ogni
decisione e moto interiore ha delle ripercussioni sottili, ma profonde e inevitabili sull’insieme, anche se forse questo marcare il senso
della distanza è da connettere anche con il messaggio espresso dal capitolo sul fidanzamento, quando vengono descritti l’odio di Jane
per i sentimentalismi e i suoi sforzi per difendere da essi il sentimento (ci vuole distanza da se stessi e dal partner per amare) e per
mantenere un distacco sufficiente a preservare la dignità propria e di Rochester, dominandone con fermezza la tendenza a indulgervi
con lei…Lei esercita sempre del resto un controllo sui suoi stessi sentimenti, trovando sempre la forza di staccarsene quando
necessario, e sottopone sé e gli altri ad analisi acute continue, pur essendo per natura impulsiva e passionale, il che è ciò che poi la
accomuna di più a Rochester (si parla di capacità di penetrazione e di fuoco interiore per entrambi e la loro unione viene descritta
come una fiamma alta, pura e forte)
Y: Jane e Rochester sono entrambi pieni di contraddizioni perché la vita è fatta di contrari…
X: Appunto e nel libro non vedo distinzioni di valore ferree, nonostante le apparenze, mentre i punti deboli diventano punti di forza e
la sfortuna porta alla soluzione di tutte le difficoltà nel finale: lei trova l’indipendenza economica e un ruolo nuovo, che le
permettono di sentirsi più a proprio agio con lui; lui si ammorbidisce, imparando a essere più flessibile e umile nei giudizi, nel modo
di comunicare e in quello di affrontare gli ostacoli.
Y: Vero anche che se di Rochester si sottolinea la particolare lunghezza delle braccia e se ne lodano la ricca casa, i begli occhi, la
forza fisica e la sicurezza, corrispondentemente nel finale si notano una mano in meno, un rudere, un occhio solo, l’invalidità
assoluta! Sembra uno scherzo…
X: Quello è un aspetto strano del libro, che non saprei se in questo è più ridicolo o inquietante. Ma ci sono cose da considerare al
riguardo: dopo il fallimento del tentativo di sposarsi, la coscienza interviene dicendo: “Ti strapperai da sola l’occhio destro e la mano
destra” e in uno dei suoi quadri l’occhio destro è coperto e l’espressione cupa e spenta è messa in risalto da un turbante nero e dal
pallore dell’incarnato dipinto, che sono caratteristiche sottolineate in Jane appena rimane sola dopo aver visto la moglie di Rochester
con gli invitati e il legale ("occhi chiusi e coperti", "oscurità turbinante", "pallido volto"); inoltre la notte prima del matrimonio
Rochester si rivolge a Jane, che crede che tutto finirà in un sogno, così: “È un sogno questa?” e sporge la mano, che viene definita
“tornita, muscolosa e robusta”.
Tornando al punto direi che a prima vista sembra un libro un po’ puritano, ma a ben guardare non mi pare tale, dato che non mi
sembra che Jane abbia un reale rispetto proprio per tutti i valori di cui parla e che mi pare che più che altro lei rispetti il concetto di
limite…
Y: In effetti avevo notato che un termine ricorrente è “lacci” e quasi ogni volta che si nomina Rochester non si parla che di legami
intesi o descritti come catene, che egli intende saldare o spezzare, aggirandoli, ignorandoli o nascondendoli (siano quelli delle
relazioni sociali o familiari, del sentimento, del passato, delle leggi civili o divine, del destino ecc…).
X: Nella vita bisogna essere morbidi, se si vuole avere qualche possibilità di ottenere ciò che si vuole quando ciò non pare permesso:
così fa Jane, così farà anche Rochester, infine, perché, accettando con sincerità quanto con distacco certi limiti e mantenendo chiaro
davanti a sé il proprio obiettivo di felicità con la mente aperta a ogni percorso nuovo imposto o suggerito dagli eventi, spesso accade
che si apra una strada anche a chi ha avuto poca fortuna o ha alle spalle molti sbagli. Il rito del sacrificio non ha nulla a che vedere
con le convenzioni o convinzioni moralistiche o religiose: si tratta di una legge naturale. Mi fa pensare a Jung il richiamarsi a leggi
morali naturali emergenti dallo scontro fra gli elementi opposti della personalità e della vita.
Y: Un concetto coerente con il resto del romanzo, dove non sempre ciò che viene definito, comunemente o secondo una certa etica
religiosa, uno sbaglio, viene interamente presentato come tale: nella prima parte l’imperturbabile capacità di calma rassegnazione di
Helene non rende disprezzabile l’energica autodifesa di Jane bambina, che del resto il più delle volte, nel corso del romanzo, si salva
proprio grazie alle sue reazioni impulsive e al suo bisogno prepotente di giustizia e di sentirsi amata e viva! Considerando la lettera
che l’autrice inviò a Thackeray, forse gli occhi verdi di Jane sono quelli di Rebecca e il nome deriva dall’omonimo personaggio di
La fiera delle vanità (ne è infatti la figura femminile più equilibrata e positiva): il vento impetuoso è l’immagine più frequentemente
usata per connotarne l’energia psichica!
Y: Di certo l’autrice dà molto risalto al ruolo dell’attrazione inconscia e dell’istintualità nel destino di Jane e ai loro simboli. Il
pettirosso alla finestra nutrito da Jane all’arrivo del proprietario del collegio a casa della zia non è casuale probabilmente: un uccello
che si cala a terra nei sogni, in alchimia, nei miti e in certa narrativa (soprattutto quella fantasy) indica che lo spirito del sognatore sta
assumendo o assumerà un carattere più terrestre o più vicino alla natura femminile, che una sua aspirazione vaga diventerà più
precisa e determinata o che si annuncia anche un amore spirituale ed è un equivalente del simbolo dell’acqua che sale dal basso, un
simbolo che segnala che sta agendo l’ elemento unificatore dell’inconscio, il Mercurio alchemico (è infatti l’artefice dell’opus). E a
Jane Rochester giunge su un cavallo anticipato da un cane su cui lei fantastica attribuendogli potere magico: il cavallo rappresenta
molto spesso nei sogni e nell’arte la vita corporea e l’istinto in quanto veicolo e forza trascinanti connessi alla magia nel bene o nel
male (vedi la nota poesia di Yeats, per esempio).
X: Penso piuttosto al sogno descritto da Jung sul cavallo che scalpita in casa e poi si getta nel vuoto uccidendosi: è la comunicazione
alla sognatrice ignara della malattia terminale che l’aveva colpita, come l’asino che, in Altre voci altre stanze, fa lo stesso, anticipa la
svolta nella maturazione di Joel, quindi la morte del ragazzo che fa posto all’uomo che egli doveva diventare. Il fatto è che qui a
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lanciarsi nel vuoto è la moglie di Rochester, un’altra immagine di istinti non domati, la cui morte segna l’inizio della maturazione di
Rochester.
Y: Passionale e insieme riflessiva e razionale, Jane fa pensare anche me a Jung, ma alle sue pagine sul “tipo introverso” di donna:
ella si realizza unendosi a Rochester, che sembrerebbe essere il suo “doppio” del “tipo estroverso” (di nuovo l’unione degli opposti).
X: A proposito delle sue contraddizioni, per me è stato particolarmente interessante il dialogo tra lei e Rochester la vigilia del
matrimonio: alla prima lettura del libro avevo letto quelle pagine con fastidio, perché trovavo che spezzassero il ritmo - in realtà
volevo conoscere il seguito della vicenda con troppa curiosità -, ma rileggendole ho notato molti particolari che mi hanno colpito,
come l’identificazione del neonato del sogno (il bambino che la intralcia e quasi la soffoca, facendola precipitare) con Adele che la "
teneva stretta dormendo”, con la quale del resto il passato era già tornato a vivere quando con lei aveva passato sulle scale del tempo
ad ascoltare i divertimenti altrui come aveva fatto a casa della zia; ma il neonato del sogno si identifica anche in modo più diretto con
Jane bambina (la signora Reed le ricorda poi con disprezzo il pianto lamentoso che aveva da neonata), con la parte di lei che più
risente del suo passato di maltrattamenti (solitudine e miseria sono troppo in contrasto con la nuova prospettiva di abiti costosi,
viaggi e relazioni sociali), con il suo amore in pericolo e fragile (in seguito dirà: “Il mio amore rabbrividiva come un bambino in
pena entro una fredda culla” e “La coscienza, divenuta una tiranna, strinse la passione alla gola”) e anche con la fede eccessiva che
lei ha in Rochester e che asssomiglia all'innocenza di Adele ("sonno innocente"). Un bambino sembra in effetti un simbolo adatto a
rappresentare la fragilità di un amore e di una vita nuova in rapporto al passato e inoltre la perdita di innocenza, fiducia e stabilità
comportate da un necessario sviluppo.
Y: Lui infatti è colpito da quella fede al punto da osservarla con disagio e invitare Jane a cambiare atteggiamento.
X: A confrontare questi sogni con L’interpretazione dei sogni di Freud si resta poi sorpresi da quanto siano ricchi di riferimenti
sessuali e in effetti quel presentimento di rottura corrisponde anche a una grande inibizione della libido, che per Freud è la causa più
frequente della grande angoscia provata in certi incubi (so bene che l’interpretazione di Freud è quasi sempre riduttiva, ma in questo
caso è plausibile). Già l’albero del frutteto spaccato è un noto simbolo di castrazione (Jung, in Simboli della trasformazione, lo
definisce “rifiuto dell’impossibile”).
L’autrice sapeva ciò che scriveva al riguardo! Telepatia, legge di attrazione, intuizioni, sogni, visioni (della natura personificata, non
di Dio) e capacità di concentrazione metodica sostituiscono per lei la preghiera e gli altri riti convenzionali. Visioni, frutto del potere
inconscio, sembrano essere alla base dei dipinti di Jane descritti, alcuni dei quali contengono simboli alchemici tradizionali, che,
come dimostrò Jung, sono ricorrenti nei sogni provenienti dall’inconscio collettivo. È il caso del quadro che rappresenta l’annegata
cui l’uccello sfila il bracciale d’oro risplendente nella notte, riferimento a “Re e Regina”, la coppia del “Rosarium philosophorum”,
cui la colomba di Noè giunge con un ramo fiorito nel becco: l’uccello rappresenta la riconciliazione, ovviamente, quindi l’unione tra
il divino e il mondo (la materia); i fiori del ramo trasportato sono spesso, in sogni simili (ad esempio quelli descritti da Jung),
rappresentati da pietre preziose con riferimenti a mandala nel numero, nei colori e nella disposizione; l’oro è il tradizionale simbolo
del divino e del Sé, che nascono dalla lotta tra gli opposti; al buio si ricollega la fase della “nigredo” e l’idea di caos e di madre,
intesa come materia prima originaria in cui gli elementi si scontrano; la tempesta è un altro simbolo del caos degli elementi
contrapposti; l’acqua è il più noto e frequente simbolo dell’inconscio; al cadavere è connessa l’idea della rinascita, quindi sia il Sé sia
il nuovo essere risultante dal matrimonio di Jane. L’unione tra Jane e Rochester è un’altra manifestazione dell’unione degli opposti
come le nozze tra gli elementi nell’alchimia medievale o quelle mistiche, cui si ricollegano. I riferimenti alle fiabe sono in sintonia
con questi rimandi alle leggi naturali meno facilmente comprensibili e che l’autrice accumula fino a mettere in scena il
soprannaturale nel finale. Ci sono le riflessioni di Jane sul fondo di verità delle leggende delle fiabe, quando incontra sulla strada
solitaria per la prima volta Rochester e ci sono i dodici rintocchi della pendola la notte della vigilia delle nozze, quando è più turbata
per il presentimento della separazione (si rimanda a Cenerentola, ovviamente, perché anche la protagonista di questa fiaba è
un’orfana senza risorse economiche, vittima della matrigna e perché anche il suo sogno dura solo fino a mezzanotte). Anche la
“trasformazione” di Rochester e la scena in cui le appare in sogno “madre natura” sono tratti fiabeschi e si possono ritrovare in più di
una fiaba celebre.
Y: Questo non toglie che certi tratti fiabeschi non si riferiscano anche ad altro: nella vicenda per esempio c'è, come del resto in tutti i
libri dell'autrice che conosco e in Cime tempestose della sorella,un riferimento a Shakespeare, nella cui opera abbondano i "diversi"
per natura o destino. Il missionario a suo modo eccentrico cugino di Jane le dice: "Voi siete originale e per niente timida".
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X: Nella boxe si fa il contrario che nella vita: se vuoi colpire l’avversario, arretri. Questa frase viene ripetuta in The Million dollar
baby forse non casualmente e credo che, sviluppando un concetto probabilmente implicito in essa, si dovrebbe dire che arretrando per
colpire nella boxe si fa il contrario rispetto a come ci si muove nelle vite poco consapevoli…In “Alice nello specchio” le scene
iniziali vedono Alice non riuscire a raggiungere un certo luogo nonostante molti tentativi e il fatto che esso appaia facilmente
raggiungibile: leggendo la descrizione di questa scena mi ero sentita esasperata in modo eccessivo da questi tentativi frustrati e mi
sono chiesta se l’autore avesse mirato anche a creare in almeno alcuni lettori questa particolare crescente tensione, che conosce bene
chi ha cercato per anni di ottenere qualcosa di cui aveva assoluto senza riuscirci minimamente. Alice riesce a raggiungere la meta
proprio nel momento in cui si arrende e si volta: chi ha sopportato molte sofferenze per avere l’essenziale non si gira, nemmeno se ha
ormai chiaro che insistere nel proseguire è inutile o dannoso … Chi ha sbattuto contro un muro troppe volte non vorrà voltarsi
nemmeno dopo l’ennesima, ma poi a un certo punto si girerà e avrà l’impressione poi di essere stato voltato da altri/o, tanto sarà
sorpreso prima dalla profondità della propria amarezza e poi dal senso di forza inaspettato che percepirà se pur vagamente. E capita
che appena, in situazioni simili, ci si gira, si trovi la via finalmente aperta e con tanta chiarezza che si riceve una nuova visione della
propria lucidità, un senso di sicurezza, di agilità e un’incrollabile determinazione a percorrere quella via fino in fondo a costo di
perseguire a piccoli passi obiettivi posti al culmine di progetti il cui sviluppo richiede anni. Così è stato per me poco prima di
conoscerti e nel periodo immediatamente successivo, ma anche in seguito mi è accaduto di ottenere risultati solo nel momento in cui
ho distolto buona parte delle mie energie e della mia attenzione da una ricerca (o è più giusto dire da una direzione?), e ciò non solo
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quando miravo a palliativi, ma anche quando puntavo obiettivi la cui realizzazione dipendeva dalla volontà altrui: mi ha fatto bene
allora tornare all’analisi del mio passato e della mia vita intima, occuparmi di crearmi una rete di sostegno fatta di piccole cose, ma
numerose e dipendenti in buona parte solo da me o da me e da te.
Y: Quel tuo modo di arretrare non è che il “vestigia retro” (l’analisi del proprio passato) di cui parla Jung e quella fuga provvisoria
va intesa come un passo avanti in senso strategico, così come la si presenta in I 36 stratagemmi per esempio: si tratta di processi
validi in generale e cui sempre l’istinto conduce (con l’ausilio della concentrazione e della riflessione spregiudicata). Ma nel tuo caso
è stato anche un’imboccare consapevolmente la via dell’intuizione ed un’apertura alla vita istintiva dopo averle tanto ignorate!
Andare indietro per andare avanti è un meccanismo che rimanda all'idea di un mondo alla rovescia e quindi al mondo onirico e
dell'inconscio (nei libri fantasy non è raro incontrare suggerimenti simili dati misteriosamente all'eroe, e ciò vale anche per la fantasy
più recente come quella di Martin e ciò perchè questo genere letterario trae il suo materiale da sogni e incubi e da miti e fiabe che in
essi hanno radice).
X: Sì, l’autosservazione è il punto di partenza in certi casi inevitabile. Sola nella mia stanza, aiutandomi con lo scritto, ho osservato
con sempre maggiore distacco ogni ricordo, ogni dialogo rimasto nella mia memoria, ogni pensiero apparentemente inaffidabile o
strano, ma spontaneo e poco condizionato (data la limitazione di distrazioni che mi ero imposta). E scoperta, attraverso la
disperazione nelle possibilità della mia intelligenza limitata (dal trauma, dalla stanchezza e da tanti blocchi), la superiorità e il potere
del mio intuito e dell’istinto, ho lasciato da allora l’iniziativa del movimento generale ad essi, limitando il compito del ragionamento
a dirigerlo. Quando si viene sfiniti si apre spesso la strada attesa, perché la disperazione giunta all’estremo apre la mente, la spinge ad
affidarsi e coltivare mezzi “non addomesticati”. Nel film si parla di come stanchezza e smarrimento possono condurre il pugile ad
affidarsi all’insegnante e a sé nel modo giusto, ricordi?
Così anch’io ho ottenuto la forza di prendermi quello che volevo, conquistando una tappa dietro l’altra. E con i miei risultati ho
ottenuto anche una parziale, ma apprezzabile, forma di compensazione e di giustizia su chi mi ha danneggiato profondamente e ha
compromesso il mio futuro: qualunque cosa accadrà nessuno cambierà il fatto che ho potuto realizzare me stessa e raccogliere molti
ricordi felici in questi ultimi anni. Date le mie possibilità ridotte e la numerosità dei miei desideri e dei miei aggressori, non avrei
potuto vendicarmi di ogni bastardo sopportato se non diventando serena, realizzata e forte e dando ordine anche agli aspetti esteriori
della mia vita.
Quando ho visto questo film la prima volta non avevo niente e ora lo rivedo da una posizione di forza evidente a chiunque sappia
giudicare in modo non convenzionale. Il finale del film per me è particolarmente significativo: ora che ho ottenuto l’essenziale e
anche molto di più, posso affrontare l’idea della perdita con un barlume di serenità, il che prima mi era del tutto impossibile.
Y: Chi non ha avuto dalla vita altro che sofferenze non può pensare che con profonda angoscia alla prospettiva di una morte
prematura o di un evento analogo.
X: Nella boxe per andare a destra occorre fare perno sul piede sinistro: un’ulteriore frase ripetuta del film. Quando si vuole
veramente qualcosa la cosa migliore da farsi è spostarsi, cambiare direzione e punto di vista.
Y: Si possono mettere in discussione facilmente così molte relazioni con gli altri.
X: E poi avvicinarsi alla possibilità di affrontare un problema che appare irrisolvibile con i mezzi del momento è spesso possibile
proprio svolgendo attività che non hanno con esso relazione. Ho superato i miei blocchi nella comunicazione quando mi sono
dedicata con molto impegno e convinzione ad altro e dedicando i maggiori sforzi a mantenere la visione d’insieme di continuo o il
più possibile, subordinando a ciò tutto il resto e imparando a godere dell’atto conseguente di rinunciare a molto.
Y: Quante energie per migliorare gradualmente e sempre più la nostra comunicazione, informarci e impratichirci nella gestione dei
problemi pratici, abituarci a evitare le uscite, arredare casa, riempire l’armadio e la libreria e ottenere una lista di album adatta alle
nostre esigenze più profonde in fatto di musica, telefilm e cinema. Superare la mia tendenza a incaponirmi e a irrigidirmi riguardo a
quel che credevo fossero miei gusti o diritti o giudizi riguardo il mio aspetto, il mio atteggiamento e il mio relazionarmi ai miei mi ha
permesso in poco tempo di cambiare completamente il modo di vedermi e di vedere le possibilità aperte a entrambi.
X : Il mio modo di vedere i miei familiari è invece rimasto qual’era, dato che si trattava di una conquista e l’incontro tra madre e
figlia e sorella nel finale del film lo rispecchia.
Y: A proposito di “deviazioni laterali”, a volte il colpo d’occhio che se ne ricava per un po’ sembra paralizzante.
X: Come uno shock…
Y: Ti ricordi in A sangue freddo quando Perry si abbassa per raccogliere le monetine cadute sotto al letto della figlia del tizio che
cerca di rapinare? Il cambiamento di posizione come poco prima l’uscire all’aria aperta, lo rendono di colpo consapevole della pazzia
del suo proposito.
X: C’è chi allora assorbe sia lo shock che il suo messaggio e allora corregge il gesto… Il senso di sfinimento e quindi di impotenza
può generare una dissociazione da se stessi analoga: si viene sbalzati da sé, ci si vede dall’esterno e si percepisce una strana
distaccata curiosità di sapere come evolverà la situazione come se si trattasse di un libro. I filosofi antichi dicevano che si cominciava
allora a vedere dall'alto. Poco prima di conoscerti mi ritrovavo stupita da una pagina nuova quasi ogni giorno: certe situazioni
evolvono in fretta. Anche per via di processi come questo, la disperazione può far diventare molto lucidi e ricettivi di intuizioni e
insegnamenti dall’aspetto nuovo e sconcertante (tanto più preziosi a volte): di nuovo si potrebbe rimandare alle affermazioni del film
circa il processo per cui lo sfinimento porta ad avere accesso a nuove fonti di informazione e risorse.
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È incredibile quanto si può migliorare in poco tempo fino a superare la media nonostante un livello di partenza davvero molto basso:
se la gente in genere non lo ammette, ciò deriva probabilmente sempre, o quasi sempre, dal rifiuto del dovere morale e razionale di
rispettare le debolezze altrui e di aiutare gli altri in questi processi di crescita.
In proposito mi ha colpito la scena dell’ultimo incontro tra Maggie e la famiglia: la madre non intende semplicemente derubarla, ma
è anche realmente convinta che la figlia sia troppo inaffidabile per gestire il proprio denaro…Giudicare una perdente nata una
finalista a un titolo mondiale, che ha guadagnato tantissimo al punto da regalarti una casa, è irrazionale, quindi si può dedurre che se
della protagonista si dice per prima cosa che si era sempre sentita spazzatura, ciò deriva anche dal fatto che il giudizio dei familiari su
di lei era da sempre un delirare a priori di questo livello.
Il finale stesso per me deriva da questo dato di fatto: chi, dopo una intera vita di rinunce, delusioni e umiliazioni viene favorito dalla
fortuna, può arrivare facilmente a sentire un bisogno di apprezzamento eccessivo ovviamente o a cedere per qualche tempo o almeno
per un attimo all’illusione di essere protetto dal destino o da qualcosa di anche più vago. La tendenza al “Tu” è così naturale, del
resto, che si può dimenticare per un po’ anche in situazioni meno fortunate, che le leggi della realtà sono del tutto impersonali e che
se possono in parte avere un ordine e un senso, non sono mai giuste o rispondenti al bisogno umano di un rapporto personale (persino
saper bene che certe preghiere univoche, intense e insistenti spesso vengono esaudite solo perché una legge meccanica è predisposta
a farlo, non impedisce a persone lucide e oneste di illudersi a volte e di pregare come rivolgendosi a qualcuno che li ascolti).
Y: Forse è un residuo della mente primitiva, e non solo nel senso che l’approccio all’esistenza così è definibile religioso in senso
tradizionale: gli indigeni descritti dalla Blixen spesso impazzivano quando capitava loro un colpo di fortuna dopo una vita di dolore e
fatica, convincendosi di essere favoriti da Dio e a tempo indeterminato.
X: Impazzivano e venivano quindi in seguito sottoposti a sofferenze peggiori di quelle già patite a lungo.
Y: Questa realtà così indifferente alle illusioni, per quanto dura lascia però in questo film alla protagonista sconfitta ricordi
preziosissimi, il senso di aver vinto e…l’amore di colui che ha condiviso con lei una parte del percorso compiuto. È un film che fa
pensare a quelle vite che mirano a una riduzione progressiva all’essenziale. E in linea con questo, ci sono scene in cui la protagonista
sembra contrarsi in se stessa, ben salda al centro di sé, raccogliere tutto, assorbire ogni cosa emanando un senso di forza e di pena da
ogni tratto. Certe scene di un film si isolano dal resto che sembra disporsi attorno ad esse spontaneamente per un attimo: allora anche
il film si raccoglie, si spoglia dei particolari meno significativi e trasmette quella sensazione acuta di pienezza che nasce dal contatto
con l’essenziale.
Y: Perché hai quella faccia?
X: In un certo senso quel che hai detto è deprimente. Nella ricerca dell’essenziale si viene coinvolti da una specie di vocazione o
destino e questo non implica solo la possibilità di sperimentare un senso di completezza: c’è qualcosa di inesorabile in ciò. Io e te ci
siamo immessi in un percorso adatto e buoni risultati col tempo in questi casi sono frequenti. È stata fortuna. Ciò non è dipeso solo
dalla mia forza di volontà e di carattere o dalla tua pazienza e generosità. Molti nella mia situazione muoiono presto nei modi
peggiori cui possiamo pensare oppure finiscono intrappolati in situazioni insopportabili. Sai a chi mi fa pensare ciò che la ricerca
dell’essenziale evoca a me? A Beth di Piccole donne! In quel piccolo libro si fa notare almeno questo aspetto importante di certi
destini: la morte ingiusta sembra in qualche caso avere un senso…La morte di Beth aveva un senso per Jo, anche se nessun
travestimento cristianeggiante opportunista della Alcott modifica nel lettore attento e sensibile l’impressione di profonda ingiustizia
che ne deriva: il fatto è che nel libro si fa notare, indirettamente e poi esplicitamente, che Beth non era mai riuscita a immaginare per
se stessa una vita lontano dalla famiglia e un ruolo adulto. So che Beth più lontana da Maggie non potrebbe essere, ma la ferita e il
vuoto causato alla protagonista del film dai familiari e la totale assenza di comodità e relazioni al di fuori della boxe nella sua vita
fanno sembrare anche la protagonista del film più giovane di quanto non sia e mi rendono altrettanto difficile che per Beth
immaginarne il futuro.
Y: Qualche giorno fa non mi hai parlato di come nel sito del convegno di Feltre sulla psichiatria si parla di morte “ingiusta ma con
un senso”? Era a proposito della ragazza che a causa degli psichiatri ha riportato danni cerebrali irrimediabili dall’internamento.
Perché rimugini su questo aspetto?
X: Io ho rischiato di morire più volte e ho avuto fortuna ogni singola volta… Forse è un destino particolare a spiegare tutto ciò in
una vita per buona parte infernale come la mia, quando tanti in situazioni simili si perdono?
Y: Nessuno vorrebbe vivere quel che hai vissuto tu.
X: Ricordi bene il capitolo Vergogna di Levi?
Y: Non è la stessa cosa.
X: Lo so, hai ragione. Sono contenta di aver avuto fortuna. Solo che non sopporto che nella maggioranza dei casi simili al mio gli
esiti siano diversi. Ci sono morti e sofferenze ben peggiori anche di quelle di quella ragazza del convegno e del tutto insensate…
Y: Gli individui non contano per le leggi della realtà.
X: Sì. Jung, Leopardi, ecc. Dev’essere davvero così.
Y: Quando Cristo afferma che ogni capello del nostro capo è contato, non fa che ripetere certe affermazioni dei Salmi, cioè di una
raccolta di sfoghi di individui che vengono esaltati per poi essere schiacciati, lasciando una lunga eco di lamenti angosciati di fronte
al non senso accostati a lodi sperticate di un dio affidabile e generosissimo.
X: La sfortuna però a volte segue leggi molto precise, che danno l’impressione di essere state progettate e di avere tanto senso
quanto il meccanismo di un motore avviato… Com’è precisa la legge d’attrazione quando si tratta di incidenti e come colpiscono con
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precisione le masse quando torturano un capro espiatorio! E sono molto insistenti le idee che mirano a un autoperfezionamento
spesso controproducente (specialmente in situazioni pericolose). C’è in generale una legge della precisione maniacale dietro quasi
ogni comportamento inconscio ed essa domina uomini e animali: ricorda la poesia Il mausoleo del destino di Masters, ma anche
quelle di Marianne Moore sulla tendenza alla minuziosità assurda o Freud con la sua Psicopatologia della vita quotidiana...Verrebbe
da interpretare così quell’espressione di saggezza evangelica, se l’amarezza derivante non fosse troppo dura da sopportare.
Y: Forse. Non dimenticare però quanto noi ci somigliamo e quanto spesso hai attirato il libro, il film, l’evento, le parole e perfino i
sogni giusti al momento giusto.
X: Già. Con tutto il loro potere non sono riusciti a impedirmi di incontrare una persona abbastanza adatta a me e alla mia situazione
da permettermi di realizzarmi approfittando di leggi di sviluppo naturali ed essere spesso felice, ma di certo avrebbe potuto andare
meglio a entrambi: inizialmente ci siamo resi reciprocamente più deboli ed è di questo – di una mente debole e quindi dominabile –
che i mostri raccolti in gruppi numerosi sanno approfittare meglio e con più facilità: come durante una guerra o in un incontro di
boxe, nel nostro caso le parti avverse sono state sostenute o limitate dal diverso numero di menti individuali concentrate sullo stesso
obiettivo quanto dalle strategie palesi. In situazioni come la nostra dell’epoca, quando la diffamazione si estende ogni giorno e non si
viene sostenuti da nessuno, per quanto si sia determinati, si finirà perlomeno col dire o fare spesso, secondo leggi ineluttabili e ben
prevedibili, quanto è di più fraintendibile nel momento e luogo peggiore per la propria immagine o incolumità immediata…
Y: Non sarebbe necessario che tu ti spiegassi nemmeno se io non avessi vissuto tutto ciò con te: nella letteratura questo è un motivo
frequente e non solo in quella “impegnata”. Nell’epilogo del film Il signore degli anelli, anche se non nel libro, quando la situazione
è disperata, la svolta che porta alla salvezza è l’intuizione di un ragazzo un po’ stupido, che, senza motivo, tutti i personaggi in
pericolo assecondano… Nel momento in cui egli ha l’intuizione, la sua mente debole è “posseduta” da forze estranee a un livello
inconscio: l’esito è positivo quanto poteva essere deleterio se la pressione vincente su di lui fosse stata altra; nel libro i
comportamenti impulsivi dello stesso personaggio portano alla nascita di Gandalf e alla scoperta della sfera con cui Aragorn riesce a
intimorire Sauron e una sua rapida intuizione porta a trovare l'aiuto decisivo di Faragorn.
X: Però ,sai, ora stavo pensando…: proprio il fatto che io, subendo le leggi sul capro espiatorio, non ho raccolto molti sostenitori,
non significa forse che certamente ho sempre potuto contare anch’io su qualcosa di forte - per quanto non altrettanto che una massa
di individui - dato che ho pur resistito, limitato i danni e avuto spesso anche fortuna?
Y: Il documento “Citazioni ecc.” raccoglie molti brani al riguardo. Io posso solo aggiungere ai riferimenti che hai già L’ebreo che
ride: ne ricordo soprattutto un passo circa l’insegnamento esasperante dei rabbini, che mi ricorda quello di alcuni maestri zen:
frustrando il bisogno di certezze con la rappresentazione di impossibili vie di fuga sicure dal pericolo o di infinite e imprevedibili
conseguenze di ogni gesto possibile in determinate situazioni, i rabbini conducevano a una matura accettazione della necessità di
saper improvvisare e alla scoperta che le forze inconsce che si attivano in alcune situazioni possono portare a soluzioni impreviste cui
nemmeno il ragionamento più accurato potrebbe condurre, qualora intuito e presenza mentale vengano perfezionati costantemente nel
tempo.
X: In fondo non ho cercato sostegno con energia se non in te e anche questo l’ho fatto con flessibilità crescente. A un certo punto ho
percepito forte la sensazione di essere in gioco finalmente. Se mi sentivo tradita dalla realtà o perfino da te, mi veniva spontaneo
lasciare le porte aperte e continuare a impegnarmi, assumevo cioè per istinto una specie di strano distacco, senza rimuginare, per
quanto anche senza dimenticare (per riservarmi di giudicare senza illusioni con il tempo attraverso l’osservazione dei fatti e la
maturazione mia e della situazione). Avevo bisogno di scommettere e alle difficoltà badavo poco, perché tenevo molto a quel che
avevo capito infine di volere e di poter braccare.
Y: All’inizio del nostro rapporto invece quasi ogni mia mancanza ti spaventava e ti portava a immobilizzarti o irrigidirti e a chiuderti
a ogni speranza e visione larga della vita.
X: Dipendevo troppo da te, ti conoscevo da troppo poco tempo e davo troppo poco per poter sentire questa fiducia splendida (in me,
in te, in certe leggi della realtà): è questo atteggiamento aperto che in seguito mi ha permesso di vivere costantemente in un nido e
nello stesso tempo mi ha fatto sentire in guerra e a mio agio in essa, mi ha fatto innamorare di ogni mio e tuo successo e mi ha
consentito di trarre piacere perfino da quelle mie attività che non hanno centrato alla fine l’obiettivo.
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X: Stavo guardando la prima serie di Friends, l’episodio in cui rubano a Monica la carta di credito e si fa quell’accenno a L’attimo
fuggente: non sopporto l’interpretazione che se ne dà, la più comune. Riesco a non arrabbiarmi solo perché il senso complessivo
dell’episodio getta una luce particolare anche su quel commento, ridimensionandolo.
Y: Non capisco che c’è di sbagliato: se tuo padre vuole importi una vita diversa da quella che vuoi, ti pare che la soluzione sia il
suicidio?
X: Sì, sì, lo so: il personaggio avrebbe dovuto andarsene di casa appena maggiorenne, ecc.
Y: Perché no?
X: Federico mi ha parlato di questo film in questi termini e, in più, colorando il termine “attore” nel definire l’aspirazione del
personaggio disapprovata dal padre: ha dato al termine tutto il disprezzo che poteva dargli, quello che gli era rimasto dopo aver
parlato del personaggio come di uno stupido.
Y: Il personaggio è vigliacco.
X: No, non lo è. Altrimenti perché credi che si sia rappresentata quella scena dove egli incoraggiava l’amico gettandone dalla
finestra il regalo ricevuto dal padre? E nemmeno è un personaggio stupido, anzi lo si descrive come un ottimo collaboratore del
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giornale scolastico, un valido studente e una personalità creativa. Il fatto è che un blocco non è “paura” e non si può superare con la
sola volontà (servono tempo, esperienze e tentativi fatti con la persona adatta e in determinate condizioni di vita): subire
un’emozione senza poter reagire non deriva sempre da mancanza di intelligenza o coraggio; i blocchi causati dai genitori, poi, sono i
più difficili da superare e sono dolorosissimi, tanto che, anche se il suicidio non è sempre la scelta giusta, senz’altro è comprensibile
che ci si arrivi (o meglio, è comprensibile per chi vuole capirlo). L’interpretazione corrente di questo film dice molto del rifiuto della
gente di ogni responsabilità verso quei limiti negli altri che non possono essere risolti in fretta e senza la collaborazione di qualcuno e
che rendono impossibile giudicare dall’apparenza. È un po’ il caso di I quattrocento colpi, il primo di quella serie famosissima di film
di Truffaut incentrati sulla figura del ragazzo abbandonato dai genitori: tempo fa ho infatti trovato una presentazione ufficiale in cui
si diceva che quel film rappresenta la storia di un bambino dimenticato da tutti perché egoista e cattivo… Dio!
Y: Effettivamente però non sembra un bravo ragazzo…
X: Come? Il suo compagno di classe lo rispettava per questo?! Il senso del film è l’esatto contrario: sotto accusa sono i genitori e la
società, che emarginano un bambino privo di educazione e punti di riferimento, ignorato dai familiari, corrotto dalla madre per
coprirne i tradimenti e abbandonato per ripicca dopo il suo confessarli in una situazione in cui avrebbe potuto fare diversamente solo
se fosse stato più consapevole di come siano fatti gli altri e organizzata la società e più sicuro di sé grazie a un’età diversa o a
informazioni opportune. Alla base del suo comportamento c’è solo un desiderio grande, soprattutto perché frustrato, di premure,
consigli e regole, gli istinti forti e l’impulsività tipiche dei bambini soli e una notevole immaginazione con la tendenza ad esaltare
tipica di chi non è amato e che gli rende a volte difficile distinguere la realtà e ragionare lucidamente: pensa alla scena finale –
bellissima – in cui guarda il mare come la squallida prigione che è al di là delle sue trasfigurazioni stereotipate, scena che richiama
quella precedente in cui egli dà fuoco all’altare per errore, pensando che davvero al di là di esso ci fosse un santo e un dio ad
ascoltare la sua richiesta per la madre (è lei che lo fraintende del tutto). Non è certo lui a mancare di comprensione, desiderio di
affetto e relazioni e il film successivo è, per questo, tutto incentrato sull’enorme vuoto creato in lui dall’incuria dei genitori e sulla
stima che sa generare in altri adulti. E bisognerà pur tenere conto di ciò che ne scrisse Truffaut nel suo Autoritratto e confrontare il
contenuto del film con l’infanzia e l’adolescenza del regista!
Y: Parlando di Federico mi hai fatto ricordare che con me aveva criticato invece Via col vento: la frase del film che gli è piaciuta di
più è “francamente, me ne infischio”. Secondo lui Rossella è una parassita stupida o arpia che vuole approfittarsi di tutti… Un
giudizio in linea con quello che ha dato del personaggio di L’attimo fuggente..
X: Era e di certo ancora è talmente abituato a etichettare con intransigenza tutto e tutti secondo i pregiudizi della madre-idolo
ignoranti quanto rigidi e astratti rispetto a qualsiasi osservazione diretta, ma che egli considera verità incontestabili dato che del resto
sembrano convenirgli. Ed era così viziato e inconsapevole delle proprie debolezze (pur notevoli e molto evidenti), che per lui il
concetto di blocco era del tutto oscuro: uno come Federico non può comprendere minimamente che il dolore possa alla lunga
modificare una persona, portandola ad agire in un modo che non esprime in realtà quello che è, e che, qualche volta, il distacco e il
trauma provocato da frasi come “me ne frego” pronunciate da una persona onesta, possa portare quella persona a sbloccarsi e a
ritrovare la giusta prospettiva e il contatto con se stessa e con ciò che desidera. Del resto, cosa aspettarsi da chi del personaggio
complesso di Eliot di Scrubs ha detto: “è stupida sì, ma è figa”, sobbalza a ogni invito alla tolleranza del telefilm rispetto a ciò che è
femminile (soprattutto in merito alla questione sesso/fidanzati - ovviamente dato il tipo- ma non solo…)...
Y: Oh, be'. Ha pure minacciato di “dare una pedata” a una ragazza senza casa e fisicamente impossibilitata di lavorare per le
conseguenze delle violenze di ogni genere dei familiari (subiti da lei per 26 anni consecutivi non certo per scelta e giunte a un livello
incredibile di distruzione fisica e sociale, quindi anche economica, e a un danno psicologico notevole) e ciò dopo aver contattato la
psichiatria di un ospedale appena saputo, origliando, che lei vi si sarebbe recata a causa di una tiroidite subacuta su una tiroide con
processo autoimmune ancora senza diagnosi e che in caso di precarietà economica e sociale il colloquio con gli psichiatri al pronto
soccorso è prassi in qualunque Pronto Soccorso soprattutto se chi vi si rivolge è una giovane donna. E per giunta lo fece dopo aver
per due mesi approfittato della sua sensibilità e discrezione e riversato sulle sue orecchie ricordi pesanti d’infanzia, di famiglia,
scuola e fidanzate e problemi personali e dopo averci pure provato se pur senza esito (lei non era poi così disperata…), blandamente
e con intenzioni più che altro “fisiche”...(a quanto pare parlare a lungo con qualcuno non fa sentire Federico minimamente vicino
affettivamente all’interlocutore). L'ha pure osservata mentre si credeva sola in stanza (la madre è infermiera e inoltre ha amici tra
studenti universitari: i mezzi per spiare nelle stanze non gli mancano). Ovviamente ha minimizzato alcuni suoi sintomi di
un’intossicazione dimostrata dalle analisi del sangue (le pustole tipiche ai lati della mandibola assomigliano vagamente all’acne ed
erano quindi una ghiotta occasione per parlarle di stress) e ha minimizzato anche l’unica delle sue malattie che lei gli avesse riferito
di avere (“Ah, quella stronzata”) dimostrando di non averne letto nulla (non sapeva nemmeno che essa è di tipi diversi a seconda
delle cause e che, se trascurata, può causare ictus o sintomi molto limitanti e, se non controllata, portare alla morte per tumore troppo
avanzato o a serie difficoltà respiratorie e che i farmaci ed esami disponibili non sono né innocui, né assumibili da tutti, né resi noti a
tutti coloro che ce l’hanno) e ricordandomi così un gruppo di studenti di una Facoltà umanistica e diplomati come lui a un liceo, i
quali tempo fa mi hanno detto, convinti, che le malattie vengono a chi le vuole, vi pensa, le merita (avendo una malformazione
congenita non rara che ha presto provocato diverse malattie serie, tra cui alcune croniche per l’incuria di familiari, medici, impiegati
all’USL e insegnanti, non dimenticherò di certo mai queste dichiarazioni cattive, ignoranti e arroganti di quasi laureati così simili a
quelle delle persone che conosco senza diploma). E ricordati che ha fatto intendere di non capire come mai una ragazza ci mettesse
tanto a rimettersi da uno stupro. Che bifolco…Costantemente preso dal suo orgoglio maschile! Insopportabile. E sono molti i
trogloditi tra gli studenti universitari, specie tra quelli fuori corso mantenuti quasi completamente dalla mamma vedova come lui
(automobile, appartamento, spesa, abiti e uscite), viziati al punto da aver ricevuto consigli su tutto e da richiedere, per studiare sul
serio, la presenza del fratello. E sì che si autodefinisce uno scienziato a causa dei suoi studi! Per fortuna che non gli hai chiesto di
parlarti delle protagoniste femminili di Forrest Gump, Isabelle o Chiedi alla polvere…o magari di un personaggio più ambiguo come
Amelia di La fiera delle vanità.
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X: Di Amelia, il “piccolo tenero parassita”, come la definisce l’autore! Chissà perché dedicare tante pagine alla costruzione del
personaggio per poi esprimere un giudizio così lapidario e grossolano nel finale, peraltro contraddicendosi rispetto all’insieme del
libro, non solo rispetto a come sono di solito le donne simili ad Amelia nella realtà…
Y: Lo fa notare anche l’introduzione alla nostra edizione insieme a una certa superficialità e confusione nelle idee e nella moralità
dell’autore. Quanto a contraddizioni, comunque guarda che quel libro ne contiene di peggiori: pensa a come un mostro come
Rebecca viene definito nel capitolo LXIV un “abominevole mostro” e in altri luoghi del libro un personaggio vittima degli incontri
sfortunati (le si fa affermare – senza smentita dell’autore - che sarebbe stata diversa se avesse potuto contare su persone nobili e
intelligenti come Dobbin) e della povertà, che non le aveva concesso di soddisfare ambizioni in fondo piccole come un pochino di
sicurezza e rispettabilità…Eppure precedentemente di lei si era detto che voleva bene al marito cornuto proprio perché stupido e che
non poteva sopportare la vita rispettabile e sicura dal punto di vista economico quanto priva di divertimenti nella casa che la ospitò
prima dell’incontro con i ladri e assassini con cui si trovava invece tanto a proprio agio. Del resto si era pure detto che Dobbin
l’aveva respinta e giudicata un serpente fin dal primo incontro. Se Thackeray fosse stato più obiettivo con Rebecca, avrebbe potuto
forse essere più interessante il parallelismo tra le due protagoniste (in modo diverso sono entrambe odiate dalle donne quanto
affascinanti per gli uomini, dei quali si approfittano, e incapaci di gestire i propri desideri contraddittori o senza misura).
X: Di certo le contraddizioni in quel romanzo sono stranamente numerose: avrai notato anche che Amelia viene definita
esplicitamente “una stupida” in una parte del libro e una donna intelligente non educata e fraintesa altrove, e inoltre che l’autore
afferma prima che Amelia ama Dobbin, pur senza riuscire a rendersene conto, e in seguito che è così meschina da non riuscire ancora
ad amarlo nonostante tutto a causa del suo aspetto fisico! Forse si può scrivere in questo modo solo quando non si mira davvero ad
altro che a soddisfare le aspettative e le capacità di analisi di lettori del livello di Federico. Non mi convincono le giustificazioni che
l’autore dà della leggerezza con cui parla del male nel capitolo LXIV(a suo dire il suo è un assecondare ironico i moralisti che sono
viziosi senza nominare mai il vizio). Ma è pur sempre un libro utile quello, quindi ora lasciamo perdere…Tornando al punto, ora
stavo pensando che avrei potuto accennare a Federico almeno di Jane Eyre o della sorella minore di Kafka…Anzi avrei dovuto
parlargli della “saponificatrice” di Correggio, delle protagoniste di Vampa d’agosto e La regina di castelli di carta, di…
Y: Magari di Carrie del libro di King…
X: Forse, ma in On wiriting King parla in modo abbastanza inetto e ignorante delle ragazze che gli hanno ispirato quel personaggio,
che non amava affatto, anche se è quello che gli ha dato il successo. Riteneva passiva e ottusa per natura e, secondo lui, quindi
abbastanza colpevole da meritare un trattamento che la portò a morire presto sola per una sopraggiunta epilessia, una sua
excompagna tormentata da tutti, come se l’incuria e i maltrattamenti continui e congiunti di familiari e compagni non riducessero o
non facessero apparire passive e ottuse quasi tutte le ragazzine! Per uscire dalla letteratura e parlare solo di casi reali, l’assassina di
Correggio da bambina, maltrattata dalla madre e priva di ogni aiuto da parte dei vicini e del paese in genere, era e appariva depressa,
confusa, passiva e inetta quanto il suo carattere innato era estroverso e volitivo (forte ed energico proprio come la sua vita da adulta
dimostrò, perché non emergono solo natura criminale, durezza ed egoismo dall’analisi delle sue scelte).
Y: In fondo tutti possono osservare ovunque stravolgimenti dell’aspetto e del carattere in chi subisce l’incuria o la violenza altrui,
come del resto cambiamenti molto positivi nel modo di essere e/o di apparire di persone che hanno subito da bambini e da ragazzi
maltrattamenti e poi hanno potuto allontanarsi dalla famiglia d’origine e dall’ambiente scolastico. Credo che per Federico sia
impossibile accostarsi con onestà a qualsiasi situazione simile, anche quando essa coinvolge dei maschi: credo che fraintenderebbe
non solo Lettera al padre, ma perfino Ritratto di un artista da giovane o Giorni felici di Orwell. Sai, suo padre defunto e suo idolo se
n’è andato dalla famiglia d’origine prestissimo dato che non vi si trovava bene e non ebbe alcun problema a farlo! Già, peccato che
era riuscito per pura fortuna a conservare la salute fisica (caso raro nelle famiglie dove i figli sono maltrattati davvero)n e che era
maschio e per di più dotato di manualità…Federico è un idiota.
X: Pensando a Federico, mi è venuto in mente qual è probabilmente la ragione per cui gli episodi che preferisco di Friends e Scrubs
sono quelli in cui i personaggi incontrano il loro “doppio”, come nella vita ci capita spesso di conoscere casualmente chi ha i nostri
difetti più penosi o appariscenti ma in versione peggiorata o chi ha dei limiti che abbiamo superato da poco o vive in situazioni
problematiche simili ma più difficili: il senso o almeno le conseguenze di questa “attrazione” per chi ha il coraggio di essere onesto
con se stesso è che si riesce in questo modo a vedere come si è realmente, perché ci è molto più facile osservare i difetti che
possediamo vedendoli, esagerati, in un altro, come del resto è possibile a volte solo così riuscire a cogliere le nostre qualità e le
possibilità non ancora sfruttate, dato che inevitabilmente emergeranno dal contrasto; eppure gli stupidi e i bastardi come Federico
giudicano questo tipo di incontri quando gli osservano in altri come un’attrazione basata sull’assoluta affinità e a volte si mettono
comodi a guardare quanto ne seguirà con la sicurezza che quell’incontro porterà di certo entrambi a peggiorarsi l’un l’altro e magari
a rovinare le proprie vite. Per le persone che Federico rappresenta e che sono la maggioranza, è impossibile comprendere che
qualcuno che disprezzano possa essere a tal punto diverso da come lo fanno apparire certe condizioni di vita approntategli dal
destino, da dimostrarsi in grado di evolvere e di migliorare la propria situazione sfruttando bene perfino i rapporti meno facili o quelli
che più li rendono ridicoli agli occhi dei più. Il ritratto fatto qui di questo studente universitario forse potrebbe essere utile, se
divulgato, perché non è facile comprendere per tempo caratteri come il suo, dato che egli non mancava di una sua sensibilità e
generosità, sapeva confidarsi, ascoltare, concentrarsi, parlare e scrivere bene ed era - potenzialmente - intelligente (non era male
parlarci finchè non lo si doveva contraddire su argomenti su cui aveva solo opinioni ereditate dalla madre o derivanti dai suoi desideri
o fintanto che egli non si stancava dell’interlocutore fastidioso per i suoi punti di vista, per le sue debolezze appariscenti o per la sua
evidente assenza di attrazione per lui, e certa sua goffaggine avrebbe ispirato quasi tenerezza se non fosse stato per le uscite
aggressive e nervose inaspettate). Non si sarebbe detto un violento, capace di tutto (lo era e, dato che mai si cambia natura, lo è,
perché chi minaccia fisicamente una donna, chi manifesta un disprezzo eccessivo per una persona quasi estranea e per di più sensibile
e sofferente, chi tradisce un’amica, chi parla sulla base di voci e per orgoglio maschile ferito di psichiatria approfittando delle leggi
criminali e della fragilità provocata…chi fa tutto ciò è semplicemente un mostro).
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Y: Ho osservato spesso che chi smania per il prestigio e ne è ossessionato ogni momento, con o senza parere, di solito vede
debolezze ovunque e se ne irrita moltissimo e non sa affezionarsi. Il ritratto del puro narcisista, che se è maschio è pure favorito dalla
tendenza del nostro cervello maschile a funzionare a scatole separate (lavoro, affetti, sesso, amici, famiglia sono in scatole divise e
poco comunicanti, quindi abbastanza facili da chiudere e forse da manipolare). Ricordo ancora che ha criticato cose che hai fatto
che io e molte persone che conosco avremmo considerato normalissime. E poi non ti ha fatto quel ridicolo test in cui valutava la tua
intelligenza dalla tua capacità in inglese (che non ti serviva più e tralasciavi da anni al punto da avere pochissimo vocabolario ormai)
e dalla capacità di improvvisare testi divertenti in una situazione di disagio sociale considerata generalmente tra le più gravi? E ti
aveva fatto, con la sua amica bastarda e ignorante di Scienze dell’educazione, dei test psicologici di rara imbecillità sui tuoi gusti in
fatto di luoghi di vacanza o residenza, bambini, ecc. alla faccia della continua insistenza a fare dei test del tutto diversi, e in contesti e
con modalità e scopi ben diversi dei manuali sui test di quella Facoltà e di quella di Psicologia (es. quello sulla metodologia della
ricerca psicologica e sui test della personalità). Aveva il giudizio falsato nei confronti degli altri tipico dei narcisisti ed era pieno di
tanti altri difetti, me lo ricordo bene. Si sentiva offeso da richieste fatte con assoluta semplicità di propositi di suonare la chitarra, dal
fatto che due persone, in un gruppo, parlassero mentre lui suonava, dal fatto che si dicesse della sua ragazza che era la sua ragazza
(lei allora avrebbe potuto dire che lui era il suo ragazzo, suo…) e perfino da un complimento spontaneo (saresti stata una “ruffiana”
secondo lui) o da una preferenza data ad altri per aspetto fisico e per interessi culturali (ti diede subito un suo libro appena seppe che
leggevi i libri del suo coinquilino meno muscoloso ma più alto e bello). E quante critiche fatte a tutti i coinquilini e a me solo perché
ti aveva visto per un attimo abbracciata a quel coinquilino, dopo aver tante ore parlato con lui! E non gli interessavi minimamente!!
Solo gli dava fastidio che non lo preferissi…A un certo punto si è lanciato nella “distruzione del critico”, per usare l’espressione di
Fromm riguardo le reazioni dei narcisisti. Io ero diventato uno stupido pazzoide, il coinquilino carino un tipo “infantile e anormale”
che aveva fatto figuracce molto particolari perfino con un suo docente universitario, l’altro coinquilino un tipo noioso sempre davanti
alla televisione e tu, in appena una o due settimane, eri divenuta da ruffiana a aspirante mantenuta…Eh sì che anche volendo non
avresti potuto dato che non potevi già avere rapporti sessuali…
X: Il fatto è che secondo lui le donne non devono appoggiarsi ai mariti, cioè io avrei dovuto suicidarmi dato che non avevo davvero
altra scelta per vivere (magari fosse stato lui a essere costretto a pensare a suicidarsi da giovane e dopo una vita di violenze e dalla
quale non aveva avuto niente!). Intanto però lui passava giornate intere come un quindicenne e viveva sulle spalle della madre
vedova senza nemmeno degnarsi di studiare o frequentare le lezioni di un’università peraltro di per sé di poche prospettive lavorative.
Era pieno di difetti anche appariscenti, però le sue debolezze non le vedeva! La prima volta che l’ho udito parlare giocava a fare la
coppia gay con il coinquilino cui offriva di cucinare e cose simili tra mille risatine. Poteva avere un riso troppo sereno e una
nostalgia per l’infanzia spiccatissima, tratti tipici di chi ha bisogno di esaltare tutto e non sa stare sempre dentro la realtà, anche se
diceva che era il suo inquilino ad essere infantile in modo pazzoide. In fondo il suo ideale affettivo è quello egoista e interessato del
bambino che riceve e basta, che non ha o non sente veri e propri obblighi o responsabilità. Aveva bisogno di luci accese in ogni
stanza e musica sempre. Parlando con me ed altri in ben tre occasioni in tre mesi si è bloccato letteralmente, ripetendo, con
imbarazzo di tutti, la stessa frase senza rendersene conto, anche se l’interlocutore gli rispondeva ogni volta provando a chiarire il
concetto per farlo smuovere fino a tacere con lo sguardo di chi ha davanti un pazzo o un mentecatto…Si è confessato intimamente
con un’estranea solo perché lo sapeva ascoltare mentre si era ritrovato a condividere casa con lei e altri per un po’. E ricorda quanto ti
ho raccontato su come riusciva a studiare e come considerava i suoi studi. Se non è abbastanza, pensa al fatto che ha esaltato
tranquillamente un’iniziativa del padre da giovane che solo in un film poteva essere considerata senza riserve e che anzi ricordo di
aver udito in televisione da piccola (costui da giovane scelse dove iniziare la sua vita adulta e lavorativa posando a occhi chiusi un
dito sulla carta geografica... "per fortuna che non ha indicato l'acqua, ah, ah!"). Per una contraddizione dimostrata irrilevante, ma da
me fatta ad affermazioni sulla musica fatte da sua zia (altro idolo) è quasi sbiancato. Non basta? Parlava di interessi ambientalisti, ma
nemmeno faceva la raccolta differenziata. Non si degnava di pulire ma nemmeno di pagare chi lo facesse, pur avendo però un’auto
anche se così giovane, e perciò viveva nello sporco. Aveva scarpe in casa luride quanto abiti curati fuori. Non basta ancora? Quante
conseguenze derivano a volte dal tradire un’amica in modo infame…Aveva pure nominato la neuro (non ero infatti in una situazione
di disagio sociale grave e non ero in piena nevrosi da trauma e da maltrattamenti di lunga data? Non era forse facile danneggiarmi
così irrimediabilmente quanto difficile danneggiare lui, maschio sano e protetto dai familiari?). Però Fromm giudicava il grado di
salute mentale dal livello di narcisismo… È davvero il tipo d'uomo capace di far internare il figlio, spiare in casa la figlia e la moglie
e usare loro violenza in caso di determinati sospetti e danni veri o meno alla propria proprietà e alla propria immagine.
Y: Sarà per lo meno rimasto solo però. Il narcisismo non aiuta in coppia, specie quando non si è poi tanto vicini alla perfezione.
Quella ragazza che aveva cercato (in un locale e appositamente) per guarire la ferita dell’orgoglio dopo che si era sentito un po’
svalutato da te non mi sembrava un tipo sensibile…
X: Non credo sia rimasto solo. Credo invece che abbia trovato una donna fredda come sua madre e stia benissimo. Così vanno le
cose. Bisognerebbe imparare anche questo da conversazioni come quella che abbiamo appena fatto.
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Y: La “morale” del farsi gli affari propri in campagna di Guerra e pace è di un’idiozia… E quel Karataev!
X: E le relazioni delle coppie sposate del finale? Sono tanto insulse quanto impostate in modo da essere quasi certamente destinate a
fallire, anche se l’autore non sembra rendersene conto. Dovresti proprio leggere quel che scrive a più riprese del rapporto di Tolstoj
con la moglie e del matrimonio di Pierre e Nataša la de Beauvoir nel secondo volume di Il Secondo sesso…
Y: A me invece fa perdere la pazienza Rostov.
X: E te lo sei dovuto sciroppare fino alle ultime pagine!
Y: Perché mi hai consigliato di leggere questo libro che ti dà ai nervi?
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X: Così posso insultarlo meglio… No, il fatto è che diverse pagine di quel libraccio per me sono importanti. I brani che ho scelto per
il documento “Citazioni molto utili,ecc.” hanno avuto un certo ruolo nella mia maturazione e molti dei capitoli del libro segnalati
nell’elenco che apre questo documento mi hanno permesso di apprendere aspetti importanti della guerra e di un metodo non
superficiale di analisi storiografica. E quanto a Rostov, egli in fondo è il personaggio riuscito meglio e il più interessante, anche se
insopportabile: quando qualcuno spinge il pensiero fino a immaginare e programmare qualche forma di reazione e progresso, sono i
“Rostov” forse il problema peggiore da affrontare, almeno dal punto di vista etico.
Y: Sì, è il simbolo di una mediocrità irredimibile. Chi non si può né convertire né schiacciare con leggerezza può congelare ogni
iniziativa sul nascere.
X: “E Rostov si alzò e andò a vagare tra i falò…” Una bella traduzione con quella congiunzione iniziale e la scelta di quel verbo
ricchissimo di ramificazioni dell’immaginario italiano. Spareresti al conservatore Rostov mentre medita, la notte, attirato dal fuoco?
Comunque quel che proprio non riesco a perdonare a quel libro è il trattamento riservato a Sonja e alla sorella di Nataša.
Y: Ma la sorella di Nataša è vuota e fredda…
X: Così viene definita dall’intervento del narratore infatti, ma è proprio quell’intervento e l’assenza di altri chiarimenti che disprezzo.
Ad ogni più piccola variazione di stato d’animo e maturazione di Pierre vengono dedicate a volte pagine e pagine consecutive, ma in
questo caso invece non emerge nessun indizio di una consapevolezza di Tolstoj della necessità di approfondire il personaggio per
evitare di assecondare, e così rafforzare enormemente, pregiudizi spesso deleteri del lettore comune. Quante ragazze oggi si sono
guardate allo specchio e hanno reagito a critiche ingiuste della madre con il suo stesso atteggiamento esteriore? E in quante di loro
ciò ha indicato reale freddezza? Nel momento in cui Tolstoj scelse di scrivere di una figlia trattata da sempre dalla madre senza
amore e con intransigenza, egli ricevette la responsabilità di spingere ogni lettore a considerare attentamente che enorme influenza
viene esercitata da familiari esigenti, freddi e ostili sulla capacità di intimità e di espressione di bambini e ragazzi. La realtà è che
spesso chi cresce in ambienti simili riesce a manifestare la propria natura solo da adulto, dopo l’allontanamento fisico e mentale dalla
famiglia d’origine (quando questo distacco fisico e poi mentale risulta loro possibile e non viene cioè impedito dal trattamento
presente o dai ricordi ravvivati di continuo di quello ricevuto in passato, dal “contagio” delle nevrosi dei familiari o da altri ostacoli
insormontabili). È molto difficile giudicare persone simili.
Y: Riflettendoci, anche sull’influenza delle condizioni di vita e della situazione particolare di Sonja vengono spese ben poche parole,
come se non avesse nessuna importanza il fatto che non ha una famiglia ed è stata allevata dagli zii senza venire mai da loro trattata
come una figlia.
X: É come se l’autore ritenesse irrilevante il venire maltrattati da un gruppo intero di persone a casa propria e l’essere donna e sola
in una società povera e assolutamente sfavorevole all’emancipazione economica delle donne come quella russa dell’epoca (situazione
su cui Tolstoj in questo libro non scrive una parola!). Dostoevskij scrive che in Russia all’epoca una donna che lavorasse 20 ore al
giorno non avrebbe potuto mantenersi e che le alternative possibili a una donna sola erano farsi il foglio giallo (prostituirsi), fare
l’infermiera in guerra (cioè morire di epidemia in poco tempo e intanto essere a continuo contatto con l’inferno, date le condizioni dei
campi militari dell’epoca) vendere Vangeli in giro (qualora si venisse finanziati per il loro acquisto e accettando i rischi di spostarsi
sole da un luogo all’altro), svolgere lavori pesanti e malsani come quello della lavandaia (cioè faticare oltre il sopportabile e morire
molto prematuramente a causa del modo con cui si svolgeva quel lavoro a quel tempo,come Tolstoj riporta solo tardi…in
Resurrezione) oppure servire presso famiglie (cioè subire le pretese sessuali dei loro componenti maschi e quindi anche gravidanze,
ecc. ).
Y: Anch’io ho notato con fastidio i commenti rozzi a proposito di Sonja… Più volte il narratore la definisce un gatto. E quando lei –
sola e innamorata – si lascia trascinare dalla festa in maschera non è stupido e irragionevole quel commento sul fatto che lei si
sarebbe convinta di essere un’altra per via del travestimento? La sua dedizione a Nataša malata e ai figli delle nuove coppie formate
nel finale non è troppo disprezzata? Non è brutto che tutti parlino di Sonja e nessuno con lei e che Pierre non la nomini mai pur
convivendoci?
X: E quando Nataša afferma che Sonja non soffre come loro? E, a completare lo stereotipo, non tralascia di sottolineare con
disprezzo la sua diligenza a scuola.
Perché una persona così imbevuta di pregiudizi, insensibile e immatura ha scritto un libro?
Andrej viene definito e rappresentato “debole”, ma si dice anche che la colpa dei suoi sbagli non è sua, dato che egli aveva sempre
cercato di migliorarsi. Ma nella vita raramente nelle persone certi impulsi e qualità sono evidenti o presenti da sempre come in
Andrej e negli altri personaggi di questo libro. Le persone a volte si bloccano o hanno bisogno di essere “accese” o di vivere certe
esperienze per esprimere certe qualità che pure possiedono o anche per svilupparle. Inoltre, riguardo a Sonja, in fondo niente
autorizza a pronunciarsi sull’assenza di un anelito simile a migliorare, perché le condizioni di vita di Andrej sono troppo diverse dalle
sue e di lei non vengono descritti che raramente sia i pensieri che le emozioni e quando lo si fa essi vengono comunicati in poche
parole. Tolstoj si contraddice pure su Sonja, come fa la gente di solito quando giudica i tipi come lei: scrive che Sonja è egoista
quando rifiuta di sciogliere dalla promessa Rostov, poi sentenzia, per bocca di Nataša, che a Sonja manca qualcosa e che ciò che le
manca è probabilmente egoismo. Si vede che per Tolstoj la “gattina” era egoista solo a non voler suicidarsi per far stare gli altri più
larghi… Bifolco!
Y: Se si descrive un essere umano avendo come modello una gattina, non c’è da stupirsi se quel personaggio riesce mal delineato. In
ultima analisi, qual è secondo te il senso di tante frecciate a questo personaggio minore del romanzo?
X: Credo che tanto impegno miri a dimostrare che le persone deboli di mente o di carattere come Sonja non contano niente, che
esistono per natura persone incapaci di evolvere, la cui infelicità deve o può esserci indifferente, e che è facile sfruttare quanto
riconoscere, al punto che già nella loro adolescenza esse possono essere inquadrate del tutto e non richiedono più capacità di analisi e
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dialogo che un animale. Con loro non ci si sprechi a parlare e non si stia a verificarne le possibilità aiutandole a cambiare le loro
condizioni di vita! Questo era l’inaccettabile e inetto punto di vista di Tolstoj giovane, prima che egli diventasse “grande” con
Resurrezione, Dopo il ballo ecc. I suoi princìpi sembrano assomigliare in parte a quelli di Rostov, che forse non a caso ne porta il
nome: per Rostov il mondo è una grande azienda simile alla sua fattoria dove gli individui contano poco presi singolarmente e dove
giudicare in fretta, disprezzare o sfruttare il “debole” di turno è legittimo, doveroso anzi.
È stato difficile per me accettare il fatto che Tolstoj abbia col tempo finito per acquisire una certa capacità di comprensione, giustizia
e compassione, almeno da quando ho appurato che con una natura morale o meno si nasce e che l’indifferenza al dolore altrui è
innata e irrimediabile.
Y: È una autore che dà materia di riflessione. Dopo Guerra e pace andò in crisi, si sentiva intimamente soffocare…
X: È un romanzo claustrofobico…Tutto vi è inquadrato in una sorta di sistema (o teoria) e il finale pone problemi che quel sistema
ha creato o esasperato e cui non può rimediare.
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X: L’impressione più vivida dopo la lettura di La prigioniera per me è stata quella di un’arida e interminabile masturbazione mentale
(e il giudizio dell’autore di L’amante di lady Chatterley e di alcuni critici su Proust conferma questa mia impressione su uno scrittore
tanto celebrato). Quando Proust si descrive in La prigioniera, usa quasi le stesse espressioni di Musil nel definire l’impulso
all’associazione. Mi viene in mente anche quel che indica Ende a proposito di Auryn: “ti dà la direzione, ma ti porta via la meta”.
Nell’Uomo senza qualità e in La storia infinita la svolta avviene a partire dalla consapevolezza dei protagonisti di non amare se
stessi, mentre il senso di apertura deriva dal delinearsi di un nuovo rapporto tra il vivere l’amore e la ricerca della verità: lo spirito si
acquieta anche se il suo movimento non si ferma, essendo ineliminabili le tendenze ad associare e dissociare e l’impulso creatore con
cui Musil ed Ende, come Proust, lo identificano.
Y: Forse si tratta davvero di alcune serie di riflessioni su chi finisce per immettersi senza volerlo in un percorso di fuga che induce ad
accelerare, a confondere i mezzi con i fini e a perdere sempre più spesso di vista i desideri più profondi e la possibilità di attuarli.
L’invito a fermarsi e meditare per centrarsi e connettersi agli altri e alle radici della vita è uno dei messaggi centrali di questi libri?
Però quando in Martin Eden e in Ritratto di un artista da giovane si descrive la personalità del futuro scrittore di successo non ci si
discosta molto da quanto hai detto sullo spirito, e in ogni caso, si può dire che ne possiede tanto chi, come noi è sia emotivo che
particolarmente razionale, è curioso e ha un bisogno costante di conoscere, riferirsi a una teoria e collegare letture e visioni tra loro e
con l’esperienza.
X: Ma proprio per chi è come noi è utile riconoscere quel rischio sempre presente in ciò di farsi “prendere la mano”, per usare
l’espressione di Musil!! Da quell’accelerare e smarrirsi o esaurirsi girando a vuoto, può scaturire un processo di maturazione e
parziale guarigione solo attraverso la scoperta del centro e il raccogliervisi intorno con l’aiuto della meditazione. In fondo almeno le
linee fondamentali del misticismo stesso di Musil non sono difficili da comprendere appena si considerano sulla base delle più note
pratiche di meditazione, che pongono anzitutto il problema della necessità del raccogliersi e del riassorbirsi. Com’è in contrasto
questo tipo di raccoglimento con il ripiegamento su di sé e il rimuginare di Proust! A me sembra che sia da questa chiusura di Marcel
(personaggio e autore) che deriva la reiterata rappresentazione dei legami affettivi come forme di ansia e di pacificazione infantili in
tutta La Ricerca.
Y: Quando la possibilità di amare se stessi dipende dalle relazioni con i genitori… I passi sulla famiglia sono quelli più profondi di
quel libro, o almeno sono quelli che mi hanno fatto riflettere di più. Sarà significativo che un rapporto complesso con la madre
caratterizzi i protagonisti e sia il motore principale dell’intreccio di tutti e tre questi libri?
X: Hai notato che quando Proust descrive il transfert da Albertine alla madre rappresenta Marcel come un cane? Lui le saltella
intorno appena lei rientra e passa nottate davanti alla porta della sua stanza oppure facendo la spola tra la propria e la sua camera,
smaniando per un bacetto e guaendo per ore di notte quando non lo ottiene. Il cane gira in tondo come la macchina di una sua
metafora del volume La prigioniera gira a vuoto, ricordando una immagine molto simile di Musil (del resto, in generale, immagini e
espressioni comunicanti l’idea del girare in tondo e, in un certo senso almeno, inutilmente sono molto ricorrenti nel romanzo di
Musil). Marcel non sa assumersi pienamente la responsabilità del peso della propria sensibilità o trovare in sé un punto fermo da cui
far partire i cambiamenti e la propria scala di valori. Quanto mi aveva colpito l’espressione di Musil “vacanza dalla vita” e quella sua
immagine dei pensieri usati che restano abbandonati negli angoli della stanza, e con lo sguardo critico, come clienti scontenti di un
avvocato che non li esprime e non li difende! Essi sono lì, quasi in agguato, ed è allora che Ulrich apre d’istinto la finestra di quella
stanza in piena notte per cercare un contatto con sé attraverso la natura poco prima di incontrare Agathe. Così farà anche Agathe la
notte in cui decidono per l’”ascesi” prima di ritirarsi a vivere e meditare in giardino e così del resto fa Albertine nel finale di La
prigioniera, provocando in Marcel una presa di consapevolezza, un se pur breve ampiamento della coscienza (è allora che la ricorda
libera in campagna o al mare). E immagini della natura e legate all’attività meditativa, peraltro accomunate da diversi dettagli,
rappresentano l’antidoto sia alla disperazione di Atreiu che a quella di Bastiano nel libro di Ende. La terra madre conduce i
protagonisti di Ende, Proust e Musil a ridurre il complesso creato dall’allontanamento materno. Con “terra madre” va inteso anche un
campo esteso di informazione strappato a fonti lontane o inconsce, cultura in senso lato. In Lo sviluppo della personalità Jung
afferma che il posto della madre deve essere preso dalla dottrina nel passaggio all’età adulta. Marcel è come un bambino anche
perché il suo amore per Albertine è chiaramente di tipo narcisistico, come quello per colei che la sostituisce dopo la sua morte:
l’amore narcisistico (quello più frequente tra la maggioranza) è primitivo, involuto e gira a vuoto, girando attorno al sé e mai
dirigendosi davvero verso il partner, che per questo è intercambiabile (per usare un’espressione di Proust, che si trova a questo stesso
proposito anche nei libri in cui Fromm trattò del narcisismo). Bisogna uscire da sé per trovare se stessi e iniziare a vivere davvero.
Y: La natura immette su un percorso di silenzio e solitudine in contatto meditativo con se stessi e da un nuovo senso della
prospettiva e apre la strada così alle rivelazioni dell’inconscio e/o a una sorta di visione nuova e serena di sé e del proprio destino e/o
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di quello altrui. Le fonti dell’”acqua della vita” non sono del resto solo l’immagine, a pensarci, sacra e mitica di rinascita scelta da
Ende, ma anche quella scelta da Musil; e forse non è senza un qualche rapporto con questi concetti il legame che i critici vedono tra
Albertine e il mare.
X: Non si tratta di maturazione nel senso comune, ma di “nascita dell’anima”. Joyce, in Ritratto di un artista da giovane, si esprime
bene su come la nascita dell’anima sia molto più lenta e misteriosa e ostacolata di quella del corpo. Il protagonista di quel libro di
Joyce peraltro è uno scrittore, come i protagonisti di Ende, Musil e Proust: l’identità ha bisogno di uno sfondo culturale
inevitabilmente.
Y: È vero. E a contrassegnarla anche in quel libro c’è una sorta di battesimo con acqua (di mare) in una sorta di angolo selvaggio
della natura, in cui il protagonista alla fine si raccoglie a meditare per iniziare a vivere su un piano di nuova sincerità, centrato nel suo
nuovo “Sé”. Da quel momento la sua vita sarà più aperta e istintiva e si svilupperà attraverso l’arte e nuove esperienze, via dall’aria
asfittica di Dublino, ennesima città morta. E - me ne sono appena ricordata - per i personaggi di Gente di Dublino una nota del nostro
commentatore a quel testo non parla proprio di “moto centripeto”? Si voleva così indicare quel girare in tondo e a vuoto del pensiero
e delle vita ridotti a massa amorfa priva di vitalità, dinamismo, speranza e centro, di cui parlavamo prima. Appena si trova il centro
attorno al quale si dispongono gli strati e le ramificazioni della personalità come in un cristallo, il girare a vuoto diviene una spirale di
crescita: la circolarità si trasfigura come nel libro di Ende.
X: Usando il termine “Sé”, rimandi al “processo di individuazione” di cui parla Jung e a proposito di questo processo di formazione
del senso dell’identità personale, in Internet ci sono pagine scritte da psicologi e psichiatri davvero allucinanti (in particolare quelle
sul cosiddetto Disturbo di Personalità dell’Identità (D.P.I.). C’è un’ignoranza che non si può pensare che sia altro che voluta. Una
negazione della realtà più che un’incapacità di comprendere. Anni fa, dopo aver letto in chissà che libro senza valore qualcosa a
proposito di un fantasma che si aggirava qua e là senza sapere perché e dove, come scivolando e senza poter fermarsi, mi ricordo che
all’improvviso e senza passaggi intermedi ho pensato: “Ecco, io sono così”. Ora tu pensa a tutte le volte che qualcuno accenna a cose
simili riferite al se stesso di un dato periodo e al fatto che i termini più ricorrenti (veri leitmotiv) sia nel libro di Ende che in quello di
Musil sono “nebbia” e “fantasma”…
Y: Il fatto è che anche il DPI è fantomatico. Del resto in una pagina online di quel genere ho trovato scritto che si può parlare di DPI
in modo certo solo per chi non lavora… Direi che non serve che io commenti per te cosa c’è dietro un’affermazione del genere… Per
parlare di qualche testo noto più recente, che senso avrebbero se si riferissero a malattie mentali canzoni come Drive dei R.E.M. o
Breathe, Time, The trial e varie altre dei Pink Floyd o le canzoni di Gaber come Cerco un gesto naturale, Io e le cose, L’impotenza o
L’ingranaggio? La crescita deriva non dal ragionare in astratto su se stessi e sugli altri, ma dall’osservazione di sé alle prese con
molte esperienze e contatti e richiede un distacco materiale dall’ambiente familiare e la possibilità di accedere a certe letture
(condizioni che implicano la necessità di molto tempo, dell’intervento altrui e della fortuna).
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X: Leggere Le belle immagini della De Beauvoir ha modificato il mio modo di considerare il mio passato di “automa”: la mia
nevrotica dissociazione ha provocato dei blocchi di comunicazione e poi di espressione tali da portarne le conseguenze
all’esasperazione e da indurre in me una disperazione peggiore di quella della protagonista di questo libro, ma almeno la mia
interiorità non si è sfaldata e falsata come la sua, il mio giudizio sulle persone orrende che frequentavo rimanendo lucido, le mie
emozioni conservandosi adeguate alla realtà a dispetto della loro espressione del tutto distorta e la mia comprensione delle situazioni
restando abbastanza realistica e capace di maturazione continua. Almeno sono riuscita a esprimere il dolore in uno squilibrio evidente
e consapevole…Per questo da quel lungo incubo sono derivati gli ultimi otto anni!
Y: I primi tre non sono stati poi meravigliosi…
X: Ma, fatta eccezione che per il primo, non ero già più alienata da me stessa, la sofferenza è stata sana e nessun dolore inutile:
soffrire nella lotta per difendere e affermare se stessi è giusto e mai insopportabile nè umiliante. I cambiamenti non sono quasi mai
definibili positivi o negativi, ma quanto è importante conservare un contatto con se stessi sufficiente a provocare o ad assecondare
quelli più profondamente necessari, naturali e iscritti nel destino personale! Quel che è davvero terribile è il percorso designato bene
dalla Lessing in Il Taccuino d’oro nella trama del “libro dentro il libro” incentrata sul giovane che si suicida proprio dopo aver
rimesso in “ordine” la sua vita: quell’ordine, quelle belle apparenze erano proprio il sintomo del malessere o della “malattia” che lo
avevano condotto al suicidio come a una tappa prefissata, come ad un termine prestabilito di ogni percorso simile.
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X: Tutti siamo soli, nessuno è indipendente, nessuno rispetta la solitudine dell’altro. Avrai notato che i brani delle telenovele riportati
nel film sono selezionati per trasmettere il messaggio più urgente di Caro diario nel complesso: nelle serie tv scelte non si parla che
di microfoni nelle case, sospetti, segreti di cui si rimanda la rivelazione. Tutti vogliono invadere, controllare e sfruttare gli spazi altrui
e nessuno si fa mai gli affari propri se non quando si tratta di aiutare qualcuno (in Ecce bombo questo concetto è espresso più o meno
in questi termini attraverso un commento del protagonista, ricordi?). Chi viola la privacy degli altri non è che un mostro e non è
davvero vivo, come non è davvero vivo chi si relaziona soprattutto con i personaggi della TV. E chi si diverte in gruppo esce da se
stesso ed è ancora più solo.
Y: Ogni isolamento comporta o favorisce egocentrismo, aridità, perversioni o eccessi e qui le isole incarnano degli estremi, come
nell’Odissea omerica che viene citata attraverso il riferimento a Telemaco, e come in Il piccolo principe, dove l’abitante di ogni
pianeta è solo e dominato da un atteggiamento autoreferenziale e da qualche forma di dipendenza tragicomica. Il film prende di mira
anche forme di disimpegno solitamente poco sotto accusa, come le scelte di chi si rifugia tra affetti privati vissuti senza maturità o tra
i libri. E critica anche chi, volendo occuparsi di qualcosa, asseconda per farlo un’ansia di solitudine o fuga priva di giustificazione
razionale e di misura.
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X: Su quest’ultima affermazione non sono d’accordo. Il protagonista del primo quadro di Caro diario osserva e sogna, invece di
partecipare, e in ciò è un diverso; solo in motorino e col casco, fra gli altri sempre in due e senza protezioni, è un diverso. Eppure non
ha affatto l’apparenza di un pazzo, soprattutto dopo le scene di violenza rappresentate: per quanto non consideri sempre gli altri
prosaicamente per quello che sono (sogna…) o sembri poco socievole senza ragione, la sua reazione al film violento è equilibrata,
anzi l’unica sensata e normale da avere e non attribuirei con molta sicurezza la stessa reazione alle persone che possono identificarsi
con i personaggi che ballavano quando lui li osservava e che in motorino trasmettevano leggerezza quando lui esprimeva ben altro in
quel percorso accompagnato dal concerto malinconico di Jarrett. Il protagonista dell’ultimo quadro si chiude a scrivere in casa in
un’isola (come io chiamo casa mia, da cui mi hai visto uscire poco e in cui ho scritto i miei documenti online) e ciò non può non
sembrare un eccesso, tuttavia è anche vero che la situazione conduceva a quella decisione.
Y: Nel primo quadro, però, per bocca dell’attrice di Flash dance, il personaggio è definito “un idiota”, cioè non proprio pazzo ma
quasi … una mezza via.
X: Definizione di “idiozia” (il modo in cui la gente mi sembri la concepisca): una forma intermedia tra la pazzia e la normalità, uno
stadio dello sviluppo non del tutto realizzato senza segni fisici visibili o difficoltà evidenti nell’apprendimento e caratterizzato da una
spiccata tendenza al sogno o all’esaltazione, una difficoltà o impossibilità a osservare e capire da soli e a tenere sempre presente per
lo meno quanto prosaici, freddi, intolleranti e aggressivi sono quasi tutti coloro che si incontra nella vita e si ha sempre intorno, una
scarsa capacità di dire di no, perseverare, arrabbiarsi o dominare le situazioni, gusti infantili o vigliaccheria estrema che non lascia,
nella paura, margine a lucidità e autocontrollo almeno nei momenti più importanti o in cui si è osservati, scarsi interessi e capacità
sessuali o forse anche disturbi sessuali. Queste caratteristiche in parte si possono ritrovare tra quelle attribuite alle etichette ignoranti
di “Disturbo di personalità” e “Borderline”. Come se non esistessero più le nevrosi create dai genitori con impegno o da loro
trasmesse per contagio e poi alimentate dalla gente (sempre tanto informata e gentile…) o da traumi, finché un bel giorno sono del
tutto sparite… Inoltre ho conosciuto molte persone con alcune di queste caratteristiche e che sotto altri aspetti non sembravano né
stupide né mezze pazze.
Y: Anch’io in effetti.
X: Maria, in I demoni, è definita idiota inizialmente perché si è resa conto tardi che tutti la trovavano ridicola e la prendevano in giro
e, quando poi impazzisce, il suo destino sembra essere quello di tutti coloro che in ciò le somigliano; a conclusioni simili spingono,
nello stesso libro, Satov e la moglie, che hanno una natura morale accompagnata da un entusiasmo eccessivo che ne causa la morte, e
il governatore, che è riservato e gentile quanto debole e vigliacco al punto che impazzirà anche lui… Però le persone che io ho
incontrato mi hanno mostrato che la realtà e più complicata di così. Quante ragazze bonarie, carine, mediamente intelligenti e per la
maggior parte della vita socialmente ben inserite hanno amiche, amici e mariti carogne, sono involontariamente cieche rispetto a ciò
che avviene davanti a loro e finiscono con l’avere a volte tarde ma bruttissime sorprese? Quanti sono cinici oltre che giusti e buoni?
Quanti si rivelano inaspettatamente vigliacchi e perdono la testa nel momento decisivo? E chi non ha qualche cosa di infantile,
momenti o periodi di ritorno all’infanzia o di esaltazione o disfunzioni sessuali? Il vuoto affettivo, quando è grande, non causa quasi
sempre tendenza all’esaltazione (a volte del tutto superficiale e accompagnata da lucidità e spesso perfino da pessimismo)? E questo
bisogno di esaltare non se ne va appena quel vuoto affettivo si riempie? Si può parlare di normalità, fondare sul sentirsi normali una
buona parte del proprio narcisismo e intanto farsi trascinare da quello stesso narcisismo a livelli di salute mentale sempre più bassi.
Ci si può sentire equilibrati o coraggiosi e forti perché fortunati e poi cedere alla prima grande difficoltà perché privi di risorse e
resistenza accumulate nel tempo e di capacità messe alla prova ed esercitate (tutti utili prodotti delle vite meno facili).
Y: Credo di capire. Mi è venuto in mente che L’idiota, che ha un titolo che non lascia spazio a sfumature di significato, ha per
protagonista un individuo che non ha per me l’aria di un bambinone. Basta essere giusti, gentili, buoni, per essere considerati esseri
inferiori e pazzoidi? Non definirei quel personaggio nemmeno un individuo a metà strada tra la pazzia e una normalità, che non so da
chi sia di fatto rappresentata.
X: Tu sai che non solo alcuni dei padri della psicanalisi e gli autori dei classici della letteratura, ma anche psicologi, sessuologi e
scrittori recenti insistono, in riviste, online o in libri di larga diffusione, nell’affermare che più ci si avvicina a qualcuno più spesso si
scopre che si ha davanti un pazzo senza esagerare. È una di quelle verità che fan saltare le coppie non preparate. Lasciando perdere i
miei parenti, posso assicurarti che ho un tempo parlato con persone che si presentavano benissimo (si esprimevano e vestivano bene,
erano già laureate o studiavano e al più avevano l’aria di furbi presso alcuni per aver ottenuto quel che avevano sfruttando o
raggirando genitori e ragazze o imbrogliando assegnatori di borse di studio, ecc.) eppure in privato con chi non temono hanno scoppi
di aggressività davvero enorme e insensata e sguardi allucinati e dicono cose del tutto incoerenti o false senza turbamenti o
ripensamenti, oppure dichiarano di essere eletti o di vedere spettri o che qualcuno ha aperto loro il rubinetto in casa mentre erano soli
o addirittura affermano di avere a volta allucinazioni di coltelli nell’aria, hanno passato moltissime notti a lanciare una pallina sul
muro e hanno dato in escandescenze con una ragazza per loro quasi estranea che non ci stava e non aveva amici o famiglia a
difendrla…
Y: Oh sì ricordo quel tizio dei coltelli! Quasi laureato in Psicologia…E no ha allagato un appartamento perché nella doccia ha
lasciato scorrere molto a lungo l’acqua perché “stava pensando”? Quanti danni ai mobili antichi del negozio confinante al piano di
sotto! Ma c’è chi ha chi lo protegge dai danni che possono fare voci su particolarmente dannose: questo tizio delle insonnie, strane
docce e incazzature, ecc. non è figlio di medici che tenevano a bada chi era tentato di sparlarne troppo?
X: Sì e hanno comprato al caro figliolo un appartamento con tanto di studio per quando avrebbe fatto lo psicologo, cosa che ormai
farà da anni…
E in altri casi ci sono i favori bastardi o danarosi da ricambiare ai pazzi.
Y: Ecco come non sono in pochi a conservare certe convenienti apparenze… Non tutti sono spiati al lavoro o hanno telecamere in
casa o vicini che definire invadenti è sprecare eufemismi.
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X: I personaggi di molti racconti di Kafka a volte mi sembrano soli e troppo sensibili al carattere superficiale dei rapporti di chi li
circonda piuttosto che inetti e condannati dalla loro natura a vivere da idioti. L’ironia dell’autore su di loro è raramente espressa, ma
esiste, è presente. Del resto Kafka in Il castello difende in modo esplicito e chiaro perfino l’ingiusto ostracismo attuato dagli abitanti
su una famiglia e lo fa con la “logica” del bene del gruppo a spese dell’individuo, base di tutta la violenza del mondo e della storia…
Anche ammettendo che in certi casi estremi isolare per un periodo delle persone innocenti sia indispensabile per il bene di una
comunità, come quando si stabilisce la quarantena per una malattia contagiosa, questo non cambia il fatto che sia doveroso in queste
situazioni fornire loro tutto l’aiuto che è possibile dare all’insaputa dei più e che in ogni caso è assurdo tollerare che li si umili e
offenda! La personalità di Kafka, così come emerge dalle biografie e dai suoi scritti, era certamente debole e forse egli era troppo
disposto ad unirsi ai più forti sorvolando sui doveri imposti dalla coscienza. La mancanza di sensibilità di Kafka (credo che il suo
punto di vista coincida con quello del narratore) in certi passaggi mi infastidisce come l’ironia che Dostoevskij riversa a volte sul
protagonista (malato!) di Il sosia.
Y: Vuoi dire che non è sui personaggi che bisogna ironizzare in casi simili, ma solo sugli schemi di comportamento assurdi che li
dominano per determinati periodi in certe condizioni di vita: loro sono le vittime da sostenere nel processo che li renderà padroni di
sé.
X: Quella di Kafka non è pura immaginazione: i processi psicologici che descrive trasfigurandoli sono reali e per descriverli lui
stesso ha dovuto in parte esporsi a quel gorgo di sentimenti e idee che sono alla radice delle visioni rappresentate: semplicemente ha
saputo mantenere il distacco abbastanza a lungo, grazie alla situazione in cui si trovava. Sia lui che chiunque altro possono però
altrettanto facilmente cedere a quei processi mentali comuni che l’arte ha saputo fissare: tutti possono perdere il controllo se
sottoposti a una certa pressione e il grado di resistenza dipende più dalla fortuna avuta nel passato che da capacità innate. Perciò che
senso ha l’ironia sulle idiosincrasie, altrui o proprie che siano?
In Il taccuino d’oro la Lessing definisce pazzo chi fa una cosa pur ritenendola insensata. Eppure tutti i personaggi che in quel libro
rappresentano la razionalità fanno per lunghi periodi ciò che hanno deciso di non fare o che sanno che rischia di far loro perdere
l’equilibrio, oppure dicono cose che non pensano appena si presentano circostanze particolari o risolvono situazioni problematiche
dicendo cose vere e opportune che però si sorprendono a dire e che non si rendono conto di pensare se non dopo averle dette…E
quando la situazione generale si è evoluta e i problemi sono stati risolti, i personaggi tornano a comportarsi normalmente. Non si può
definire pazzo chi si rende conto di ciò che è sensato fare e ha l’intenzione di farlo, e ciò per una serie di motivi evidenti: 1) tutti si
confondono di continuo in un modo o in un altro 2) tutti rischiano ogni giorno un piccolo crollo 3) è proprio la consapevolezza che
tira fuori dal caos e col tempo può far superare limiti e difetti di ogni genere.
Y: Ciò che bisogna tener presente, quando si ha la tentazione di avvalorare la definizione che Lessing, come molti, dà della pazzia, è
l’insieme dei destini simili a quello di Paule, il personaggio di I mandarini: lei aveva affermato di voler essere aiutata dagli amici a
togliersi una “maschera” che in quel periodo difficile le si era attaccata addosso e della cui assurdità e del cui peso insostenibile si
rendeva ben conto, e gli psichiatri gliela hanno incollata…
X: Condannandola a un destino peggiore di qualsiasi sofferenza e della morte stessa!
X: In molti libri di Dostoevskij e Kafka il motore di tutti gli avvenimenti tragici è l’isolamento, o meglio il rifiuto o l’incapacità di
comunicare. Kafka e Dostoevskij hanno entrambi attribuito a molti dei loro personaggi difficoltà di comunicazione: Nikolaj di I
dèmoni non sa scrivere e non riesce a parlare di sé con sincerità con nessuno tranne con una ragazza che vede come una specie di
infermiera; Ivan di I fratelli Karamazov non riesce a parlare con nessuno eccetto che con Alësa e anche in questo caso fino a un certo
punto, mentre perfino con la donna che ama finisce quasi sempre col dire il contrario di ciò che prova; Raskolnikov di Delitto e
castigo sa parlare bene solo fino a quando commette l’omicidio, mentre poi non riesce più a comunicare con nessuno (se non con
Sonja e per gradi), tanto che finisce con tradirsi. E Kafka? In La metamorfosi la voce e il modo di articolare le parole di Gregor
diventano quelli di uno scarafaggio; in Il processo, K. cerca senza riuscirci, e sentendosi male, di scrivere una specie di testimonianza
su di sé e in America fin dal primo capitolo K. e il fochista ( rispetto a lui una sorta di doppio), se spinti dalla timidezza o dalla paura,
parlano in modo così impreciso, confuso e incompleto da risultare agli interlocutori a torto – e che essi sbaglino lo afferma e
ribadisce l’autore stesso- prima falsi, poi non meritevoli di ricevere ascolto obiettivo e giustizia.
Il narratore in I fratelli Karamazov identifica la causa dello squilibrio di Ivan nel suo “andarsene” sempre e in effetti Ivan, come
Nikolaj, nel modo di vivere i propri rapporti è in balia delle circostanze, tanto che tronca bruscamente quelle relazioni in cui si sente
coinvolto intimamente (spesso quelle vitali e in momenti per lui decisivi: lo fa con Alësa come Nikolaj con Satov ed entrambi con
evidente confusione e provocando così una svolta della propria vita con esiti distruttivi). Ivan e Nikolaj danno l’impressione di essere
costantemente alle prese con aspirazioni opposte e sballottati tra impulsi diversi, quasi tiranneggiati da una orgogliosa e timorosa
voglia di nasconderli e di dominarli: lo scivolare via sul bordo della realtà e la frenesia nei libri di Dostoevskij sono prodotti del
silenzio, della “paura nera” (I demoni), dell’incertezza, di una concentrazione su di sé eccessiva e mal impostata…della solitudine.
Mi sembra che alcuni dei personaggi di Kafka e Dostoevskij scambino spesso la realtà con ciò che hanno l’impressione di desiderare
e che, quando non passano la vita a cercare un intermediario che li sostenga nelle proprie intenzioni e consapevolezze, finiscano per
confondersi appena qualcuno dà loro qualche parere sulla loro natura e qualche consiglio, che essi finiscono con l’accettare per
quanto essi siano sbagliati: è come se faticassero a restare in intimità con se stessi e ad accettare in modo fermo ed equilibrato i propri
limiti abbastanza a lungo da poter riflettere in autonomia e da restare equidistanti dagli altri; sembrano cercare uno schermo su cui
“leggersi” e anche una specie di tavola della legge che dia loro riferimenti o legittimazione. Appaiono un po’ strani, forse troppo
dipendenti dal raziocinio e diffidenti della guida del proprio intuito, scissi dal loro istinto e anche eccessivamente sensibili al giudizio
altrui: troppo spesso le loro attività appaiono condotte in modo un po’ maniacale o automatiche o di poco respiro o prive di sbocco.
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Nei libri di Kafka, come nella vita, le persone di questo tipo sembrano tenaci nella loro ricerca e nel difendere la propria autonomia
essenziale e inoltre dotate di intuito, valido istinto, valori coscienti apprezzabili e senso della dignità. Eppure, nello stesso tempo,
questi individui spesso appaiono inetti, ridicoli, preda di ogni loro emozione e senza possibilità di evolvere.
Y: I posseduti non possono che correre, come ricorda Cristo, citato da Dostoevskij: c’è un protagonista sconfitto di Dostoevskij e di
Kafka che non consideri se stesso, a un certo punto, un malato e/o non lo diventi? Con l’isolamento, accade sempre che la pressione
inconscia aumenti costantemente, ma ciò si prolunga solo finchè non si crea attorno a sé il cerchio magico del mandala a rettificare il
senso di quell’isolamento, a prepararne la trasfigurazione… (sì, sto facendo riferimento a Psicologia e alchimia di Jung). Fino a
quando non è giunto “il momento giusto” (Dostoevskij), in cui può realizzarsi il centramento nel Sé, il bisogno di riferimenti è
normale e sano e non per tutti questi riferimenti possono essere il genitore, il vicino di casa, il gruppo “forte”, né in tutti esso implica
attitudine ad accettare padroni. Anzi il bisogno di una teoria che convinca del tutto e nello stesso tempo consenta di vivere in
autonomia e libertà è abbastanza comune, anche se non sempre viene accettato o vissuto.
X: Considera questo brano di I demoni tratto dal capitolo, decisivo per l’intreccio, in cui Nicolaj rifiuta il consiglio del servitore ed
esce di notte per incontrare Kirillov e Maria: “Attraversarono il ponte e sboccarono nell’altra riva, girando questa volta a sinistra, per
un largo vicolo lungo e deserto per il quale si arrivava nel centro della città più in fretta che passando per la Via dell’Epifania”:
questo passo mi fa pensare alla spirale a sinistra, l’immagine archetipica che indica il passaggio al percorso intuitivo e interiore,
all’inconscio, e la città mi ricorda il mandala, il centro di sé e del destino. Prima infatti viene riportato: “Percorse tutta la Via
dell’Epifania” – qui sta per rivelazione -, “infine imboccò una discesa, i piedi slittavano nel fango, e a un tratto si aprì una grande
distesa nebbiosa che sembrava vuoto: il fiume; la strada si perse in una quantità di vicoli disordinati (…) Camminò trovando con
sicurezza la propria strada… senza preoccuparsene. Era assorto in tutt’altri pensieri. Si vide quasi a metà del ponte e poi, (…)
camminando a grandi passi nel fango, senza vedere la strada, (…) ritornò in sé al ponte, proprio nello stesso punto in cui prima aveva
incontrato Fedka”. La posizione a metà del ponte qui forse indica lo stato sospeso di Nikolaj (la sua volontà atrofizzata
dall’incertezza che lo tende fino alla rottura) e mi pare significativa anche perché anche Ivan ne I fratelli Karamazov deciderà il suo
destino (simile a quello di Nikolaj) per strada: Ivan svolta in un vicolo per raggiungere Smerdiakov, anziché seguire il consiglio di
Alesa di tornare a casa.
Y: La capacità di comunicare consiste nell’aprire e chiudere al momento giusto le “porte”: senza questa possibilità si viene sbalzati
lontano dal centro verso la circonferenza del proprio mandala, che presto si rovescia… Si finisce in un angolo come ragazzini
dominati dalla paura e dall’istinto di conservazione irrazionale… Il K. di America non fa che trascinarsi dietro protezioni illusorie
(valigia, ombrello, foto e abito “da strapazzo” dei genitori, persone incontrate per caso, letture): si tratta di attaccamenti assurdi,
inutili o dannosi da cui non sa distaccarsi, come un bambino e come un cane (le frequenti immagini di Kafka) e che ricordano in
parte l’atteggiamento della madre, che non dimenticava mai di asserragliarsi in casa prima di occuparsi di qualcosa.
X: A proposito di mandala, in Il castello l’ambiente viene descritto come una specie di cittadina senza un centro e si insiste molto su
questa mancanza di un punto di riferimento centrale: prima K. dice che l’unica torre visibile da lontano non si qualifica chiaramente
come chiesa o abitazione comune; poi si chiarisce che appartiene a una casa; in seguito se ne sottolinea ridondantemente il carattere
modesto per associazioni e descrivendola. Forse perché per il protagonista stesso la mancanza di centramento in se stesso è così
evidente e determinante per ciò che gli accade, questa descrizione mi ha fatto pensare alla definizione di un tipico mandala che ha
delle porte tracciate a intervalli sulla circonferenza. Le quali dovrebbero aprirsi con disponibilità a chiudersi saldamente in base
all’opportunità, garantendo vitalità, scambio e sicurezza all’individuo (il mandala “del castello” o “della rocca”). Se a un mandala
mancasse un centro stabile e definito, cosa accadrebbe? Si parlerebbe allora di mandala rovesciato, di mandala impazzito…
Mancherebbe il senso della prospettiva, si sbaglierebbe ogni direzione… In un mandala rovesciato, la prospettiva ribaltata falsa la
visuale e confonde. All’inizio del libro, il percorso di K. di Il castello è materialmente e metaforicamente in salita solo nella sua
immaginazione, che lo porta alla sicurezza illusoria di dirigersi con Barnabas nella sede del signore. In seguito continua a
fraintendere la sua direzione e quindi più insiste meno ottiene e inoltre si convince di aver bisogno di salire in fretta (forse anche per
raggiungere un punto dove essere irraggiungibile, come il bordo del muro del cimitero scalato con un balzo all’inizio del libro?),
scalando gerarchie agitandosi e insistendo a oltranza, anziché discendere in sé e centrarsi, per arrivare e ottenere con calma e per
gradi una visione d’insieme .
Avevo pensato una cosa simile anche leggendo la descrizione del ballo frenetico che coinvolge Olga, soprattutto per via della
disposizione dei contadini e delle figlie di Barnabas e per l’atmosfera generale: i contadini sono disposti in cerchio tra botti di birra e
attorno alla figlia di Barnabas, che però lascia spesso il centro per ballare con uno di loro e in modo sempre più frenetico tanto da
farla barcollare. Si può vedervi il disegno di quel mandala della rocca ma con un centro instabile e barili di birra al posto delle
porte… Un’immagine che mi viene spontaneo associare è quella di una ruota staccata da un carro e privata del perno e poi spinta
lungo una strada in discesa, perché cosa succederà a questa ruota con un vuoto al centro? La ruota percorrerà la strada scelta per lei
da altri con un moto inutile, senza senso e sempre più veloce, barcollerà e cadrà, come il gruppo di avventori, come K., Olga,
Barnabas o la sostituta della ragazza di K. all’osteria dei signori…
Y: È quell’instabilità particolare che a volte degenera in situazioni simili a quella descritta in Il sosia di Dostoevskj, per intenderci.
Se questi personaggi invertissero la direzione, discendendo in se stessi in un’accettazione di sé e del proprio destino (come quella
figlia di Barnabas causa involontaria dello scandalo o la fidanzata di K.) e connettendosi di più alle fonti del sentimento e all’istinto,
il loro mandala verrebbe reintegrato nella posizione corretta con il tempo, in modo naturale, e la realtà inizierebbe a sostenerne il
passo sempre più equilibrato, perché una ruota privata del perno smette di barcollare o girare a vuoto appena un nuovo perno la
aggancia…I consiglieri migliori dei personaggi sono quelli che sono maggiormente collegati alle fonti primarie della vita, i più
ricettivi delle forze totali in gioco: Alesa per Ivan, Satov e il servitore per Nikolaj, il sonno e gli aiutanti assegnati per il K. di Il
Castello (questi aiutanti sono paragonati a serpi, dato che il serpente non percorre la linea retta della logica e di un intelletto per sua
natura sempre ostacolato da bisogni contraddittori, aspirazioni confuse e ignoranza: il serpente, ovvero l’intuito/istinto, può suggerire
di deviare al momento giusto, cogliendo pericoli e verità a livello subliminale). Immagini tradizionalmente connesse al mondo
istintuale sono usate in questo stesso senso anche altrove da Kafka: per esempio In Il processo il buon suggeritore è rappresentato,
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ancor più che dall’individuo incontrato al Duomo, dalle donne che K. vede sulla strada che lo conduce al luogo dove viene ucciso, in
Indagini di un cane dalla musica, in America ancora da una donna (l’amica e collega di K. all’hotel) oltre che dal bisogno di dormire
(in proposito pensa a I Buddenbrook, un libro tutto scandito da richiami alla spontaneità e al sonno come a una vitale e mai
conquistata indipendenza mentale rispetto a un’autorità che induce i personaggi a violentare la propria natura in un percorso di
dolore, solitudine, umiliazione e morte).
In effetti è esasperante vedere come il protagonista di Il castello lotti per restare nella cittadina, perché è certo che egli non avrebbe
sentito altro bisogno che di andarsene se avesse avuto fiducia nelle leggi della realtà, di cui è parte importante egli stesso: se avesse
collaborato con quelle leggi che si attivano come guide appena si entra in se stessi e ci si libera del forte condizionamento altrui. Egli
resta forse soprattutto perché desidera legittimare il suo ego nel modo sbagliato, ricevendo il riconoscimento dei signori e la
regolamentazione precisa delle sue mansioni.
X: Forse a questo si possono ricollegare certi dettagli posti in apertura di Il castello, perché prodotti delle leggi che regolano il nostro
inconscio e impulsi dell’istinto sono, non solo il bisogno di libertà e benessere, ma anche quello di affidarsi ad altri e le intuizioni
ingannevoli dagli esiti negativi: Barnabas, le cui scelte vengono implicitamente mal giudicate nel finale, viene definito un
intermediario (rispetto all’autorità) simile e nello stesso tempo diverso rispetto a quegli aiutanti-serpenti che rappresentano istintività
e intuito e invitano alla misura o all’indipendenza (la salvezza per K.). Mentre K. chiama il personaggio, all’inizio del libro, la sua
voce risuona nel buio e nel vento come un tuono (il tuono è la voce biblica di Dio; forse c’è un’eco del soprannome noto di un
apostolo?). Forse non è un caso che Barnaba è poi il nome del mite accompagnatore dell’esaltato Paolo in alcune missioni in Gli atti
degli apostoli: K. fatica a stare al passo con lui finendo col farsene trascinare in una sorta di crescente esaltazione; nel cammino, K. si
chiede se ha oltrepassato la chiesa del paese (probabile immagine dell’istituzione della Chiesa) e ricorda un episodio della sua
infanzia in cui aveva scalato il muro del cimitero (possibile simbolo del confine tra la realtà e il trascendente, tra chi sta in un
groviglio di leggi e un’autorità che apparentemente ne sta al di fuori). K. considera un ambiente “da servi” la casa di Barnabas e ciò è
in linea con impliciti accenni sparsi all’umiltà del messaggero: sotto una tunica ricca di riflessi, Barnabas rivela un prosaico abito
grigio (il colore della razionalità) e sporco, come a indicare una ragionevolezza “terra terra”; sul tavolo della sua casa brilla poi una
lampada a olio, che si potrebbe forse interpretare come un uniformarsi automatico alle parabole bibliche della lucerna dell’occhio e
delle vergini sagge (esagero?)”.
Y: Bisogna capire bene tutte le ragioni di questa incapacità dei personaggi di Kafka di intraprendere il percorso giusto, e forse in ciò
può essere d’aiuto pensare a Lettera al padre . In fondo, per esempio, il protagonista di America non è semplicemente un ragazzo, ma
un ragazzo con dei genitori orrendi, come lo è Gregorio Samsa in La metamorfosi e, sembra, il K. di Il processo… Un altro punto in
comune con l’autobiografia e con parte dell’opera di Dostoevskij…
In effetti il senso di colpa nei ragazzi emotivi costretti a lungo al contatto con parenti ostili è solitamente alla base della loro
incapacità di intimità con se stessi, della loro ansia di perfezione e di precisione e del desiderio di riferimenti scritti. Inoltre esso è la
principale causa del fatto che il loro bisogno innato di bellezza ha per loro conseguenze soprattutto negative.
X: Consideriamo qualche brano della parte iniziale di America:
- “Si accorse con spavento di aver dimenticato l’ombrello (…) e in fretta chiese al conoscente di attendere (…) accanto alla sua
valigia (…) e corse via”: così inizia l’azione, con una corsa nata da un impulso non meditato che, incontrerà subito dopo un ostacolo
e lo immetterà a quel punto in un labirinto.
- “Si ricordò di cinque nottate intere durante le quali egli aveva di continuo fatto la guardia ad un piccolo slovacco che dormiva alla
sua sinistra (…) perché sospettava che stava soltanto ad aspettare che (…) Karl (…) chiudesse gli occhi per tirare al proprio posto la
valigia con un bastone col quale durante il giorno non faceva che giocare (…) Questa continua attenzione gli aveva logorato tutte le
forze e pensava che forse era stata del tutto inutile Appena veniva buio, si alzava a sedere come tutto triste (…) C’era sempre
qualcuno che cercava di decifrare le circolari incomprensibili delle agenzie di emigrazione (…). Ah, quel Butterbaum…”: K. è una
vittima, ma si procura da sé molti problemi con la propria mancanza di contatto con le emozioni e i pensieri reali che in lui hanno
accompagnato la decisione dei genitori, cioè con l’obbedire a una paura che è forte proprio perché viene riconosciuta falsa, dato il
suo rifiuto di accettare la sua solitudine come condizione naturale, riconoscendo apertamente che l’abbandono dei familiari è per lui
realtà già da anni e qualcosa che lui non potrà mai non sentire come ingiusto e infine che quel viaggio per lui rappresenta anche
un’opportuna di allontanarsi per sempre da una famiglia che non vale niente (la sinistra è zona ombrosa dell’inconscio; il bastone
istinto, impulso libertario, energia sessuale, Eros freudiano; la tristezza è emergere delle emozioni profonde dell’abbandono; il buio è
affievolirsi della coscienza; le circolari incomprensibili delle agenzie di emigrazione forse sono anche immagini del senso
dell’ingiusto e assurdo carattere della situazione o dell’atto dei genitori di Karl; mollezza o sano abbandono connotano Butterbaum).
- “Stava già abbandonandosi (…) a un sonno libero da tutte le preoccupazioni per la valigia e lo slovacco/ colpi come di piedi di
bambini (…) d’un tratto divennero una marcia tranquilla di uomini (…) e si sentiva un tintinnio come di armi”: è una la
rappresentazione del percorso naturale verso la maturazione che il ricordo di Butterbaum (col suo bastone) gli suggeriva?.
- “Grandi navi incrociavano da ogni parte e cedevano all’urto delle onde solo quel tanto che lo permetteva la loro pesantezza (…)
Sugli alberi avevano bandiere sottili ma lunghe che la corsa manteneva dritte (…) Si udivano salve di saluto, probabilmente da
qualche nave da guerra (…) Sì, in quella stanza si vedeva bene dove la corsa portava”: il punto di vista cambia, si ha una visione
d’insieme matura (navi da guerra/stabilità/ampiezza) invece di quella disponibile dall’interno dei labirintici corridoi della nave…gli
impulsi vengono dominati anziché essere seguiti senza meditazione in una corsa pazza tra i corridoi della mente e venir poi riflessi
dalla realtà degli incontri e degli eventi.
Y: Forse certe analisi sono utili e nell’interpretare qualsiasi lettura bisognerebbe essere molto precisi. Il critico della nostra
introduzione ad America usa invece frasi fatte o ambigue senza mai approfondire o precisare, come quando afferma che il messaggio
di Kafka sarebbe che solo l’arte salva, nella tabula rasa fatta di tutti i vecchi valori e data la natura disarmata della bontà del
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protagonista, mentre casomai l’arte ha senso come espressione di determinati valori e quando si serve dell’esperienza per ispirare la
vita per quanto possibile, oppure è un gioco inutile e deprimente (soprattutto dal punto di vista di chi soffre). Il senso di America
emerge appunto considerandolo un mezzo per armare quella bontà di consapevolezza, ovvero di fiducia ben fondata in alcuni valori e
possibilità: il primo capitolo contiene per esempio diversi interventi diretti del narratore volti a demistificare e a esortare il
protagonista a ragionare e ad agire prontamente e lucidamente (“Dunque Karl affrettati, approfitta almeno adesso del momento,
prima che i testimoni entrino e confondano tutto”) e anche in seguito l’autore interviene per sottolineare i fraintendimenti di K. da cui
per contrasto emergono verità confortanti.
Il critico riporta anche un’interpretazione per cui il senso dell’opera di Kafka starebbe nel mostrare l’assurdità misteriosa della realtà
e dei rapporti, ma poi parla di come per Kafka i rapporti tra gli uomini siano spesso chiaramente fondati su una specie di estensione
generalizzata ed estremizzata di princìpi del capitalismo, su “libidine sfrenata di offendere”. Ma questa autoaffermazione frenetica
nel potere non ha forse in sé la sua “giustificazione” e quindi spiegazione? Parlare di “mistero”qui ha senso solo in rapporto a
questioni esistenziali ultime e vale solo a confondere il lettore giovane, cui -mi sembra- Kafka vuole rivolgersi.
Il critico dice poi che, in America, K. viene espulso per cause inconsistenti, ma i motivi indicati nel testo sono frequentemente, nella
vita, causa di emarginazione e non appaiono affatto ragioni vaghe e del tutto insensate: esse si fondono sul principio dell’autorità da
rispettare per essa stessa e senza che peraltro venga presa in considerazione la possibilità di farlo o meno. Voglio dire che queste
motivazioni sono sicuramente ingiuste, ma non prive di senso o incomprensibili: K. riceve del resto avvertimenti sotto varie forme
prima di ogni abbandono (l’osservazione di comportamenti altrui che dovrebbero almeno suggerirgli di evitare certe persone e
situazioni; avvertimenti, indicazioni e divieti di persone dal carattere autoritario; consigli accorati di amici che gli viene fatto
promettere di assecondare; l’esempio offerto dagli incontri e dalle cattive esperienze ecc.).
Capisco che la società e la famiglia possano sentire come un peso chi ha bisogno di più tempo per affermarsi o che si sentano
disprezzate da chi sceglie l’indipendenza mentale, ma c’è da chiedersi chi è il più forte, considerando che c’è chi, a partire da una
condizione non dissimile da quella dei personaggi di K., insistendo e al prezzo di gravi perdite e sofferenze, trova quel che cerca,
supera i propri limiti e giunge a realizzare pienamente se stesso: dimostra maggior valore chi si getta sul primo pregiudizio che trova
attorno a sè o chi resiste fino a raggiungere una verità, che per quanto limitata ha il potere straordinario di ogni verità? Non si tratta
tanto di individuare tipi umani inferiori e superiori e bisogna accettare che la natura di K. è soggetta a leggi che almeno a livello
generale hanno un significato e pertanto va rispettata e aiutata a evolversi nel modo dettato dal suo carattere particolare. Il critico
della nostra introduzione infine, avendo affermato che K. ritiene di avere dei diritti, commenta così: “come se glieli desse il semplice
fatto di esistere”… Ma certo che il fatto di essere nati in una società comporta l’avere dei diritti!
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X: Il personaggio che più assomiglia a Linus, una volta che viene privato della sua coperta, è Sally, un tipo vicino per alcuni aspetti a
quel che sono stata io spesso anni fa - quando il dolore e l’ansia erano per del tutto ingestibili – quanto Linus ora è quello che mi
rispecchia forse più di qualunque altro personaggio del fumetto. Al contrario di quanto si scrive in alcune pagine online, la
caratteristica che contraddistingue di più Linus non è l’intelligenza, ma l’autodidattismo, che lo avvicina a Snoopy, per il quale esso
ha origine in una forma di ansia dovuta all’abbandono subito da cucciolo e alla sua diversità rispetto agli altri componenti della
cricca: è a proposito di Snoopy questa osservazione dell’autore: “la claustrofobia insegna a camminare sulla punta dell’erba”.
Y: In linea con l’abitudine dei Snoopy di dormire sul tetto della cuccia, anzichè all’interno, con qualsiasi temperatura.
X: Certo. E corrisponde anche alla sua decisione di non comportarsi mai come ci si aspetta da un cane, con il suo rifiutare a volte gli
inviti, con la sua aria distaccata e con la sua fantasia eccentrica e imprevedibilità (queste ultime caratteristiche le condivide con Lucy,
che non a caso è la sorella di Linus). E…
Y: E con la sua capacità di cavarsela e di dominare le emozioni, per cui si pone agli antipodi rispetto a Charlie Brown, che con la sua
ansia di piacere e con tutti quei detti banali cui cerca di appigliarsi di continuo (quella dipendenza dal prestigio e dai luoghi comuni
di cui lo rimproverano Schroeder e Linus), nell’erba non può che affondare.
X: Mi è appena venuta un’idea balzana, un accostamento azzardato e forse assurdo…
Y: Dato che però è spontaneo, perché non espormelo?
X: Ricordi quel’episodio del Vangelo in cui Pietro per poco non affonda in mare aperto, a causa della paura che lo sorprende presso
Gesù che cammina serafico sull’acqua? Non lo slancio della fede come abbandono, non l’affidarsi (ad un amico, a un mastro)
vengono esaltati qui, bensì equilibrio ovvero fiducia e centratura in se stessi. Questo episodio del vangelo mi stimola a mantenere
un’apertura distaccata e controllata agli altri, all’imprevisto e all’emozione.
Y: Faccio una parentesi: quanta gente si interroga e si è interrogata sull’effettiva realtà degli eventi che il Vangelo ha tramandato? A
me sembra che invece ciò non dovrebbe importare. Quel che conta oggi è che è vero il fatto che c’è dietro quel racconto.
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X: No che non mi pento di averlo cestinato. Non lo sopporto. Lessico familiare è un libro davvero ebete, come lo definì quel critico.
Ma questi genitori cosa hanno fatto per i figli? Hanno dato loro per un po' da mangiare e un tetto, ma i figli non sono animali. Che
educazione era implicita nei commenti idioti e sorridenti della madre sul parente suicida? Quel musicista sensibile di cui scrisse
Montale è qui descritto come un demente che va, a caso, da un estremo all'altro: la madre parla del suo destino con allegria o almeno
col tono sorridente di chi non vuole mai capire niente ed è sempre felice se può canzonare. E perchè mai quel suo figlio Mauro non
avrebbe dovuto provare rancore per non aver avuto dal padre il permesso di iscriversi a Giurisprudenza? Per Natalia stessa cos'hanno
fatto? Se vedi che tua figlia non parla, fa qualcosa, no?!! Lei aveva delle esigenze particolari, quel suo fratello Mauro, irascibile ed
emotivo, ne aveva altre (e ben al di là della libertà nella scelta degli studi...): nessuno dei due ha ricevuto dai genitori il necessario e a
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Mauro è toccato pure di essere deriso in un libro che fu letto da molti in Italia e di cui ancora si scrive e si parla (a Fahrenheit ad
esempio lo si presentò anni fa). Rispose ad alcune critiche fondate che non aveva inteso scrivere i giudizi di una persona adulta, ma
descrivere come una bambina vedeva i familiari e le persone da loro frequentate, ma non su tutti i personaggi presentati esprime
giudizi infantili però... Pensa a Pavese, su cui scrisse ben altro che sulla compagna di Montale. E, in ogni caso, non si dovrebbero
pubblicare diari infantili!
Y: Se lei non fosse cresciuta tra ebrei, all'epoca di Hitler, e in relazione con noti politici e scrittori e inoltre non avesse descritto le
"negrigure", su cui disquisiva il padre, comicamente, forse pochi avrebbero letto questo libro.
X: Forse è così, ma di certo è un libro che va incontro alla mentalità insulsa e comoda della maggioranza. Lei scrisse che la colpa dei
destini più duri non è dei genitori ed è questo che la gente e i difensori dell'ordine (del principio di autorità) vogliono sentirsi dire. Lei
scrisse che bisogna nascondere il dolore e questo desidera la gente, che per lo più non vuole tenere nella giusta considerazione il fatto
che farlo non sempre si può né sempre è giusto. Poi affermò che si può comunicare solo attraverso il lavoro e la gente vuole appunto
far tacere chi parla chiaro o anche solo disturba la vita tutta condotta sulla superficie: vai a dirlo però a chi lavora alla catena di
montaggio!
Y: Certo non era un suo problema, dato che aveva poco da dire e inoltre lavorava, grazie al marito, in una casa editrice...
X: Appunto. Era, come i più, una donna pigra e un'aggressiva-passiva. Ciò che scrisse sulla sua amica iraconda è una conferma. Era
piena di desiderio di rivalsa senza criterio e trovava nella incapacità, propria di alcuni, di soffocare o mascherare il dolore una fonte
continua di amor proprio: li confrontava con se stessa così controllata...Concordo di nuovo con certi suoi critici astiosi: è facile
davvero criticare chi vive la propria vita come può, assumendosi il peso della sensibilità o del caratteraccio attributi dal caso e intanto
tirare avanti goffamente all'ombra dei fratelli più grandi e poi del marito, spiando, trinciando giudizi...
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Y: Credo che Thomas Mann fosse un uomo antipatico, instabile e immaturo: in I Buddenbrook non si fa che confondere l’una con
l’altra molte cose: sensibilità e debolezza; prepotenza e valore; necessità sociale e caccia al prestigio; arte e emotività; esaltazione
maniacale e talento. E questo caos è accresciuto dalla proiezione di valori positivi in lontananze che li fanno apparire irraggiungibili e
astrazioni inutili: valori vuoti sono la pace e l’estensione di sè nella morte, la calma delle sorelle medium e, secondo me, perfino le
possibilità della letteratura, perché sono separate dalla personalità reale che fa loro da modello attraverso l’invenzione di Kai (un
personaggio che non mi convince anche proprio perché si capisce che, per risultare credibile e dare al messaggio che Hanno trasmette
un carattere non arbitrario, avrebbe dovuto rimanere dentro quest’ultimo, che rappresenta in parte l’autore).
X: Il primo libro dovrebbe essere rimandato fintanto che scriverlo non diventa un’esigenza profonda, lucida e pacata e non coincide
più con la soddisfazione di un impulso forte, generato da sensazioni, ricordi e situazioni troppo vicine…
Y: Stai pensando all’introduzione di Calvino a Il sentiero dei nidi di ragno, a quel brano che hai trascritto in “Citazioni molto
utili”…
X: Non solo. Quante pagine noiose e incomprensibili sono dedicate alla descrizione della musica di Hanno, la quale in realtà non ha
a che fare con l’arte forse più che quella della pianista folle di L’uomo senza qualità. L’opera d’arte per me non ha nulla a che vedere
con i risultati degli abbandoni di Clarisse o Hanno ed è lontana anche da questo libro confusionario, perché l’arte per me è costruire,
è un’emanazione naturale di certi valori che aun certo punto si impongono e mobilitano risorse creative latenti perchè hanno bisogno
di essere vissuti ed espressi con consapevolezza in più contesti e forme.
Y: Tra i tanti che ne hanno scritto mi viene in mente la Dickinson. Penso alle sue affermazioni circa il non poter non scrivere…
X: Io sto pensando soprattutto che lo spirito non è sogno, ma guerra e che l’arte non può perciò essere evasione né emotività: l’arte
deve essere costruzione ispirata ed insieme coerente. Chissà se le ambiguità del testo possono in parte giustificare i commenti assurdi
che si stampano su libro e autore. Ricordo che nella mia antologia liceale si affermava che Hanno muore a causa della sua sensibilità,
del suo isolamento e della sua passione per l’arte.
Y: Beh, Hanno non è sensibile (appena apprende della morte del padre parla di cibo; ricambia l’aiuto datogli da Christian con cinica
e crudele indifferenza; ammira i bulli per la loro “adattabilità alla vita”), non ama la musica, che anzi per lui è fonte di sofferenza e
preoccupazioni senza speranza (egli manca del senso del tempo e della prospettiva), e muore di tifo per aver bevuto acqua putrida
costretto dai compagni ed essersi esaurito a causa del contatto forzato con altri prepotenti di ogni sorta ed età a scuola e con le torture
subite dal dentista; non è del tutto solo (c’è Kai con lui, il personaggio tratto dalla fiaba di Andersen con inversione di carattere e
destino rispetto a Gerda, l’altro personaggio di La regina dei ghiacci, il cui nome Mann attribuisce alla madre fredda del ragazzo) e
in ogni caso l’isolamento rispetto al gruppo non è di per sé un fattore negativo, dati tutti gli esempi storici di solitudine aperta e
impegnata.
X: Hanno casomai sbaglia nel non saper emanciparsi abbastanza dal condizionamento dell’ambiente familiare e sociale: in
particolare rimane ancorato alla figura paterna e ne risulta anzi in parte risucchiato, tanto che la sua forma pare distorcersi e dà
l’impressione di poter spaccarsi, dato che il suo carattere innato e le sue esigenze naturali sono diverse da quelle del padre (i suoi
pregiudizi e la sua confusione sulla forza sono quelli del personaggio di Thomas, oltre che quelli proclamati a scuola).
Y: L’esportazione del militarismo nelle scuole viene giudicato in modo meno ambiguo.
X: Mann fu un guerrafondaio ai tempi della guerra mondiale.
Quando il nonno di Tony non fa che ripetere: “avanti, avanti!”…viene da ribattere: sì, ma avanti dove? Verso la distruzione? La
storia consente idee più chiare: pensa a Il giovane Torless, ai figli dei prussiani ammalatisi per le marce lunghissime insensate di cui
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parla Levi, ai suicidi e ai crolli degli studenti tedeschi in epoca nazista e negli anni immediatamente successivi di cui abbiamo letto
nei libri di Levi e Arendt…
Il motto ricorrente del diario di famiglia sulla necessità della misura suona ironico, perché se nel padre di Thomas la mancanza di
misura è in evidenza, anche Thomas e Christian la manifestano: i due fratelli, nonostante le apparenze, sono simili nella tendenza
all’esaltazione, nell’insicurezza profonda, nell’incapacità di gestire emozioni ed inibizioni, nella confusione che li porta a fallire,
nella morte squallida che li sporca e rende indecenti (il contrappasso rispetto alle torture fatte o lasciate subire ad Hanno). E se Tony
è diversa dai familiari, resta però una bambina tutta la vita e li asseconda come tale al punto da replicare sé e il suo destino nella
figlia (mai vendere le figlie!). Esaltazione, morbosità o dipendenza rispetto ai valori dominanti conducono i personaggi ad uno
squilibrio, dal quale si avvia un processo distruttivo: la perdita progressiva di vitalità viene sottolineata attraverso la ricorrenza in
tutto il romanzo del colore rosso e dei brani sul sonno.
Y: Un aspetto interessante di tutto ciò è che l’indifferenza verso i valori e le istanze del sentimento conduce sempre i personaggi a
perdite economiche ingenti. Senza tutti quei commenti contraddittori e i tanti fraintendimenti (pensa a quello di Schopenauer di cui
parla Cesare Segre) sarebbe un libro valido e anche utile.
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Y: L’ultima frase di questa assurda introduzione è che dobbiamo portare rispetto a Verre perché egli si suicidò pur di non farsi
derubare di due degli oggetti artistici che egli aveva rubato! Sì, inchiniamoci tutti… Un tempo ci fu un vero e proprio movimento
anticiceroniano e intenzionato a dipingere Verre come un uomo dotato sotto qualche aspetto di nobiltà e perfino ammirevole e
interessante: a quanto pare dobbiamo stimare in quanto appassionato e raffinato esteta questo ladro sacrilego e maiale che fu pure un
sadico stupratore e assassino. Si è anche detto che Verre non era un mostro perché quasi tutti i governatori romani dell’epoca erano
ladri e perché egli se non altro si preoccupò di migliorare la difesa delle coste della Sicilia dagli attacchi degli schiavi.A parte che
bisognerebbe chiedersi se gli schiavi non avessero le loro buone ragioni per attaccare i loro dominatori e (spesso) aguzzini, è
veramente allucinante che Bellardi sottolinei questo aspetto quando chiunque non sia un mostro appena lette le orazioni contro Verre
sarà attanagliato da un senso duraturo di angoscia soprattutto ripensando a quanto Verre ha fatto delle flotte che dovevano proteggere
da pirati e altri nemici proprio le coste sicule! Il “così fan tutti” poi non è mai stato una giustificazione per i crimini dei politici,
eccetto che per i loro simili. E poi se i reati di concussione erano la norma, non si può dire lo stesso dei crimini più gravi e delle scene
di follia di Verre (vedi il sistema delle prigioni delle cave di pietra, la tortura a morte di Gavio e quella dei navarchi e degli altri
innocenti che egli ordinò immaginandosi così al sicuro da ogni denuncia di fatti in realtà noti a un’infinità di persone e che avevano
lasciato tracce in documenti per mesi se non anni).Quanto all’estetismo definito qui “da decadente ante litteram” e raffinato, trovo
che sarebbe stato inutile ricordare a tale Bellardi quello che Sciascia e altri scrissero a proposito di quanto l’influsso di D’Annunzio
sia stato dannoso sulle generazioni a lui contemporanee e perfino successive. Non avrebbe potuto infatti capire niente di simile un
individuo così vuoto da annoverare l’apprezzamento per le arti plastiche e figurative tra le qualità che possono moderare il disprezzo
e l’odio che merita un mostro come Verre. Questo critico mi fa venire i brividi. Un altro laureato in Lettere che dimostra la assoluta
stupidità degli stereotipi circa questo tipo di laureati. Ti ricordi gli studenti di Lettere dei libri di Silone? Silone ci tiene a sottolineare
che sono studenti di quella Facoltà molti dei fascisti che mette in scena e di cui descrive l’immensa ignoranza, indifferenza e
cattiveria. All’epoca di Silone come oggi a Lettere infatti non si studiava affatto letteratura, perciò è probabile che molti dei suoi
studenti fossero tra le persone più aride del tempo. Ancora oggi posso assicurarti che chi ha una naturale e profonda sensibilità
morale e letteraria sarà portato a odiare senz’altro questa Facoltà, come è vero del resto che chi più ne è privo può trovarcisi davvero
a proprio agio. Non solo la sensibilità ma perfino le doti morali di base sono qualità che si riscontrano molto di rado tra gli studenti di
Lettere, che dobbiamo immaginare come molto spesso purtroppo sono in realtà, ragazzi immaturi e viziati dediti a imparare a
memoria elenchi di date e titoli di capolavori italiani mai letti e che mai leggeranno e a studiare diligentemente manuali di
glottologia, filologia romanza, latino e storia dell’arte.
X: Nessuna cultura vera e propria si può trovare in molti di loro. Pensa anche solo a quanto Jung scrive sugli esteti in Tipi
psicologici. Bellardi conosceva, ricordava e sapeva comprendere quanto Jung scrive del “tipo sensazione”? Jung non fa che
sottolineare qualcosa che ogni persona attenta e sensibile può osservare, ovvero come l’estetismo di questa tipologia di persona sia la
conseguenza di avere la funzione “sensazione” come quella principale a discapito delle altre funzioni (pensiero o sentimento oltre ad
intuizione), e come, di conseguenza, la possibilità di interessarsi ad altri, di comprenderli, e di avere una vera e propria coscienza in
questi individui è sempre discutibile, una probabilità anzi molto bassa, dal che deriva che essi possono divenire facilmente ciechi e
crudeli. Insomma la passione di Verre per le arti plastiche, decorative e figurative (arti che non richiedono capacità morali e di spirito)
al contrario che moderare il disprezzo per Verre o perfino indurci a rispettarlo, dovrebbe essere per noi uno dei segnali indicativi della
crudeltà attestata dai suoi crimini. E al di là di questo, le statue di Afrodite, Eros ecc., che adornavano i templi che egli saccheggiava,
probabilmente gli ispiravano una passione meno vicina a quella dell’amatore d’arte che a quella che animava i suoi festini pieni di
prostitute o che lo spingeva a compiere e autorizzare stupri. Il fatto che amasse anche l’arte figurativa arcaica e conoscesse bene certi
capolavori di arte orafa e certi procedimenti della loro creazione potrebbe essere semplicemente uno dei punti d’arrivo di un moto
smodato e senza limiti coinvolgente tutto l’essere e ogni capacità, ma pur sempre nato da una spuria passione per l’arte sorta dalla
venerazione della “sensazione”. Puoi comunque anche prendere in mano le Lettere sull’educazione estetica e leggere in quel libro
non facile almeno il passo sui danni creati nella società dal culto della bellezza: è una voce fuori dal coro ma molto chiara e pacata
che mostra ciò che alcuni benefici reali dell’estetica e certe abitudini condizionate di pensiero ci nascondono troppo spesso.
Y: Ti ricordi quel servizio che abbiamo visto anni fa sull’architetto del Sud accusato di essere un prestanome per lavori altrui ottenuti
con procedure scorrette ecc.? Era un servizio di Presa Diretta? Report? Anche costui si vantava di essere un amatore d’arte, un
appassionato di arte contemporanea in particolare. Come se si trattasse di un attestato di intelligenza, raffinatezza, prestigio culturale,
magari perfino di qualcosa capace di distogliere da lui i sospetti motivati sugli aspetti illegali della sua attività. Vien da pensare ai
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reali o finti ammiratori che Verre poteva vantare tra gli esponenti della classe più ricca che non erano nel suo mirino per via della loro
nobile nascita o per la loro partecipazione diretta o indiretta ai suoi reati: costoro non mancavano mai di farne notare la raffinatezza
del gusto. Non sto ovviamente paragonando la natura di Verre a quella di questo architetto (impossibile attribuire a quell’ometto tutto
ciò che in Verre e nel peggio della mafia e della politica di oggi è più spregevole), ma paragono i modi suoi e dei “suoi” di
considerare e sfruttare l’interesse per le arti plastiche, figurative e decorative in genere.
X: Se mi venisse chiesto di paragonare il comportamento di Verre a quello di qualche personaggio noto in Italia oggi per crimini
odiosi e collaborazione accertata con la mafia, io credo che mi verrebbe in mente un nome. In uno dei saggi di Ribellarsi è giusto si
parla di un politico che all’estero compì un impresa simile a quella attuata da Verre per evitare di pagare per i suoi reati: egli rimandò
con vari espedienti il processo intentatogli e finì per aggiungere al danno la beffa. Anche in Italia c’è chi in tempi recenti fece lo
stesso e ormai non credo che siano molti ad aver bisogno di guardare Il Caimano per saperlo. Costui ha molti altri punti in comune
con Verre: anch’ egli dimostrò spesso un certo squilibrio mentale senza per questo perdere il suo posto; anch’egli rovinò
completamente almeno una città (Napoli non si potrà riprendere mai più come molte città siciliane non si ripresero più per
lunghissimo tempo dopo il “passaggio”di Verre) e molti aspetti dell’economia di un’intera regione (alla Campania l’estero chiuse
molte porte dopo le foto scattate ai suoi cumuli di spazzatura); dai suoi uffici passò quasi altrettanto denaro rubato allo Stato e ai
cittadini che in quelli di Verre; anche le sue residenze, come la villa di Verre (o della sua amante), spesso si sono trasformate in veri e
propri bordelli dove è confluito peraltro parte del denaro rubato; le sue stanze più private furono quanto quelle del mostro fotografato
da Cicerone centri da dove dare le disposizioni necessarie a nascondere gravi crimini propri e altrui (agevolati con leggi apposite,
come era consuetudine in Verre, o protetti con accurata disinformazione); anch’egli, come Verre, si illuse pazzamente di tenere
nascosta a lungo con le minacce ai singoli giornalisti crimini dalle conseguenze enormi e eclatanti (Napoli si poteva mettere in un
cassetto?) o coinvolgenti un numero sempre crescente di persone (il numero delle ragazze nel giro di prostituzione di Berlusconi e dei
suoi amici è molto elevato). In particolare si può affermare che la decisione dei mafiosi, sostenuta di fatto dallo Stato, di rubare i
soldi destinati ai percorsi dei camion della spazzatura e ai processi del suo smaltimento, causando la rovina della città di Napoli e
della zona circostante, trova diversi corrispettivi nei provvedimenti presi da Verre nelle provincie dell’impero, dato che per esempio
in Sicilia egli cominciò il suo governo intascando abusivamente quanto apertamente il denaro destinato ai marinai, alle navi e a chi
aspettava dalle città costiere l’invio di soldati e lo fece al punto da renderla del tutto inerme all’attacco dei pirati. Tra parentesi faccio
notare che la spazzatura porta la peste attraverso i topi...ma llo noto solo perchè non ne ho sentito nessuno parlare... In Italia negli
ultimi anni ci sono stati molti cittadini rovinati finanziariamente dalle leggi del governo: leggi sul lavoro (quella sul lavoro precario e
quelle che intralciano chiunque voglia avviare un’attività fino a esasperarlo, deciderlo a racimolare mazzette o offrire di peggio a chi
può concedere l’impossibile o a rinunciare per sempre); leggi truffa a protezione di certi tipi di furto da parte di privati e non (vedi
quella che a una banca ha perfino permesso di derubare impunemente un uomo della sua casa non avvisandolo in modo adeguato di
uno spostamento dei suoi stessi soldi, ecc.); leggi che proteggono medici e altri impiegati nel settore sanitario incompetenti o dalle
intenzioni criminose e leggi che mantengono inalterata la lamentata povertà di molte strutture ospedaliere obbligando i malati a
costosi spostamenti o permanenze in zone molto lontane dalla propria e ad accettare inoltre le parcelle altissime dei medici privati
(peraltro mai sicura garanzia di competenza). Negli ultimi due o tre decenni non sono mancati nemmeno gli innocenti feriti e uccisi
con apparenza di legalità o sfruttando il potere concesso dal governo: ricordo ancora gli alluvionati del Veneto cui a lungo non sono
giunti gli aiuti che in genere vengono profusi dai volontari quanto dallo Stato e ciò in quanto Berlusconi soffocò la notizia per giorni
e giorni; penso ai ragazzi manifestanti soffocati dai lacrimogeni o picchiati sul viso mentre erano a terra dai poliziotti; penso anche
alla gente disperata della Campania sommersa dalla spazzatura e aggredita mentre protestava; penso ai feriti e ai morti causati da
autostrade completamente fuori norma e pericolosissime dichiarate sicurissime sui giornali da Berlusconi con la stessa faccia da culo
incredibile con cui ha accumulato per anni tante idiozie riguardo ai fatti di Napoli; penso ai bambini uccisi da Berlusconi e dalla sua
cricca ovvero dal cancro provocato da quell’avvelenamento di enormi dimensioni, bambini che non potevano fare assolutamente
nulla per difendersi (né decidere di lasciare la zona più colpita dove le loro famiglie vollero continuare a risiedere, nè rifiutare la
chemio, né suicidarsi per evitare una morte lenta e dolorosissima come fanno molti adulti pienamente in sé in condizioni altrettanto
disperate); molti sono gli italiani danneggiati nella salute proprio da chi avrebbe dovuto offrire una speranza e la malasanità italiana
da sola potrebbe costituire argomento per un libro denso e amaro quanto le Satire di Giovenale (perchè al riguardo non bisogna certo
pensare solo ai medici mafiosi che si sono comprati la laurea o che si proteggono da giuste denunce con la violenza); troppe anche le
vittime delle regole scritte e non che impediscono aborti sicuri, accesso a farmaci indispensabili e eutanasia; penso alle leggi assurde
che impediscono di difendersi dall’incuria e dagli abusi più svariati dei familiari favorendo l’indifferenza di parenti, vicini, preti,
insegnanti, medici “di famiglia”, impiegati dell’USL, assistenti sociali e spesso anche associazioni e penso a quali “fantastici”
provvedimenti vengono comunemente presi da chi incontra quei bambini e ragazzi cui sono inflitti alimentazione deleteria e
mancanza di igiene, cure mediche, informazioni e sostegno essenziali per difendersi da abusi fisici e psicologici dei genitori e di altri
criminali; penso a quanti raccontano di essere stati spinti sulla strada dalle percosse e dalle minacce di morte dei familiari
nell’impossibilità di mantenersi (spesso a causa di malattie croniche sorte a causa dei maltrattamenti e dell’incuria subiti fin
dall’infanzia) e ciò magari mentre a un loro fratello i genitori aprivano niente di meno che un mutuo o alle accuse impotenti di chi è
stato costretto dalla minaccia di botte o della strada a “prestare” denaro o a subire o firmare ipoteche sulla casa in comune da genitori
parassiti pieni di debiti; penso alle violenze alle donne di cui sono pieni i giornali, alle leggi che li favoriscono con condanne difficili
e ridicole e agli articoli che scusano gli stupratori con osservazioni irrazionali e offensive su tante riviste; penso a tutto ciò che di più
rivoltante concerne psichiatri e psicologi italiani e che sempre più persone si preoccupano di divulgare in privato, sulle riviste più
vendute e in convegni aperti al pubblico ai quali l’affluenza della gente a volte è tale da sorprendere gli organizzatori stessi senza
però che niente cambi. Un innocente fatto crocifiggere da Verre dopo molte torture orribili, urlò prima di morire come già ad ogni
colpo: “Sono cittadino romano!” Immaginiamo un grido simile nella bocca delle vittime più indifese di queste vessazioni cui tanti
italiani sono sottoposti e al cui rischio moltissimi sono esposti.Come si può parlare di democrazia dove tante categorie non sono
rappresentate al governo e dove i diritti umani fondamentali di tante persone vengono calpestati? In ogni caso ora stiamo
considerando Berlusconi come criminale e non come politico.A chi confronta l’Italia con gli altri Paesi viene in genere detto con aria
sarcastica o paternalistica che la gente fa schifo ovunque, ma, come disse un politico in Spagna intervistato anni fa in un servizio
sulla Rai, non si tratta di dare giudizi su chi forma la maggioranza tra la massa, ma di analizzare con obiettività le differenze tra la
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classe politica e il sistema governativo e giudiziario italiani e quelli di altri paesi, europei o anche americani: l’impossibilità di
un’informazione imparziale e sufficiente causata dall’aver lasciato al governo il padrone dei mezzi di comunicazione per tanto tempo
non è esattamente qualcosa che si riscontra ovunque, lo stesso si può dire del regolamento del sistema giudiziario e, al di là di questo,
ci sono stati video girati sui discorsi di certi politici italiani (ad esempio quello in cui un nostro politico incitò perfino a “eliminare i
bambini” degli zingari per acquistare voti tra i razzisti) che hanno girato il mondo per la gravità dell’impressione lasciata all’estero e
l’anomalia della classe politica che attestavano. Quando si parlò della legge sulle intercettazioni anni fa non era davvero possibile
non capire che essa mirava a proteggere i criminali e soprattutto i mafiosi in modo così lampante proprio per la stanchezza degli
italiani assuefatti da troppo tempo a cose simili. Trovo che qui in Italia ci sia sempre gente disposta a minimizzare qualsiasi reato e
qualsiasi accusa, ma forse non sono l’unica che si sentiva male sia a sentire acclamare Berlusconi da certi ragazzi per le sue
bellissime troiette e i suoi furti riusciti almeno quanto per il Milan sia ascoltando tante signore parlare a profusione e con sdegno
della “sua” puttana diciasettenne pur avendo conservato un’indifferenza totale per anni a tutti i crimini anche orrendi che hanno
caratterizzato il suo governo e pur avendo pronunciato al massimo due parole di biasimo una volta che Saviano fece sapere di Napoli
a tutta Italia. E ora forse non sono l’unica cui certi banchieri e soprattutto certi psicologi, psichiatri e medici provocano una rabbia
davvero poco gestibile o che sente che potrebbe quasi piangere quando è costretta a leggere sulle riviste che i ragazzi che stuprano in
branco sono poveri bambini che non si rendono conto di far male e che a quei pochi ladri e assassini che finiscono nelle galere
italiane bisognerebbe dare comode “case-famiglia” e ore da passare coi figli tra gelati e cavalli. Insomma questa introduzione a
favore di Verre (e di chi gli somiglia) di Bellardi è indicativa di un modo di vedere che in Italia è ancora osservabile, una mentalità di
vecchia data che trova moltissime applicazioni: per fare un esempio che non si allontana molto dalle letture scolastiche da cui siamo
partiti, chi legge da adulto le note a I promessi sposi nelle edizioni per i licei, si stupirà nel notare con quanta insistenza esse
attaccano ogni commento morale di Manzoni, cercando di farlo apparire uno scrupolo o una manifestazione spregevole di mentalità
intransigente e rigida anche quando è più evidente che si tratta di uno spontaneo moto di umanità e ispirazione artistica (se il ripetere
“così facevano tutti” di Bellardi per tre o quattro volte in poche pagine mira a calmare il possibile sdegno, magari giovanile, dei
lettori per i crimini di Verre, il curatore delle note al libro di Manzoni che ho dai tempi del liceo critica il giudizio dell’autore sul
padre orribile della Monaca di Monza con la stupida osservazione che egli non era l’unico che all’epoca ebbe delle figlie chiuse in un
monastero).Quando un criminale storico o di fantasia entra nell’immaginario collettivo e si tramuta in simbolo, spesso accade che
una nuvola di criminali accorre dai luoghi più svariati a sollevarlo o dilavarlo fino a edulcorarne l’immagine (per quanto loro dicano
di “restituirla alla sua dimensione umana, storica” ecc.). Sarà forse questo il caso di un capo di governo italiano che è stato eletto
perfino tra gli uomini più sexy del pianeta e che molti ragazzini affermano di avere come modello, come è stato un tempo il caso di
Verre e poi, per citare un caso ancora più significativo, di Eichmann, che in molti libri vecchi (ad esempio il saggio di Fromm o di
Arendt) e recenti (ad esempio, Ribellarsi è giusto) è definito il simbolo di tutti i mostri che compiono crimini orrendi perché sono
legali nel loro Stato nel loro presente.
Y: In questo senso è chiaro che Verre, Eichmann o il padre della monaca manzoniana sono simboli adeguati a rappresentare tutti
coloro che godono delle leggi criminali che la classe politica italiana si adopera per conservare il più a lungo possibile o che essa
propone e fa approvare di continuo. La cultura può essere sfruttata per rendere più saldi certi pregiudizi, ma può anche aiutare
moltissimo a demistificare molti aspetti della vita privata e pubblica.
X: Ho sentito da alcune persone, anche in televisione, definire dittatura il governo di Berlusconi e quelli successivi, ma è sbagliato
parlare di dittatura quando vengono rispettate, per quanto malvolentieri e solo sotto pressione, alcune libertà come quella di
informarsi almeno attraverso i libri dei giornalisti e quella di leggere quel che si desidera gratuitamente. A persone come Travaglio
viene pur permesso di vivere e qualcuno che ha il coraggio di pubblicare fuori dal coro c'è, come il suo caso dimostra. Silone in La
scuola dei dittatori scrive che in passato ci sono stati casi – come quello della Polonia – in cui l'affermare che c'era la dittatura fu
sfruttato per instaurare la dittatura vera e propria, sostituendola a un regime assai poco democratico ma non certo dittatoriale. Del
resto, nei saggi e compendi di storia e storiografia del passato, abbondano i riferimenti all'abitudine dei faziosi di promettere al
popolo ogni cosa al fine di usarlo per la scalata personale al potere (pensa ai Ricordi di Guicciardini o a Machiavelli, Senofonte, ecc.)
Quel che piuttosto si dovrebbe dire è che il governo non è di tipo democratico e che sono in atto molti procedimenti tipici delle
dittature del passato: ad esempio il caso del furto della casa di un cliente compiuto "legalmente" dalla sua banca (raccontato anni fa
su Rai Tre) fa immediatamente pensare a certe leggi di cui il governo fascista si serviva per derubare tante persone (pensa a Silone, al
suo Fontamara). Tipiche delle dittature sono poi tutte le leggi che oggi favoriscono i criminali. E di certo è inquietante leggere anche
solo quelle citate da Camilleri (ad esempio in La prima indagine di Montalbano). Ed è strano leggere sulle riviste che si sono dati i
domiciliari per i reati più gravi in assoluto (tortura fisica e psicologica gravissima, minacce di morte col fuoco e sequestro di
persona), peraltro in appello senza nuove prove (trasformando la pena precedentemente stabilita a 8 di galera, che pur essendo
insufficiente era pur sempre qualcosa!) E cosa si deve pensare leggendo sulle riviste anche che si sono costruite carceri come alberghi
e si preme per trasformare ogni carcere in case famiglia (niente di meno!) attrezzate peraltro con pony e gelati per i figli dei criminali,
sebbene lo Stato non stabilisca case famiglia sufficienti e spesso proprio nessun aiuto a bambini e ragazzi maltrattati
psicologicamente e fisicamente e minacciati crudelmente dai familiari, come del resto per le donne vittime della violenza del marito o
convivente. In fondo è uno stato di cose interessante perché non è possibile prevedere bene come evolverà la situazione, non potendo
fare confronti con il passato. Questa è la prima volta nella storia che si parla di case famiglia per violenti, rapinatori, stupratori,
assassini e mafiosi. A quel carcere-pensione già attivo sono forse dirottati i criminali benestanti o i mafiosi più protetti... I crimini dei
benestanti sono sempre però i peggiori (si tratterebbe magari di medici...o meglio potrebbe essere così probabilmente se si potessero
mandare in galera i criminali quando sono medici!) E tutti coloro che lavorano stanno ora mantenendo i villeggianti di questo carcere
meraviglioso. Lo Stato però non prevede non solo sussidi statali, ma nemmeno che si possa prelevare dal conto dei genitori il denaro
necessario nel caso di figli resi da loro o dal caso impossibilitati a mantenersi da soli. E chi viene percosso non può che raccogliere
ripetutamente in ospedale carte che attestino l'esito delle percosse da presentare a un eventuale processo e cioè egli deve farsi menare
più volte, rischiando danni permanenti e gravi (malattie croniche, coma e danni cerebrali seguìti a ematomi alla testa e perdita di un
occhio sono i più comuni). Una volta avvenuto l'omicidio, se la vittima era una persona molto sola e gli assassini i genitori, non
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esisterà nessuna denuncia di scomparsa. Un padre potrebbe seppellire la figlia in giardino per quel che rischia in questi casi... Tempo
fa ho letto quasi ogni giorno di uno stupro sul giornale per una settimana. In TV la sera ho visto ogni giorno per altrettanto tempo
dare film con stupri. In seguito ho letto su una rivista l'articolo di uno psicologo che definiva degli stupratori di 18 e 25 anni come
poveri bambini rovinati da Internet e che non si resero conto di far male, anzi come povere vittime della convinzione che il "no" della
stuprata (che urlò e pianse) da loro dieci significasse "sì" come nel flirt o nei giochi sessuali. Del resto gli stupratori sono magari
giovani futuri ingegneri o diverranno col tempo uomini molto capaci quando si tratta di fare o ricambiare un favore bastardo...
Troppo utili per chiuderli per trent'anni e in galere vere! Uno studente universitario, già con diploma liceale,mi aveva detto, poco
tempo prima, che non capiva come mai una ragazza ci impiegasse tanto a riprendersi da uno stupro e che riteneva le violenze
familiari tutto tranne che un reato. E si è scritto su diverse riviste che in alcuni casi gli stupri in Italia avvengono in strada o a fianco
di bar affollati senza che nessuno dei presenti telefoni alle forze dell’ordine. Cos'altro aspettarsi qui se anni fa in un telegiornale si è
potuto riportare senza commenti di sorta l’affermazione di tre criminali giovanissimi che, con calma e fare educato, hanno “spiegato”
l’aver marchiato con il fuoco (usando un marchio da bestiame) un coetaneo in questi termini graziosi quanto insensati: “è stato un
gioco finito male”.
Y: Le pene non sono mai prestabilite e un giudice può, per lo stesso reato dimostrato, dare 15 anni o due o magari sostituire alla
galera i domiciliari, che sono una semplice vacanza per molti criminali serviti e riveriti dalla famiglia. In questa situazione la
corruzione del giudice è incoraggiata al massimo. Se fossi un giudice, prima o poi, sarei tentato di farmi corrompere. Se fossi un
criminale inchiodato dalle prove e potessi pagare con la certezza di ottenere così un forte sconto di pena o i domiciliari, senz'altro
offrirei al giudice molto denaro. E siccome non si può denunciare i giudici, niente si può farci. E poi il giudice può avere pregiudizi,
essere ignorante su una certa questione nonostante l'onestà di fondo oppure può avere la luna storta...
X: Appunto. Anche se Sciascia in Il contesto, scrisse pure di quell'innocente finito in galera per omicidio senza prove vere e proprie e
poi divenuto un assassino di giudici... Forse bisognerebbe parlare parecchio di Sciascia, di Voltaire col suo scritto sull'innocente
condannato a torture e morte Jean Calais. Il commissario dei Carabinieri del paese dove sono stata mi ha detto che in Italia non va in
galera nessuno e che ai matti criminali nulla si fa se hanno proprietà e risparmi. I manicomi criminali del resto sono pochi oggi, si
chiamano altrimenti e probabilmente sono poco affollati. Intanto le vittime dei criminali (familiari o estranei, laureati e ottimi
lavoratori o gente di strada) vengono spesso imprigionate, torturate e uccise dagli psichiatri.
Y: Quanto alle possibilità di sottoporre a giudizio dei giudici, credo che si tratti di una tendenza generale. Pensa solo al caso
incredibile di quell'americano condannato a diversi anni per stupro pur essendo innocente: dopo anni di galera, avendo potuto
dimostrare la sua innocenza ed essendone uscito, ha denunciato il poliziotto che lo aveva fatto mettere dentro e ha chiesto un
risarcimento, ma solo per vedersi accusato per omicidio da quello stesso poliziotto e condannato. Di queste cose si è parlato molto in
America e il caso è giunto fino a noi, ma l'unico risultato sono state chiacchiere su chiacchiere. Il presidente degli Stati Uniti ha
rifiutato la grazia.
X: Bisogna pure dare l'esempio e insegnare che non si deve mai denunciare poliziotti e giudici...
Y: Scommetto che pensi che si sarebbe dovuto uccidere sia il poliziotto che i giudici. Di certo si sarebbe dovuto manifestare e
provare a rendere a quei bastardi la vita difficile. Poi forse... Quel che è accaduto a quel tizio può succedere a tutti e si dovrebbe
pensare a difendersi in ogni modo possibile. Almeno però in America c'è qualche volta severità verso chi è condannato da un
tribunale.
X: Manzoni scriveva che un tempo le Grida tappezzavano i muri assordando con le loro minacce di terribili torture e con la pena di
morte per i criminali e, anche se erano ideate per proteggere questi ultimi e colpire gli innocenti o chi aveva sbagliato senza essere un
vero e proprio criminale, esse per lo meno davano un messaggio e a volte portavano anche a punire persone pericolose e meritevoli
delle torture e della morte. Tolstoj, nei libri in cui ha espresso al meglio le sue doti di umanità, non ha tralasciato di chiarire che
rispondere con la violenza e col dare la morte ai violenti peggiori è razionale e una soluzione. Beccaria, contrario a tortura e pena di
morte, scrisse però che la grande lunghezza della pena detentiva era un mezzo insostituibile per combattere il dilagare della
criminalità perché molti temono l'ergastolo o 30 anni di galera più della tortura fisica e della morte. Leopardi, che si pronunciò contro
la violenza sui criminali e scrisse come la diffusione della cultura e dell'informazione fosse un mezzo più idoneo ad arginare il
crimine, affermò anche però che a spingere molti dei suoi contemporanei all'indifferenza verso la punizione dei reati era soprattutto
l'indifferenza per la "virtù" (per ciò che è giusto e onesto) e per il destino, la dignità e la sofferenza delle vittime. Così affermava
anche la tanto criticata Hannah Arendt... Da sempre,anche chi scrisse prescindendo da considerazioni morali per tenere piuttosto
conto delle conseguenze di certi provvedimenti, tenne in grande considerazione le galere: è il caso di Guicciardini, umanista lucido,
cinico e poco incline a riflessioni moraleggianti, ma deciso quando afferma che l'ingiustizia è sempre molto pericolosa. Beh, ora si
fanno i telefilm sui criminali in galera e Orange is the new black è molto seguito. Si fanno anche film su quali persone care, normali e
divertenti erano in fondo i fascisti e su vittime di serial killer che tornano dall'aldilà per conoscere il loro assassino e finiscono per
averne tanta compassione...E intanto giornalisti a favore del terrorismo come Massimo Fini scrivono che Catilina, fazioso
pluriomicida e violento, stupratore sacrilego, aveva una moralità molto profonda e grande, mentre Cicerone era un secchione bigotto,
debole e stupido (e questo imbecille rimanda pure a Plutarco tra le fonti, sebbene né Plutarco né gli altri scrittori antichi noti a noi
abbiano mai scritto assurdità del genere su Cicerone). E nei libri su Nerone ora si scrive che, secondo gli storici contemporanei, egli
non incendiò Roma (in contrasto con ogni testo antico, a cominciare da quanto scrissero Svetonio e Tacito).
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Y: Non si sarà sentito allora solo questo commentatore delle Verrine che ci invita a rispettare Verre, a capirlo e anche ad ammirarlo.
Buon per lui – e per gli stronzi come lui, che sono parecchi a quanto pare. In un libro di Camilleri ho letto qualcosa sul dilagare della
moda del revisionismo.
X: E non sarà mica un caso che sono parecchi. Un libro come Catilina sembra dare un apporto nuovo su un personaggio su cui si
sono ormai scritti fiumi di parole per secoli. Un tempo pochi scrivevano e leggevano e chi pubblicava qualcosa su personaggi della
storia classica lo faceva senza mirare al guadagno e dopo studi che conferivano un minimo di competenza e capacità di riflessione.
Oggi si vuole vendere e scrivendo bastardate si trova sempre un pubblico ampio. Leopardi aveva ragione sulla mentalità dei suoi
contemporanei e quel che ne ha scritto vale anche per i nostri. Ha girato il mondo quel video di cui si parlò su Rai Tre e in cui un
politico della Lega, in un comizio, ha affermato che bisogna eliminare i bambini zingari, ma nessun provvedimento legale è stato
preso contro di lui. Niente è stato fatto nemmeno contro quell'altro politico criminale che ha suggerito di bombardare i canotti degli
immigrati. Niente è stato fatto nemmeno, del resto, a quella stronza che, su un giornale ferrarese di qualche anno fa, ha scritto che
costringere alla vita i malati invalidi e tormentati da dolori era giusto in quanto cristiano. Ha parlato di sacrificio cristiano, che è un
atto sempre volontario, per quel che di fatto è tortura imposta dal governo e, in uno Stato laico, ha affermato implicitamente che tutti
devono essere cattolici, ma niente si è fatto contro di lei. Ha scritto che i farmaci possono indurre il coma salvando dai dolori più
insopportabili, ma pure sapeva che questi farmaci costano molto e che lo Stato non dà ai malati il denaro necessario ad acquistarli e
che inoltre il coma può essere doloroso, un tunnel lunghissimo fatto solo di incubi. Davvero tutto si può fare e dire.
Y: Otteniamo anche noi il permesso per una piccola manifestazione o per un convegno? Potremmo dire allora al pubblico che
bisogna uccidere o torturare questo e quest'altro. Almeno qua in Italia si può. Benissimo. E pensa che in America abbastanza di
recente, hanno condannato un tizio all'ergastolo per aver tagliato un albero. Una sequoia vale così tanto? Comunque meglio la
severità del permissivismo. In America, almeno là dove è previsto l'ergastolo al terzo reato indipendentemente dalla natura di esso, le
cose forse sono davvero migliori sotto questo aspetto.
X: Qui è l'eccessiva sensibilità l'unico crimine, o almeno l'unico grave sia per la legge che per la gente.
Y: A parte il "crimine" del rifiuto dell'ipersensibile di subire in silenzio...
X: Ah, certo. Mai osare tanto, mai offendere il principio di autorità e il sentire comune. Beh, volendo fare una gerarchia considerando
il punto di vista della maggioranza, direi che, per gravità, seguono emotività, disprezzo dell'estetica, stato di bisogno qualunque,
senso della giustizia, gusti e interessi diversi da quelli dei più o del gruppo.
Y: Forse ci sono: che la violenza non venga considerata un crimine grave dalla gente, proprio perché per quasi tutti chi ha emozioni
ed esigenze "diverse" provoca con la sua diversità e merita ogni forma di violenza? Quasi tutti compiono atti criminali a danno di
coloro che vengono bollati come "stupidi". Oppure rasentano il crimine. Con ogni probabilità considerano chi per crimini simili
finisce in galera come una piccola percentuale sfortunata. Pensa a tutti quelli che consigliano il suicidio ai ragazzi diversi dal branco,
come nel caso di quel social network che ha contribuito a una quantità di suicidi tra giovani, prima di essere chiuso. E chiudere il
sito, dopo tante morti, è stato l'unico provvedimento preso. A quelli come te controllano PC e cellulare, ma ai mostri?
X: No comment, a parte che … Ecco, come dire…Sento di poter quasi affermare che forse la carriera criminale è da consigliare. In
fondo non c'è reato per cui la galera sia sicura, nemmeno quando il tribunale giudica le prove più che sufficienti. E soprattutto per i
carcerati non sono previste né celle di isolamento buie, né cinghie a polsi e caviglie che torturano e a volte uccidono con l'immobilità,
né droghe che, quando non impediscono di pensare e sentire, creano angoscia e agitazione e in generale provocano malattie organiche
e morte. Ho anche dei dubbi sul fatto che ogni carcerato sia costretto ad ascoltare assurdità e inoltre spiato ogni istante e in ogni
luogo (bagno compreso). No, per rapitori, rapinatori, violenti e assassini, anche solo parlare di tortura e pena di morte è considerata
barbarie. Con i nevrotici, come io e te eravamo, e probabilmente anche con i ribelli, come noi siamo ora, tutto ciò e invece ritenuto il
minimo... Ma perché parlare proprio di nevrotici o ribelli? Basta meno. Guarda Mammuccari, che ha offeso in televisione per circa
ben cinque puntate consecutive un concorrente perché era "solo magazziniere" e "disoccupato" e perché appariva chiaramente
omosessuale; guarda Papi che ha criticato tante scelte di studio e lavoro dei suoi concorrenti e ha messo in ridicolo un musicista
dilettante perché suonava più strumenti nel tempo libero senza pensare di usarlo in modo più "terra-terra" e redditizio; guarda
Chiambretti, che ha offeso perfino un bambino senza alcun motivo (traduttore di un ospite intervistato quasi coetaneo, che non
poteva rispondere in italiano), cercando di metterlo in ridicolo e di farlo apparire idiota e mezzo pazzo (era in realtà un bambino
normalissimo e anche piuttosto bravo nel suo compito), peraltro in diretta, se non sbaglio (fu la puntata in cui si divertì anche a spese
dell’attrice porno un tempo compagna di Cicciolina, che svenì, e a quelle del ragazzo che avrebbe dovuto suonare qualche nota di
sottofondo e che aveva la colpa di provenire dal Grande Fratello; fu la puntata memorabile in cui questo conduttore si vantò che un
ospedale di Milano gli aveva “messo a posto la testa”…); soprattutto pensa all'intervista in TV di qualche anno fa a un pianista,
decisa appositamente per ridicolizzare lo stato dei suoi nervi e concentrata interamente sull'ipersensibilità cui l'incaricato di
rispondere al posto del musicista aveva accennato con tatto: l'intervista era stata evidentemente concessa dal pianista perché
presentata come motivata da interesse per la sua arte, ma l'intervistatore ha continuato a chiedere conferma circa questa sensibilità
eccessiva; l'intervistatore si girava verso la telecamera con sul viso un ghigno sprezzante e sarcastico a ogni risposta per, a volte,
celarlo nel fare le domande. Eppure le risposte non erano ridicole, erano molto vaghe e quasi si limitavano a essere delle ripetizioni.
Y: È una moda, e non solo italiana. In ogni tempo la gente non ha portato rispetto ad alcuno, ma in passato c'era una sorta di "cultura
del rispetto", ovvero si era abituati a pensare che si doveva mostrare del rispetto in certe situazioni. Ora non più – e, tra parentesi,
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questo è uno dei motivi principali dell'affermarsi in molti Paesi dei negozi online e dei supermercati dove tutto è automatico e non si
deve aver a che fare con commessi stronzi –. La maggior parte delle interviste, italiane e non italiane, fatte a Emma Watson sono state
simili a quella che hai descritto e, per quanto si tratti di una ragazza per carattere tendente a esaltarsi e con una naturale difficoltà a
sostenere certe emozioni quotidianamente e quindi a restare sempre confinata nella realtà, oltre che incredibilmente ignorante anche
per essere un'attricetta, esse sono fastidiose per gli eccessi a cui arrivano gli intervistatori, che mai tengono in minima considerazione
che lei è cresciuta troppo a contatto con il mondo falso della TV, che la sua vita non è mai stata normale e che non è lei ad essere
responsabile delle carenze dei programmi scolastici (aveva ottimi voti a scuola) e di quelle dei genitori nel proteggerla dalle
conseguenze del recitare fin da bambini. Quanto a Papi e Mammuccari, confrontali con il personaggio del presentatore del quiz
televisivo in The Millionaire. E, riportando il discorso alla situazione in Italia, ho visto un'intervista a un attore intelligente e da
sempre molto valido, qual è di fatto Di Caprio, trasformata in una farsa da una serie di domande che si sarebbe potuto rivolgere al
massimo ad un bambino piccolo e fatte con quel tono un po' paternalistico di chi vuole sfottere: anche in questo caso l'intervistatore
ha rivolto alla telecamera un'espressione complice manifestando il proposito di ridicolizzare l'attore. Per fortuna Di Caprio ha
risposto a tono, ma il gesto rimane. Sarebbe quasi da provare imbarazzo per questi "giornalisti" mostriciattoli, se non fossero così
gravi le conseguenze a lungo termine di quel che fanno. Anche un'annunciatrice di telegiornali, tempo fa, ha commentato ogni notizia
non di suo gusto con un'espressione del viso decisamente sprezzante, per quanto credo sia poi stata allontanata (i tempi non erano
ancora maturi, forse, ma lo saranno presto). Cose del genere non erano mai accadute prima.
X: A eccessi del genere di solito segue una reazione col tempo, ma in questo caso non so se sarà così o di quale genere essa sarà,
perché questa "moda" è un processo ormai radicato e sembra irreversibile, dato che coinvolge ogni media. Penso al successo di pochi
anni fa di canzoni come Girlfriend di Avril Lavigne e Stupida di Alessandra Amoroso. Anche i video musicali in cui la violenza è
rappresentata allo scopo di denunciarla (molti di Hozier, per esempio) non aiutano di certo a diffondere una mentalità meno
aggressiva o capace di reazioni sane e decise a pregiudizi e abusi. Lo stesso vale per la violenza incredibile inserita nei film della TV
ogni sera, nei giornali e nei libri (pensa alla fantasia sadica inesauribile di Le cronache del ghiaccio e del fuoco e del primo libro di
Millennium ). E quando i libri non traboccano di episodi di sadismo, spesso sono di un’ imbecillità rara nel contenuto, nello stile,
perfino nella lingua (pensa alla rubrica online di Russo).
Y: Non so se il governo diffonda con determinazione e in piena consapevolezza o soltanto si alimenti di una mentalità così ignorante
e aggressiva.
X: Di certo, comunque, è questa la mentalità che più conviene a uno Stato che vuole essere assente. Non c'è problema, per quanto
sotto gli occhi di tutti e, a differenza di criminalità e malasanità, preoccupante nell'immediato per tutti, per il quale lo Stato prenda dei
provvedimenti: nulla si fa né per il problema ora più grave in assoluto (credo sia quello degli affitti) né per l'emergenza
disoccupazione, per l'incremento demografico incontrollato e per l'immigrazione continua (quest'ultima, anzi, a dispetto delle
pagliacciate di alcuni politici in TV, è addirittura incentivata con l'assenza di controlli sulle coste dei documenti necessari (in alcuni
Paesi ci sono "uffici" che ne rilasciano di falsi a tutti coloro che li chiedono dietro un compenso abbastanza basso, tanto, una volta
qui, gli immigrati non subiscono controlli, possono nascondersi in casa finché trovano lavoro e prima o poi c'è una sanatoria) e nelle
scuole (chi ha il permesso di soggiorno da studente a volte si iscrive a certe scuole serali per andarci solo due o tre volte all'anno
oppure, a ogni età, si iscrive a un certo punto al ridicolo corso di "Arte, musica e spettacolo" della Facoltà di Lettere e Filosofia, dove
ottiene magari la borsa di studio dimostrando semplicemente di conoscere l'italiano e, pur essendo l'unico figlio a carico di una
coppia in possesso di casa in città e casa al mare, compilando il modulo di richiesta con una lunga serie di falsità circa il reddito dei
familiari, la casa di proprietà e il numero di fratelli).
Y: L'immigrazione costituisce in effetti un enorme problema in Italia, perché si lega a tutti gli altri, peggiorandoli a dismisura, ma
molti titolari di imprese di ogni genere (agricoltori, marmisti, edili, ecc., ma anche gelatai, proprietari di pizzerie e simili) sono ad
essa più che favorevoli, perché negli immigrati trovano manodopera più sicura, più economica e più facile da maltrattare oppure
mogli da – letteralmente – legare alla loro attività con più sicurezza di un socio e più facilità di un'italiana (di solito meno propensa a
impegnare il tempo senza contratto e a vendere il corpo ogni notte in cambio di un lavoro peraltro reso molto insicuro dalla crisi e
dalle tasse).
X: Probabilmente ottenere la cittadinanza col matrimonio sembra loro un mezzo più semplice di altri. Tra l'altro tra le italiane sono
più numerose le donne che non vogliono figli e chi ha un'attività in proprio, invece, smania per averne (maschi soprattutto) da
impegnare nel lavoro. Mio padre è un esempio – e non ha sposato una straniera solo perché mia madre è da sempre così debole,
malata di mente, arida e immorale da aver fatto anche meglio la sua parte di schiava. A uomini del genere di mio padre, ci pensa la
legge ad agevolare la strada, perché quando il destino avverso non concede loro figli maschi, la psichiatria e la strada possono fare
bene le veci dei conventi in cui un tempo uomini simili si sbarazzavano delle figlie. E anche il sottosuolo del giardino di casa, in certi
casi, può farne le veci, come ti dicevo prima. Questa è la legge, questa è la mentalità schifosa che la informa e rende stabile, perciò da
qualsiasi angolo si guardi ci si imbatte negli stessi problemi fondamentali.
Y: Che sono quelli della vita in famiglia.
PERCHÈ LEGGERE INVECE DI AFFIDARSI A UNO PSICOLOGO O A UNO PSICHIATRA
CITAZIONI INTRODUTTIVE
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“Studiando psicologia all’università non si impara praticamente nulla sugli esseri umani (…) Se va bene si imparerà un po’ di
comportamentismo, che per definizione esclude fondamentalmente la comprensione degli altri, in quanto sostiene che si può
indagare soltanto sui comportamenti esteriori e sui metodi attraverso i quali è possibile manipolarli.” (E. Fromm)
“Ci si serve della psicologia perfino per occultare a se stessi i veri nessi causali. La sua cosiddetta obiettività è tanto più gradita
quanto più è ‘scientifica’, perché rappresenta un mezzo eccellente per liberarsi delle pesanti componenti affettive della coscienza
che pure rappresentano la vera dinamica della reazione morale”. (C. G. Jung)
“Solo la psicologia collettiva è scienza, mai quella individuale” (idem)
“Non si dimentichi mai che, nonostante la grande uniformità dei conflitti complessi, ogni caso è per così dire un unicum. Perché
ogni individuo è un unicum (…) L’esigenza scientifica del ricercatore mira sempre a trovare le regole e le classificazioni in cui
chiudere l’elemento più vivo dell’essere. L’analista e osservatore deve lasciare agire su di sé la realtà vivente in tutta la sua
anarchica ricchezza, tenendosi alla larga da ogni formula”. (idem)
“Il nostro approccio alla vita diventa oggi sempre più meccanico (…) Le persone vengono trattate come numeri. Qui il problema non
è se la gente (…) sia ben nutrita (anche le cose possono essere trattate bene); il problema è se le cose siano cose o essere viventi (…)
L’approccio agli uomini è astratto, intellettuale. Ci si interessa alle persone come ad oggetti (…) alle regole statistiche del
comportamento (…) non agli individui viventi (…) L’uomo, (…) se diventa una cosa viene distrutto, e ancor prima che questo
avvenga, egli è disperato e vuole uccidere la vita (…) L’intelligenza e il carattere diventano standardizzati per l’uso crescente dei
test (…) Come si riconosce la persona narcisista ? (…) Di solito non ascolta ciò che dicono gli altri, né se ne interessa effettivamente
(…) Si può riconoscere la persona narcisista anche dalla sua sensibilità ad ogni genere di critica; sensibilità che può esprimersi
negando la validità di ogni critica, oppure reagendo con rabbia (…) Il giudizio di valore narcisistico, è prevenuto e pregiudiziale. Di
solito questo pregiudizio viene razionalizzato in una forma o in un’altra, e questa razionalizzazione può essere più o meno
ingannevole secondo il grado di sofisticazione e d’intelligenza della persona in causa (…) Di solito la persona è convinta che non ci
sia pregiudizio, e che il suo giudizio sia obiettivo e realistico. Il che porta a una grave distorsione della sua facoltà di pensare e di
giudicare (…) Il mondo esterno (…) è inferiore, pericoloso, immorale (…) La sua auto-esaltazione (…) minacciata (…) sfocia in
furia intensa (…) Soltanto la distruzione del critico (…) può salvare dalla minaccia contro la propria narcisistica sicurezza”. (E.
Fromm)
“Perfino per la ricerca motivazionale in campo industriale vi è sempre la possibilità di sbagliare (…) Del resto, i dati raccolti hanno
scarso valore quando non conosciamo il grado d’intensità del sentimento destato e quando non sappiamo se tale sentimento tende a
tradursi in un atto concreto (…) Inoltre vengono impiegati necessariamente anche psicologi ciarlatani (…) Data la necessità di
interpretare ed elaborare i dati raccolti e dato il carattere sperimentale della Ricerca Motivazionale una buona dose di sciocchezze è
stata spacciata come vangelo scientifico (…) Senza contare che i test hanno valore se sono fatti su un campione di persone molto
grande (…) e se sono consolidati da verifiche tradizionali (…) La RM fornisce ipotesi.” (V. Packard)
“La maggior parte delle grandi scoperte scientifiche ha avuto luogo quando qualcuno ha messo in dubbio quello che fino ad allora
tutti avevano considerato indiscutibile (…) Nella fisica, che oggi può essere considerata la scienza più progredita, è ancora diffuso
l’antico atteggiamento scientifico che comporta grandi sforzi, molto lavoro e molta riflessione, e che è dominato da una grande
incertezza. All’opposto, per il cittadino medio – ma anche per la maggior parte degli studiosi di scienze sociali – oggi la scienza
dovrebbe assolvere il compito assolto qualche secolo fa dalla religione: fornire certezze assolute. Queste persone non sopportano
l’incertezza (…) Ma quello che il profano e lo studioso di scienze sociali intendono per scienza non è altro, in ultima analisi, che
intelligenza manipolatrice. Così è ritenuto scientifico tradurre un problema psicologico in cifre astratte, ovvero quantificarlo e
misurarlo, persino quando i dati sui quali ci si basa non hanno alcun significato. Ecco un esempio che riguarda la psicologia (…) In
realtà, in questo caso il metodo psicologico applicato non è scientifico, poiché non è descritto e studiato nei dettagli ciò che accade
nella situazione specifica e concreta. Ci si limita a un’osservazione superficiale del comportamento, e poi si conferisce alla ricerca
una parvenza di scientificità elaborando quei dati, tutt’altro che scientifici, con un metodo che si spaccia per scientifico solo perché
opera con delle cifre (…) Noi siamo soltanto indifferenti e disinteressati, e temo che ciò sia in un certo senso molto più pericoloso
della depravazione” (E. Fromm)
“All’interno dell’analisi un importante fattore è costituito dalle condizioni di vita del paziente. La possibilità di superare una nevrosi
dipende totalmente dalla sua situazione (…) Con ciò sono arrivato all’ultimo fattore, la personalità dell’analista (…) Per qualsiasi
attività analitica le qualità individuali dello psicoanalista sono un elemento importante. In primo luogo vanno menzionate la sua
esperienza e la sua capacità di comprendere gli altri (…)Già Freud ne ha indicato uno molto importante: l’assenza di finzioni e di
inganno (…) Il paziente dovrebbe inoltre percepire che da lui non ci si aspettano banalità, e che l’analista gli segnalerà tutte le
volte che si perde in chiacchiere. Ma questo non deve capitare neppure all’analista, ragion per cui egli deve saper distinguere tra ciò
che è banale e ciò che non lo è, cosa che, specie nella nostra epoca, è alquanto difficile (…) Il paziente dice comunque solo ciò che
gli passa per la testa. Questa è certo una forma di resistenza che un analista non dovrebbe mai consentire (…) Accettare del denaro
per questo genere di conversazione sarebbe un’indecenza (…) Si deve comunque avere il coraggio, mettendo il paziente
immediatamente a confronto col problema e cercando di raggiungere in venti ore ciò che, come analisti, si dovrebbe raggiungere in
duecento (…)Bisogna percepire dentro di sé ciò di cui sta parlando il paziente. Se dentro di me, pur se in forma meno intensa, non
riesco a provare cosa significhi essere (…) mortalmente angosciati, non posso sapere di cosa il paziente sta parlando (…) Ricordo
che Harry Stack Sullivan era solito dire che i pazienti ansiosi non tornavano da lui una seconda volta perché non riusciva a
mostrare né simpatia né empatia per quel genere di sintomo. In casi simili sarebbe bene non prendere questi pazienti in analisi. Si è
buoni terapeuti solo per quei pazienti coi quali si riesce a entrare in sintonia (…) Se l’analista pensa: “Visto che paga, allora non è
altro che un povero cretino malato”, egli si ferma invece alla sfera razionale e il paziente non lo percepirà mai come convincente
(…) Non esiste sfera in cui ci si possa atteggiare a giudice o a moralista, o ci si possa scandalizzare (…) Nelle scienze naturali è
possibile mettere sul tavolo il proprio oggetto di indagine (…) In psicoanalisi non basta (…) Anzi, l’analista non deve aver timore
del suo inconscio (…) E solo nella misura in cui riesco a ritrovare le esperienze di cui direttamente o indirettamente egli mi parla
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(…) si verifica allora questa singolare esperienza: il paziente non avrà la sensazione che io parli su lui, che mi rivolga a lui dall’alto
(…) È possibile conoscere realmente l’altro solo nella misura in cui si è fatta la sua stessa esperienza. Analizzare se stessi non
significa altro che aprirsi alla totalità dell’esperienza umana (…)Lo psicoanalista (…) deve anzi sapere che cosa avviene nel mondo
e deve avere un atteggiamento critico nei confronti di quanto accade (…) Se il terapeuta è narcisista al punto da non sapersi
concentrare sull’analizzando, allora farebbe meglio a cambiare mestiere”. (idem)
“Definirei il transfert come un rapporto irrazionale con l’altro (…) In realtà l’analista e l’analizzando si incontrano su due piani
distinti. Uno è il piano del transfert, l’altro è quello del controtransfert. Per comprendere il secondo, occorre partire dal presupposto
che può darsi che anche l’analista abbia nei confronti del paziente atteggiamenti irrazionali.” (idem)
“Anche senza la psicanalisi, una persona può giungere a cambiamenti profondi (…) [Alcuni] videro l’assurdità, l’ingiustizia,
l’orrore (…) Quelle persone erano quasi irriconoscibili. Erano completamente diverse, e questo unicamente sulla base di
un’esperienza sconvolgente, a cui seppero reagire con autonomia. La maggior parte della gente non possiede questa capacità,
perché è ormai diventata troppo insensibile (…) Chi tenta e pratica l’autoanalisi con pazienza (…) svilupperà una certa capacità di
tenere le cose per sé, dentro di sé, senza “traboccare” in continuazione. Tenere un diario sulla propria autoanalisi la rende qualcosa
di poco vivo (…) È molto più importante annotare i sogni (…) e poi, magari una volta al mese, andare dallo psicoanalista per farsi
aiutare a capirli (…) Una soluzione del genere presenta anche il vantaggio che l’interessato non diventa dipendente dall’analista,
ma basta a se stesso (…) Durante l’autoanalisi non ci si dovrebbe porre delle domande generiche, per esempio che cosa è accaduto
nella nostra infanzia, perché le cose vengono in mente solo ponendosi domande che mirano a scoprire ciò che si prova (…) Capire a
che punto si è arrivati nel corso della vita, quali sono le conseguenze di ciò che si fa, quali gli obiettivi essenziali (in genere
inconsci), oppure se la vita è senza scopo (…) [il] motivo per cui, sebbene si abbia dormito abbastanza, il giorno prima ci si sentiva
così stanchi. E allora si scopre che magari si aveva paura, e a quel punto ci si può chiedere perché e scoprire che si era molto
irritati. Oppure ci si può domandare perché il giorno prima si aveva mal di testa (…) È noto che l’emicrania, per esempio, esprime
un’irritazione costantemente rimossa e un risentimento continuo, e mantiene l’interessato in uno stato di tensione. Molte malattie
psicosomatiche hanno questa funzione (…)Ci si può chiedere che cosa si è provato incontrando una certa persona (…) E si tratta di
sperimentare le proprie sensazioni, non di rifletterci sopra: l’importante è ciò che realmente si prova. Allora si scopre che in effetti
troviamo una certa persona assolutamente insopportabile, o che ne abbiamo paura. Magari non la ingiuriamo, ma la troviamo
simpatica o le sorridiamo nella convinzione che potrebbe esserci utile (…) Si dovrebbe iniziare in modo semplice e diretto, senza
progetti grandiosi né teorie complicate, prendendosi ogni giorno una mezz’ora, e provando a rivivere ciò che si è vissuto il giorno
precedente. A poco a poco scopriremo una quantità di cose.” (idem)
“Conviene a ogniuno el ricordo di non comunicare e’ secreti suoi se non per necessità, perché si fanno schiavi di coloro a chi gli
comunicano, oltre a tutti gli altri mali che el sapessi può portare. E se pure la necessità vi strigne a dirgli, metteteli in altri per
manco tempo potete perché nel tempo assai nascono mille pensamenti cattivi (…) Lo sfogarsi qualche volta de’ piaceri e dispiaceri
suoi è cosa di grande conforto, ma è nociva: però è saviezza lo astenersene, se bene è molto difficile (…) Un uomo che non sia
prudente non si può reggere senza consiglio. Nondimeno gli è molto pericoloso pigliare consiglio, perché chi lo dà ha spesso più
considerazione allo interesse suo che a quello di chi lo dimanda: anzi prepone ogni suo piccolo rispetto e satisfazione allo interesse,
benché gravissimo e importantissimo, di quello altro. Però dico che chi si truova in tale grado bisogna che si abbatta in amici fedeli
e buoni; altrimenti porta pericolo di non fare male a pigliare consiglio, e male e peggio fa a non lo pigliare.” (F. Guicciardini)
“Quanto è difficile per lo psicanalista trovare qualcosa di nuovo che qualche artista non avesse già saputo prima di lui”. (S. Freud)
“Invece dei manuali, chi è veramente interessato agli esseri umani e al loro inconscio dovrebbe leggere Balzac, Dostoevskij e Kafka.
Da loro è possibile apprendere qualcosa sugli individui molto più che non leggendo la letteratura psicanalitica (…) Nella letteratura
si trova una quantità infinita di insight profondi, e proprio a questi dovrebbe mirare la psicanalisi riguardo al singolo.” (E. Fromm)
Tempo fa una studentessa di Psicologia cui, peraltro, il padre aveva imposto di scegliere tra questa Facoltà e Medicina (del resto i
motivi per cui molti si iscrivono a questi corsi sono anche in genere più lontani di così dal desiderio di dare sollievo al dolore altrui)
mi ha prestato un bel testo di cui non ricordo il titolo e che era parte del programma di un suo esame: ne era stata colpita perché si
trattava di un libro utile e totalmente diverso da quelli asettici, per non dire aridi e spesso assurdi, testi d’esame generalmente previsti
dal suo indirizzo di studio. Il libro ha colpito anche me per la mancanza di pregiudizi e giudizi netti e schematici e per l’onestà
dell’intenzione: esso raccoglieva l’esperienza di alcune persone cresciute tra blocchi e automatismi legati a una particolare emotività
o pressione dell’inconscio (che si manifestava ad esempio in paura irrazionale e paralizzante delle cose nuove; tendenza
all’imitazione, alla ripetizione, alla passività o all’esaltazione; paura eccessiva del futuro e dell’abbandono; ipersensibilità e
incapacità di esprimere le emozioni e di chiedere o spiegare o reagire; difficoltà a mantenere la visione d’insieme) e raccontava come
tutti avevano, con il tempo, non cancellato il problema, ma imparato a gestirlo al punto da non esserne più condizionati negli aspetti
importanti della loro vita (il limite del libro è che non conteneva le descrizioni dei mezzi usati dai soggetti per arrivare a riuscirvi, ma
almeno dava speranza circa problemi di cui nessuno parla). Per spiegare perché qui parlo di questo libro, comincio con il riportare
una frase di Nietzsche e il commento che ho trovato in una rivista: “Nietzsche sosteneva che l’olfatto fosse capace di penetrare
nell’anima delle persone e delle cose e lo collegava alla «sagacia» e all’istinto. Del resto «sagace» deriva dal latino «sagire» e
significa letteralmente «fiutare». Egli descriveva l’arte dello psicologo non tanto come quella di ragionare su ciò che il paziente gli
dice, quanto quella del subodorare l’emozione legata al suo racconto… L’olfatto sarebbe dunque legato al mondo delle reazioni
emotive e a sostenerlo è anche la scienza, secondo la quale rabbia, attrazione, felicità e paura emettono fragranze che il nostro naso
percepisce anche se non ce ne accorgiamo e che influenzano il nostro rapporto con gli altri. Anche nell’innamoramento un ormone si
attiva quando il nostro naso lo suggerisce. Comuni detti come «vedo a naso», «avere naso», «mi è saltata la mosca al naso» ecc…
vanno considerati in questa prospettiva. L’olfatto è considerato il senso più immateriale e l’incenso del resto favorisce
indubitabilmente gli stati meditativi”.
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La lettura di questo articolo mi ha fatto pensare subito a una frase di La regina dei castelli di carta: “gli psicologi non ascoltano mai”.
È vero, gli psichiatri e gli psicologi non ascoltano mai nessuno, e non certo solo quando sono in gioco interessi del livello di quelli
rappresentati nel best seller. Quanto ha scritto Nietzsche parrebbe avere un senso soprattutto considerando chi ha problemi di
comunicazione, dato che l’averne significa spesso non riuscire a dire quel che si sta pensando e dire invece o nulla o altro e magari il
contrario, perché, se assediati, si tende in questi casi a dire quanto si intuisce che gli altri si aspettano a causa dell’istintivo bisogno di
uscire in fretta e senza ulteriori scontri dalla situazione (il che non implica affatto vigliaccheria, confusione mentale ecc…, trattandosi
di blocchi che, una volta superati, possono anzi rivelare negli individui interessati una certa forza di carattere) : in casi come questi,
se uno psicologo si basasse fin dall’inizio solo sulle parole per dedurre qualche verità su chi ha davanti, farebbe una cosa assurda e
stupida. In realtà però queste difficoltà di espressione comportano non che lo psicologo debba subodorare la verità applicando
un’etichetta all’emozione più evidente, ma che egli soprattutto in casi simili non può dare alcun giudizio e che quindi non gli resta
che offrire conoscenze psicologiche di base e vari possibili percorsi e una lunga serie di titoli di letture contenenti le stesse nozioni e
di altro genere e salutare la persona, perché possa col tempo arrivare a conoscere autonomamente se stessa e a imparare a esprimersi
e a reagire andando per tentativi come tutti. Ma questa onestà non è esattamente tipica della categoria, la cui prassi è di non
considerare minimamente le parole, neanche di chi si esprime con facilità (a meno che quelle parole non collimino con una certa
immagine o schema loro venuto in mente o conveniente).
Da questa affermazione di Nietzsche prima di tutto si dovrebbe onestamente dedurre che solo chi ha senso critico e molta sensibilità a
livello innato e li ha coltivati a lungo dovrebbe poter fare lo psicologo, ma che, non potendo alcun test determinare la sensibilità e
potendo essa essere al massimo sviluppata con l’osservazione e l’esperienza diretta e personale, la Facoltà di Psicologia, come la
specializzazione di Psichiatria, non hanno senso né utilità: non si può certo impedire di laurearsi a persone del tutto insensibili e anzi
aggressive o malate di mente che sappiano superare bene esami che si basano sulla memoria, e non si può far nulla per ridurre i casi
numerosi in cui dei ragazzi molto giovani vengono a contatto con psicologi indifferenti da cui non riescono ad allontanarsi in tempo a
causa dell’abbandono in cui si trovano e dell’inesperienza e della sensibilità tipiche dell’età e accresciute sempre da ogni
“psicoterapia” nella sua fase iniziale (ci sono sempre maggiori testimonianze di gravi sofferenze e danni anche sociali ed economici
molto duraturi, e ci sono poi i fatti giunti a processo penale…)
La citazione, comunque, in generale, fa pensare a uno psicologo che cerca di identificare un’emozione valutando quale degli schemi
che conosce applicare… Quale schema scegliere e come essere certi che quello scelto sia giusto? Non si tratta di una questione
banale: si pensi allo psichiatra che, grazie alle leggi italiane può, dopo un colloquio di 10 minuti, privare una persona, magari vittima
di abusi o giovanissima, di libertà e di ogni altro diritto umano e sottoporla alle torture di cui ho scritto sopra; oppure si pensi allo
psicologo che in base a due domande deciderà una volta per tutte in che istituto ecc… mandare un minore che non può far
riferimento alla famiglia, e si pensi al gruppo di psicologi che abusivamente spia fin nei bagni degli ospedali e anche in casa propria e
diffama qualcuno sulla base di pregiudizi. E lo si faccia considerando che la diffamazione uccide. In caso di incertezza molti pensano
di risolvere con dei test, anche solo uno o due, per orientarsi, ma di fatto i test possono fuorviare del tutto e molto facilmente e c’è
sempre la possibilità che lo schema adatto a quella persona e situazione non sia loro noto o che qualche particolare tratto (fisico,
caratteriale, intellettuale o di natura ancora più vaga o complessa e assurda) di quella persona per i motivi personali più diversi
(familiari, lavorativi, sociali…) infastidisca i “giudici” magari a livello inconscio, impostandone automaticamente il cervello in una
direzione che lo porta in fretta ad un’ostilità ingiustificata e pregiudicante tutto quello che in seguito penseranno e decideranno (del
resto ciò è probabile in chi è abituato a basarsi sulle apparenze senza aver dubbi di alcun genere oppure sugli “odori” ma mai sulle
parole meditate e intenzionali degli altri, in chi cioè non vuole ascoltare, in chi non guarda…).
Se uno psicologo si limitasse a cercare di portare qualcuno a imparare a esprimere quel che pensa e a farlo con sempre maggiore
chiarezza, per poter poi giudicarlo fidando in quanto dice e nel modo provvisorio e consapevolmente limitato cui dobbiamo attenerci
tutti, permettendogli così, a partire dalle nuove capacità di espressione acquisite, di trovare la propria strada in autonomia… Ma come
può comprendere e compiere tale dovere chi sceglie di pagarsi il mutuo attraverso la dipendenza e il dolore altrui? (anche la persona
più onesta iscritta a Psicologia prima o poi finirà per ragionare anche in questi termini, dato che il denaro le è indispensabile).
Affidarsi al profumo è come subire il fascino di qualcuno e pretendere di poterlo giudicare sempre con obiettività… Le parole sono
importanti, le parole, anche etimologicamente, tagliano l’indeterminato dando nomi e isolando dettagli. I dettagli sono la base di
un’osservazione corretta insieme a un’attenzione svuotata almeno provvisoriamente dei pregiudizi. Il cervello maschile in particolare
e, a quanto pare, anche quello delle donne che prendono la pillola anticoncezionale, non memorizza i dettagli, ma l’impressione
emotiva generale circa una situazione o persona: giudicando in tal modo proprio non è possibile non travisare. Ricordo che sono
forse i temi più sviluppati dalla letteratura e dalla storiografia l'importanza di fare riferimento in primo luogo a chi ha un'esperienza
diretta e personale di un problema e il fatto che il cervello della maggioranza delle persone si autoregola per rappresentare le cose da
un punto di vista adatto alle capacità, all’umore e soprattutto all’interesse e agli obiettivi. Inoltre senza considerare le contraddizioni
altrui con attenzione non è possibile accorgersi se l’interlocutore è vittima di automatismi verbali, lapsus, azioni ed espressioni del
viso a volte coatte (come si può giudicare da una frase qua e là o da azioni impulsive una persona simile?).
Bisogna mettere le virgolette ai propri giudizi spontanei e inevitabili, ribellandosi a una società basata sulla fretta e sulle menzogne
comode, ovvero sulla violenza. Come afferma Jung (il quale fu psicologo e psichiatra per decenni), in Lo sviluppo della personalità,
in La dinamica dell’inconscio e altri suoi testi, uno psicologo può essere utile - ha senso correre il rischio di esporvisi - solo se è
onesto, gentile, sensibile, compassionevole; se rifiuta di affidarsi a teorie valide in generale per considerare ogni caso come
individuale; se sa sempre mettere in dubbio ciò che il paziente non ammette per vero (può dare conferma a un’interpretazione
piuttosto che a un’altra solo la parola del paziente, oltre al decorso in lui di energia/benessere/equilibrio e al contenuto dei suoi
sogni); se sa creare/meritare fiducia e chiudere ogni tipo di rapporto in caso contrario; se tratta il cosiddetto paziente come una
persona sul suo stesso piano e non come un essere malato o sottosviluppato o un demonio; se dà spiegazioni, interviene spesso con
domande pertinenti, indica letture utili ai fini dell’autoanalisi e informazioni indispensabili a risolvere i problemi pratici più urgenti
(come può un bambino o un ragazzo che mangia pochissimo o male, veste in modo inadeguato e non ha nemmeno una stanza ben
arredata dove poter stare solo avere l’energia necessaria al lavorare su di sé?); se il paziente possiede sufficiente maturità per saper
non considerare mai a priori il suo analista superiore a sé (come farebbe un bambino..o un nevrotico in fase di regressione) e per
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abbandonare lo psicoterapeuta che si dimostra dannoso (credo proprio che qui sia il punto: il paziente dovrebbe quindi per Jung saper
pretendere risultati e un atteggiamento attivo, competente, distaccato e rispettoso dal suo psicologo! Come può un ragazzo sapere a
priori se ne è in grado e se lo sarà durante il noto periodo in cui la terapia rende fragili i pazienti? Inoltre egli dovrebbe perlomeno
disporre già di buoni libri, film e almeno una persona di riferimento per poter anche solo sperare di sapersi difendere…). Anche
Fromm, soprattutto in L’arte di ascoltare (che vi consiglio) scrisse molto sul fatto che è più utile e prudente fare ogni giorno una
semplice ma sincera autoanalisi e leggere i classici della letteratura che consultare uno psicologo soprattutto se per più di una volta al
mese, per cose diverse dall’analisi dei sogni (egli certamente considerava i suoi libri e quelli di altri psicologi come Jung per fornire
le conoscenze psicologiche più utili a chi avesse bisogno di “lavorare” su di sé). Comunque tenete presente che, in barba all’etica
professionale, nella maggioranza degli psicologi non esiste abitudine al rispetto della privacy del “paziente”, che non può in alcun
modo averne la garanzia: lo psicologo (o psichiatra) può parlare di voi a conoscenti, parenti e colleghi (con questi ultimi anche con
una parvenza di legalità) e registrarvi o filmarvi o farvi ascoltare dalle stanze confinanti (non sono solo le sale d’attesa degli psicologi
del servizio pubblico o convenzionato a poter contenere orecchie attente).
Dare valore ai dettagli, dare valore alle parole non contraddette e supportate da un piccolo nucleo centrale di fatti; non insistere, né
suggerire le risposte, ma aprirsi, fare spazio, prendere tempo, lasciare andare, lasciar vivere, fornire e valutare possibilità: il modo di
comunicare della letteratura.
Quando si fa un convegno aperto a tutti sui danni degli psicofarmaci e della psichiatria, a volte l’affluenza della gente stupisce gli
stessi argomentatori… Gli psichiatri e gli infermieri impiegati negli ospedali psichiatrici (dati alla mano) vengono definiti assassini
ecc..anche da laureati in Psicologia e Psichiatria e da chi studia i dati del funzionamento dei manicomi in Italia… Organizzazioni
culturali, avvocati e scrittori dichiarano di lavorare per rinnovare una psicologia fondata su “assurdi pregiudizi vecchissimi”…
Studenti durante il tirocinio negli ospedali psichiatrici abbandonano il lavoro… Aumenta la conoscenza dei casi numerosi di persone
morte o rovinate in seguito al rifiuto di cure mediche e alla diagnosi di “stress” nei Pronto Soccorso( i sintomi degli infarti per es.
sono simili a quelli delle somatizzazioni dell’ansia) o a diagnosi analoghe di malattie poi rivelatesi tardi di tutt’altro genere( ad es.
insufficienza respiratoria, fibromialgia, ecc…)…
Eppure niente cambia.
Il fatto è che la psichiatria e i pregiudizi stessi alla base della psicologia sono utili a molte persone sia economicamente che per dar
modo a chi per natura è violento o sadico di vivere legalmente come preferisce, oltre che per dare un alibi pronto all’infinita massa di
persone indifferenti che hanno bisogno di spedire ai margini della coscienza il proprio misero e squallido senso di colpa e
smarrimento, occasionalmente fastidiosi, per divertirsi ben integrati o per scacciare un precedente o latente rifiuto della vita o
risentimento verso i genitori: funzione primaria della psichiatria pare proprio che sia, oggi come è sempre stata storicamente, quella
di permettere a tutti di non mai chiedersi il perché della “debolezza”, del dolore o delle affermazioni scomode altrui, e sostenere,
quindi, ogni scelta di disimpegno rispetto a responsabilità che sono di tutti( funzione in linea con quella, divulgata in tanti romanzi e
film, di permettere ai genitori di uccidere letteralmente la personalità e il futuro o la vita fisica stessa dei figli indesiderati, che, come
la maggioranza dei giovani oggi, non possono mantenersi da sé e che, come gran parte delle persone da sempre, non riesce a vivere
senza una base, non potendo l’essenziale che essere dato (ci si informi sulle ragioni dei ricoveri, sull’età e sulle condizioni di vita
degli internati precedenti il TSO).
Generalmente, poi, la psicologia viene considerata soprattutto come arte di “fregare” il prossimo e perciò come qualcosa cui davvero
non è possibile rinunciare…(si osservi da sé come se ne parla tra venditori di qualsiasi tipo di articolo, ma anche tra assistenti sociali
comunali, politici ecc…).
Forse non è sbagliato affermare l’esigenza di rinnovare i fondamenti della psicologia e della psichiatria, ma è difficile pensare non
solo che tale progetto sia realizzabile, ma anche che sia utile risolvere il problema sostituendo schemi ad altri schemi per quanto
migliori, dato che non si può cambiare la natura di chi li applicherà… Dostoevskij definiva “demone” chiunque si applicasse a
sostenere e diffondere la mentalità per cui la vita e i diritti umani di un gruppo sono da considerarsi per natura inferiori e sottoposti
alle decisioni di un altro gruppo arbitrariamente, ovvero non sulla base di gravi, concreti e dimostrati danni da questo provocati…
Non è facile vedere come da nature di questo tipo possa derivare qualcosa di utile e anche solo vagamente giusto e del resto a far
pensare che ciò è un’utopia c’è il modo in cui sono state considerate nella pratica le belle parole di Basaglia o anche, per usare un
riferimento recente e più noto, il modo in cui si conclude un film premiato e per certi aspetti valido come La meglio gioventù, che,
dopo tante affermazioni di carattere umanitario, si chiude affermando che la libertà di decidere della propria intimità e di vivere o
meno non è sacra e che propone come soluzione a incuria e abusi di familiari non la loro coercizione legale, ma quegli inferni che
sono gli appartamenti dell’USL (e in proposito non c’è che consigliare di andare a vedere queste “case” e di parlarne con chi ci ha
lavorato e ci vive…)!
Le certezze non sono fatte per l’uomo e, se è vero che, per usare le parole del più bel libro di Camus, ma anche di Hannah Arendt,
“non si può evitare di giudicare” e che è meglio non mirare a essere “santi”, resta il fatto che l’uomo non può ricavare certezze su
qualcuno in una vita intera e nemmeno con mezzi ideali, figurarsi con i tempi e i modi previsti dal regolamento di ogni psichiatria e
consigliati in certi testi di Psicologia, e che niente riscatta la tortura e l’omicidio di un innocente: la psichiatria si presenta come
immorale e irrazionale non solo perché si basa sulle apparenze, come gli ignoranti e i violenti che rappresenta, o perché tratta uomini
come macchine da oliare, eliminare o paralizzare con violenza, droghe e isolamento ( abbinato a promiscuità e assenza di privacy
anche al bagno) ma anche proprio perché si basa sull’assunto che il dubbio è inutile e che gli errori o abusi rivelatisi a distanza sono
semplici mancanze statisticamente inevitabili dovuti alla fallacia di ogni istituzione umana. Si deve ribadire che è essenziale
riconoscere che nessuno può avere certezze sulla vita intima, le potenzialità e possibilità altrui, così come bisogna ricordare che per
una società certamente è giusto e indispensabile giudicare e punire il crimine, ma mai dare e confermare giudizi su Chi Sia il
criminale( se non limitandosi a rilevare attenuanti notevoli).
Se psicologi e psichiatri attirano odi profondi e molto duraturi anche da chi non è aggressivo per natura, un motivo c’è…
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La mentalità degli psichiatri non pare certo identificarsi con il giusto riconoscimento del valore e dell’importanza del lavoro come
unico mezzo per contribuire al benessere economico della comunità, ma sembra essere piuttosto quella nazista, che distingue le
persone in produttive e improduttive e identifica la persona “debole”( qualunque sia la ragione che causa quella debolezza) con un
oggetto da cestinare e naturalmente da sfruttare (si pensi all’entità del mercato degli psicofarmaci, agli stipendi degli psichiatri, alle
parcelle degli psicologi e dei medici disponibili a inchinarsi loro, al denaro a disposizione di fratelli e genitori degli internati, ma
anche al senso di enorme potere di chi si sente parte di un gruppo di eletti con il potere legale di trattare gli altri come bambole o di
torturarli e ucciderli senza conseguenze). È un fatto che gli psichiatri non producono niente né aiutano generalmente, con e senza il
camice, chi è in difficoltà( anche quando basterebbe fornire qualche informazione disponibile ai più o un minimo di sostegno nella
difesa legale da abusi e violenze) e non possono essere definiti nel complesso utili alla comunità( che è un insieme di individui e non
di privilegiati), come tutti possono constatare semplicemente osservando quasi tutti coloro che ne hanno subito il potere concesso
loro dalla legge( chi non conosce ormai qualcuno che sia stato in contatto con la categoria o abbia assunto per qualche periodo
ansiolitici, sonniferi o i sempre più criticati - e quindi più raccomandati…- antidepressivi?): ormai studiosi e non affermano sempre
più spesso che la violenza degli psichiatri e dei loro collaboratori genera violenza, le loro umiliazioni prostrano, la dipendenza, la
passività e l’isolamento uccidono, gli psicofarmaci – non solo l’immobilità fisica forzata - causano gravissimi danni psicologici,
sociali, economici e fisici…Una persona rispettata nella sua dignità umana e sostenuta nello sforzo di comprendersi e di comunicare,
attraverso il porsi di fronte a lei con un atteggiamento onesto e rispettoso della sua libertà, è invece sicuramente condotta con molte
probabilità a superare nel tempo i propri limiti e anche a diventare più utile almeno ad alcune delle persone che incontrerà, oltre che
naturalmente più facilmente produttiva a livello economico, almeno se viene contemporaneamente realmente ascoltata e aiutata a
trovare quelle informazioni e quello spazio, la cui mancanza può bloccare davvero chiunque (a volte basta davvero così poco per
permettere a qualcuno di modificare radicalmente la propria vita e ci sono tante esperienze che lo dimostrano, tanto che l’unico vero
modo per sapere se è così nel caso specifico incontrato è provare, cioè dare quello spazio, per quanto si può, e soprattutto quelle
informazioni- anche quelle che sembrano ovvie-, pur avendo cura di farlo con precisione, insistenza e rispetto particolari e chiarendo
possibilmente alternative per riuscire a farsi udire e fare breccia attraverso i muri e il caos che un dolore profondo e lungo sempre
portano con sé fin tanto che la persona non riesca a cambiare la prospettiva con cui lo vive: certamente non si cambia da un giorno
all’altro, certamente ci saranno periodi di crisi, errori e anche perdite economiche all’inizio, ma in pochissimi anni si può senz’altro
arrivare così, naturalmente, a sentirsi stabili e realizzati e ad apparire quasi irriconoscibili). Inoltre la legalità, o la prassi illegale ma
comune, degli abusi della privacy, delle violenze psicologiche e della diffamazione che sfruttano le conoscenze derivanti da tali abusi
una volta manipolate, le coercizioni, la negazione di diagnosi obiettive e cure mediche e le altre violenze fisiche attuate o sostenute
dalla maggioranza degli psichiatri creano e alimentano una mentalità deleteria per l’ordine sociale, un cinismo che è alla base di ogni
guerra e decadenza e che può comportarsi come un cancro anche per chi lo abbraccia senza problemi.
Del resto non mancano certo gli scrittori che aiutano a vedere chiaro dietro alla bandiera della psichiatria, quando essa si
autodefinisce di utilità collettiva: da Cicerone a Quintiliano, da Dostoevskij a Levi, da Simone Weill a Simone de Beauvoir, da
Lessing a Koestler o Arendt, da Virginia Woolf al giornalista e scrittore svedese morto di recente Larsson si ribadisce di continuo il
concetto di dignità umana, della differenza tra ciò che è utile e ciò che è onesto, l’orrore che ispira la mentalità primitiva di psichiatri
e collaboratori, il legame tra la loro falsa morale dell’”utile" e le dittature sanguinarie, e come questo sofisma sia un orribile modo di
colmare il vuoto lasciato dalla coscienza, per la quale un individuo vale in sé, indipendentemente dal livello culturale o economico e
da se lavora o meno, e ha diritto ai propri valori e a opinioni personali, finchè rispetta la libertà essenziale degli altri (è chiaro che
voler impedire, magari anche con ogni mezzo, agli psichiatri di continuare a torturare e uccidere non significa affatto voler violare la
libertà fondamentale altrui, ma il contrario). Anche nei libri in cui si descrivono le torture praticate dai colonizzatori sugli indigeni
potete leggerne di molto simili a quelle praticate oggi e da sempre dagli psichiatri (rimando ad esempio a I mari del Sud di
Stevenson). In L’uomo in rivolta Camus delinea il percorso culturale che ha condotto la civiltà contemporanea alla proliferazione di
élites di persone-funzioni totalmente al di sopra della morale che regnano su una massa di schiavi-oggetto: chi conosce la psichiatria
riconosce senza esagerare anche questa casta in élite di questo tipo e potrebbe fare un serio confronto, raccogliendo dati e
testimonianze, tra le tecniche di violenza della polizia segreta di stato dei regimi totalitari con quelle attuali degli psichiatri, che
infatti trovano una rappresentazione abbastanza fedele in 1984 di Orwell, che a quei regimi faceva riferimento (per esempio oggi
chiunque, con minima spesa, può procurarsi microdispositivi di videosorveglianza e può contare sulla collaborazione di una massa
sempre meno istruita dalle scuole e più cinica per posizionare, su richiesta di psichiatri, camere abusive in ogni luogo privato e/o per
divulgarne il contenuto manipolato, oltre che per sfruttare le piccole debolezze che esse inevitabilmente documentano per tentare
violenze psicologiche, da aggiungere a quelle fisiche ottenibili con l’ostracismo negli ospedali e negli ambienti lavorativi secondo
l’antichissima e crudele pratica del “boicottaggio” – per comprendere la vera natura della quale, con riferimento all’Italia, si può
leggere il capitolo sesto di Il fascismo di Silone, che permette di farsi anche un ‘idea più precisa di cosa si intende quando si definisce
primitiva la mentalità diffusa negli ambienti dove si collabora attivamente con psichiatri). L’abbastanza recente libro 3096 giorni è il
primo che mi viene in mente quando penso agli psichiatri come a dei criminali e nient’altro: una donna vi descrive la vita condotta
realmente per anni con un sadico in seguito a rapimento e sequestro ed è impossibile non pensare ai manicomi quando scrive di
essere stata filmata costantemente ovunque, spesso legata, sempre disprezzata, isolata, privata di letture, visioni, dialogo ed
esperienze indispensabili come della speranza. Erich Fromm, Jung, Larsson e anche Musil e Leopardi sono i primi autori che mi
vengono in mente quando voglio definire gli psichiatri (o meglio quelli di loro che acconsentono a marchiare e torturare fisicamente e
psicologicamente) dei “narcisisti sadici” e quindi dei malati di mente. Ciò faccio con tutta la pacatezza e lucidità di cui sono capace,
lasciando da parte per quanto mi è possibile il mio profondo e innegabile rancore personale, perché so che non si tratta solo di saper
vedere nella incapacità di molti psicologi e psichiatri di dubitare di sé il sintomo di quella malattia che, per Jung, costituisce il
prodromo del “Delirio di potere/onnipotenza”, ma anche di comprendere a fondo che il sadismo è, in quanto bisogno di controllo
assoluto sugli altri, un modo di essere molto profondamente radicato nell’uomo e altamente e irrimediabilmente condizionante tutti
gli aspetti della vita in coloro (moltissimi) nei quali esso emerge, che insomma non si tratta di un vizio o di un moto dell’animo
passeggero come la collera o razionale come l’odio: l’internamento e le “Camere senza stimoli” sono, come afferma Larsson,
effettivamente l’equivalente di seppellire vive le persone, ma assomigliano anche al gesto di chi afferra un oggetto e lo mette in un
cassetto e Fromm spiega bene come l’impossibilità per ogni essere umano di avere il minimo controllo reale sulla propria vita, unita
alla consapevolezza di ciò, provoca in molti individui purtroppo il bisogno e il desiderio di controllare tutto e quindi - soprattutto o
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almeno quando sia loro permesso di decidere di altri senza rischi - il piacere di schiacciare la vita (incontrollabile, imprevedibile)
schiacciando gli altri, i quali diventano allora meri oggetti su cui sfogare, consapevolmente o meno, malati impulsi criminosi… Jung,
Musil e Leopardi hanno dedicato molte pagine delle loro opere proprio a spiegare perché il perfetto ordine puramente (quindi
irragionevolmente) “razionale” si identifica automaticamente con la morte e che il vero ordine è armonia e non immobilità. Fromm,
in un suo libro, descrive degli esperimenti sul cervello condotti su studenti “normali” rinchiusi in camere senza stimoli e, tra gli esiti,
elenca il loro smarrimento, seguito da crescente impossibilità di pensare, irritabilità, angoscia, allucinazioni e segnali di calo della
mobilità e vitalità delle cellule cerebrali; altri esperimenti sul cervello da Fromm riportati lo portarono a dichiarare che senza stimoli
continui il cervello regredisce rapidamente e si producono danni gravissimi cerebrali e ai nervi. La psichiatria mira a creare
mentecatti invalidi e a uccidere? Se lo era chiesto anche lo psichiatra italiano Tobino, che ci ha lasciato il libro Le libere donne di
Magliano, un libro lucido rimasto senza effetti a causa del sadismo e dell’ignoranza colpevole della maggioranza degli psichiatri e di
chi governa e legifera.
“Non si esce dagli alberi con mezzi di alberi”: forse basterebbe ampliare un po’ il senso di queste parole di Ponge per riflettere
onestamente sull’utilità sia della psichiatria che della psicologia in sé quando vengono pensate come strumento di giudizio degli altri
e comunque qualcosa di più che uno strumento da affiancare ai tanti altri per l’autoanalisi, ogni volta cioè che si vorrebbe andare al di
là dell’uso di un tranquillante occasionale e usato in modo limitato e della lettura autonoma - o dell’ascolto quando essa non è
possibile – di quelle esperienze che è utile condividere e approfondire con distacco e evitando contatti invadenti e attraverso qualche
riferimento comune, da abbandonare appena diventa rigido: il percorso che consiglio poggia sul supporto fornito da testi di
“psicologia” aperti e dalla grande letteratura.
Secondo la mia esperienza è davvero utile che capisca e spesso capisce solo chi, non essendo per natura indifferente al dolore altrui,
vuole capire ed è quindi disposto, onestamente, anche a leggere e ascoltare pur di darsi qualche possibilità in più di riuscirvi… Con
gli indifferenti bisogna piuttosto affidarsi agli avvocati o lasciar perdere, parlando al massimo per rafforzare se stessi attraverso di
loro, sapendo che il silenzio può voler dire nel tempo indebolirsi fino alla paralisi e rischiare più che esprimendosi.
Io non trovo naturale identificare gli altri con la loro emotività e con le debolezze che hanno e mi viene spontaneo considerare le
condizioni di vita di una persona e cercare di sapere se è in grado di esprimere ciò che pensa e vuole prima di giudicarla… Del resto
non trovo naturale neanche che una persona realmente stupida e malata di mente debba essere umiliata né tanto meno torturata
fisicamente o psicologicamente e uccisa… Non è perché ho letto qualche libro e ho avuto esperienze dure che trovo innaturale tutto
questo, ma per natura e per osservazione.
Istintivamente e per riflessione sono vicina a Capote, che vedeva il segno della sua fortuna e la base della compassione in ciò che
accomunava il suo passato a quello di uno dei falliti condannati a morte di cui aveva scritto in A sangue freddo.
Non vedo mostri in coloro che sono deboli rispetto alle proprie emozioni e ciò non certo solo perché so che è possibile superare la
tendenza agli automatismi. Ammettendo, al fine di chiarire certi valori, una provvisoria estensione a un individuo della sua azione,
sono invece dei mostri per me i seguenti tipi di persona: chi non ha dubbi e ha sempre voglia e fretta di giudicare, sapendo che la
diffamazione uccide; chi non si chiede mai realmente il perché di niente né considera le intenzioni, giudicando dalle capacità del
momento e dalla convenienza, anziché dalla responsabilità, identificando gli altri con le loro debolezze o i pochi pregi a seconda
dell’interesse, della parola d’ordine ecc…; chi rifiuta di dare informazioni vitali anche anonimamente; chi passa la vita a schiacciare
appena può chiunque gli ricordi anche involontariamente in qualche modo le proprie difficoltà e idiosincrasie passate (e magari senza
che tale somiglianza esista davvero se non in modo vago) per il fastidio che gli reca ricordare quelle esperienze o il senso di
responsabilità che è implicato nello scoprire affinità di sentimenti ed esperienze in chi vive in condizioni peggiori delle proprie, e
soprattutto per illudersi meglio che se ha superato ogni cosa è senz’altro perché in possesso della natura “superiore” del gruppo dei
più “forti”; chi aggredisce chi soffre solo perché immagina che l’emergere del suo dolore sia un’esibizione mirata a spingerlo a
occuparsi dei suoi problemi al suo posto o anche solo per non rivedere la convinzione comune che sia giusto vivere per divertirsi, che
la vita sia bella e Dio buono senza dubbio; chi giudica gli altri usando come metro le proprie emozioni e capacità e disprezza e teme
il contatto con le emozioni altrui e la difficoltà altrui di nasconderle o gestirle, al punto da rifiutare ogni vero scambio con chi è
emotivo, se non per aggravarne le difficoltà; chi giudica un comportamento altrui in base a come crede che ci si debba comportare in
generale, come se le proprie azioni nei suoi riguardi e il contesto particolare in cui egli si muove non fossero essenziali per
determinarlo; chi trova piacere nel dolore di chi non lo ha ferito intenzionalmente o nello stesso modo; chi giudica tutti e tutto solo in
base a valutazioni economiche; chi rifiuta le proprie responsabilità, ha il culto del proprio prestigio, del proprio interesse, della
propria famiglia, dei pregiudizi ereditati, e dei propri gusti o del senso estetico e del sangue freddo, e, mentre si fa le sue chiese o si
insedia nella sua casta, è sempre a caccia di streghe, o comunque pronto ad assistere al rogo, e così di continuo sostituisce alla realtà i
propri sogni; chi giudica l’insieme dai particolari, basandosi su schemi di giudizio o non si mantiene sempre disponibile a cambiare
idea a costo di disagi o pretende di avere certezze su chi non è in profonda intimità con lui; chi mente o sentenzia su altri su basi
ridicole aizzando figli di ogni età e conoscenti come cani; chi nega le cure mediche a chi ne ha bisogno o si arroga il diritto di
giudicare stati di salute senza dar fede alle parole sui sintomi e fare e verificare esami; chi non si indigna per le pratiche psichiatriche.
Non c’è niente di buonista o infantile nella mia scala di valori e casomai è infantile chi vive di bramosie senza freni sostenute
dall’immaginazione come il tipo di persone appena descritto e che rappresenta la maggioranza. Del resto la psicologia stessa, com’è
intesa e applicata comunemente, si potrebbe definire, non solo l’arte di fregare gli altri, ma anche “l’arte del sogno” (non della sua
interpretazione).
E non è certo il mio interesse personale ad influenzare valori così datati e così avversati dalle “persone che contano” e che sono
indiscutibilmente pericolose per tutti, me compresa.
Chiudo citando ancora Camus: “l’unico antidoto alla peste è l’onestà”.
La coscienza (questa forma di energia dell’inconscio collettivo con funzione regolatrice e di bilanciamento o “misura”) è una realtà, è
una forza extraindividuale viva e attiva che lotta per manifestarsi attraverso chi parla e scrive onestamente.
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P.S.: Fate attenzione alle donne di mezza età che – con fare materno e magari sfruttando una vecchia laurea in Psicologia ottenuta
grazie alla memoria e mai seguita dalle letture e dalle riflessioni essenziali – superano uno stato d’animo spiacevole (la noia e la crisi
di mezza età o qualche complesso legato a genitori morti da poco,ecc.), invitando in gruppi di facciata religiosa dei ragazzi molto
giovani, ignoranti in fatto di movimenti religiosi e inesperti, privi della possibilità di trovare sostegno nei familiari e sofferenti e
senza veri amici a causa di una nevrosi e della loro totale ignoranza su come guarirne: ricordatevi che queste donne senza scrupoli nel
manipolare i più giovani tra coloro che si sono rivolti a loro in quanto psicologhe sono spesso molto pericolose e, quando non
riescono a “formattare” i ragazzi o li vedono allontanarsi o rifiutarsi di “ripagarle” lavorando per loro gratis (proprio come
pretendeva l’Omino di burro), arrivano, se la famiglia e molti altri non vi si oppongono, anche a diffamarli gravemente, a portarli
all’esaurimento con l’emarginazione e i maltrattamenti da parte propria, dei plagiati e dei molti conoscenti, a consigliare
insistentemente loro il suicidio e a suggerire ai genitori di internarli in psichiatria giovanissimi.
Inoltre non sottovalutate mai le parzialità comuni a studenti e a insegnanti, che portano questi ultimi a esaltare violenti rozzi, purchè
abili nel rispettare norme non scritte, e ad ostacolare con ogni mezzo gli emotivi e i nevrotici più imprudenti o semplicemente per
loro più irritanti a causa della loro diversità e fragilità (si può affermare che la causa principale del bullismo e delle sue conseguenze,
spesso gravi anche dal punto di vista fisico, sono gli insegnanti) e bisogna tener presente anche il fatto che gli individui che più
contano socialmente cercheranno sempre di impedire a emotivi e nevrotici (più spesso ragazze che ragazzi) di prendere diploma
(soprattutto liceale) e laurea o di far dare loro un voto finale basso, perché in generale non si vuole che queste persone considerate
inferiori abbiano quell’ “etichetta” e inoltre perché si vuole rendere loro con ogni mezzo difficile difendersi (il giusto rancore
inevitabilmente accumulato da simili vittime è per i bastardi pericoloso) e lavorare (li si vuole umiliati e sfruttati...del resto qualcuno
deve pur esserlo, dal loro punto di vista!). Nel giudicare i ragazzi maestri e professori sono in genere indifferenti rispetto alle loro
condizioni di vita e reali possibilità e agiscono in contraddizione con i messaggi dei testi e dei programmi e con ciò che di più
essenziale si richiede a un educatore (leggete in proposito almeno Lo sviluppo della personalità di Jung). Ci sono anche casi di
professori che contattano la psichiatria a proposito dei loro studenti (rischiando quindi di rovinare loro la vita intera) senza sapere
assolutamente nulla di dove, come e con chi passano le loro giornate e facendosi guidare da antipatia personale, magari provocata
proprio dall’esigenza, normale in un bambino e in un ragazzo maltrattato dalla famiglia, di ricevere dai suoi insegnanti informazioni
essenziali sugli aspetti quotidiani del vivere e una vera cultura al posto delle quattro nozioni vuote che gli vengono ripetute a scuola
oppure suscitata da quell’emotività eccessiva che è lo stato normale di chiunque da giovane viva da diverso tempo una situazione di
estremo disagio. Facilmente questi insegnanti sfruttano le conseguenze che sul comportamento ha normalmente il bullismo fomentato
da loro stessi tra i loro colleghi e tra studenti a caccia del voto alto all'esame di maturità e di qualche raccomandazione in ambiente
universitario e lavorativo e spesso arrivano a far leggere brutte copie di scritti scolastici in cui emergono sofferenza e blocchi emotivi,
a far apparire come segno di stupidità e malattia mentale ciò che segnala ben altro e a sfruttare seri malesseri fisici (abbastanza
comuni nei ragazzi maltrattati dai familiari).
Infine considerate che ci sono psichiatri in tutti gli ospedali e in tutti gli MTS e che spesso si presentano dicendo di avere un'altra
specializzazione e/o si avvicinano solo dopo aver ascoltato la conversazione del paziente con un altro medico da dietro un pannello
divisorio o da una stanza confinante. Tenete presente anche che psichiatri o medici che prestano abitualmente servizio di volontariato
in pasichiatria sono presenti presso molte guardie mediche. Soprattutto non dimenticate mai che i medici in genere considerano
ipocondria, disturbi psicosomatci e nevrosi come dei crimini e che molti medici di base, specialisti, neurologi e psichiatri sono
disposti ad usare l'etichetta di ipocondriaco o affetto da somatizzazione da stress o da disturbo della personalità al fine di negare
esami necessari, terapie o indagini e sostegno nelle denunce a determinati individui considerati trascurabili perchè impossibilitati a
difendersi, a causa della loro situazione economica e sociale, o da loro disprezzati o dei quali abbiano dedotto, dai sintomi e/o da
esami precedenti, malattie non riconosciute, non approfondite, non spiegate e/o non trattate o altri malatrattamenti gravi e prolungati
da parte di colleghi o familiari il cui favore sia loro utile. Ritenete pure un dato scontato che il governo non protegge dalla
malasanità, che anzi favorisce con svariati mezzi (potete accertarvene in molti modi e non solo guardando il telegiornale e leggendo
forum e altre pagine on line).
PERCHÈ NON CREDO IN DIO (O NELLE RELIGIONI RIVELATE)
CONVERSAZIONI COI CLASSICI

IL GIRO DEL MONDO IN OTTANTA GIORNI

Quando ho bisogno di approfondire qualcosa che ho intuito, non trovo il senso di un incubo o non riesco a prendere delle decisioni in
merito a qualche problema pratico o no, mi sento sola e come prigioniera della rete che qualcosa in me lancia per permettermi di
trovare l’idea giusta e, qualche volta, di colpo la mia vita mi sembra piatta e insignificante e non riesco nemmeno più a ricordare
come mi sento di solito o come tutto si trasfigura appena ho una visione chiara di qualcosa (un’epifania) o se trovo il modo di
comunicare con precisione un’idea. Sono o mi sento esclusa dalla connessione con tutto il resto solo perché non riesco a inquadrare
qualcosa. É difficile e forse impossibile capirlo per chi non ha un bisogno grande come il mio di espressione. Il fatto è che si butta
l’esca e si attende per giorni e giorni, predisponendosi, a ogni risveglio, a ricevere chiarimenti in proposito dalle attività della
giornata o da eventi fortuiti e ci si apre ad attirare eventi imprevisti al limite anche negativi che portino alla soluzione, all’ispirazione
necessaria. Quando parlo o scrivo di ciò che più mi interessa mi sento come una fiamma e in questi momenti di sospensione la mia
passione mi sembra un cerino in una grande pozza d’acqua. Non è certo una tragedia, non è nemmeno un vero problema, ma si
vuole, si vuole Altro. L'insicurezza, la curiosità eccessiva, gli equivoci, l’ostinazione, l’ignoranza, l’eccessiva stima di sé, un
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temperamento monomaniacale, l’aggressività, il dolore…Si può arrivare a recriminare sugli altri quando si misura il successo dei
propri anni basandosi sulle scommesse del passato. Solo il giro del mondo però può insegnare a giudicare se stessi e la vita, mentre
conduce a sorridere infine dello stesso bisogno di misurare, perché la verità sta sempre solo all’orizzonte e l’orizzonte resta sempre
misterioso in ultima analisi e si sposta con chi lo osserva. A volte la vita non accontenterà per farlo solo quando potrà donare tutta se
stessa insieme all'obiettivo limitato, dialetticamente. Come Auda, il messaggio giusto può venire dall’Asia, non tanto nel senso
dell’orientamento culturale orientale, ma perché la sua apparizione è possibile dove meno lo si aspetta e non ha importanza alcuna il
suo veicolo, che sarà assurdo adorare come lo è consacrarsi totalmente a ogni culto, cultura, persona, attività. E col messaggio
giungerà la conoscenza vera e con questa compagni di viaggio per una nuova partenza, che prenderanno il posto di quelle figure
sempre un po’ sfocate dalle aspettative che nascono dall’aver stabilito un traguardo o dal subirlo, in ogni caso rimanendone
incatenati. L’obiettivo, che sia davanti a sè o raggiunto, incatena, perché è creato nel passato, in base alle idee e alle circostanze
sempre parziali del passato. Anche il desiderio più naturale basterà a compromettere col giudizio. Porsi con caparbietà un obiettivo è
tronizzare un’idea: per essa si potrà perdere la vita in un istante o in anni di solitudine e si potrà giungere all’abbruttimento della
violenza o della barbarie. Si può asservirsi a dei traguardi oppure asservire all’esplicazione della propria libertà quanto è suggerito o
imposto dal ruolo sociale o dai propri gusti e caratteristiche, farne la condizione dei propri incontri e esperienze più belli. Camminare
sul filo del rasoio implica la possibilità di guadagnare o perdere la propria vita, ma se si impara ad elevarsi sull’ignoranza e sulla
paura, se si sa limitare la propria aggressività e renderla utile anche ad altri, se si sa dimostrare con la propria generosità almeno a chi
non manca di rispetto che non è solo uno strumento, se nonostante un’idea fissa su qualcuno si sa subirne il fascino fino a liberarlo
almeno in parte dal proprio pregiudizio abituale, se nonostante la stanchezza si accetta di modificare i programmi per accettare
l’ennesima avventura e la si vive con tutta la propria tenerezza…allora, “tutto calcolato”, tra fortune e contrattempi, si può
attraversare la vita senza tagliarsi troppo con la sua lama e, con dei tesori tra i ricordi, perfino vincere in pieno la scommessa, la sola
che offre vittoria reale anche se i suoi termini non possono essere prestabiliti e letti nei dettagli di un verbale. Le caratteristiche
personali appaiono difetti in alcuni contesti e qualità in altri, anche se vengono valutati con lo stesso criterio morale: essi sono doni o
ostacoli secondo punti di vista moltiplicabili a volte secondo traiettorie davvero indefinite del tempo e dello spazio. La contentezza di
sé e il benessere sprigionano dal fondarli sull’accettazione del viaggio, evitando scelte e rifiuti affannati e rigidi (il tipo di scelta
implicato dalla costruzione di un mito di sé) per invece includere: così i propri e altrui limiti appariranno come le premesse
indispensabili dello svilupparsi dei propri destini. Così il senso di un romanzo sta nel mistero della prossima riga, il suo strumento
nelle mancanze dei personaggi, le sue possibilità e la sua dimensione nell’esistenza di chi vi è esterno, la sua verità in un orizzonte
mobile. Così il senso religioso ha bisogno di rifiutare o reinterpretare dogmi e tradizioni.
I FRATELLI KARAMAZOV
X: La mia impressione è che per capire il punto di vista di Dostoevskij bisogna integrare quelli di Alësa e di Ivan e che i due fratelli
siano molto simili: sono due filantropi per quanto in modo diverso, o meglio sono essenzialmente due ragazzi passionali e sensibili al
dolore altrui e al valore della giustizia. Credo che quel che emerge dalla loro discussione alla fine del primo volume sia che hanno
ragione entrambi, ma solo fintanto che non si “buttano sull’astratto”, finché non si mettono a tirar fuori dalle maniche dogmi e lati in
ombra di dogmi come assi. La sensazione che mi dà quella conversazione è simile a quella che ho quando leggo il Vangelo e, proprio
per la saggezza di molte sue massime, non mi capacito degli slanci di fede di Cristo verso un Dio tutto amore nè delle sue
contraddizioni nella definizione del nostro rapporto con la divinità (siamo liberi e amici oppure servi?). La concezione cristiana di
Dio come “Bene” peraltro creò confusioni e grande disagio fin nei primissimi cristiani, come afferma Jung parlando del rapporto tra
Cristo e i simboli del Sé: la realtà, come la personalità umana, è troppo contraddittoria per consentire semplificazioni astratte e teorie
confortanti, le quali sono anzi sempre degne di disprezzo per chi possiede sensibilità e coscienza.

Y: Quel lungo dialogo tra Ivan e Alësa mi fa pensare un po’ a La peste di Camus, al concetto di astratto espresso in quel libro. E
considero allora anche quel che tu hai scritto sul mistero che, come ogni vuoto, spinge a gettarsi in esso, ad approntare reti con
maglie sempre più rigide… insomma, a dar vita agli “ismi” più svariati (“onesto è chi evita le astrazioni facili e, davanti all’abisso del
mistero, si ferma e si impegna in modo razionale”). Del resto come si fa leggendo I Fratelli Karamazov a non pensare a Camus, che
in Lo straniero sembra scrivere buona parte della scena del processo sul canovaccio del processo a Mitja e che in L’uomo in rivolta fa
di Ivan un riferimento assoluto? Non mi avevi parlato anche tu del legame tra questi due scrittori?

X: In L’uomo in rivolta Camus parla a lungo di Ivan, che per lui è il portavoce di Dostoevskij, ma a me non sembra del tutto giusta
questa identificazione, perché Dostoevskij non approva del tutto il punto di vista di Ivan su Fëdor, che non è affatto rappresentato
come “un infame”, anche se così lo definisce Camus. E la conclusione “Tutto è lecito”, non è certo approvata dall’autore a proposito
di Ivan più di quanto fosse quando era riferita a Nikolaj in I demoni. Del resto Camus afferma anche che Ivan ha ucciso il padre
lasciando agire Smerdjakov, mentre nel testo è chiarissimo e viene ribadito più volte che Ivan non è colpevole dell’omicidio
nemmeno in minima parte, perché, non lui, ma una parte inconsapevole e irrazionale di sé ha il presentimento di quanto stava per
accadere a Fëdor. Però capisco che non è di certo vero che l’autore parli attraverso Alësa, anche se il suo cristianesimo pare cosa
certa, anche perché Alësa, per esserne davvero il portavoce, viene rappresentato troppo spesso come un bamboccio ingenuo e troppo
abituato sia a piacere che a dare fiducia a chi ha una natura troppo complessa per essere giudicato con il suo metro. Come mai non
comprende la sua stessa ragazza? (nell’ultima scena che coinvolge Alësa e la sua fidanzata egli non si rende minimamente conto che
lei mente). Quanta parte hanno il segreto di questa ragazza (quello mai svelato nel libro e per il quale lei si “punisce” schiacciandosi
le dita con la porta) e l’eccesso di fiducia e la mancanza di penetrazione di Alësa al riguardo sul precipitare della malattia di Ivan? E
non è un po’ ridicolo il rammarico di Alësa quando si accorge che Ivan lo ha tolto dal piedistallo durante la lunga chiacchierata? E il
disagio che lo coglie poi continuando a parlare con Ivan è ancora più rivelatore, perché fin dal primo ritratto di Alësa si dice che egli
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giudica dell’esistenza di Dio e del valore dello starec dopo averci riflettuto per un certo periodo e una volta per tutte, mentre niente e
nessuno possono essere giudicati così: per aderire alla realtà e avvicinarsi alla verità bisogna prendersi molto tempo ed essere sempre
disposti a cambiare idea, pena un certo fraintendimento. L’incomprensione di Alesa mi pare rivelata in particolare dalle pagine
relative al manoscritto dello starec.

Y: Se quella sezione del libro è così fondamentale per capire Alësa, è davvero ironico che tanti lettori si limitino a sfogliarla
infastiditi, come se si trattasse del sermone convenzionale di un prete logorroico…

X: Alla prima lettura anch’io l’ho scorsa rapidamente senza capirla, eppure la sua posizione subito dopo il capitolo sul poema di Ivan
è un segno, un invito a leggerla attentamente. Anche i titoli degli estratti del manoscritto sono un segnale.

Y: Titoli assurdi e così simili a parodie che mi ricordano Milton (definirei anch’io, come molti, Il Paradiso Perduto una riuscita
parodia della Bibbia)

X: Però il riferimento credo sia ai titoli ironici sui capitoli che descrivono il lamento e le azioni di Mitja durante la sua crisi nervosa
(quella che precede l’omicidio) e a quelli sarcastici delle fasi del suo processo (quelli con cui l’autore ironizza sulle teorie folli,
stupide, indifferenti e con sempre più scarso rapporto con la realtà di psicologi e giudici): alcuni dei brani dello scritto dello starec
sono davvero in effetti stupidi e folli e zeppi di astrazioni molto discutibili, come quella per cui sarebbe il valore sommo la verità dei
santi e non piuttosto il destino di coloro per cui essa è inaccessibile o sulle cui sofferenze ingiuste e/o crudeli si è affermata.
Soprattutto nel manoscritto lo starec, attraverso la trascrizione troppo umile e cieca di Alësa, afferma che l’inferno è pieno di uomini
descritti come cani rabbiosi, che rifiutano il Paradiso e desiderano la distruzione del mondo e l’”annullamento” di sé (e qui si usa
un’espressione che Ivan aveva usato parlando del suo desiderio nel capitolo precedente): essi vengono davvero rappresentati come
mostriciattoli che schiumano di rabbia o desiderio di vendetta oppure come ragazzini stupidamente ribelli a causa della loro
immaturità… E si parla del mondo che loro disprezzano quasi come di una specie di possedimento terriero del Signore, marcando
con una serie di pronomi possessivi il principio di proprietà e autorità! All’inizio del romanzo invece lo starec appariva capace di
ascoltare con empatia i fedeli e chi desiderava conoscerne l’opinione e dalle sue parole traspariva un cristianesimo aderente alla
complessità della realtà e pieno di rispetto e acume per i limiti, le qualità e le possibilità implicite nei destini individuali e nelle
personalità degli interlocutori, tra i quali era anche Ivan: Ivan era stato definito dallo starec grande, perché per natura portato a
ponderare questioni non meschine, e la sua ricerca era stata da lui definita elevata, tanto da non poter essere considerata chiusa e
fallimentare nemmeno con la morte. Inoltre, anche se c’è qualcosa di vero nel giudizio dato a un certo punto della condotta di Ivan
quand’è definita un “baloccarsi con la disperazione” o un accumulare per rifiuto, inerzia o paura, sarebbe più esatto parlare in
proposito di blocco e inoltre resta vero che è reale la sofferenza di Ivan per il dolore delle vittime, soprattutto infantili, della crudeltà:
è sincero quando dice che per lui la questione non è il rifiuto di Dio in sé o la ribellione orgogliosa per la ribellione, ma invece
l’impossibilità per lui, data la sua natura sensibile e morale, di consentire alla tortura su cui si basa la creazione e anche di
immaginarsi in un eliso a fare la ola a un Creatore come quello ebraico e cristiano.

Y: In fondo è comprensibile: quando a scuola leggevo Il Paradiso di Dante, mi parevano insopportabili i santi del Paradiso in volo o
tra i fiori, indifferenti al dolore di Pier delle Vigne, Ulisse, Paolo e Francesca. Comunque mi pare che ora, parlando dello starec, tu
voglia marcare di nuovo come la lucidità si offusca quando la riflessione sulla natura della realtà diventa astratta.

X: Appunto. Anche Alësa in fondo non riesce a non dar ragione a Ivan: Alësa non riesce a non ammettere che non potrebbe accettare
di essere l’architetto di una creazione magari dal fine luminoso ma fondata sulla tortura di anche un solo bambino. Se poi egli parla
della presenza dell’amore nel cuore dei torturati dalla violenza, dalle malattie, dalla perdita o dalla debolezza di mente o se rileva la
ricca sensibilità di molti balordi ridicoli (come “Straccio di stoppa”, ma forse anche Fëdor) e se, ubbidiente, sottolinea il mito
dell’innocenza di Cristo, è anche vero che lo fa con immagini deboli e argomenti che convincono poco e non cancellano affatto la
profonda impressione che lasciano i racconti di Ivan di atrocità insensate.

Y: Che libro strano: una volta che lo si è letto non si riesce più a prescinderne, almeno nel considerare libri e film in cui si tratti delle
questioni fondamentali dell’esistenza. Per noi è stato così.

X: E chissà, forse la morte di tutti i figli di Dostoevskij durante l’infanzia, compresa quella del suo bambino Alësa, è in relazione con
quel lungo lamento di Ivan… Voglio dire che una persona sensibile può rinnegare Ivan con la testa e con un atto volontaristico, ma
non può cacciarlo dalla regione profonda di sé. Quel capitolo “fa concorrenza” a Lo straniero misterioso di Twain.

Y: Io invece di nuovo penso a Milton, perché l’elenco di eventi insopportabili che chiude il Paradiso Perduto vi somiglia. Che ci sia
un filo che lega questo libro a quello di Milton? Quando Ivan chiama Alësa “Pater Seraphicus”, tanto da far sì che Alësa si chiede da
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dove citasse, è Milton il riferimento? Certo Alësa è più fragile e scosso anche nella fede alla fine del libro: ti ricordi quelle domande
che fa al bambino su Voltaire?

X: Le parole che l’Eva di Milton pensa e dice al serpente e ad Adamo, cadendo nella tentazione, secondo me danno voce allo Spirito
e costituiscono una sintesi delle principali riflessioni su Dio tipiche di chi è dotato di spiritualità e natura morale, mentre gli eventi
che seguono rappresentano l’interpretazione di alcuni aspetti della realtà in base al principio del potere per il potere, ovvero al criterio
che regola la maggioranza dei rapporti tra viventi o tra gli uomini, ma non certo tutto: chi codifica in sistemi e si preoccupa di
diffondere le religioni per lo più ama il comando e lascia che a informare i suoi sforzi sia di regola il principio di autorità, tanto che
chi è dotato di spiritualità e senso della giustizia spesso comprende presto che, se desidera rispettare e coltivare ciò che è morale e
spirituale, deve rassegnarsi a vivere e a pensare al di fuori di ogni istituzione e fede religiose. A proposito di rimandi a Milton, anche
se forse è solo uno strano caso, è curioso notare come alcuni brani del manoscritto dello starec ricordino, in termini rovesciati, Il
cannocchiale d’ambra di Pullman, ispirato a Il paradiso perduto: vi si dice di come, qualora morisse “ciò che è cresciuto in sé”, si
diventerà indifferenti alla vita e si comincerà a odiarla e di come tutto ciò che è cresciuto in sé resterà vivo in virtù dello stretto
legame - come per Pullman in virtù della separazione – rispetto ad altri “mondi misteriosi” da cui Dio avrebbe preso “i semi”. Nel
manoscritto dello starec si parla poi, secondo punti di vista opposti e in termini molto simili a quelli di Ivan e di Pullmann, anche del
sottomettersi ciecamente al Mistero che non si può capire e si definiscono i tre poteri – Mistero, Miracolo, Autorità – per soggiogare
le coscienze, cui si oppongono uomini-ragazzi, quei ribelli all’autorità del Signore Padre, che all’inferno brucerebbero restando fieri,
come gli eretici sul rogo.

Y: L’aver nominato Milton a me intanto ha fatto venire in mente invece il ribelle malinconico di Come vi piace: anche se quel
personaggio di Shakespeare ha sfumature diverse ed è più distaccato e più curioso di Ivan, tra i due noto una parentela lontana
comunque.

X: Quel personaggio di Shakespeare e Ivan sono forse entrambi dei veri e propri archetipi, nel senso che dà Jung al termine. Sono
qualcosa di vivo ed eterno: Ivan non morirà mai e avrà sempre degli eredi indipendentemente dalla volontà di chiunque. Forse Ivan è
al centro anche della mia personalità. Nella scena finale del film Fahrenheit 451 forse io sarei I fratelli Karamazov. Al centro di
L’uomo in rivolta io vedo un messaggio simile a quelli di I fratelli Karamazov. La logica porta a tutto: questo è il messaggio che
discute Camus in L’uomo in rivolta ed è anche il messaggio che Dostoevskij dà attraverso le elucubrazioni di Smerdjakov prima
ancora che con Ivan. Da questa accettazione delle conseguenze di affidarsi alla logica, viene la necessità di un punto fermo che viene
offerto dal sentimento. Si pone la differenza tra sensato e giusto in primo piano: secondo la “testa”, Ivan, in un attimo in cui vi è
trascinato, arriva al “tutto o niente”: per natura è infatti troppo razionale e bisognoso di coerenza quanto poco capace di intimità e di
percepirsi creatura e quindi di accettare serenamente e con indulgenza i propri limiti e la propria complessità (quindi il suo destino);
secondo il sentimento, invece, Ivan arriva a concepire l’idea che si potrebbe esprimere così: “Odio la creazione perché la tortura non
è giusta e ciò resta vero anche se voglio vivere e anche se Dio stesso mi desse di essa una spiegazione, me ne chiarisse il senso”. Se si
rifiuta Dio e il mondo, in nome di un senso di giustizia, quel senso del giusto così forte deve diventare Dio. Io sto con Ivan per quel
suo lungo discorso che è impossibile dimenticare una volta letto e perché quel suo impazzire di dolore e arrivare così vicino al morire
a vent’anni mi è insopportabile. Un senso il destino di Ivan può anche averlo, ma che importa? Quando avevo circa vent’anni, mi
comportai davanti a un frate circondato da diverse persone come Ivan con lo starec, mi tormentavo quanto Ivan sull’inaccettabilità
delle ingiustizie che subivo o vedevo subire ad altri e, come Ivan, dicevo che mi sarei suicidata appena arrivata alla trentina, dato che
quel limite di età, a causa dei miei vent’anni, mi sembrava lontanissimo e non riuscivo a concepire la morte se non in modo molto
astratto. Quando qualcuno mi spinse, con le azioni e gli inviti espliciti, ad anticipare quel suicidio di dieci anni, io evitai di
assecondarlo più per caso forse che per merito e se non impazzii non fu perché non ce ne fosse ormai la possibilità: ora che il mio
percorso di evoluzione è forse quasi al vertice, come faccio a non chiedermi che razza di morte stupida e crudele sarebbe stata la mia
se fosse accaduta allora, quando sapevo della realtà solo il peggio e anche quello in modo limitato e quando non possedevo ancora
davvero me stessa?

Y: Quando frequentavo le medie e ancora nei primi anni del liceo non legavo molto con i miei compagni di classe e istintivamente
avrei cercato piuttosto la compagnia egli insegnanti: così viene descritto Ivan studente e così la biografia descrive Dostoevskij da
giovane. E conoscevo per esperienza il problema che blocca Ivan, come Raskolnikov, quella difficoltà di integrare esigenze del
sentimento e di una natura morale innata con i processi della logica, per cui entrambi questi personaggi finiscono col fare, senza
sapere perché, qualcosa che sanno sconvolgerà la loro vita. Di Raskolnikov si dice che andrà incontro a una “straordinaria rinascita”.
Forse Dostoevskij è Ivan dopo la rinascita…E tu…

X: Sì, io…Ma ora non parliamone. Comunque credo capiti spesso, in effetti, che, dopo l’esperienza di una vera e propria rinascita,
nasca in chi l’ha vissuta un enorme bisogno di esprimersi: non ci si stanca più di parlare e si comincia a scrivere, se non lo si faceva
già. Scrivere però non darà giustificazione al dolore vissuto.

Y: Il medico di La peste forse potrebbe essere definito un Ivan adulto e andato ormai al di là del puro raziocinio e degli estremi della
passione, un uomo capace di vivere e amare contro la logica, ma che potrebbe ancora essere nichilista - se nichilista può essere
definito anche chi è pronto a favorire la distruzione della vita per un valore più alto -, almeno qualora le circostanze permettessero di
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esserlo fino in fondo senza provocare ad altri un eccessivo o troppo duraturo dolore… Tra le figure esemplari additate ai lettori dal
libro, quel medico mi pare stare appena un gradino sotto a Rambert. La concezione che questo medico ha di dio e dello scopo
dell’esistenza non è diversa dalla tua.

X: Sì, è vero. Comunque in generale, per quanto mi riguarda, affronterò con razionalità e onestà le due principali questioni poste da I
Fratelli K. : l’unico esempio che seguirò è quello di chi accetta le leggi della realtà considerandole impersonali dati di fatto, senza
cercare di immaginare nulla sul concetto di Dio che non sia una loro semplice constatazione, pur nutrendo rispetto per alcune di esse
(quelle leggi naturali che presiedono allo sviluppo di qualità, personalità e benessere). Se esistesse un Dio personale interventista,
non meriterebbe considerazione...E riguardo al diritto di procreare, il massimo di apertura che concepisco è quella molto cauta e
responsabile che Jung esprime in Lo sviluppo della personalità.

Y: In quanti libri oggi si delinea un atteggiamento simile soprattutto riguardo al concetto di Dio?! Il successo che attualmente ha
molta letteratura fantasy si spiega anche così.

X: Credo di sì. Considera anche solo la quadrilogia di Paolini Il ciclo dell’eredità…Queste righe provengono dal secondo volume
della serie (Brisingr) ed in esse Paolini espone il concetto con grande semplicità e chiarezza per bocca del Vecchio Saggio: “Morte,
povertà, tirannia e altri innumerevoli calamità affliggono la terra: se questa è opera di esseri divini, non sarebbe giusto allora
ribellarsi e negare loro rispetto, obbedienza e devozione? (…) Non ignorare la realtà per trovare conforto, perché altrimenti rendi più
facile agli altri ingannarti”.
Negli ultimi capitoli di Il mondo di Sofia l’autore parla della consapevolezza umana come di uno scopo della creazione: la materia
vuole conoscere se stessa attraverso l’uomo. Egli ne parla come di qualcosa di immenso valore, io invece sono e resto dell’idea di
Ivan: non esiste consapevolezza che valga una sola tortura. Del resto, conoscersi non significa di per sé arrivare a una consapevolezza
morale o che riguardi gli uomini (l’astratto non esiste, esistono individui che la natura forse crea anche al fine di arrivare a una certa
conoscenza, ma che per lei contano pochissimo).

Y: Il senso di giustizia è, a quanto sembra, innato e distribuito dalla natura a pochissime persone, per quanto alcune altre ne abbiano
qualche particella e possano, attraverso l’esperienza e le letture acquisirne qualche altra. Dimostra quanto il senso di cosa è giusto sia
raro anche il fatto che tocca spesso leggere assurdità riguardo alla teoria della reincarnazione, tipica delle grandi regioni orientali:
come si può dire, con Maugham ad esempio, che questa legge annulla il senso di indignazione umana di fronte all’esistenza del
dolore, soprattutto se questo è insopportabile e lungo e se niente nella vita della vittima può farlo apparire giustificato, qualcosa di
scelto o una punizione? Cosa importa l’entità delle ingiustizie compiute in un’ipotetica vita precedente se l’io, nella nuova esistenza è
un altro? Il fatto che per le ingiustizie compiute da qualcuno paghi un altro individuo è anzi proprio il massimo di ingiustizia
concepibile. E ho letto in una rivista un articolo in cui una sedicente esperta di astrologia interessata a questa teoria si chiedeva come
mai tante persone “scelgono” (nell’aldilà che precede la loro nascita) di soffrire tanto nella loro esistenza! Per la gente che soffre lo fa
sempre per propria colpa… tanto importante è poter pensare che non è poi grave non fare niente per evitargli quelle sofferenze. E che
importanza ha vivere di nuovo se non si sarà più se stessi e si perderà perfino il ricordo di ciò che si è costruito e si ama.

X: Di certo, comunque, la “legge” della reincarnazione è così ingiusta che probabilmente è vera o almeno credibile, dato che la
natura ha predisposto che per le colpe dei genitori (colpe non solo morali o volontarie, ma anche quelle coincidenti con eccessi di
virtù e squilibri innati o creati in età in cui più si è indifesi e meno si è responsabili) paghino i figli. Per avere conferma su questo
basta forse l’osservazione e non è sempre indispensabile conoscere i casi raccolti in Lo sviluppo della personalità (la legge stessa di
bilanciamento e misura che regola le vicende storiche umane è una legge di armonia immorale e rivoltante). Un esempio di questa
legge cui ho pensato di recente è tratto dalla storia degli antichi Romani: per la classe dei senatori e quella dei cavalieri che avevano
eseguito gli ordini di Verre e di altri mostriciattoli in parte simili a lui o che ne avevano nascosto i crimini che punizione migliore si
poteva immaginare di infliggere loro gli imperatori? Ma quante persone appartenenti alle classi più alte di grande valore, cultura e
umanità hanno sofferto e sono morti a causa di Tiberio, Caligola, ecc.! E tieni presente che un esempio fatto da Jung al riguardo è
anche peggiore, dato che egli interpreta l’affermazione del Nazismo come una manifestazione della legge di misura, propria
dell’inconscio collettivo, secondo la quale gli aspetti di esso più primitivi e violenti sono insorti per compensare la maggiore
estensione dell’istruzione e del benessere economico (effetto dello sviluppo tecnologico). Il mondo è sicuramente pieno di cose
bellissime: è meraviglioso che esistano coppie come noi legate solo da un affetto profondo e disinteressato, che dei genitori siano in
grado di amare i figli senza narcisismo e di dare loro ciò di cui hanno bisogno, che si possa guarire da molte ferite orribili del corpo e
della mente, che io e altri informiamo gratuitamente su questioni di grande importanza per il benessere. Ed è bello poter essere vicini
agli aspetti migliori della natura – dal giardino di casa soleggiato al paesaggio remoto e speciale – e ciò perfino nonostante il fatto
che un semplice cambiamento di luce spesso basta a infrangere il senso di benessere profondo che questa intimità con la natura a
volte dà e nonostante anche che fu il bel sole che splendeva su Hiroshima a far scegliere al pilota quella città per gettare la bomba
atomica. La vita, quante possibilità inesplorate… Sì, tutto ciò è bello, è verissimo, ma resta il fatto che il prezzo è troppo alto. Ivan
non poteva dire meglio o di più. Non so più se fu la De Beauvoir a scrivere che un oggetto bellissimo, come un raro gioiello, diviene
o dovrebbe essere considerato qualcosa di misero ed orrendo appena si pensi che a per produrlo sono state necessarie la tortura, la
schiavitù e l’omicidio. Fromm, descrivendo la necrofilia e spiegandone origine e conseguenze, fa una importante distinzione per
poter riconoscere il necrofilo quando sottolinea l’importanza di conoscere il motivo per cui una persona odia la vita e spera solo nella
distruzione, pur preferendo ancora vivere la propria esistenza e cercando di aiutare con discrezione e impegno altri a stare meglio: si
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può odiare la vita perché la si ama, si può essere spinti dall’odio per le ingiustizie troppo numerose e irrimediabili a odiare la vita, che
tortura uccide e lo fa con indifferenza e magari tra le risate della gente; si odia la vita, si odia la gente. Chamfort affermò che
misantropia vuol dire filantropia e che non è possibile capire molte cose se non invertendo i significati di alcuni termini stabiliti dal
senso comune.

Y: Ma è una filantropia che non spinge a frequentare molti, che porta a rinchiudersi in casa e in sé e resta sterile. Non lascia alcuna
possibilità di tolleranza per chi non è buono, anche quando si tratta di qualcuno che a volte sa offrire qualcosa o di qualcuno che non
ama lo sport della caccia alle streghe.

X: Non si è necessariamente sterili restando in casa ed evitando ogni contatto con chiunque non sia il partner: se tutto quello che ho
scritto e messo in rete non basta a dimostrartelo, significa che ora qualcosa ti impedisce di essere obiettivo. Ammetto che la
tolleranza posta ad esempio dal libro di Giona mi è incomprensibile e di non dare alcun valore agli impulsi generosi se istintivi, se
nati e morti sul momento e rari, e nemmeno alla consapevolezza saltuaria, ai residui di coscienza contraddetti dalla prassi di una vita
e al dolore di chi non ha né l’istinto di ciò che è giusto né la voglia di riflettervi senza pregiudizi interessati. Forse concordo con quel
mafioso che, in Il giorno della civetta, si sfoga abbattendo il concetto di umanità.

Y: Eppure ci sarà una sorgente di questi impulsi saltuari, di quelle manifestazioni spontanee di una coscienza dalla voce tanto fievole
ma inconfondibile! Perché non rispettare almeno quella sorgente?Ciò ti aiuterebbe forse a sopportare meglio loro e la vita stessa.

X: In un libro orrendo di Giussani (l’autore sfruttato dai ciellini di Comunione e Liberazione per sostenere la loro maleodorante
mentalità di casta) egli fa molto in fretta a dimostrare l’esistenza dl suo Dio: egli sentenzia che non può non esserci una sorgente
dell’amore, ma il fatto è che può eccome. L’amore profondo esiste per lo stesso motivo per cui esiste il sadismo (ti rimando a
Fromm): a un certo punto della storia dell’essere c’è stata una deviazione e l’uomo ha cominciato a pensare purtroppo…Tutto il resto
è il risultato delle leggi della psicologia. Quando io ascolto Battiato – di rado del resto – ho sempre cura di farlo con criterio: quando
Battiato canta di un “oceano di silenzio sempre in calma”io penso a quel silenzio particolare che si sperimenta durante una
meditazione ben fatta; Quando canta che “le gioie del più profondo affetto sono solo l’ombra della luce”io penso al fatto che a volte
manifesto un amore particolarmente profondo per te o per me stessa e che, rispetto a quelle occasioni, il resto dell’anno è l’ombra
della luce. Emily Dickinson fu una dei poeti che più ebbe il senso di una sorta di intimità con qualcosa cui dava il nome “Dio” senza
essere religiosa in senso stretto, ma anzi dichiarando di essere avvolta dal mistero e dall’inquietudine e aborrendo il modo di vivere il
senso religioso della Chiesa, alla quale lei non si appoggiò per descrivere questa presenza silenziosa simile a un senso di solennità
avvertito mentre era sola e poteva dialogare con se stessa e intuire certe verità, quando riusciva a trovare le parole giuste per
esprimerle. Comprendere nobilita, restare in se stessi a lungo rimanendo lucidi nobilita, avvertire di essere più vicini alle cose e al
loro senso nobilita e tutto questo rende a volte tutto solenne per un po’. Anche Rainer Maria Rilke e Novalis parlarono di una sorta di
intruso misterioso , una presenza quotidiana illuminante evocata dalla lettura o dalla solitudine amara. Per esprimermi
appoggiandomi a un'immagine di Rilke, una verità può stagliarsi nella mente visionaria o sensibile con forza come il raggio portante
in una ruota (il processo inconscio è al di là di ogni controllo e a ogni intuizione seguirà, prima o dopo, un’altra, magari dalla prima
fecondata). L’inconscio è autonomo, una presenza dotata di vista più ampia di quella cosciente e di leggi proprie e i processi
dell’affettività sono altrettanto profondi che incontrollabili, perciò che bisogno c’è di parlare di un Dio nei termini della fede? Non si
è espresso in parte anche su questo Conrad, quando ribadì il disprezzo del sopranaturale nela sua prefazione a La linea d'ombra?
Perché tirare in causa una qualsiasi divinità rivelata e perfino un Dio padre assurdo come quello cristiano? Non bisogna uscire da una
mentalità radicata nel principio di immanenza se non è indispensabile e a me sembra che tale non lo sia mai. Ammettere una sorgente
dell’amore e del senso della giustizia in un al di là comporta il precipitare nell’assurdo del manicheismo (anche cristiano) oppure
nell’immorale e abbietta giustificazione del dolore più insopportabile con qualche cretinata su vite precedenti peccaminose, sugli
eletti predestinati, magari addirittura santificando la legge del più forte, del più intelligente, ecc. Solo i mostri o i sognatori ostinati
(forse è questo il caso del cristiano onesto Tolkien) e troppo deboli nel ragionamento (per plagio di vecchia data, per vigliaccheria
eccessiva, ecc.) possono assumere posizioni simili senza turbamento. E ancora peggiori forse sono coloro che rispondono a chi li
interroga con frasi del tipo: “non so perché ci sia tanto dolore e tanta ingiustizia, ma credo ci sia una ragione e mi affido a dio”
oppure “Eh ma l’amore…”. Del resto si può appurare subito quanto basso è il livello del “pensatore” Giussani quando si legge il
resto del suo libro a proposito della misteriosa sorgente “X”: egli arriva a scrivere che è giusto - razionale - fidarsi del personaggio di
un libro vecchio di duemila anni e peraltro parecchio rimaneggiato, contraddittorio e oscuro, perché lo è fidarsi della madre e
mangiarne il risotto anche senza prima farlo analizzare per escludere l’ipotesi del veleno (cioè con il fatto che l’atto della fiducia
nella vita a volte ha un senso ed è ragionevole). E non credo sia un caso se ho conosciuto pochissimi ciellini e adepti di qualsiasi altra
setta con in testa, nel cuore, nelle intenzioni e nelle parole stesse altro che la religione degli eletti, quella senza volto e nata con
l’uomo: niente, al di là del narcisismo e degli interessi economici e di protezione reciproca, è riscontrabile nella maggior parte di
loro (per quanto ci siano poche e bellissime eccezioni).

Y: La Chiesa non ha mai sostenuto altro che il principio di autorità e di casta fin dagli inizi: Agostino e quell’altro esaltato sadico di
Paolo non vedevano che una piccola porzione di eletti di cui facevano parte in un mondo destinato all’inferno; Lutero e Calvino
calpestarono il messaggio delle parabole e delle dichiarazioni sui ricchi e sui poveri appena poterono sentirsi protetti e fare gli
interessi della loro classe borghese ormai rafforzatasi e questo perfino nonostante il Vangelo fosse più diffuso al loro tempo grazie
alle traduzioni dal latino; in seguito molti esponenti dell’alto clero se ne infischiarono del Vangelo al punto da insinuare che le
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parabole sul perdono erano falsi testi interpolati nel corso dei secoli bui, mentre esaltarono messaggi come “costringeteli a entrare” o
“sono venuto a portare la spada” (ne scrisse Voltaire). Da nessun religioso, poi, sono mai stati e saranno mai considerati con la dovuta
serietà i ripetuti esoliciti inviti del “messia” a credere non tanto in lui quanto nello spirito e a pregare soli e senza parole. Chi si
arricchisce sente il bisogno di fare tabula rasa dei diritti dei poveri e di non mescolarsi. I ciellini sono quasi tutti benestanti e questo
deve pur avere un significato.

X: Esopo o Fedro scrisse della sofferenza eterna predestinata dell’asino? Dopo essere stato reso schiavo, percosso di continuo e
affamato in vita, anche dopo morto l’asino avrebbe sofferto, dato che la sua pelle sarebbe servita a rivestire tamburi. Ragionando
come la gente, potrei dire che non era allora tanto grave percuoterlo e affamarlo. Io però sono, come l’asino, nata con una natura e
una famiglia che non mi hanno lasciato scampo e fin dall’infanzia ho subito la tortura fisica e psicologia e i giudizi ingiusti e
indifferenti di quasi tutti quelli che ho incontrato, ma da anni ormai raccolgo felicità e benessere e mi sento realizzata e, per certi
versi, perfino fortunata. Il principio alla base della religione degli eletti è privo di senso.

Y: Mi sembra che questa consapevolezza dovrebbe permetterti di avere uno sguardo sereno, che invece non vedo mai.

X: Non basta che ci sia qualche legge positiva a regolare i destini (almeno quelli umani) per spingere chi ha avuto una vita come la
mia ad abbracciare il mondo e l’esistenza, come se si potesse dire che davvero, con l’atteggiamento giusto, la vita è pur sempre bella.
Levi racconta di essere finito nel lager perché era andato a fare il partigiano in montagna senza avere i mezzi per rendere i rischi non
troppo grandi. Scrisse di essere stato vittima della legge naturale secondo la quale si può intraprendere un’azione solo se si ha la
capacità di realizzarla. Racconta anche che, al momento della cattura, avrebbe potuto salvarsi facilmente se solo gli fosse venuto in
mente o qualcuno gli avesse suggerito di mentire sul suo essere ebreo, per via della situazione particolare in quel luogo, ma che le
leggi ferree della realtà non permisero niente del genere. A me è accaduto lo stesso: ho agito a lungo in modo imprudente e
irrazionale e pertanto ho “meritato” le torture fisiche e psicologiche insopportabili e lunghissime e l’essere stata così vicina a morire a
un’età tanto giovane e senza alle spalle nessuna gioia, serenità, tregua. È tutto tanto semplice… E da quando ho potuto iniziare a
comportarmi in modo più razionale e coerente, ecco che la mia vita è migliorata progressivamente e io con essa. Tutto semplicissimo!
Levi scrisse poi che le leggi razziali e la giovane età gli avevano impedito di avere una vita sociale, di fare esperienza e di leggere
quanto basta per adeguarsi a quelle leggi che lo rovinarono con un’ingiustizia, quindi, assoluta e immensa. Io allora affermo che la
famiglia, il mio cervello col centro nel posto sbagliato, la mia Carta Natale, le malattie congenite e create e mai curate dalla famiglia
nell’infanzia e oltre, la mancanza totale di informazioni essenziali per vivere e un incontro incredibilmente sfortunato durante
l’adolescenza determinarono 27 o 28 anni di debolezza, disperazione e sofferenza senza rimedio, anni che non potranno mai essere
compensati da tutto ciò che ho ricevuto da te, dalla natura del luogo dove ora vivo e dalla ricchezza dei doni della mia mente nella
vegliao nel sonno. Finchè non ho ricevuto un aiuto abbastanza adatto a me e al momento giusto non mi è mai servito a niente capire
bene persone e situazioni. Soluzioni valide "in generale" ce n’erano sempre state ed io ne conoscevo alcune all’epoca, ma nessuna era
adatta alle forze e ai mezzi di cui disponevo e a volte nemmeno ai miei valori e alla mia natura meno modificabili. Le “vere”
soluzioni a problemi difficili da sopportare e da risolvere di solito sono poche. Ce n’erano di soluzioni adatte a me, ma per conoscerle
avrei dovuto ascoltarle da qualcuno, avere i titoli dei libri in cui le si espone nei dettagli, avere alle spalle esperienze che non avevo
fatto e non potevo vivere.

Y: Avere tanti problemi fin dall’infanzia ed essere stati lasciati sempre soli ad affrontarli fino a farli accumulare ed esserne stati
bloccati nella comunicazione - e ciò mentre si divide casa con grandi bugiardi! - genera di per sé passività anche in chi, pur non
avendo innato sangue freddo, è però un ribelle e possiede la forza e il coraggio del carattere. Forse sei stata troppo passiva...Sei sicura
di aver cercato davvero quelle soluzioni?

X: Certo! Nel modo possibile a chi non sa parlare, non sa agire bene senza riferimenti e senza una base…ma sì, le ho cercate.
Comunque, passività o non passività, ci sono situazioni da cui è difficilissimo uscire per qualsiasi ragazzo che non può contare sulla
famiglia. Io dico sempre che una cosa è avere tanti problemi (come ne ho da dieci anni) e un’altra cosa è non avere l’essenziale per
iniziare a vivere (una casa dove vivere soli o con una persona scelta e possibilità di esprimersi a parole e azioni, di informarsi, di
seguire progetti personali e di avere ogni giorno diversi momenti di serenità senza evadere e senza fingere). Iniziare a vivere quasi a
trent’anni è iniziare troppo tardi, con malattie, problemi sociali ed economici grandi e irrimediabili e immenso rancore. E c’è chi non
ottiene nulla neanche così tardi. A corrispondere alle pretese della gente che si possa mantenere la testa e i nervi saldi in ogni
situazione ed a ogni età ci sono solo i film (vedi i primi film Harry Potter e, ecc. o Le ali della libertà, un film di cui anche Levi
scrisse con disprezzo) e alcuni libri (vedi Matilda di Dahl), mai la realtà. E se io e Levi o altri non eletti fossimo nati degli stupidi –
tanto per usare un termine caro a tutti – ancora di più il nostro destino e l’aggressività altrui sarebbero stati ingiusti (concetto questo
incomprensibile per la gente solo perché il mondo è fatto di mostri per il 90 per cento). No, non accetto la Vita, il mondo, e spesso
vorrei che tutto venisse distrutto una volta per sempre.

Y: Non c’è abbraccio, sorriso o dono concreto che possa farti cambiare idea. É vero, la natura non ha alcun interesse per gli individui,
ma solo per l’insieme e per di più ciò che essa ottiene dal singolo di rado dà a lungo buoni frutti alla comunità, se ne dà. La tua è
consapevolezza per la consapevolezza, conoscenza di cui si può sempre ridere, non estendibile a tutti e ottenuta a prezzo di
sofferenze e angosce insopportabili accumulate in un’esistenza breve. E hai pure ragione di considerare vita solo gli ultimi anni! E
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considerato come va ed è andata a molti altri, si potrebbe dire che devi pure considerarti fortunata!! È insensato e orribile, sì. Pare che
il tuo destino davvero non sia stato di stare bene ma di capire: non può essere un caso se nella tua carta natale si trova predetta una
vita di studio e anche un cambiamento di credo…Però se non c'è dio, non hai nemmeno accanto a te un insopportabile credente e hai
motivi per goderti gli anni che ti rimangono. A dio e alla gente si può non pensare troppo e si può apprezzare la propria vita senza
giustificare la Vita. Non potrai mai riconciliarti con la vita, con la natura e con quel che la gente chiama dio, così come non puoi non
essere misantropa.

X: Infatti. E lo penso pur avendo fiducia in alcune leggi della realtà, te lo ribadisco. Prima di conoscerti i miei tentativi erano minati
alla base dalla convivenza con i miei familiari, ma in seguito ho vissuto con più fiducia di quel che può sembrare, per quanto non
abbia mai confidato nell’aiuto della natura come un qualcosa di garantito. Se non avessi avuto fiducia non avrei iniziato, modificato e
portato a termine molti libri e i miei documenti online e non avrei insistito nei miei tentativi di superare nevrosi e traumi, mangiare e
vestire bene (cosa da tutti ritenuta impossibile), arredare la casa in modo adatto a me, rapportarmi nel modo giusto a emozioni,
fantasie e desideri profondi e naturali quanto contraddittori, confusi e in buona parte irrealizzabili. Se ho realizzato i miei obiettivi,
ciò è dovuto al fatto che la natura è sì, come la definì Leopardi, una “matrigna cattiva”, ma non è tale nel modo in cui lo sono le
persone: le persone cattive non cambiano mai e per loro non conta proprio niente qual è la verità, quanto si insiste con loro e se si
cambia o no, ma la natura spesso, pur essendo indifferente all’ingiustizia, risponde alla perseveranza di quegli sforzi inauditi che
nascono dalla sincerità e dall’essere nel giusto, e cioè ha di bello che anch’essa cambia quando si riesce a cambiare atteggiamento e
se la personalità attivamente si stabilizza in una posizione abbastanza equilibrata. Non si può mai sperare nella gente, ma si può
sperare un po’ nella natura, per quanto hai pur visto come la natura mi ha abbandonato tre anni fa in una situazione così importante e
per le conseguenze della quale ora dovrò morire presto dopo aver cominciato a vivere a 28 e a vivere benino a 30! Io non imito mai
gli altri nella foga con cui semplificano sempre i loro giudizi e gettano tutta la merda possibile su chi e cosa non piace loro. Io anzi
mi sforzo di vedere le qualità ovunque siano e ciò per non rischiare troppo o senza una chiara decisione al riguardo e per non perdere
delle opportunità: anche per via di questa abitudine non sono rimasta a lungo miope da quando ho iniziato a intravedere quanto la vita
può offrire. Non si tratta, quindi, come vedi, di “essere negativi” (una delle espressioni più stupide usate comunemente), dato che so
pur consolarmi di essere viva!
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X: Un sogno (o una visione) sta al centro di molti libri di Dostoevskij e spesso ne cattura e rimanda il senso come un prisma. Nel
caso del sogno di Mitja forse non c’è altrettanto potere magnetico sul significato complessivo del testo, ma l’impressione che esso mi
ha lasciato è forte, per l’analogia inaspettata e involontaria che ne ho tratto subito tra la Siberia e la psichiatria, un ambiente che
probabilmente ricorre negli incubi di molti. Egli sogna prima del processo e il suo sogno puro e pieno di speranza contribuisce a
rovinarlo. Il sogno di Mitja… ecco qualcosa che si dovrebbe aver presente prima di rivolgersi a psicologi, neurologi, psichiatri ecc. Il
sogno può rappresentare bene l’illusione di poter affidarsi.

Y: Ma Mitja non sarebbe mai riuscito a trovare l’equilibrio fuori dal carcere: il mondo per lui è solo un avvicendarsi di tentazioni cui
non sa resistere. Egli non sa decidere. È il tema della “frenesia karamazoviana”. Una specie di heimarmene, in senso stoico, spinto
agli estremi.

X: Il “suo” mondo fuori dalla Russia è immaginato come una terra libera dove si subiranno molte umiliazioni che possono educare,
lasciando il margine per appropriarsi di sé e acquistare dignità con il tempo, mentre la vera Siberia vuol dire schiavitù materiale e
psicologica. La Siberia è ben diversa da quella vaghissimamente descritta in Delitto e Castigo: l’immagine che devi averne è quella
data per esempio in Vacanze di Natale di Maugham.

Y: Allora ora ho capito la ragione del tuo riferimento alla psichiatria: meglio per strada che automi paranoici e schiavi come i reduci
delle carceri siberiane di Maugham e gli ex internati dei nostri manicomi!
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Y: Ivan è l’anima di Fëdor? Egli è l’anima del padre, come Alësa ne è il cuore, Smerdjakov ne è il cervello bacato e Mitja gli istinti
fuori controllo? Ivan è dominato dall’Anima o dall’Animus in senso junghiano? Ivan disprezza troppo Fëdor, te ne sei accorta?

X: Certo, ma lo fa soprattutto perché la gente in genere disprezza troppo lui. Questo è uno dei sottotesti dell’ingresso in Paradiso
descritto nel suo poema.

Y: È per via di quel suo timore, di quel suo senso di giustizia o semplicemente a causa di quel suo esaltarsi? La gente odia gli esaltati
molto più di qualunque criminale.
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X: Non è affatto un esaltato. Ivan è passionale e tende all’esaltazione (come i fratelli, del resto), ma quando parla di sé stesso ad
Alësa, nel loro più lungo colloquio, egli dimostra ben altro atteggiamento. La sua sensibilità e la sua nobiltà sono profonde, non sono
le manifestazioni di un eccessivo! La maggioranza è cieca in questo. Per esempio pensa a quante volte sembro esaltarmi io, magari
per un libro, eppure “sotto” non c’è niente: se la passione e un senso di vuoto mi portano a volte a esprimermi con più calore ed
energia del comune, interiormente essi corrispondono soltanto a un giudizio e non alle idiozie che la gente di solito attribuisce ai
modi di fare simili al mio; e lo avrai notato, perché posso passare a un altro argomento (grave o piano) da un momento all’altro,
mentre se questo punto di vista altrui fosse valido, ciò non sarebbe possibile.

Y: La gente però non sa notare cose come queste, non vuole vederle, e ciò nemmeno quando il livello di analisi richiesto per
formulare un giudizio corretto sarebbe molto più basso. Anch’io a volte fraintenderei molte cose se non ne avessi avuto esperienza
personale. Per stare su un piano di banale quotidianità, mi ricordo un episodio recente in cui, parlando con un conoscente a casa sua,
questi mi ha indicato il nipote di una decina d’anni come un pazzo per lui insopportabile in quanto emotivo. Egli lo ridicolizzava in
particolare facendomi notare che il bambino avrebbe avuto un attaccamento smodato e assurdo per dei suoi gatti: mentre osservavo il
bambino alle prese con uno dei suoi cuccioli, egli mi sembrava davvero malato, eppure non faceva niente di diverso da quello che
facevo io a dieci anni con i miei gatti, io che a quell’età non avevo affatto un atteggiamento interiore anormale nei loro confronti né
li consideravo altro da ciò che erano…

IL CONTE DI MONTECRISTO

X: Ho da poco letto i migliori libri di Dumas padre, in cui tanto e senza molta banalità si disquisisce su onore e ricompense,
provvidenza e giustizia. È quel genere di libri che andrebbero forse letti da adolescenti e poi riletti intorno ai 35 anni, tornando al
punto dopo aver compiuto un lungo giro. Sono libri il cui senso appare più chiaro e più lucido se ai termini 1) Dio 2) risposta alla
preghiera e 3) provvidenza sostituisci 1) leggi della coscienza e della nobiltà interiore in quelle rare persone che le possiedono e
inoltre dell’inconscio personale e familiare 2) reazione impersonale della legge di attrazione all’attenzione focalizzata e 3) insieme
delle leggi psicologiche, sociali e naturali. Il discorso fila tranne che in un punto: la moralità del principio motore è un abbaglio
dell’autore o un suo artificio per consolare e illudere il lettore. E va anche bene usare questi libri per consolarsi dell’essere vivi,
purchè riguardo tutto ciò si resti lucidi, soprattutto se a volte si è tormentati da un condizionato desiderio di avere dei figli. Essendo
la coscienza confinata in pochi individui, di rado il destino è morale e non è né giusto per gli altri né vantaggioso per sé illudersi al
riguardo. Concordo con Dumas, quando, come Jung, ripete che la perseveranza è spesso la chiave, ma non dimentico che nella vita
quasi sempre - e di persona - si paga la debolezza e si pagano inoltre gli eccessi e gli squilibri sempre - o di persona o attraverso il
destino dei figli -, ma quasi mai invece si paga la cattiveria (si tratti di egoismo, indifferenza, ostinazione nei pregiudizi, crudeltà
consapevole) - nè di persona né nei figli - , a meno che essa non sia sfociata in malattia, debolezza o altri eccessi. Ora io vedo che di
rado accade che fare del male renda deboli (al contrario narcisismo, sadismo, “necrofilia” rendono invulnerabili alle critiche e capaci
di perseguire il proprio interesse con accanimento e senza scrupoli fino a raggiungere una posizione di grande forza). E inoltre non
trovo che il colmo dell’ingiustizia nel fatto che, per una legge naturale eterna, siano i figli a pagare per eccessi (magari di virtù, come
avvertiva Jung) o colpe dei genitori. Mi lascia fredda, poi, vedere che alcuni figli dei mostri ne bilanciano la personalità e fanno
qualcosa di buono. E infine noto ogni giorno che è rarissimo che una vittima abbia la possibilità di farsi giustizia, anche quando si
salva in exstremis e gradualmente si risolleva. Inoltre trovo le malattie e soprattutto epidemie e bombe atomiche difficilmente
compatibili con l’idea di un destino individuale sensato ed esprimente in qualche modo una legge morale.

Y: A proposito di malattie, credo che peraltro non sia un caso che Dumas le ignori del tutto in questi libri. E ho il sospetto che, se lo
avesse fatto, avrebbe detto, per bocca di Edmondo o di Athos, qualche assurdità simile nel tono all’affermazione di Dantes che
l’impegno di consegnare la lettera, che lo perdette, è stata un capriccio della sorte e che Dio permette ai malvagi di vivere abbastanza
e spesso molto a lungo perché desidera compiere attraverso di loro le sue vendette, quindi per colpire anche qualche malvagio. Del
resto si sa che così la pensava sulla peste Manzoni, un altro ammiratore della provvidenza. Bisognerebbe leggere la descrizione dei
sintomi della peste gatta da Tucidide per comprendere fino a che punto questa affermazione di Manzoni sia una sorta di barbarie del
pensiero. E, del resto, quando Dumas descrive gli effetti della cella di isolamento su Edmondo e sullo scienziato non tiene
minimamente conto delle reali conseguenze che su chiunque hanno la solitudine costante, il buio, il cibo malsano e scarso o anche
solo povero di vitamina C. Pellico e Tolstoj avrebbero scritto ben altro al riguardo.

X: Vero. Però mentre parlavi pensavo a una cosa: è vero che si parla di malvagi quando vengono tirate in causa le vendette di Dio,
però in I tre moschettieri e in Vent’anni dopo, Miledy e suo figlio finiscono anche col pareggiare i conti (di dio?) con delle
imperfezioni di persone nel complesso di valore: pensa, non solo alla scelta del convento di milady, ma al fatto che il nome falso
assunto da madame Bonacieux è lo stesso della cameriera di milady con la quale d’Artagnan la aveva tradita, pur senza dimenticarla
e senza coinvolgimento, e che è quel nome a spingere milady a conoscere la ragazza, che poi riconosce e uccide per essere stata
ingannata da lui; pensa al fatto che Athos perde un figlio come milady aveva perso il suo per mano di Athos; e la consegna della
lettera a Dantes sembra messo in relazione con la minaccia eccessiva da lui fatta al collega anche al di là della rabbia conseguente e
decisiva di costui... In molti altri libri, del passato e recenti, ho ritrovato parallelismi simili e dal messaggio lasciato del tutto o in
parte implicito. Per esempio in Il lupo dei mari London avvicina alcuni elementi narrativi in un modo che sembra casuale e non viene
sottolineato, mentre, in realtà, indica corrispondenze che fanno pensare ad una legge; e questa legge determina, come nei libri di
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Dumas, una specie di regolamento di conti e non tiene conto della gravità di ciò che si è compiuto e delle condizioni difficili che
hanno portato a compiere quell’atto crudele, eccessivo o debole ma, in ogni caso, dalle conseguenze per sé e altri: il cuoco Mugridge
perde un piede e finisce con lo zoppicare come il protagonista che aveva obbligato a lavorare con un ginocchio inservibile; il cuoco
viene reso storpio da Larsen, il quale presto diviene anch’egli un invalido; Leach, al momento giusto, non trova il coltello con cui
uccidere Larsen, che così fugge e poi lo uccide davanti agli altri e di un coltello mancava per la prima volta il cuoco Mugridge
quando Leach lo aveva assalito e quasi ammazzato di pugni nell’indifferenza generale, dopo averlo altre volte trattato ingiustamente
per sfogare la rabbia suscitata da altri…Nella saga fantasy recente Le cronache del ghiaccio e del fuoco questo modo di costruire la
trama è anche troppo evidente e un po’ ingenuo: molti personaggi, con il tempo, finiscono per subire, almeno in parte, le sofferenze o
la morte che hanno causato (anche qui chi rende qualcuno storpio o cerca di farlo diviene poi in qualche modo altrettanto storpio, chi
uccide in un determinato modo viene ucciso in modo simile o da chi ha assistito e ha rischiato di essere una delle sue vittime, ecc.). E
non sono solo i libri per ragazzi o di evasione ha esibire un simile intento, ma libri di ogni genere e tempo, anche se solitamente gli
scrittori scelgono di farlo in modo meno appariscente e costante. Qualche volta ho avuto l’impressione che cose simili accadano
davvero, mi è sembrato di scorgere situazioni, create dal caso e da un mio irrazionale lasciarmi andare, che tornavano a capitarmi e si
svolgevano in modo stranamente molto simile a distanza di anni e con persone diverse, perché non le avevo affrontate o almeno non
le avevo meditate a lungo e portate sempre con me e perché il mio modo di agire non era cambiato; oppure mi è successo di subire
qualcosa che altri avevano creduto di subire da me anche se io avevo avuto ben altro in testa e si sbagliavano. Chissà se intendeva
anche questo Musil, quando scrisse che le stesse cose ritornano e che la realtà si sviluppa sulla base dell’apparenza, non della verità,
e a partire dai fatti, non dalle intenzioni e dalle circostanze.

ETICA NICOMACHEA CON INTRODUZIONE

X: Ascolta: "Ci sembra assai significativa, in proposito, la sua motivazione della condanna del suicidio, quella specie di pubblica
infamia, che colpisce il suicida, rivela, secondo Aristotele, che chi subisce ingiustizia e, in realtà, la comunità politica, non
l'individuo stesso che si è ucciso. Ben più profonda (senza peraltro disconoscere la parte di verità che la tesi aristotelica pure
contiene) ci sembra la lezione di Socrate che, nel Fedone, si dice convinto che gli dèi si prendono cura degli uomini e che questi
sono come un loro amato possesso: perciò non è lecito all'uomo sottrarsi volontariamente con la morte. Il suicidio è, per Socrate,
un'ingiustizia verso gli dèi". Ascoltato bene ogni parola? Questo è il commento idiota all'Etica Nicomachea che ho appena letto
nell'edizione del libro che ho trovato in biblioteca! A parte che non si dovrebbe dare giudizi così personali nella critica e soprattutto
nelle stampe indirizzate anche alla scuola e senza motivarli ampiamente e con riflessioni proprie, perché scrivere queste idiozie?
Niente giustifica l'espressione "amato possesso" e riguardo all'idealista Socrate, bisognerebbe rimandare questo imbecille almeno a
quanto di questo presunto saggio scrisse Nietzsche. La verità è che, tirando in causa Dio, la condanna del suicida appare irrevocabile,
nobile e più difficile da confutare (non si può ragionare quando si dà per scontato ciò che dipende da un atto di fede religioso, cioè da
uno slancio privo di fondamento razionale). È comodo il concetto di Dio per chi considera gli altri come strumenti. L'uomo è stato
anche troppo bene definito un rapace sadico e davvero grande è il numero delle persone che pretendono il controllo su tutti, su tutto...
Dio è un buono spauracchio, un comodissimo alibi, sfruttato almeno quanto l'astratto concetto di Società.

Y: Sì. E nessuno può negare, però, che di rado qualcuno arriva a suicidarsi se non è stato calpestato da una società ingiusta, resa
immodificabile dalle leggi eterne ("divine") della violenza.

X: La falsa moralità attribuisce valore agli individui in quanto utili alla "comunità", che è in realtà un assembramento di caste con
diritti e possibilità ben diversi. Questa "morale" tanto comoda, sostenuta da Aristotele e da questo critico, è stata ed è ribadita da
un'infinità di mostriciattoli con la mania del potere, ma anche accusata e demolita dai saggi di ogni tempo (da Cicerone ad alcuni
degli indiscussi padri della psicanalisi).

Y: Da poco ho letto Non ho parole e mi ha colpito la quasi ingenua affermazione che l'importante è appunto che tutti partono dallo
stesso punto di partenza. Goldoni motivava così la distanza tra le classi e l'esigenza di soffocare le ribellioni soprattutto giovanili del
suo tempo. Era un conservatore e non non ha voluto o saputo essere lucido in questo caso, come lo fu invece altre volte. Nessuno
parte dallo stesso punto di partenza (nemmeno se nato dagli stessi genitori). Comunque credo che l'arroganza nota ed evidente di
Aristotele indichi di per sé che egli mancava della sensibilità e dell'umiltà indispensabili a pronunciarsi sul suicidio (vedi la critica di
Bacone all'allontanamento di Aristotele da Eraclito e dagli altri pensatori capaci di rispettare il mistero che avvolge l'essere e di
accettare i limiti della ragione, del cuore e della capacità conoscitiva umani)!

X: Detrae valore ai suoi giudizi già la passività con cui egli avalla la mentalità misogina e schiavista del tempo, perché essere così
acquiescenti nei confronti della tradizione è sempre un grave limite. E ciò appare evidente considerando quanti hanno saputo elevarsi
su di essa nella sua stessa epoca (vedi con quanta indifferenza Tucidide trascura, oltre agli oracoli, i pettegolezzi sulle donne e quelli
sui nemici e quanto appare grande la sua obiettività se confrontata con l'atteggiamento di Erodoto; vedi Apuleio, un autore che
giudica implicitamente ma con imparzialità la condizione delle donne e degli schiavi in Grecia). Quanto, poi, a quel che Aristotele
scrive sul potere genitoriale sui figli e a quello della famiglia sulle donne, non vedo che soluzione diversa dal suicidio egli prevedesse
per un figlio o una moglie che venissero maltrattati gravemente, dato che essi erano altrettanto privi di diritti del più misero schiavo.
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Bisogna ripetere che la libertà di decidere della propria intimità e se vivere o morire è sacra e che chi nega questo principio è un
violento o uno degli alibi di cui ogni violento si servirà sempre.

Y: E oggi sono parecchi i "suicidati" dai familiari e dall'organizzazione del lavoro col benestare della legge...

X: E ancora di più i casi di malattia, rovina e morte seguiti a TSO decisi per individui da sempre tormentati e poi diffamati e buttati
per strada o percossi e minacciati dai loro "cari". E, come in altri tempi, le vittime sono per lo più donne e ragazzi. A volte la vittima
si ritrova intorno una massa di "sconosciuti" che sentenzia e la vuole umiliata e/o morta; altre volte essa ha intorno soprattutto
disattenzione o totale indifferenza ma tant'è... In La meglio gioventù uno dei protagonisti si suicida dopo aver tentato di evitarlo: si
reca in visita dai familiari e lancia, sulla porta, uno sguardo al fratello, sguardo cui io avrei saputo rispondere e che il fratello invece
non raccoglie (o almeno non in tutte le sue implicazioni). Parlare non sempre si può, perché i blocchi emotivi che colpiscono la
comunicazione si possono affrontare solo con la persona giusta (questa deve avere sensibilità innata e a lungo coltivata e inoltre
conoscenza di come quei blocchi si formano, peggiorano o migliorano o almeno l'affetto, la pazienza e la capacità di ascolto
necessari per renderla progressivamente ed efficacemente comprensibile con l'autoanalisi a che ne è paralizzato). Risolvere certi
blocchi richiede molto tempo e di solito non si arriva mai a superarli del tutto o almeno non si arriva spesso a riuscirci sotto l'influsso
di ogni tipo di emozione (io ho imparato a parlare bene, come vedi, ma quando qualcosa mi deprime molto all'improvviso non so
ancora reagire...sotto l'influsso di una tristezza inaspettata e profonda torno a essere bloccata, per quanto sappia dominare ansia,
rabbia e paura meglio di tanti altri).

Y: Il fratello, a suicidio avvenuto, afferma di aver voluto rispettare la libertà del morto, di chi cioè aveva "scelto" di non chiedere
nulla...Chi è bloccato non sceglie affatto! Il fratello mente? In questi casi il problema è mancanza di intuizione, è ignoranza, è
disinteresse, è menzogna comoda a se stessi, è raggiro degli altri?

X: Comunque sia, è questa sua interpretazione a spingerlo a giustificare il ricovero coatto di chi tenta il suicidio e anche a giustificare
a se stesso la sua mancanza di disponibilità e sensibilità in un momento decisivo. La vita non offre a tutti la possibilità di superare
blocchi e altre idiosincrasie. Chi non trova le informazioni che gli servono necessita dei libri che le contengono e non di essere
ignorato per poi essere imprigionato da psichiatri quasi sempre sadici e quindi legato e drogato finché rimbecillisce, impazzisce, si
ammala fisicamente e si ritrova a sopravvivere da zombie o morto precocemente di malattia o per un ulteriore tentativo (più
fortunato) di suicidio fuori o dentro il manicomio!!

Y: Tu lanceresti insomma, potendo, un messaggio a tutti, un semplice messaggio che suonerebbe così: "Ascoltate le domande
inespresse e poi, con gentilezza e rispetto, per lo meno distribuite indirizzi di documenti come i miei ed elenchi di titoli di libri di
Fromm e di Jung e poi di capolavori della saggistica e della letteratura di ogni tempo. Fatelo, oppure, bastardi, lasciate morire chi
vuole andar via!"

X: I libri giusti e l'autoanalisi forniscono il principale e il più grande aiuto che si possa avere quando si soffre e non si sa come
combattere la disperazione. Il dialogo con una persona amata e in cui si possa aver fiducia è un aiuto fondamentale, ma che può
venire solo dopo, di solito, e comunque che da solo non può bastare quando si è arrivati ormai a una seria nevrosi.

Y: Matteo, il suicida di quel film, era un buon lettore, ma non aveva trovato i libri giusti?

X: Appunto. La sua ragazza innamorata gli dice che egli teme la vita e gli altri e che si rifugia nei libri perché può chiudere un libro
più facilmente che un rapporto e distrarsi da un libro più facilmente che dalla consapevolezza amara che deriva dal suo passato e dal
suo tipo di lavoro. Ma non tutti i libri sostengono nella fuga nè tutti i libri cantano inni agli assoluti. Ci sono libri dalle cui pagine si
scende fino a se stessi, alle paure, ai desideri profondi e poco consapevoli, ai valori innati e acquisiti più forti, alle abitudini di
pensiero e comportamento condizionate dagli altri o dal passato, a tutti i muri di protezione insensati e asfissianti. Sono libri che è
bene poter chiudere. Si deve leggere con tutta la calma disponibile e in tutta sicurezza, quindi chiudere il libro e poi riaprirlo una
volta calmi e distaccati: si deve cominciare e ricominciare il dialogo con ciò che si sa e non si vorrebbe tener sempre presente e
quello con la propria coscienza, la propria natura immodificabile e il proprio inconscio. È la lettura come meditazione vitale e non
come mero rifugio. Essa prepara a incontrare e a riconoscere la persona giusta e permette di instaurare rapporti sinceri e aperti,
relazioni che a volte, lentamente, riportano alla vita.
IL GATTOPARDO

X: “Una fitta gli traversò il cuore: pensava agli occhi alteri e sconfitti di Concetta. Ma fu un dolore breve. Ad ogni giro un anno gli
cadeva giù dalle spalle”. Il tema della fretta o quello della rapidità dello scorrere del tempo sono presenti quasi in ogni pagina di Il
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gattopardo: tutto è veloce e con sempre più fragore precipita ineluttabile, quanto la Sicilia, i contadini, Concetta sono immobili e
muti e come tutto sembra a volte arenarsi anche per Fabrizio (”non poteva fare a meno di paragonare questo viaggio schifoso alla
propria vita (…) allo sfociare in interminabili ondulazioni di un solo colore, deserte come la disperazione”). La scelta di alcuni dei
nomi è significativa in questo senso: Concetta, Sedara, Calogero (bel vecchio – afa) evocano un senso di immobilità.L’alternativa
rappresentata da Angelica, l’”ira di un momento” di Concetta… tutto ciò che determina maggiormente il futuro dei personaggi si
presenta in un istante che scorre via rapido e l’ultimo capitolo raccoglie ed esibisce in modo crudo le conseguenze della fuga delle
occasioni, delle scelte immature e degli equivoci nati da impulsività. Quel capitolo terribile mi ricorda il racconto I morti di Joyce: in
comune ci sono i personaggi delle sorelle che vivono di aneddoti aridi del passato e di abitudini; passività, stanchezza, sterilità, vuoto
interiore, natura orgogliosa e squallore borghese dei personaggi; l’epifania tardiva; il fantasma di un amore vitale e puro morto da
tempo anche a causa di interessi materiali; la posizione in chiusura del libro. Mi sembra che ad emergere per contrasto sia la vitalità
dell’amore vero, quindi le possibilità aperte dalla disponibilità alla rinuncia consapevole e all’apertura. Nell’Orlando furioso
(richiamato dai nomi di Angelica e Donnafugata) Angelica rappresenta un sogno diverso per ognuno dei personaggi che la inseguono,
un sogno sempre inconsistente, perché non fondato né sull’amore nè su sufficiente conoscenza e dominio di sé…un fantasma.

Y: Ricordo che nel libro di Ariosto un castello stregato appare a un dato momento dal nulla, come Donnafugata sembra “una casa
apparsa in un sogno” a Fabrizio morente, come questa residenza antica era stata per lui un simbolo dell’illusione di poter fermare il
flusso del tempo e impedire così la fine del suo prestigio e della purezza del casato, e così come era apparsa a Tancredi e Angelica sia
un “magico” ricettacolo della passione sia un vecchio castello traboccante dei fantasmi ossessivi delle generazioni trascorse. E se i
giorni passati lì dai due innamorati sono poi definiti i più belli della loro vita, questo dipende dalla loro rinuncia al rapporto fisico (“la
rinuncia, cioè, per un attimo, l’amore”).

X: Se i personaggi inseguono fantasmi, Concetta arresta invece il proprio tempo e crea un fantasma su cui accumula tutto il rancore
di cui è capace (“non c’era stato nessun nemico, tranne lei stessa”). Com’è duro il contrasto tra la corsa e la solitudine stellate
dall’affetto e dalla capacità di distacco di Fabrizio e la clausura di Concetta, incapace di flessibilità e generosità e priva del tutto
anche della dimensione “altra” cui resta sempre connesso il padre (tra l’altro si sottolinea il fatto che Concetta non legge): Fabrizio
vive sempre sullo sfondo di un altrove, lui che medita a lungo i suoi calcoli astronomici tra il disprezzo dei vicini e viene paragonato
al tipo del “maniaco inglese” e a uno scettico, in ciò avvicinandosi implicitamente a padre Pirrone, che vive tra due mondi e porta il
nome di un noto e antico esponente di questo indirizzo filosofico.

Y: Il contrasto tra le personalità e i diversi tipi di solitudine di Concetta e del principe è assoluto come la contrapposizione marcata tra
le loro morti: c’è in quella di Fabrizio un richiamo al quadro La morte del giusto, descritto nel capitolo sul ballo, a esaltare il
confinamento in una stanza vuota di tutto della zitella anziana e dominatrice, non compagna, tra le sorelle in adorazione di un quadro
frainteso. La natura di Concetta viene nel tempo assorbita progressivamente dal vuoto, che quasi assume personalità tanto appare
ostile e tenace nella sua capacità di attrarla e prosciugarla.

X: Nel capitolo in cui Fabrizio cede all’età mi è piaciuta tanto l’idea di rappresentare la morte come una donna giovane, bella,
raffinata che si arrende a Fabrizio prendendolo con sé, che è attesa e lo cerca, è pudica e pronta all’abbraccio. Essa non è il “non
essere” di molto immaginario libresco, ma un “pieno”, un’espansione, l’occasione di un completamento attraverso l’unione a una
presenza da Fabrizio prima solo intuita in un viso triangolare intravisto tra le stelle, un volto che gli appariva diverso a seconda
dell’umore e spesso si mostrava beffardo quanto ora assume i contrassegni dell’amore.

Y: Come Tancredi che qui abbandona del tutto la consueta aria ironica e “affettuosa malizia”.

X: Bellissima l’espressione “corteggiare la morte” riferita a Fabrizio e che è forse all’origine dell’idea di Tomasi di rappresentare la
morte così. Mi vengono in mente brani di Margherita Guidacci riferiti a Emily Dickinson morente (un'artista che non accolse mai
acriticamente la religione cristiana convenzionale): “Il mistero, che da tanti anni la corteggiava, finalmente l’accolse” e “sempre più,
dall’opposta parte, vigeva la luce fremente di un amore”, anche perchè Guidacci parla poi di “intimità col mistero” e cerca di
trasmettere soprattutto il senso di urgenza che contraddistingue la vita di Emily, soprattutto ma non solo nella sua fase finale, così la
sua introduzione alle sue poesie appare ancora più vicina a questo capitolo di Il gattopardo, tutto costellato di termini comunicanti un
inarrestabile franare del terreno e dirompere dell’acqua, cosìcche tutto il passo è connotato in un modo o in un altro dall’idea di un
moto urgente quanto un amplesso (ovviamente per rappresentare lo sgretolamento della persona fisica e non di Fabrizio e del suo
mondo e l’avvicinamento per lui della foce prima di sfociare nell’apertura illimitata). Tra l’altro la Guidacci riprende anche – che sia
un caso o no – l’immagine della “casa stregata” (l’immortalità o la natura trasfigurata dall’arte e dalla comprensione intuitiva delle
verità essenziali).

Y: Quanto all’immagine del precipitare (di acqua o altro, non importa), non mancano esempi in tutto il libro… È un vero leitmotiv (il
che ci rimanda l’inizio del nostro dialogo). Ascolta: “Tancredi si lasciava trascinare dallo stimolo fisico (…) e dall’eccitazione
contabile”; “Altre coppie passavano, nessuna sommersa nella sua passeggera cecità”; “petruzze incorse prima della frana”;
“Donnafugata, (…) tempo congelato”; “raggranellare fuori del mucchio di cenere della passività le pagliuzze d’oro dei momenti
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felici”; “i tizzoni alludevano a sfavillii di desideri”; “cercavano di godere quell’esiguo raggio di luce tra le due tenebre”; “sentì
spetrarsi il cuore”; non ci sono stelle veramente fisse”, ecc.

X: Un mondo che trema e si sgretola a dispetto delle astrazioni. A proposito di astrazioni, dovresti rilevare che il capitolo iniziale è
molto simile al racconto di Hamingway Piccola storia naturale: I morti: confrontali e capirai fino a che punto.

LA VITA È BELLA

Y: In La tregua c’è uno schema ricorrente: il protagonista (l’autore) si distacca dal gruppo degli ex-internati del lager e in queste
occasioni incappa in coincidenze fortunate, attraverso le quali risolve alcuni problemi più o meno urgenti (di volta in volta crisi
diabetiche, bisogno di un posto dove riposare comodamente, febbri pericolose, ecc.). Il lager non è bastato a distruggere la legge
fondamentale della realtà che è alla base di questo tipo di eventi.

X: Fermo! Credo di saper dove vuoi andare a parare. Guarda che non ne posso più di quelli che strumentalizzano il film di Benigni
per affermare idiozie…

Y: Guarda che anch’io li tollero poco e, nel caso in cui lo usino per sottolineare un diritto inesistente all’indifferenza per il dolore
altrui ovvero per affermare che chi soffre lo fa per scelta e sua colpa, li detesto addirittura.

X: Chi sta bene e lo è sempre stato e chi, non essendolo stato, vuole però convincersi del contrario, finisce troppo facilmente per
dimenticare che nella vita l’atteggiamento positivo non è né sempre possibile nè sempre sufficiente.

Y: Eppure è vero che moltissime volte sforzarsi di mantenere uno sguardo aperto e lucido può cambiare il volto delle cose e in certi
casi, con il tempo, anche la loro sostanza. È stato così anche per te e per me. Inoltre chi ricorda libri simili a La tregua o si appella al
film La vita è bella, lo fa spesso semplicemente per sostenersi tra incognite e difficoltà e non sempre si dimostra indifferente alle
sofferenze di chi incontra e rigido nel non ammetterle.

X: Ma di certo l’indifferenza rispetto alle sofferenze altrui e addirittura l’usarle per sentirsi meglio è molto comune e ciò anche in chi
professa o dimostra sensibilità e senso morale in molte occasioni. Perfino Levi mi ha fatto inorridire e ciò proprio in La tregua:
ricordi i commenti sulla prostituta del lager che reincontra in cinta e vittima di gravi violenze nell’ infermeria del campo russo?

Y: Ha colpito anche me tanto cinismo: a livello psicologico l’ha usata come i nazisti hanno usato gli ebrei. Eppure in La vergogna, il
capitolo di I sommersi e i salvati, dimostra un atteggiamento diverso. Levi sembra fare un percorso poco lineare ma resta fedele
all’impegno di compierlo fino alla fine: la prefazione a Se questo è un uomo e il tono di La tregua sono caricati, innaturali e non
corrispondono alla realtà, forse per effetto della reazione al trauma insuperabile del lager oppure per via dell’epoca (Levi era
giovane; si è vicini al 68 e agli anni del boom economico italiano); I sommersi ei salvati è al contrario forse troppo pessimista (sono
gli anni 80, quelli del “rientro all’ordine”; lui era invecchiato e aveva avuto modo di osservare il processo di rifascistizzazione della
Germania e la sopravvivenza del fascismo italiano sotto varie forme mascherate).

X: Sono d’accordo. In I sommersi e i salvati afferma che il torturato rimane torturato per sempre, il che l’ho osservato anch’io e per
esperienza personale, come sai, eppure egli manca di sottolineare che, anche se il torturato rimane tale, non lo rimane nello stesso
modo per sempre: si cambia!
IL SOGNO DEL LUPO
ASPETTI NEGATIVI: Anch'io, come molti altri, l'ho trovato monotono, ma non tanto in ciò che descrive quanto nel ritorno
periodico di certi giudizi, un ripetersi che spezza il ritmo senza nessuna pianificazione: con tali povere riflessioni Sciolari sembra
tentare di "riempire" pagine o di elevare il racconto.
Mi ha infastidito la disordinata ripetizione di ciò che Sciolari pensa dell'imposizione di dogmi e riti religiosi, mode, consumismo e
materialismo e inoltre l'uso ripetuto di espressioni quali "il dio denaro", anche se condivido gran parte di ciò che egli sostiene: ne ho
tratto l'impressione che non si renda conto che queste sue affermazioni sono trite e ritrite, che le metafore più inflazionate
infastidiscono ormai fin dalla loro prima comparsa e che perfino un libro senza pretese dovrebbe avere una qualche "struttura" e non
limitarsi a registrare il flusso di coscienza. Mi sembra, inoltre, che il suo soffermarsi su dettagli non pertinenti (sono tali molti di
quelli sui suoi amici) ostacoli ulteriormente il bisogno di coesione che istintivamente si avverte, insieme a quello di novità, ad ogni
lettura. Non è inoltre mai una buona idea seguire la moda delle citazioni in apertura di capitolo se non si possiede una solida cultura,
per quanto sia stata, di certo, un'iniziativa assai peggiore l'interpolazione di un dialogo tratto dal libro di un altro autore,
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specificandone solo in nota la provenienza... Ciò che mi ha dato più fastidio, però, è ben altro, perché l'aggettivo giusto per descrivere
questo libro e il suo autore è "infantile" e pertanto siamo di fronte a uno dei tanti prodotti di libreria che contribuiscono a consolidare
lo stereotipo dell'italiano medio ignorante ed eterno bambino: infantile è il suo abusare di termini come "magico" o "magia" e il suo
dichiarato obiettivo di ottenere da certe esperienze e da alcuni luoghi troppo, inseguendo una vera e propria trasformazione quando
invece si può avvicinare l'ideale solo per gradi e nel quotidiano; più che infantile o irrazionale è la sua fede di poter conservare
indefinitamente una sorta di stato mistico, un modo di percepire ed essere che nessuno ha mai potuto mantenere per più di una
porzione limitata di tempo e ricreare in modo più che frammentario; la frequenza del suo immaginare se stesso vivere per tutta la vita
in una baita al centro di uno spazio deserto enorme e il suo vagheggiare di crescervi addirittura un figlio fa apparire tali assurdi sogni
molto più che un mero ornamento spensierato del diario di viaggio e, anzi, ricorda quei voli d'immaginazione con cui si trastullano
spesso le donne nevrotiche dopo aver superato una fase di più serio squilibrio mentale, quando non sono ancora abbastanza lucide e
immuni da infantili regressioni e perciò a tratti possono dimenticare cosa comporterebbe nella realtà la vita di coppia su un'isola
pressoché deserta; la sua caparbia decisione, scambiata per convinzione, che ogni evento e ogni colpo di sfortuna siano predestinati e
finalizzati al successo della sua impresa in grazia della sua determinazione e del suo percorrere la strada giusta è davvero un sogno
pazzo e denota un'incredibile ignoranza o volontaria cecità su questo tipo di illusioni e sulle tragiche conseguenze che esse hanno
avuto su altri appassionati di alta montagna, tanto che si potrebbe a mala pena giustificare un delirio simile in un ragazzo molto più
giovane di lui; c'era poi bisogno di raccontare di aver mangiato nella stessa pentola in cui mangiavano i lupi e senza mai lavarla? La
sua dichiarazione di credere di essere stato aiutato dagli alieni ad uno psichiatra basterebbe per fare la diagnosi di un certo disturbo di
personalità spesso riscontrato in chi si isola per mesi e, sebbene queste diagnosi siano sempre assurde, questo suo delirio sugli alieni
è effettivamente inquietante; infine ciò che Sciolari rivela implicitamente del suo rapporto di coppia spinge a deprimenti
considerazioni sull'immaturità di molti uomini adulti, a cominciare da quelli che professano ideali umanitari e sensibilità mentre sono
in realtà incapaci di "esserci", di intimità, di impegno e di qualsiasi reale sacrificio per la propria compagna; l'aver riportato i lupi in
Norvegia poco tempo dopo che erano stati rispediti in Italia dalle autorità del luogo (ciò è attestato dalle didascalie di alcune foto del
libro) la dice lunga sul tipo di amore che sa dare e sulla sua capacità d'introspezione.
E proprio riguardo agli ideali umanitari di Sciolari è la mia ultima critica: a differenza di alcuni soprusi recenti su altri popoli nordici,
le attuali pretese di Svedesi e Norvegesi sui Sami non appaiono affatto sconsiderate e immorali come Sciolari vorrebbe farle
giudicare, dato che in tutto il mondo la terra non è solo di chi ci vive, che Svezia e Norvegia non sono molto ricche di risorsde
naturali e che l'energia elettrica ricavata dai laghi è ormai indispensabile per tutti e utile anche ai Sami, cui si chiede solo di ridurre il
numero di allevatori in cambio di elicotteri, slitte e riparo da quel freddo che un tempo provocava loro tanti disagi, malattie e terribili
mutilazioni. E quanto all'ideale di Sciolari di un ritorno globale al modo di vivere degli antichi Sami, Indiani, ecc., posso solo
affermare che stimo e invidio il rapporto con la natura di questi popoli, ma non potrei sopravvivere due giorni in un mondo simile
io... non io con le mie malattie croniche limitanti, congenite e sopraggiunte nel tempo, e con il mio bisogno di una cultura più evoluta
che sappia costruire libro su libro una consapevolezza più complessa.
ASPETTI POSITIVI: Pur preferendo il modo di riflettere, selezionare e scrivere di autori come Krakauer, non mi è spiaciuto ciò che
l'uso di un italiano colloquiale e la mancanza dello schermo dell'intellettuale ha prodotto in questo libro: le esperienze e i pensieri
sembrano colti nella loro immediatezza. Quando Sciolari descrive le abitudini dei lupi, si ha l'impressione di osservarli e anche nel
ricordo questa illusione non si attenua. È ottima l'idea di inserire foto e disegni. I crolli dell'umore a ogni discesa in paese sono resi
bene. Prudenza e rischio si bilanciano, conferendo varietà al racconto e attestando l'esistenza nell'autore di un vero coraggio.
POLITICA, TELEVISIONE E LIBRI
CONVERSAZIONI
Y: L’ultima frase di questa assurda introduzione di Bellardi alle celeberrime Verrine è che dobbiamo portare rispetto a Verre perché
egli si suicidò pur di non farsi derubare di due degli oggetti artistici che egli aveva rubato! Sì, inchiniamoci tutti… Un tempo ci fu un
vero e proprio movimento anticiceroniano e intenzionato a dipingere Verre come un uomo dotato sotto qualche aspetto di nobiltà e
perfino ammirevole e interessante: a quanto pare dobbiamo stimare in quanto appassionato e raffinato esteta questo ladro sacrilego e
maiale che fu pure un sadico stupratore e assassino. Si è anche detto che Verre non era un mostro perché quasi tutti i governatori
romani dell’epoca erano ladri e perché egli se non altro si preoccupò di migliorare la difesa delle coste della Sicilia dagli attacchi
degli schiavi. A parte che bisognerebbe chiedersi se gli schiavi non avessero le loro buone ragioni per attaccare i loro dominatori e
(spesso) aguzzini, è veramente allucinante che Bellardi sottolinei questo aspetto quando chiunque non sia un mostro appena lette le
orazioni contro Verre sarà attanagliato da un senso duraturo di angoscia soprattutto ripensando a quanto Verre ha fatto delle flotte che
dovevano proteggere da pirati e altri nemici proprio le coste sicule! Il “così fan tutti” poi non è mai stato una giustificazione per i
crimini dei politici, eccetto che per i loro simili. E poi se i reati di concussione erano la norma, non si può dire lo stesso dei crimini
più gravi e delle scene di follia di Verre (vedi il sistema delle prigioni delle cave di pietra, la tortura a morte di Gavio e quella dei
navarchi e degli altri innocenti che egli ordinò immaginandosi così al sicuro da ogni denuncia di fatti in realtà noti a un’infinità di
persone e che avevano lasciato tracce in documenti per mesi se non anni). Quanto all’estetismo definito qui “da decadente ante
litteram” e raffinato, trovo che sarebbe stato inutile ricordare a tale Bellardi quello che Sciascia e altri scrissero a proposito di quanto
l’influsso di D’Annunzio sia stato dannoso sulle generazioni a lui contemporanee e perfino successive. Non avrebbe potuto infatti
capire niente di simile un individuo così vuoto da annoverare l’apprezzamento per le arti plastiche e figurative tra le qualità che
possono moderare il disprezzo e l’odio che merita un mostro come Verre. Questo critico mi fa venire i brividi. Un altro laureato in
Lettere che dimostra la assoluta stupidità degli stereotipi circa questo tipo di laureati. Ti ricordi gli studenti di Lettere dei libri di
Silone? Silone ci tiene a sottolineare che sono studenti di quella Facoltà molti dei fascisti che mette in scena e di cui descrive
l’immensa ignoranza, indifferenza e cattiveria. All’epoca di Silone come oggi a Lettere infatti non si studiava affatto letteratura,
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perciò è probabile che molti dei suoi studenti fossero tra le persone più aride del tempo. Ancora oggi posso assicurarti che chi ha una
naturale e profonda sensibilità morale e letteraria sarà portato a odiare senz’altro questa Facoltà, come è vero del resto che chi più ne
è privo può trovarcisi davvero a proprio agio. Non solo la sensibilità ma perfino le doti morali di base sono qualità che si riscontrano
molto di rado tra gli studenti di Lettere, che dobbiamo immaginare come molto spesso purtroppo sono in realtà, ragazzi immaturi e
viziati dediti a imparare a memoria elenchi di date e titoli di capolavori italiani mai letti e che mai leggeranno e a studiare
diligentemente manuali di glottologia, filologia romanza, latino e storia dell’arte.
X: Nessuna cultura vera e propria si può trovare in molti di loro. Pensa anche solo a quanto Jung scrive sugli esteti in Tipi
psicologici. Bellardi conosceva, ricordava e sapeva comprendere quanto Jung scrive del “tipo sensazione”? Jung non fa che
sottolineare qualcosa che ogni persona attenta e sensibile può osservare, ovvero come l’estetismo di questa tipologia di persona sia la
conseguenza di avere la funzione “sensazione” come quella principale a discapito delle altre funzioni (pensiero o sentimento oltre ad
intuizione), e come, di conseguenza, la possibilità di interessarsi ad altri, di comprenderli, e di avere una vera e propria coscienza in
questi individui è sempre discutibile, una probabilità anzi molto bassa, dal che deriva che essi possono divenire facilmente ciechi e
crudeli. Insomma la passione di Verre per le arti plastiche, decorative e figurative (arti che non richiedono capacità morali e di spirito)
al contrario che moderare il disprezzo per Verre o perfino indurci a rispettarlo, dovrebbe essere per noi uno dei segnali indicativi della
crudeltà attestata dai suoi crimini. E al di là di questo, le statue di Afrodite, Eros ecc., che adornavano i templi che egli saccheggiava,
probabilmente gli ispiravano una passione meno vicina a quella dell’amatore d’arte che a quella che animava i suoi festini pieni di
prostitute o che lo spingeva a compiere e autorizzare stupri. Il fatto che amasse anche l’arte figurativa arcaica e conoscesse bene certi
capolavori di arte orafa e certi procedimenti della loro creazione potrebbe essere semplicemente uno dei punti d’arrivo di un moto
smodato e senza limiti coinvolgente tutto l’essere e ogni capacità, ma pur sempre nato da una spuria passione per l’arte sorta dalla
venerazione della “sensazione”. Puoi comunque anche prendere in mano le Lettere sull’educazione estetica e leggere in quel libro
non facile almeno il passo sui danni creati nella società dal culto della bellezza: è una voce fuori dal coro ma molto chiara e pacata
che mostra ciò che alcuni benefici reali dell’estetica e certe abitudini condizionate di pensiero ci nascondono troppo spesso.
Y: Ti ricordi quel servizio che abbiamo visto anni fa sull’architetto del Sud accusato di essere un prestanome per lavori altrui ottenuti
con procedure scorrette ecc.? Era un servizio di Presa Diretta? Report? Anche costui si vantava di essere un amatore d’arte, un
appassionato di arte contemporanea in particolare. Come se si trattasse di un attestato di intelligenza, raffinatezza, prestigio culturale,
magari perfino di qualcosa capace di distogliere da lui i sospetti motivati sugli aspetti illegali della sua attività. Vien da pensare ai
reali o finti ammiratori che Verre poteva vantare tra gli esponenti della classe più ricca che non erano nel suo mirino per via della loro
nobile nascita o per la loro partecipazione diretta o indiretta ai suoi reati: costoro non mancavano mai di farne notare la raffinatezza
del gusto. Non sto ovviamente paragonando la natura di Verre a quella di questo architetto (impossibile attribuire a quell’ometto tutto
ciò che in Verre e nel peggio della mafia e della politica di oggi è più spregevole), ma paragono i modi suoi e dei “suoi” di
considerare e sfruttare l’interesse per le arti plastiche, figurative e decorative in genere.
X: Se mi venisse chiesto di paragonare il comportamento di Verre a quello di qualche personaggio noto in Italia oggi per crimini
odiosi e collaborazione accertata con la mafia, io credo che mi verrebbe in mente un nome. In uno dei saggi di Ribellarsi è giusto si
parla di un politico che all’estero compì un impresa simile a quella attuata da Verre per evitare di pagare per i suoi reati: egli rimandò
con vari espedienti il processo intentatogli e finì per aggiungere al danno la beffa. Anche in Italia c’è chi in tempi recenti fece lo
stesso e ormai non credo che siano molti ad aver bisogno di guardare Il Caimano per saperlo. Costui ha molti altri punti in comune
con Verre: anch’ egli dimostrò spesso un certo squilibrio mentale senza per questo perdere il suo posto; anch’egli rovinò
completamente almeno una città (Napoli non si potrà riprendere mai più come molte città siciliane non si ripresero più per
lunghissimo tempo dopo il “passaggio”di Verre) e molti aspetti dell’economia di un’intera regione (alla Campania l’estero chiuse
molte porte dopo le foto scattate ai suoi cumuli di spazzatura); dai suoi uffici passò quasi altrettanto denaro rubato allo Stato e ai
cittadini che in quelli di Verre; anche le sue residenze, come la villa di Verre (o della sua amante), spesso si sono trasformate in veri e
propri bordelli dove è confluito peraltro parte del denaro rubato; le sue stanze più private furono quanto quelle del mostro fotografato
da Cicerone centri da dove dare le disposizioni necessarie a nascondere gravi crimini propri e altrui (agevolati con leggi apposite,
come era consuetudine in Verre, o protetti con accurata disinformazione); anch’egli, come Verre, si illuse pazzamente di tenere
nascosta a lungo con le minacce ai singoli giornalisti crimini dalle conseguenze enormi e eclatanti (Napoli si poteva mettere in un
cassetto?) o coinvolgenti un numero sempre crescente di persone (il numero delle ragazze nel giro di prostituzione di Berlusconi e dei
suoi amici è molto elevato). In particolare si può affermare che la decisione dei mafiosi, sostenuta di fatto dallo Stato, di rubare i
soldi destinati ai percorsi dei camion della spazzatura e ai processi del suo smaltimento, causando la rovina della città di Napoli e
della zona circostante, trova diversi corrispettivi nei provvedimenti presi da Verre nelle provincie dell’impero, dato che per esempio
in Sicilia egli cominciò il suo governo intascando abusivamente quanto apertamente il denaro destinato ai marinai, alle navi e a chi
aspettava dalle città costiere l’invio di soldati e lo fece al punto da renderla del tutto inerme all’attacco dei pirati. In Italia negli
ultimi anni ci sono stati molti cittadini rovinati finanziariamente dalle leggi del governo: leggi sul lavoro (quella sul lavoro precario e
quelle che intralciano chiunque voglia avviare un’attività fino a esasperarlo, deciderlo a racimolare mazzette o offrire di peggio a chi
può concedere l’impossibile o a rinunciare per sempre); leggi truffa a protezione di certi tipi di furto da parte di privati e non (vedi
quella che a una banca ha perfino permesso di derubare impunemente un uomo della sua casa non avvisandolo in modo adeguato di
uno spostamento dei suoi stessi soldi, ecc.); leggi che proteggono medici e altri impiegati nel settore sanitario incompetenti o dalle
intenzioni criminose e leggi che mantengono inalterata la lamentata povertà di molte strutture ospedaliere obbligando i malati a
costosi spostamenti o permanenze in zone molto lontane dalla propria e ad accettare inoltre le parcelle altissime dei medici privati
(peraltro mai sicura garanzia di competenza). Negli ultimi due o tre decenni non sono mancati nemmeno gli innocenti feriti e uccisi
con apparenza di legalità o sfruttando il potere concesso dal governo: ricordo ancora gli alluvionati del Veneto cui a lungo non sono
giunti gli aiuti che in genere vengono profusi dai volontari quanto dallo Stato e ciò in quanto Berlusconi soffocò la notizia per giorni
e giorni; penso ai ragazzi manifestanti soffocati dai lacrimogeni o picchiati sul viso mentre erano a terra dai poliziotti; penso anche
alla gente disperata della Campania sommersa dalla spazzatura e aggredita mentre protestava; penso ai feriti e ai morti causati da
autostrade completamente fuori norma e pericolosissime dichiarate sicurissime sui giornali da Berlusconi con la stessa faccia da culo
incredibile con cui ha accumulato per anni tante idiozie riguardo ai fatti di Napoli; penso ai bambini uccisi da Berlusconi e dalla sua
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cricca ovvero dal cancro provocato da quell’avvelenamento di enormi dimensioni, bambini che non potevano fare assolutamente
nulla per difendersi (né decidere di lasciare la zona più colpita dove le loro famiglie vollero continuare a risiedere, nè rifiutare la
chemio, né suicidarsi per evitare una morte lenta e dolorosissima come fanno molti adulti pienamente in sé in condizioni altrettanto
disperate); molti sono gli italiani danneggiati nella salute proprio da chi avrebbe dovuto offrire una speranza e la malasanità italiana
da sola potrebbe costituire argomento per un libro denso e amaro quanto le Satire di Giovenale (perchè al riguardo non bisogna certo
pensare solo ai medici mafiosi che si sono comprati la laurea o che si proteggono da giuste denunce con la violenza); troppe anche le
vittime delle regole scritte e non che impediscono aborti sicuri, accesso a farmaci indispensabili e eutanasia; penso alle leggi assurde
che impediscono di difendersi dall’incuria e dagli abusi più svariati dei familiari favorendo l’indifferenza di parenti, vicini, preti,
insegnanti, medici “di famiglia”, impiegati dell’USL, assistenti sociali e spesso anche associazioni e penso a quali “fantastici”
provvedimenti vengono comunemente presi da chi incontra quei bambini e ragazzi cui sono inflitti alimentazione deleteria e
mancanza di igiene, cure mediche, informazioni e sostegno essenziali per difendersi da abusi fisici e psicologici dei genitori e di altri
criminali; penso a quanti raccontano di essere stati spinti sulla strada dalle percosse e dalle minacce di morte dei familiari
nell’impossibilità di mantenersi (spesso a causa di malattie croniche sorte a causa dei maltrattamenti e dell’incuria subiti fin
dall’infanzia) e ciò magari mentre a un loro fratello i genitori aprivano niente di meno che un mutuo o alle accuse impotenti di chi è
stato costretto dalla minaccia di botte o della strada a “prestare” denaro o a subire o firmare ipoteche sulla casa in comune da genitori
parassiti pieni di debiti; penso alle violenze alle donne di cui sono pieni i giornali, alle leggi che li favoriscono con condanne difficili
e ridicole e agli articoli che scusano gli stupratori con osservazioni irrazionali e offensive su tante riviste; penso a tutto ciò che di più
rivoltante concerne psichiatri e psicologi italiani e che sempre più persone si preoccupano di divulgare in privato, sulle riviste più
vendute e in convegni aperti al pubblico ai quali l’affluenza della gente a volte è tale da sorprendere gli organizzatori stessi senza
però che niente cambi. Un innocente fatto crocifiggere da Verre dopo molte torture orribili, urlò prima di morire come già ad ogni
colpo: “Sono cittadino romano!” Immaginiamo un grido simile nella bocca delle vittime più indifese di queste vessazioni cui tanti
italiani sono sottoposti e al cui rischio moltissimi sono esposti. Come si può parlare di democrazia dove tante categorie non sono
rappresentate al governo e dove i diritti umani fondamentali di tante persone vengono calpestati? In ogni caso ora stiamo
considerando Berlusconi come criminale e non come politico. A chi confronta l’Italia con gli altri Paesi viene in genere detto con aria
sarcastica o paternalistica che la gente fa schifo ovunque, ma, come disse un politico in Spagna intervistato anni fa in un servizio
sulla Rai, non si tratta di dare giudizi su chi forma la maggioranza tra la massa, ma di analizzare con obiettività le differenze tra la
classe politica e il sistema governativo e giudiziario italiani e quelli di altri paesi, europei o anche americani: l’impossibilità di
un’informazione imparziale e sufficiente causata dall’aver lasciato al governo il padrone dei mezzi di comunicazione per tanto tempo
non è esattamente qualcosa che si riscontra ovunque, lo stesso si può dire del regolamento del sistema giudiziario e, al di là di questo,
ci sono stati video girati sui discorsi di certi politici italiani (ad esempio quello in cui un nostro politico incitò perfino a “eliminare i
bambini” degli zingari per acquistare voti tra i razzisti) che hanno girato il mondo per la gravità dell’impressione lasciata all’estero e
l’anomalia della classe politica che attestavano. Quando si parlò della legge sulle intercettazioni anni fa non era davvero possibile
non capire che essa mirava a proteggere i criminali e soprattutto i mafiosi in modo così lampante proprio per la stanchezza degli
italiani assuefatti da troppo tempo a cose simili. Trovo che qui in Italia ci sia sempre gente disposta a minimizzare qualsiasi reato e
qualsiasi accusa, ma forse non sono l’unica che si sentiva male sia a sentire acclamare Berlusconi da certi ragazzi per le sue
bellissime troiette e i suoi furti riusciti almeno quanto per il Milan sia ascoltando tante signore parlare a profusione e con sdegno
della “sua” puttana diciasettenne pur avendo conservato un’indifferenza totale per anni a tutti i crimini anche orrendi che hanno
caratterizzato il suo governo e pur avendo pronunciato al massimo due parole di biasimo una volta che Saviano fece sapere di Napoli
a tutta Italia. E ora forse non sono l’unica cui certi banchieri e soprattutto certi psicologi, psichiatri e medici provocano una rabbia
davvero poco gestibile o che sente che potrebbe quasi piangere quando è costretta a leggere sulle riviste che i ragazzi che stuprano in
branco sono poveri bambini che non si rendono conto di far male e che a quei pochi ladri e assassini che finiscono nelle galere
italiane bisognerebbe dare comode “case-famiglia” e ore da passare coi figli tra gelati e cavalli. Insomma questa introduzione a
favore di Verre (e di chi gli somiglia) di Bellardi è indicativa di un modo di vedere che in Italia è ancora osservabile, una mentalità di
vecchia data che trova moltissime applicazioni: per fare un esempio che non si allontana molto dalle letture scolastiche da cui siamo
partiti, chi legge da adulto le note a I promessi sposi nelle edizioni per i licei, si stupirà nel notare con quanta insistenza esse
attaccano ogni commento morale di Manzoni, cercando di farlo apparire uno scrupolo o una manifestazione spregevole di mentalità
intransigente e rigida anche quando è più evidente che si tratta di uno spontaneo moto di umanità e ispirazione artistica (se il ripetere
“così facevano tutti” di Bellardi per tre o quattro volte in poche pagine mira a calmare il possibile sdegno, magari giovanile, dei
lettori per i crimini di Verre, il curatore delle note al libro di Manzoni che ho dai tempi del liceo critica il giudizio dell’autore sul
padre orribile della Monaca di Monza con la stupida osservazione che egli non era l’unico che all’epoca ebbe delle figlie chiuse in un
monastero). Quando un criminale storico o di fantasia entra nell’immaginario collettivo e si tramuta in simbolo, spesso accade che
una nuvola di criminali accorre dai luoghi più svariati a sollevarlo o dilavarlo fino a edulcorarne l’immagine (per quanto loro dicano
di “restituirla alla sua dimensione umana, storica” ecc.). Sarà forse questo il caso di un capo di governo italiano che è stato eletto
perfino tra gli uomini più sexy del pianeta e che molti ragazzini affermano di avere come modello, come è stato un tempo il caso di
Verre e poi, per citare un caso ancora più significativo, di Eichmann, che in molti libri vecchi (ad esempio il saggio di Fromm o di
Arendt) e recenti (ad esempio, Ribellarsi è giusto) è definito il simbolo di tutti i mostri che compiono crimini orrendi perché sono
legali nel loro Stato nel loro presente.
Y: In questo senso è chiaro che Verre, Eichmann o il padre della monaca manzoniana sono simboli adeguati a rappresentare tutti
coloro che godono delle leggi criminali che la classe politica italiana si adopera per conservare il più a lungo possibile o che essa
propone e fa approvare di continuo. La cultura può essere sfruttata per rendere più saldi certi pregiudizi, ma può anche aiutare
moltissimo a demistificare molti aspetti della vita privata e pubblica.
X: Ho sentito da alcune persone, anche in televisione, definire dittatura il governo di Berlusconi e quelli successivi, ma è sbagliato
parlare di dittatura quando vengono rispettate, per quanto malvolentieri e solo sotto pressione, alcune libertà come quella di
informarsi almeno attraverso i libri dei giornalisti e quella di leggere quel che si desidera gratuitamente. A persone come Travaglio
viene pur permesso di vivere e qualcuno che ha il coraggio di pubblicare fuori dal coro c'è, come il suo caso dimostra. Silone in La
scuola dei dittatori scrive che in passato ci sono stati casi – come quello della Polonia – in cui l'affermare che c'era la dittatura fu
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sfruttato per instaurare la dittatura vera e propria, sostituendola a un regime assai poco democratico ma non certo dittatoriale. Del
resto, nei saggi e compendi di storia e storiografia del passato, abbondano i riferimenti all'abitudine dei faziosi di promettere al
popolo ogni cosa al fine di usarlo per la scalata personale al potere (pensa ai Ricordi di Guicciardini o a Machiavelli, Senofonte, ecc.)
Quel che piuttosto si dovrebbe dire è che il governo non è di tipo democratico e che sono in atto molti procedimenti tipici delle
dittature del passato: ad esempio il caso del furto della casa di un cliente compiuto "legalmente" dalla sua banca (raccontato anni fa
su Rai Tre) fa immediatamente pensare a certe leggi di cui il governo fascista si serviva per derubare tante persone (pensa a Silone, al
suo Fontamara). Tipiche delle dittature sono poi tutte le leggi che oggi favoriscono i criminali. E di certo è inquietante leggere anche
solo quelle citate da Camilleri (ad esempio in La prima indagine di Montalbano). Se è strano ma frequente sulle riviste trovare dei
politici immorali definiti come "persone ammirevolmente determinate al di là di scrupoli morali e altri orpelli", ancora più strano e
comune è ormai leggervi casi come quello in cui sono stati decisi i domiciliari per i reati più gravi in assoluto (tortura fisica e
psicologica gravissima, minacce di morte col fuoco e sequestro di persona), peraltro in appello senza nuove prove, trasformando la
pena precedentemente stabilita a 8 di galera, che pur essendo insufficiente era pur sempre qualcosa! E cosa si deve pensare leggendo
sulle riviste anche che si sono costruite carceri come alberghi e si preme per trasformare ogni carcere in case famiglia (niente di
meno!) attrezzate peraltro con pony e gelati per i figli dei criminali, sebbene lo Stato non stabilisca case famiglia sufficienti e spesso
proprio nessun aiuto a bambini e ragazzi maltrattati psicologicamente e fisicamente e minacciati crudelmente dai familiari, come del
resto per le donne vittime della violenza del marito o convivente. In fondo è uno stato di cose interessante perché non è possibile
prevedere bene come evolverà la situazione, non potendo fare confronti con il passato. Questa è la prima volta nella storia che si
parla di case famiglia per violenti, rapinatori, stupratori, assassini e mafiosi. A quel carcere-pensione già attivo sono forse dirottati i
criminali benestanti o i mafiosi più protetti... I crimini dei benestanti sono sempre però i peggiori (si tratterebbe magari di medici...o
meglio potrebbe essere così probabilmente se si potessero mandare in galera i criminali quando sono medici!) E tutti coloro che
lavorano stanno ora mantenendo i villeggianti di questo carcere meraviglioso. Lo Stato però non prevede non solo sussidi statali, ma
nemmeno che si possa prelevare dal conto dei genitori il denaro necessario nel caso di figli resi da loro o dal caso impossibilitati a
mantenersi da soli. E chi viene percosso non può che raccogliere ripetutamente in ospedale carte che attestino l'esito delle percosse da
presentare a un eventuale processo e cioè egli deve farsi menare più volte, rischiando danni permanenti e gravi (malattie croniche,
coma e danni cerebrali seguìti a ematomi alla testa e perdita di un occhio sono i più comuni). Una volta avvenuto l'omicidio, se la
vittima era una persona molto sola e gli assassini i genitori, non esisterà nessuna denuncia di scomparsa. Un padre potrebbe seppellire
la figlia in giardino per quel che rischia in questi casi... Tempo fa ho letto quasi ogni giorno di uno stupro sul giornale per una
settimana. In TV la sera ho visto ogni giorno per altrettanto tempo dare film con stupri. In seguito ho letto su una rivista l'articolo di
uno psicologo che definiva degli stupratori di 18 e 25 anni come poveri bambini rovinati da Internet e che non si resero conto di far
male, anzi come povere vittime della convinzione che il "no" della stuprata (che urlò e pianse) da loro dieci significasse "sì" come nel
flirt o nei giochi sessuali. In un'altra rivista ho letto un articolo in cui si giustificavano i maschilisti aggressivi di un social Incel
online (non si tratterebbe di individui "cattivi", ma di persone sofferenti a causa del proprio inadeguato aspetto fisico e della
"conseguente" impossibilità di avere una relazione) e ciò subito dopo aver descritto la strage di donne fatta per strada da un uomo che
è da loro acclamato come una sorta di eroe. Questa sorprendente e altrimenti inspiegabile uniformità di giudizi si comprende
ovviamente riflettendo sugli scopi degli autori diversi degli articoli, perchè, certo, chi scrive lo fa stipendiato da chi vuole vendere le
riviste e non sono solo le madri degli stupratori e dei violenti a non voler comprare nulla dove possa accadere di leggere che i loro
giovani figli devono passare almeno 30 anni reclusi e peraltro in galere che non siano parodie di esse. Del resto gli stupratori sono
magari giovani futuri ingegneri o diverranno col tempo uomini molto capaci quando si tratta di fare o ricambiare un favore bastardo...
Troppo utili per chiuderli per trent'anni e in galere vere! E bisogna considerare che la maggioranza della gente non denuncia le
violenze subite se appena può evitarlo quando teme anche solo un po' l'individuo aggressivo o negligente di turno e poi definisce la
propria vigliaccheria e irresponsabilità verso altre potenziali vittime un'espressione del proprio carattere alieno dal rancore, salvo poi
cercare a lungo di vendicarsi di chi non accetta di sottoscrivere questa loro versione se si tratta di persone ritenute inoffensive, per
natura o condizione o, purché gli sia facile, sfogarsi su chi non c'entra affatto nè giudica l'accaduto. Il successo della Chiesa si fonda
anche su questo modo di interpretare il precetto del perdono come rassegnazione, come lasciar fare almeno se si prevedono rischi a
fare diversamente, conservando le energie per quando si potrà aggredire a propria volta per poi risolvere confessandosi dal prete (cioè
con un atto privato e del tutto privo di implicazione di doveri conseguenti al pentimento implicito quanto in genere inesistente)
ripetendosi intanto e facendosi ripetere parole indulgenti: vero o falso, si è pur raccontato il caso di una cartomante arricchitasi
dicendo a tutti i clienti le stesse parole, ossia "tu non sei cattivo, è solo che hai tanto sofferto...", perché è tutto più facile se si riesce a
credere ciò di sé o a farlo credere, tanto che è una delle principali leggi della violenza descritte fin dall'antichità quella che fa sì che il
lupo non solo voglia fare il lupo, ma anche apparire non lupo. E perfino alcuni noti scrittori di classici hanno a volte rifiutato di
giudicare esplicitamente come "cattivi" alcuni dei loro personaggi peggiori, dando la colpa di tutto alle loro esperienze, ai tempi, ecc.,
come se il determinismo sociale non fosse un'illusione demolita dalla grande varietà di reazioni a simili condizioni di vita ed eventi e
come se la cattiveria consistesse solo nel desiderare il male del tutto gratuitamente, come se si potesse ammettere che se quando si
tortura e uccide chi non ha nè torturato nè ucciso lo si fa credendo di avere ragione o per un qualche interesse non si facesse poi
chissà che e non si potesse essere giudicati cattivi... Insomma conviene proprio a tutti giustificare o perdonare i criminali o meglio a
tutti tranne che alle vittime dei reati più gravi e a chi ha bisogno di giustizia e sincerità. Questa mentalità dominante spiega anche il
successo di libri come L'amica geniale e di altri simili prodotti di libreria che trovano un ampio pubblico grazie all'atteggiamento
costantemente indulgente per vermi di ogni tipo e cioè per il punto di vista immorale senza parere. Uno studente universitario, già
con diploma liceale,mi aveva detto, poco tempo prima, che non capiva come mai una ragazza ci impiegasse tanto a riprendersi da uno
stupro e che riteneva le violenze familiari tutto tranne che un reato. E si è scritto su diverse riviste che in alcuni casi gli stupri in Italia
avvengono in strada o a fianco di bar affollati senza che nessuno dei presenti decida di avvicinarsi e intanto telefoni alle forze
dell’ordine. Cos'altro aspettarsi qui se anni fa, nonostante i non pochi casi di stupri decisi tra i banchi di scuola e di persone morte
adolescenti o comunque molto giovani a causa soprattutto delle conseguenze fisiche, psicologiche e sociali del bullismo subito a
lungo a scuola, in un telegiornale si è potuto riportare senza commenti di sorta l’affermazione di tre criminali giovanissimi che, con
calma e fare educato, hanno “spiegato” l’aver marchiato con il fuoco (usando un marchio da bestiame) un coetaneo in questi termini
graziosi quanto insensati: “è stato un gioco finito male”, senza che il giornalista aprisse bocca e ciò in una scuola già finita al
telegiornale per un altro caso di bullismo qualche anno prima. Da poco la legge ha obbligato gli insegnanti a non lasciare soli gli
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studenti e a scoraggiare il bullismo, ma si tratta di leggi insufficienti e che non stabiliscono gravi pene per chi le ignora e che pertanto
non basteranno, dato che la mentalità della maggior parte degli insegnanti è inadatta e molto simile a quella dei bulli (spesso, anzi, il
bullismo dei ragazzi è la conseguenza di iniziative mirate a crearlo di alcuni insegnanti, che spesso non impongono a se stessi alcun
limite nella violenza verbale e nelle discriminazioni nell'assegnare i voti e si astengono solo dal compiere di persona le violenze
fisiche proprio perchè possono incoraggiare e giustificare quelle degli studenti, cosa che a volte fanno anche dalla cattedra con pochi
giri di parole).
Y: Le pene non sono mai prestabilite e un giudice può, per lo stesso reato dimostrato, dare 15 anni o due o magari sostituire alla
galera i domiciliari, che sono una semplice vacanza per molti criminali serviti e riveriti dalla famiglia. In questa situazione la
corruzione del giudice è incoraggiata al massimo. Se fossi un giudice, prima o poi, sarei tentato di farmi corrompere. Se fossi un
criminale inchiodato dalle prove e potessi pagare con la certezza di ottenere così un forte sconto di pena o i domiciliari, senz'altro
offrirei al giudice molto denaro. E siccome non si può denunciare i giudici, niente si può farci. E poi il giudice può avere pregiudizi,
essere ignorante su una certa questione nonostante l'onestà di fondo oppure può avere la luna storta...
X: Appunto. Anche se Sciascia in Il contesto, scrisse pure di quell'innocente finito in galera per omicidio senza prove vere e proprie e
poi divenuto un assassino di giudici... Forse bisognerebbe parlare parecchio di Sciascia, di Voltaire col suo scritto sull'innocente
condannato a torture e morte Jean Calais. Il commissario dei Carabinieri del paese dove sono stata mi ha detto che in Italia non va in
galera nessuno e che ai matti criminali nulla si fa se hanno proprietà e risparmi. I manicomi criminali del resto sono pochi oggi, si
chiamano altrimenti e probabilmente sono poco affollati. Intanto le vittime dei criminali (familiari o estranei, laureati e ottimi
lavoratori o gente di strada) vengono spesso imprigionate, torturate e uccise dagli psichiatri.
Y: Quanto alle possibilità di sottoporre a giudizio dei giudici, credo che si tratti di una tendenza generale. Pensa solo al caso
incredibile di quell'americano condannato a diversi anni per stupro pur essendo innocente: dopo anni di galera, avendo potuto
dimostrare la sua innocenza ed essendone uscito, ha denunciato il poliziotto che lo aveva fatto mettere dentro e ha chiesto un
risarcimento, ma solo per vedersi accusato per omicidio da quello stesso poliziotto e condannato. Di queste cose si è parlato molto in
America e il caso è giunto fino a noi, ma l'unico risultato sono state chiacchiere su chiacchiere. Il presidente degli Stati Uniti ha
rifiutato la grazia.
X: Bisogna pure dare l'esempio e insegnare che non si deve mai denunciare poliziotti e giudici...
Y: Scommetto che pensi che si sarebbe dovuto uccidere sia il poliziotto che i giudici. Di certo si sarebbe dovuto manifestare e
provare a rendere a quei bastardi la vita difficile. Poi forse... Quel che è accaduto a quel tizio può succedere a tutti e si dovrebbe
pensare a difendersi in ogni modo possibile. Almeno però in America c'è qualche volta severità verso chi è condannato da un
tribunale.
X: Manzoni scriveva che un tempo le Grida tappezzavano i muri assordando con le loro minacce di terribili torture e con la pena di
morte per i criminali e, anche se erano ideate per proteggere questi ultimi e colpire gli innocenti o chi aveva sbagliato senza essere un
vero e proprio criminale, esse per lo meno davano un messaggio e a volte portavano anche a punire persone pericolose e meritevoli
delle torture e della morte. Tolstoj, nei libri in cui ha espresso al meglio le sue doti di umanità, non ha tralasciato di chiarire che
rispondere con la violenza e col dare la morte ai violenti peggiori è razionale e una soluzione. Beccaria, contrario a tortura e pena di
morte, scrisse però che la grande lunghezza della pena detentiva era un mezzo insostituibile per combattere il dilagare della
criminalità perché molti temono l'ergastolo o 30 anni di galera più della tortura fisica e della morte. Leopardi, che si pronunciò contro
la violenza sui criminali e scrisse come la diffusione della cultura e dell'informazione fosse un mezzo più idoneo ad arginare il
crimine, affermò anche però che a spingere molti dei suoi contemporanei all'indifferenza verso la punizione dei reati era soprattutto
l'indifferenza per la "virtù" (per ciò che è giusto e onesto) e per il destino, la dignità e la sofferenza delle vittime. Così affermava
anche la tanto criticata Hannah Arendt... Da sempre,anche chi scrisse prescindendo da considerazioni morali per tenere piuttosto
conto delle conseguenze di certi provvedimenti, tenne in grande considerazione le galere: è il caso di Guicciardini, umanista lucido,
cinico e poco incline a riflessioni moraleggianti, ma deciso quando afferma che l'ingiustizia è sempre molto pericolosa. Beh, ora si
fanno i telefilm sui criminali in galera e Orange is the new black è molto seguito. Si fanno anche film su quali persone care, normali
e divertenti erano in fondo i fascisti e su vittime di serial killer che tornano dall'aldilà per conoscere il loro assassino e finiscono per
averne tanta compassione...E intanto giornalisti a favore del terrorismo come Massimo Fini scrivono che Catilina, fazioso
pluriomicida e violento, stupratore sacrilego, aveva una moralità molto profonda e grande, mentre Cicerone era un secchione bigotto,
debole e stupido (e questo imbecille rimanda pure a Plutarco tra le fonti, sebbene né Plutarco né gli altri scrittori antichi noti a noi
abbiano mai scritto assurdità del genere su Cicerone). E nei libri su Nerone ora si scrive che, secondo gli storici contemporanei, egli
non incendiò Roma (in contrasto con ogni testo antico, a cominciare da quanto scrissero Svetonio e Tacito).
Y: Non si sarà sentito allora solo questo commentatore delle Verrine che ci invita a rispettare Verre, a capirlo e anche ad ammirarlo.
Buon per lui – e per gli stronzi come lui, che sono parecchi a quanto pare. In un libro di Camilleri ho letto qualcosa sul dilagare della
moda del revisionismo.
X: E non sarà mica un caso che sono parecchi. Un libro come Catilina sembra dare un apporto nuovo su un personaggio su cui si
sono ormai scritti fiumi di parole per secoli. Un tempo pochi scrivevano e leggevano e chi pubblicava qualcosa su personaggi della
storia classica lo faceva senza mirare al guadagno e dopo studi che conferivano un minimo di competenza e capacità di riflessione.
Oggi si vuole vendere e scrivendo bastardate si trova sempre un pubblico ampio. Leopardi aveva ragione sulla mentalità dei suoi
contemporanei e quel che ne ha scritto vale anche per i nostri. Ha girato il mondo quel video di cui si parlò su Rai Tre e in cui un
politico della Lega, in un comizio, ha affermato che bisogna eliminare i bambini zingari, ma nessun provvedimento legale è stato
preso contro di lui. Niente è stato fatto nemmeno contro quell'altro politico criminale che ha suggerito di bombardare i canotti degli
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immigrati. Niente è stato fatto nemmeno, del resto, a quella stronza che, su un giornale ferrarese di qualche anno fa, ha scritto che
costringere alla vita i malati invalidi e tormentati da dolori era giusto in quanto cristiano. Ha parlato di sacrificio cristiano, che è un
atto sempre volontario, per quel che di fatto è tortura imposta dal governo e, in uno Stato laico, ha affermato implicitamente che tutti
devono essere cattolici, ma niente si è fatto contro di lei. Ha scritto che i farmaci possono indurre il coma salvando dai dolori più
insopportabili, ma pure sapeva che questi farmaci costano molto e che lo Stato non dà ai malati il denaro necessario ad acquistarli e
che inoltre il coma può essere doloroso, un tunnel lunghissimo fatto solo di incubi. Davvero tutto si può fare e dire.
Y: Otteniamo anche noi il permesso per una piccola manifestazione o per un convegno? Potremmo dire allora al pubblico che
bisogna uccidere o torturare questo e quest'altro. Almeno qua in Italia si può. Benissimo. E pensa che in America abbastanza di
recente, hanno condannato un tizio all'ergastolo per aver tagliato un albero. Una sequoia vale così tanto? Comunque meglio la
severità del permissivismo. In America, almeno là dove è previsto l'ergastolo al terzo reato indipendentemente dalla natura di esso, le
cose forse sono davvero migliori sotto questo aspetto.
X: Qui è l'eccessiva sensibilità l'unico crimine, o almeno l'unico grave sia per la legge che per la gente.
Y: A parte il "crimine" del rifiuto dell'ipersensibile di subire in silenzio...
X: Ah, certo. Mai osare tanto, mai offendere il principio di autorità e il sentire comune. Beh, volendo fare una gerarchia considerando
il punto di vista della maggioranza, direi che, per gravità, seguono emotività, disprezzo dell'estetica, stato di bisogno qualunque,
senso della giustizia, gusti e interessi diversi da quelli dei più o del gruppo.
Y: Forse ci sono: che la violenza non venga considerata un crimine grave dalla gente, proprio perché per quasi tutti chi ha emozioni
ed esigenze "diverse" provoca con la sua diversità e merita ogni forma di violenza? Quasi tutti compiono atti criminali a danno di
coloro che vengono bollati come "stupidi". Oppure rasentano il crimine. Con ogni probabilità considerano chi per crimini simili
finisce in galera come una piccola percentuale sfortunata. Pensa a tutti quelli che consigliano il suicidio ai ragazzi diversi dal branco,
come nel caso di quel social network che ha contribuito a una quantità di suicidi tra giovani, prima di essere chiuso. E chiudere il
sito, dopo tante morti, è stato l'unico provvedimento preso. A quelli come te controllano PC e cellulare, ma ai mostri?
X: No comment, a parte che … Ecco, come dire…Sento di poter quasi affermare che forse la carriera criminale è da consigliare. In
fondo non c'è reato per cui la galera sia sicura, nemmeno quando il tribunale giudica le prove più che sufficienti. E soprattutto per i
carcerati non sono previste né celle di isolamento buie, né cinghie a polsi e caviglie che torturano e a volte uccidono con l'immobilità,
né droghe che, quando non impediscono di pensare e sentire, creano angoscia e agitazione e in generale provocano danni al cervello,
malattie organiche e morte. Ho anche dei dubbi sul fatto che ogni carcerato sia costretto ad ascoltare assurdità e inoltre spiato ogni
istante e in ogni luogo (bagno compreso). No, per rapitori, rapinatori, violenti e assassini, anche solo parlare di tortura e pena di
morte è considerata barbarie. Con i nevrotici, come io e te eravamo, e probabilmente anche con i ribelli, come noi siamo ora, tutto ciò
e invece ritenuto il minimo... Una delle cose su cui più dovrebbero riflettere i genitori e i responsabili delle leggi più ingiuste sul
rapporto tra genitori e figli è proprio che non è più prudente per dei genitori lasciare ai figli alternative all'ammalarsi e al rischiare
ogni giorno la morte subendo la loro violenza in casa o quella di altri per strada o in manicomio: non è più conveniente per i genitori
perchè attualmente la differenza tra il trattamento in manicomio e quello in galera è enorme e anche per i ragazzi più deboli e isolati
informarsi non è più tanto difficile. Ma perché parlare proprio di figli disoccupati o privi dell'indispensabile o di nevrotici o ribelli?
Basta meno. Guarda Mammuccari, che ha offeso in televisione per circa ben cinque puntate consecutive un concorrente perché era
"solo magazziniere" e "disoccupato" e perché appariva chiaramente omosessuale; guarda Papi che ha criticato tante scelte di studio e
lavoro dei suoi concorrenti e ha messo in ridicolo un musicista dilettante perché suonava più strumenti nel tempo libero senza
pensare di usarlo in modo più "terra-terra" e redditizio; guarda Chiambretti, che ha offeso perfino un bambino senza alcun motivo
(traduttore di un ospite intervistato quasi coetaneo, che non poteva rispondere in italiano), cercando di metterlo in ridicolo e di farlo
apparire idiota e mezzo pazzo (era in realtà un bambino normalissimo e anche piuttosto bravo nel suo compito), peraltro in diretta, se
non sbaglio (fu la puntata in cui si divertì anche a spese dell’attrice porno un tempo compagna di Cicciolina, che svenì, e a quelle del
ragazzo che avrebbe dovuto suonare qualche nota di sottofondo e che aveva la colpa di provenire dal Grande Fratello; fu la puntata
memorabile in cui questo conduttore si vantò che un ospedale di Milano gli aveva “messo a posto la testa”…); soprattutto pensa
all'intervista in TV di qualche anno fa a un pianista, decisa appositamente per ridicolizzare lo stato dei suoi nervi e concentrata
interamente sull'ipersensibilità cui l'incaricato di rispondere al posto del musicista aveva accennato con tatto: l'intervista era stata
evidentemente concessa dal pianista perché presentata come motivata da interesse per la sua arte, ma l'intervistatore ha continuato a
chiedere conferma circa questa sensibilità eccessiva; l'intervistatore si girava verso la telecamera con sul viso un ghigno sprezzante e
sarcastico a ogni risposta per, a volte, celarlo nel fare le domande. Eppure le risposte non erano ridicole, erano molto vaghe e quasi si
limitavano a essere delle ripetizioni.
Y: È una moda, e non solo italiana. In ogni tempo la gente non ha portato rispetto ad alcuno, ma in passato c'era una sorta di "cultura
del rispetto", ovvero si era abituati a pensare che si doveva mostrare del rispetto in certe situazioni. Ora non più – e, tra parentesi,
questo è uno dei motivi principali dell'affermarsi in molti Paesi dei negozi online e dei supermercati dove tutto è automatico e non si
deve aver a che fare con commessi stronzi –. La maggior parte delle interviste, italiane e non italiane, fatte a Emma Watson sono state
simili a quella che hai descritto e, per quanto si tratti di una ragazza per carattere tendente a esaltarsi e con una naturale difficoltà a
sostenere certe emozioni quotidianamente e quindi a restare sempre confinata nella realtà, oltre che incredibilmente ignorante anche
per essere un'attricetta, esse sono fastidiose per gli eccessi a cui arrivano gli intervistatori, che mai tengono in minima considerazione
che lei è cresciuta troppo a contatto con il mondo falso della TV, che la sua vita non è mai stata normale e che non è lei ad essere
responsabile delle carenze dei programmi scolastici (aveva ottimi voti a scuola) e di quelle dei genitori nel proteggerla dalle
conseguenze del recitare fin da bambini. Quanto a Papi e Mammuccari, confrontali con il personaggio del presentatore del quiz
televisivo in The Millionaire. E, riportando il discorso alla situazione in Italia, ho visto un'intervista a un attore intelligente e da
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sempre molto valido, qual è di fatto Di Caprio, trasformata in una farsa da una serie di domande che si sarebbe potuto rivolgere al
massimo ad un bambino piccolo e fatte con quel tono un po' paternalistico di chi vuole sfottere: anche in questo caso l'intervistatore
ha rivolto alla telecamera un'espressione complice manifestando il proposito di ridicolizzare l'attore. Per fortuna Di Caprio ha
risposto a tono, ma il gesto rimane. Sarebbe quasi da provare imbarazzo per questi "giornalisti" mostriciattoli, se non fossero così
gravi le conseguenze a lungo termine di quel che fanno. Anche un'annunciatrice di telegiornali, tempo fa, ha commentato ogni notizia
non di suo gusto con un'espressione del viso decisamente sprezzante, per quanto credo sia poi stata allontanata (i tempi non erano
ancora maturi, forse, ma lo saranno presto). Cose del genere non erano mai accadute prima.
X: A eccessi del genere di solito segue una reazione col tempo, ma in questo caso non so se sarà così o di quale genere essa sarà,
perché questa "moda" è un processo ormai radicato e sembra irreversibile, dato che coinvolge ogni media. Penso al successo di pochi
anni fa di canzoni come Girlfriend di Avril Lavigne e Stupida di Alessandra Amoroso. Anche i video musicali in cui la violenza è
rappresentata allo scopo di denunciarla (molti di Hozier, per esempio) non aiutano di certo a diffondere una mentalità meno
aggressiva o capace di reazioni sane e decise a pregiudizi e abusi. Lo stesso vale per la violenza incredibile inserita nei film della TV
ogni sera, nei giornali e nei libri (pensa alla fantasia sadica inesauribile di Le cronache del ghiaccio e del fuoco e del primo libro di
Millennium ). E quando i libri non traboccano di episodi di sadismo, spesso sono di un’ imbecillità rara nel contenuto, nello stile,
perfino nella lingua (pensa alla rubrica online di Russo).
Y: Non so se il governo diffonda con determinazione e in piena consapevolezza o soltanto si alimenti di una mentalità così ignorante
e aggressiva.
X: Di certo, comunque, è questa la mentalità che più conviene a uno Stato che vuole essere assente. Non c'è problema, per quanto
sotto gli occhi di tutti e, a differenza di criminalità e malasanità, preoccupante nell'immediato per tutti, per il quale lo Stato prenda dei
provvedimenti: nulla si fa né per il problema ora più grave in assoluto (credo sia quello degli affitti) né per l'emergenza
disoccupazione, per l'incremento demografico incontrollato e per l'immigrazione continua (quest'ultima, anzi, a dispetto delle
pagliacciate di alcuni politici in TV, è addirittura incentivata con l'assenza di controlli sulle coste dei documenti necessari (in alcuni
Paesi ci sono "uffici" che ne rilasciano di falsi a tutti coloro che li chiedono dietro un compenso abbastanza basso, tanto, una volta
qui, gli immigrati non subiscono controlli, possono nascondersi in casa finché trovano lavoro e prima o poi c'è una sanatoria) e nelle
scuole (chi ha il permesso di soggiorno da studente a volte si iscrive a certe scuole serali per andarci solo due o tre volte all'anno
oppure, a ogni età, si iscrive a un certo punto al ridicolo corso di "Arte, musica e spettacolo" della Facoltà di Lettere e Filosofia, dove
ottiene magari la borsa di studio dimostrando semplicemente di conoscere l'italiano e, pur essendo l'unico figlio a carico di una
coppia in possesso di casa in città e casa al mare, compilando il modulo di richiesta con una lunga serie di falsità circa il reddito dei
familiari, la casa di proprietà e il numero di fratelli).
Y: L'immigrazione costituisce in effetti un enorme problema in Italia, perché si lega a tutti gli altri, peggiorandoli a dismisura, ma
molti titolari di imprese di ogni genere (agricoltori, marmisti, edili, ecc., ma anche gelatai, proprietari di pizzerie e simili) sono ad
essa più che favorevoli, perché negli immigrati trovano manodopera più sicura, più economica e più facile da maltrattare oppure
mogli da – letteralmente – legare alla loro attività con più sicurezza di un socio e più facilità di un'italiana (di solito meno propensa a
impegnare il tempo senza contratto e a vendere il corpo ogni notte in cambio di un lavoro peraltro reso molto insicuro dalla crisi e
dalle tasse).
X: Probabilmente ottenere la cittadinanza col matrimonio sembra loro un mezzo più semplice di altri. Tra l'altro tra le italiane sono
più numerose le donne che non vogliono figli e chi ha un'attività in proprio, invece, smania per averne (maschi soprattutto) da
impegnare nel lavoro. Mio padre è un esempio – e non ha sposato una straniera solo perché mia madre è da sempre così debole,
malata di mente, arida e immorale da aver fatto anche meglio la sua parte di schiava. A uomini del genere di mio padre, ci pensa la
legge ad agevolare la strada, perché quando il destino avverso non concede loro figli maschi, la psichiatria e la strada possono fare
bene le veci dei conventi in cui un tempo uomini simili si sbarazzavano delle figlie. E anche il sottosuolo del giardino di casa, in certi
casi, può farne le veci, come ti dicevo prima. Questa è la legge, questa è la mentalità schifosa che la informa e rende stabile, perciò da
qualsiasi angolo si guardi ci si imbatte negli stessi problemi fondamentali.
Y: Che sono quelli della vita in famiglia.
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Y: In Viaggio in Italia l’Italia dell’epoca di Goethe appare lontanissima dal resto d’Europa e vicina piuttosto a paesi come l’Albania.
X: Hai notato però come negli aspetti fondamentali è rimasto tutto uguale? Non sono riferibili all’Italia di oggi i commenti sulla
mentalità delle varie zone italiane, sulle città del meridione sommerse di spazzatura dalla mafia, sui crimini efferati e sull’ignoranza
diffusissimi in tutta Italia o sugli episodi di frenesia senza confronto? Nel terzo gruppo “Violenza” ho inserito il libro tra altri recenti
e non e tutti sono echi della stessa voce stupita o stanca.
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X: Tra i messaggi di Il contesto:
- una dittatura può essere tale anche se non è proclamata a livello istituzionale
- tra potere politico e mafia le relazioni e l’affinità sono innegabili e immodificabili
-la letteratura deve essere indipendente quanto radicata nella realtà, per poter essere davvero “impegnata”
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- non esistono forme di “giustizia” di massa, per quanto la prassi legale possa esaltarle.
Y: Il possibile riferimento a Il castello di Kafka è interessante… Credi che la qualifica di agrimensore del protagonista rimandi anche
alle parabole evangeliche sulle vigne? Opacità del reale e potere perverso di ogni Chiesa (anche politica) e di ogni teoria personale
semplificatrice dall’aria protettiva e “legittima” oltre che dannosità del rifiuto di una maturazione graduale sono per me tutti temi alla
base delle discussioni dei rappresentanti dei signori del Castello con K.: come allargare i confini dello spirito e realizzare le
potenzialità e le esigenze della ragione tra le maglie della rete dei predatori nel regno dell’assurdo e del dogma ? La presenza di un
“agrimensore”, che si dovrebbe occupare anche di questioni di confine, non può che apparirvi superflua.
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X: Riflettendoci su con indipendenza mentale e capacità di astrazione, molti passi del vangelo possono evocare ed aiutare ad
approfondire problematiche difficili da inquadrare e che si ripropongono a tutti ogni giorno, stagliandosi sullo sfondo di quasi ogni
decisione significativa. Ogni tanto sento il bisogno di confermarmi nella mia presa di distanza da certo dualismo troppo
semplificatore di alcune affermazioni del vangelo o dalla loro interpretazione tipica, quella che se ne dà comunemente: per esempio
“ama il prossimo tuo come te stesso” ha sullo sfondo riflessioni fondamentali e alcune verità indiscutibili, che in parte possono
invalidare l’estensione di quel che qui si intende con “prossimo”, ma resta il fatto che nel vangelo questa massima si riferisce alla
gratitudine da dimostrare prontamente e al di là di qualsiasi pregiudizio a chi ci soccorre gratuitamente, anche qualora egli appartenga
ad un’altra “tribù” (chi ringrazia chi viene definito stupido dal paese? chi ricambia il soccorritore che non è al proprio livello sociale,
specie se rappresenta un rischio economico anche minimo?). Riguardo a certe massime evangeliche bisognerebbe frenare lo slancio,
anche perché dilatarne il campo di solito porta a rifiutare loro nella pratica qualunque concessione. Anche il celebre invito di Gesù
“Ama il tuo nemico” va inserito nel contesto che la frase ha nel Vangelo, in cui si ripete di non perdere tempo utile con chi ci rifiuta a
priori e di essere prudenti: mi sembra si tratti di un invito a non essere troppo facilmente reattivi e al massimo a considerare che quel
nemico forse non è davvero tale o ha ancora la possibilità di cambiare o, qualora non sia così, che in fondo non ha scelto lui il proprio
“stampo”. E lo stesso prudente distacco si dovrebbe usare nel giudicare la “legge del taglione”, perché ripagare qualcuno in modo
proporzionato e il più possibile corrispondente (considerati cioè i fatti gravi indipendentemente dal fatto che la loro documentazione
sia stata o meno autorizzata e tenute in considerazione anche motivazioni e intenzioni e quindi eventuali attenuanti), per quanto
possa comportare l’inasprimento delle pene detentive e legittimare in certi casi pena di morte e tortura, è una forma di giustizia
elevatissima se paragonata alla prassi comune: al minimo danno, del tutto incurante delle condizioni di vita, delle ragioni e perfino
delle intenzioni e/o dall’età di chi lo causa, la gente “perbene” non fa che aggredire con ferocia, umiliare e diffamare, fino a rovinare
economicamente e socialmente e a privare delle cure mediche persone di cui ignora tutto, che spesso sono molto migliori di quanto
appaiono e che a livello legale non trovano difesa.
Y: La legge del taglione magari nella versione mitigata parzialmente dal perdono che concepisce il Dantes di IL Conte di
Montecristo.
X: Forse. Ma tieni conto che, in quel libro il giudice finisce col diventare pazzo e viene poi detto da Dantes che ciò che egli, da lui
condannato ingiustamente, aveva temuto di più in prigione era la pazzia: insomma la parziale indulgenza espressa da Dantes, per
quanto sembri confermata dalle riflessioni sincere del giudice sul fatto che il male non viene compiuto sempre con crudeltà
premeditata e senza causare rimorsi e squilibri dolorosi e pericolosi, sembra smentita dallo svolgimento dei fatti (dal giudizio di Dio
nell’ottica del libro). Inoltre questa indulgenza non comporta affatto che chi ha provocato, pur se indirettamente, la tortura non venga
torturato, come dimostra la vendetta successiva su Daglas. Sono molti i libri in cui lo scrittore, in modo evidente o velato, applica la
legge del taglione ai personaggi. In Le cronache del ghiaccio e del fuoco, l’autore l’applica anche in famiglia: la moglie oltraggiata
uccide il marito, il fratello offeso e rovinato cerca di uccidere il fratello, il figlio uccide il padre ignobile che lo aveva ingannato,
umiliato e voluto morto. E la gente compra in massa questi libri peraltro, per poi schiacciare però con ferocia e irridere me che non
mi stanco mai di desiderare di aver torturato e ucciso o uccidere i miei familiari criminali, di volerli torturati e morti in qualche
modo, di dichiarare che è un’infamia che non abbiano pagato.
Y: Per la legge i violenti meritano tutta l’indulgenza possibile: l’importante è non disturbare i tribunali e gli altri servizi statali con il
proprio bisogno di difesa e giustizia; i violenti perbene poi possono al limite risolvere con una confessione dal prete, tanto è
facilissimo dimenticare che secondo il vangelo essa non è valida se prescinde dal pentimento e se non si accompagna a disponibilità
conseguente a rimediare o risarcire il danno fatto. Anche la gente, in maggioranza, sostiene le istituzioni e per ragioni forse ancora
più deplorevoli e mistificate di quelle di chi elabora quelle leggi per cui uno stupratore o un capo mafioso, se va bene, si fa al
massimo tre anni e una persona fisicamente o psicologicamente molto violenta in famiglia, di solito, neanche quelli. Non c’è quasi
chiacchierata televisiva dove manchino critiche a chi – orrido mostro rancoroso – denuncia e chiede gravi pene per i genitori (di
qualunque abuso siano essi autori) o difesa da loro per se stessi o dei fratelli minorenni. Chi in generale chiede giustizia o
comprensione nutrirebbe, secondo questi esperti, “rancore”…
X: Lo so bene…E nota che quelle critiche peraltro non sono mai seguite da una definizione di questo rancore o della ragione per cui
sarebbe spregevole in vittime di gravissimi danni in cui esso è naturale. Realmente crudele è solo chi offende la giustizia, anche
ostacolandone l’esercizio o l’esatta comprensione in questi modi. Anzi è giusto difendersi con la violenza in uno Stato che non ti
difende ed è giusto anche torturare e uccidere chi ti ha torturato e ha cercato di ucciderti in uno Stato dove la legge e la gente ridono
del tuo bisogno naturale di giustizia e della tua dignità di vittima quanto del fatto che la Giustizia ha un senso di per sé in un governo
democratico. Buono è chi non ha bisogno di un elenco di motivi convincenti per sentire compassione della sofferenza altrui e la
prova istintivamente anche quando il bisogno di giustizia o l’odio ampiamente provocato lo spingono a causarne a qualcuno. Buono è
chi si chiede sinceramente il perché di quel che vede oppure sente dire, evitando ogni scorciatoia e restando dentro la realtà anche
quando non lo ritiene conveniente per sé. Essere buoni è giudicare gli altri dalle loro scelte e non dalle loro capacità, facendo molta
attenzione prima di giudicare un’azione una scelta consapevole e libera (sceglie chi può esprimersi, chi conosce i termini della
questione, chi ha un’alternativa dignitosa e rispettosa della propria intimità, della propria salute e del proprio benessere essenziale) e
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mettendo e rimettendo in discussione i propri criteri di giudizio: essere buoni è rispettare il dolore altrui, indipendentemente dalle
sue cause e accettare gli altri per quello che sono, casomai aiutandoli a superare i loro limiti, senza nessuna invadenza o saccenza;
essere buoni è rispettare profondamente quelle debolezze e quei bisogni che in loro sono innati o creati dalle esperienze (in
particolare da quelle inevitabili) e quindi averne compassione senza alcun atteggiamento condiscendente o paternalistico. Si tratta di
un insieme di esigenze innate, che può coesistere con il bisogno di giustizia e quindi con la decisione di provocare dolore in chi causa
o cerca di causare, consapevolmente e per scelta, non fastidio, ma un danno grave e non provocato da un danno della stessa entità. La
bontà non si misura dal compiere, indipendentemente dalla natura innata, certe azioni, stabilite dalla maggioranza o da un certo
gruppo o cultura con cui si è venuti a contatto nel tempo: non è buono chi reprime il disgusto per una debolezza altrui o la
manifestazione aperta di indifferenza o fastidio o piacere di fronte al dolore di un altro, quando esprimerli lo porterebbe in contrasto
con un certo gruppo o comunque interesse personale o convinzione fondata su osservazioni senza basi certe (come sono tutte quelle
sugli altri della maggioranza, all’interno della quale tutti giudicano senza curarsi mai di conoscere le condizioni di vita , le esigenze
naturali e la capacità di espressione di chi giudicano; non è buono chi disprezza l’esigenza di giustizia altrui e nemmeno chi denigra
le vittime di gravi danni o reati che nutrono odio e rancore per chi ha creato in loro tante sofferenze e limiti che magari perdurano nel
loro presente (chiunque sia il carnefice, e anzi tanto più se si tratta di un familiare, cioè di qualcuno da cui è impossibile di solito
difendersi e che per natura deve essere un riferimento indispensabile). Anche se non sempre riesco a definire “bastardo” chi non è
buono, sento appartenere chi lascia fare a una razza diversa dalla mia, per quanto più suscettibile di comunicare con me rispetto a chi
prova piacere nell’umiliare: non esiste di fatto via di mezzo nelle conseguenze del non agire bene, proprio come non esiste “la giusta
distanza” dagli altri. Ci sarebbe comunque molto ancora da dire al riguardo, soprattutto circa la confusione che la gente fa di continuo
tra la rabbia e il disprezzo provocati in modo da non lasciare margine di scelta e la altrettanto inderogabile necessità intima di
giustizia delle vittime con quel che invece non è che mero desiderio di punire arbitrario, ignorante e/o “cattivo”. Se Levi in I
sommersi e i salvati si esprime chiaramente e a lungo riguardo l’inevitabilità dell’odio e del bisogno di vendetta/giustizia (mi pare
proprio che si identifichino quando gli Stati non permettono di avere giustizia legale a chi ha subito gravissime umiliazioni e
violenze) per coloro che subiscono qualcosa di terribile da altri uomini (chiunque essi siano), altre persone meno consapevoli ed
eppure di valore, come ad esempio Fromm, non sembrano conoscere questo dato naturale: in Psicanalisi dell’amore, Fromm afferma
infatti che il desiderio di vendetta col tempo abbandona le persone positive e produttive (ovviamente nel senso di sane e creative, non
solo nel senso di lavoratrici), ma la realtà è ben diversa purtroppo (intendi: purtroppo per le vittime)…
Y: Credo che Fromm non avesse letto abbastanza al riguardo e che non avesse mai subito personalmente un gravissimo torto.
X: Io nutro questi desideri non meno di anni fa, eppure sono di fatto stata molto creativa e, in fondo, se i miei familiari sono vivi, ciò
dipende dal fatto che sono stata troppo normale e positiva per ucciderli. Se io fossi stata più simile a loro, ora sarebbero morti.
Desideravo la loro morte naturale per disperazione, poi, dopo le loro violenze e continue minacce di morte e dopo che mi costrinsero
a scegliere tra la morte per strada o nelle mani di un maniaco e la tortura certa e la probabile morte in manicomio, ho desiderato la
loro tortura a morte per odio e bisogno di avere giustizia…nulla di strano in ciò. Non so se sarei mai stata in grado di attuare dei
propositi simili, perché io e loro siamo diversi, so solo che semplicemente ho voluto troppe altre cose: non volli rinunciare a tutto per
provocare io stessa la loro sofferenza e fine, soprattutto considerando che non avevo affatto vissuto fino ad allora (la vita è
espressione). Quando il bisogno di giustizia legale frustrato mi fa sentire troppo male, faccio come diceva di fare Levi: sposto
l’attenzione su altre forme di giustizia, quelle che ho avuto (evoluzione; obiettivi centrati; vita affettiva, intellettuale e creativa degli
ultimi anni). Ma questo non mi basta affatto e non credo mi basterà mai. Nessuno è un monolite e nemmeno il nazista o il criminale
peggiore manca di qualità né è impenetrabile a impulsi generosi provenienti da zone sommerse o poco chiarificate della propria
personalità, ma la complessità della natura umana rende ancora più grave, in fondo, l’ostinazione e la chiusura che sono alla base
della crudeltà con cui egli, come del resto la maggioranza delle persone, si comporta. I più sono crudeli e maligni con un discreto
numero di individui, che peraltro solitamente vengono scelti dal caso senza che niente di realmente personale e ragionevole motivi
l’aggressività estrema e tenace di cui sono vittime (un parente, un cliente, un paziente bersaglio delle proiezioni inconsce o al quale si
sia fatto un danno dalle conseguenze potenzialmente pericolose per sé o appariscenti; una persona che non si conosce intimamente e
magari nemmeno di vista ma condannata dal proprio gruppo o da una collettività ecc.)
Y: Eppure è chiaro che c’è modo e modo di infischiarsene degli altri: una decisione del tutto consapevole e ribadita con forza nel
tempo non può essere ragionevolmente identificata con l’orientamento poco lucido di chi è, costantemente o meno, alquanto
condizionato dall’inconscio, dalla paura e da debolezza mentale o caratteriale.
X: Certo, tuttavia chi fa del male si rende sempre conto in dati momenti della misura del danno che provoca e della vera natura di ciò
che fa e in genere il suo livello di consapevolezza è insomma abbastanza alto, prima o poi, da non legittimare giustificazioni di sorta.
Semplicemente possiamo trovarci di fronte a forme diverse di egoismo e di malignità. Fromm ha scritto il risultato di riflessioni
maturate nel corso di molti anni, ma non sempre mi convince: credo avesse evitato di chiarire a se stesso certe cose, con il risultato
che, nel descrivere alcuni degli esempi tratti dalla vita lascia emergere almeno in me qualche dubbio, mentre arriva a sconcertarmi
quando afferma che l’uomo d’affari che decide di scatenare una guerra contro un altro Paese per soddisfare il suo desiderio di
prestigio, denaro e potere, non è che “l’uomo comune” per il quale – secondo lui – non è giusto parlare di malvagità.
Y: Come se una tale indifferenza agli stupri, agli omicidi e alle torture terribili di innumerevoli donne, bambini, anziani, e uomini di
ogni condizione, fosse cosa da delimitare così chiaramente dal gusto del sangue e della distruzione. Come se fosse cosa certa una
grande distanza tra coloro che appoggerebbero oggi un “Hitler” adattato alla cultura e condizione attuale e Hitler stesso…
X: Perché così spesso in chi studia il comportamento umano (studiosi di vario genere, scrittori di letteratura, ecc.), si trova questa
assurda sottolineatura della differenza, in realtà minima, che intercorre tra chi causa dolore per gratificare e confermare una propria
convinzione o per un altro tipo di tornaconto più concreto e coloro che invece perseguono l’obiettivo di creare sofferenza in una o più
persone senza che si possa identificarne una motivazione altrettanto chiara e banale? E perché non si dà quasi mai tutto il peso che
merita al fatto che con una natura violenta e dispotica o semplicemente impermeabile ai diritti e al dolore di chi è diverso, si nasce?
Lo sa bene che peso abbia tutto ciò chiunque conosca da sempre la comprensione intuitiva di tutte quelle verità che non
“convengono”, il disgusto per la legge del gruppo più forte e il proprio sconcerto di fronte all’assenza naturale di empatia o di
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compassione altrui. I limiti che la maggioranza pone al proprio desiderio di controllo e di violenza (innato e indiscriminato) sono solo
posticce e meccaniche catene culturali accettate dal proprio ristretto ambiente in cambio del miglior posto possibile nel gruppo e poi
conservate a lungo fino a dimenticarne l’origine. Nei più l’indifferenza per il dolore altrui è assoluta o quasi e le sue delimitazioni
sono apparenti perché non sono manifestazioni spontanee e naturali, ma creazioni intellettuali.
Y: Eppure Fromm aveva un’esperienza dell’uomo comune considerevole, a giudicare da come sottolinea l’ampia diffusione di
atteggiamenti negativi della vita (inconsapevoli quanto profondamente radicati e nocivi) e del sadismo: li descrive così bene che è
stato anche per me impossibile non riconoscere nei tipi da lui delineati gli psichiatri dei nostri ospedali e manicomi, alcuni datori di
lavoro che ho avuto e quel genere di genitori i cui figli attirano tanto spesso l’attenzione generale).
X: Fromm ha ragione quando nota che non si è sempre liberi di scegliere quando si è convinti di esserlo ed è senz’altro giusto il
grande risalto che dà all’influenza della cattiva educazione familiare sulla libertà, ma egli, pur affermando di negare valore al
determinismo, non chiarisce bene cosa decide che un individuo resti libero più a lungo di un altro educato in modo simile e cosa fa sì
che persone dello stesso ambiente ed entrambe capaci abbiano a volte interiorità e destini molto diversi. Voglio dire che Fromm non
si esprime a sufficienza su cosa sia alla base dell’impossibilità di una visione deterministica dei percorsi individuali: ci sono bambini
che per istinto sono affettuosi e generosi e che, educati da persone violente od opportuniste ed abituate a comprare l’obbedienza dei
figli senza riguardo per la loro educazione morale, divengono in fretta dei mostri, mentre un loro fratello, allevato allo stesso modo,
diventa un ragazzo capace di vedere la realtà al di là delle solite deformazioni egocentriche e sensibile alle esigenze altrui, per
trasformarsi, in seguito, in un adulto forte, colto e altruista senza pregiudizi o tendenze prevaricatrici a motivarlo; inoltre ci sono
criminali nati tali e definiti “inguaribili” per puro realismo (vedi Lo sviluppo della personalità, il libro di Jung); considera poi che la
tendenza naturale a mentire a sé e agli altri e il sadismo stesso o il gusto spiccato per la violenza sono evidenti in molti bambini e
restano stabili in tutto il loro sviluppo successivo in modo tale che la loro evoluzione risulta chiaramente indipendente dai genitori e
poco influenzata anche dalle condizioni di vita e dall’esperienza. Fromm mette in evidenza quanto sia diffuso il narcisismo – che è
alla base di tutti questi comportamenti che disprezzo –, ma non dice che questi mostri, che si rivelano tali appena fuori dal loro
gruppo – idolo, vengono spesso a contatto con dati culturali o dell’esperienza che li contraddicono, né che spesso vengono
esplicitamente sollecitati ad appropriarsi di certe informazioni potenzialmente capaci di allargarne i confini mentali. La chiusura in
loro è sostenuta tenacemente e quindi con un minimo di consapevolezza e basta questo a renderli responsabili e punibili. Incontri e
dati di fatto indiscutibili sono davvero inutili per i più e – nonostante l’accessibilità di biblioteche e di Internet e l’apertura al dialogo
di alcuni tra coloro che più hanno vissuto – a pochissimi è noto cosa siano un ascolto e un’analisi imparziali e anche cosa sia o che
funzione abbia un libro che possa essere definito davvero tale (nulla a che vedere con la merce stampata che riempie le librerie,
prodotta in base alla richiesta e rivolta a cercatori di evasione e di comode conferme). Ti ricordi quella battuta in Ricche e famose
sulla “barriera linguistica”?
Y: “Libri scritti da persone che non sanno scrivere per essere letti da persone che non sanno leggere”? E c’era qualcosa a proposito di
chi non sa parlare…
X: Più o meno. E poi è davvero sbagliato trattare qualcuno secondo il metro che in modo evidente egli usa, se si è certi che il giudizio
che egli esprime dipende da una scelta vera e propria, per quanto condizionata essa possa essere da scelte precedenti? Le persone
afflitte da seri automatismi e blocchi della comunicazione sono infatti poche e, con pazienza e tatto, si possono scoprire. La
maggioranza non ha mai riflettuto a lungo prima di condannare né richiesto vere prove per torturare o uccidere. E in quanti modi la
gente uccide! Quando lo si fa per difendersene, è sensato riflettere su chi, comodamente adagiato nel proprio egoismo o su ferme
(morte) convinzioni, è disposto a torturare o lasciare umiliare e annientare (psicologicamente o fisicamente) qualcuno senza aver
subìto da lui lo stesso, ma forse non è giusto invece impiegare il proprio tempo a indagarne il grado esatto di colpevolezza o a
mettere in dubbio la legittimità della sua punibilità (legale e non). Bisogna appurare se c’è stata scelta e per farlo basta verificare se
c’è stata premeditazione o meno e a quel punto bisogna trattare l’autore del danno secondo i suoi valori (che l’azione premeditata ha
espresso). È meglio utilizzare il tempo (che non è prezioso solo nelle frasi fatte) per mettere alla prova ed educare se stessi e per
guardare meglio quel vicino che ci siamo abituati a incensare o a disprezzare.
IN CHE MODO È PREFERIBILE LEGGERE UN LIBRO

“Gli uomini che parlano male, imparano facilmente a parlare male (…) Perciò, quantunque sia utile parlare spesso all’improvviso, tuttavia è più
utile prendere un po’ di tempo per riflettere e poi parlare con accurata preparazione: (…) la cosa più importante è (…) l’esercizio continuo dello
scrivere (…). Scrivendo (…) tutti gli argomenti (…) si svelano e le parole hanno una certa misura e cadenza (…) Colui che è abituato a scrivere i
propri discorsi, anche se parla all’improvviso, il suo discorso sembra simile a un discorso scritto (…) Da ragazzo leggevo versi densi di pensiero (…)
o parte di discorsi (…) e poi li ripetevo con altre parole scelte con la massima cura (…) o traducevo nella mia lingua (…) Bisogna anche esercitare
la memoria imparando il maggior numero possibile di scritti nostri e altrui (…) Bisogna leggere libri di storia (…) per fare una scelta e riflettere
sugli scrittori (…) commentarli (…) criticarli (…) discutere ogni tesi (…) e cogliere amabili arguzie (…) Che cosa è così nobile quanto il portare
aiuto, sollevare gli afflitti? Che cosa è più necessario quanto l’avere sempre pronta un’arma con cui tu possa difendere te stesso e attaccare gli altri
senza tuo danno e vendicarti se provocato?” (M. T. Cicerone)
“Procuriamoci i libri per servircene, non per metterli in mostra. (…) Se tornerai agli studi, sfuggirai al tedio e non ti sentirai di peso a te stesso e
inutile agli altri (…) e saranno i migliori a venire da te. Perché la virtù, per quanto nascosta, viene a galla. Chi ne sarà degno potrà scoprirne le
tracce (…) Grazie alle fatiche altrui, veniamo guidati verso grandi verità strappate alle tenebre e portate alla luce (…) e possiamo così spaziare
attraverso i secoli (…) Nessun autore (…) nessuno dei cultori della vera scienza, si farà negare, nessuno mancherà di congedare più felice, più
amico, il visitatore, né lo lascerà andare via a mani vuote; e tutti potranno andarli a trovare, di notte e di giorno (…) Nessuno di costoro ti spingerà
alla morte, ma tutti ti insegneranno ad affrontarla; nessuno sciuperà i tuoi anni, anzi aggiungeranno i loro ai tuoi. Non dovrai temere alcun pericolo
dalla loro conversazione e amicizia, e non ti costerà caro onorarli. ”. (L. A. Seneca)
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“Alcuni studi (…) hanno rilevato un effetto protettivo della competenza narrativa sul rischio di sviluppo di disturbi mentali a seguito di eventi
stressanti, e un effetto positivo sulle possibilità di guarigione, ovvero di recupero del benessere (…) Insomma, narrare e saper narrare fa bene al
nostro cervello (…) Produrre note autobiografiche in relazione a esperienze traumatiche fa bene: parlare e raccontare i propri guai riduce la gravità
dei sintomi fisici nel corso di malattie croniche quali asma (…) o artrite reumatoide. Questa è la potenza del linguaggio, della narrazione e, quindi,
della creatività (…) Raccontare(…) con originalità e creatività, aiuta a stare meglio, a elaborare lo stress derivante da un trauma, e a superare il
nodo patogeno (…) L’integrazione delle narrazioni autobiografiche e quelle esterne al soggetto costituisce parte del processo che contribuisce alla
conservazione della continuità esperienziale del sé (…) Lo sviluppo della competenza narrativa svolge (…) un ruolo protettivo nelle situazioni per cui
la continuità esistenziale del sé è minacciata da un evento esterno, che può essere di natura catastrofica, traumatica o logorante (come episodi di
abuso, maltrattamento o discriminazione)” (E. Balconi e M. Erba)

Bisognerebbe sottolineare la narrativa di un certo valore tenendo conto del messaggio dell’autore, evitando di baloccarsi con le
suggestioni del momento, rispettando i “sentieri” che egli traccia e confrontando le varie parti del libro (lessico, immagini, concetti
ricorrenti ecc…), perché i rimandi, soprattutto lessicali, all’interno dello stesso libro sono il modo principale con cui un autore ci
trasmette i messaggi che ritiene più importanti o quelli da chiarire o le sue rettifiche dovute a maturazione personale e di artista.
Bisognerebbe poi fare particolare attenzione a espressioni come “ balzare”, “all’improvviso”, “in fretta”, “senza sapere perché”,
“come se”, “una volta per tutte”, “decidere di pensare”, “spalla, mano o via di sinistra” e sinonimi (si prenda un lavoro di Dostoevskij
per avere un colpo d’occhio rapido su come sono ripetute e posizionate in modo significativo): essi – come il caso tipico dei
riferimenti all’area semantica dell’acqua - segnalano l’irrompere dell’inconscio nella vita del personaggio, una manifestazione della
“vista” superiore dell’inconscio, momenti chiave dell’evoluzione dei personaggi e dell’intreccio oppure gli errori forse più comuni,
perniciosi e insidiosi al mondo.
Fondamentale è rileggere i testi subito e poi anche nel corso del tempo, per comprenderli al di là dei condizionamenti inconsci e alla
luce dell’esperienza e della propria evoluzione. Inoltre è importante acquistare i testi pur approfittando della biblioteca fintanto che
non è possibile: a ciò che è importante va dato spazio nella propria vita e poi un libro riletto nel tempo a portata di mano è una fonte
di energia nei momenti di sconforto e un aiuto per concentrarsi su di sé e non esaltarsi nei momenti migliori.
Abituarsi a riconoscere i rimandi tra libri di autori diversi, soprattutto quando sono intenzionali aiuta molto a comprenderne il
messaggio e rende più piacevole ogni lettura. Nel caso dei libri di questo documento, leggerli nell’ordine in cui sono disposti
all’interno dei gruppi può rendere più chiare alcune delle loro pagine, specialmente nel caso di quelli che sono costruiti interamente
sul simbolo, come ad esempio i testi elencati di Kafka e Sciascia: quando non si comprende un capitolo o un passo di un libro,
qualche volta esso fa riferimento a esperienze personali o non note direttamente, ma di solito in tali casi fa riferimento a un fatto
storico che non si conosce o a un altro libro, la cui lettura renderà immediatamente comprensibile il testo, per cui per esempio è
difficile capire Il Contesto se non si ha letto almeno la prima parte di Il Castello e se non si sa abbastanza, non solo della storia
italiana dal dopoguerra in poi, ma anche dei processi comunisti russi (magari leggendo Il buio a mezzogiorno) e di colpi di stato e
rivoluzioni e dittature del 900, mentre d’altra parte è difficile capire Il Castello se non si conoscono dogma dell’infallibilità del
papa, organizzazione e storia della Chiesa (anche solo leggendo La grazia di Joyce, L’avventura di un povero cristiano di Silone e
l’opera di Voltaire, a cominciare dalla voce Concili e dalle voci del Dizionario filosofico raccolte da A. Massarenti in Non amatevi
troppo o dal trattato sulla tolleranza) e il capitolo sulla giustizia in una società di massa di Il contesto.
Bisogna confrontare il libro con le altre produzioni dello stesso autore e conoscere il percorso artistico e personale di quest’ultimo,
ma è sempre sbagliato leggere tutti i libri di un autore come se si trattasse di un elenco, non solo perché il tempo che ciò
richiederebbe è troppo per chiunque, ma perché un capolavoro a volte ha poco in comune con quel che lo ha preceduto o seguito e
perché è utile lasciare spazio alla legge di attrazione, darle il modo di manifestarsi abbandonando pregiudizi razionalistici,
informandosi al riguardo e soprattutto aprendosi alla possibilità di verificare da sé il suo manifestarsi.
La legge di attrazione si manifesta nel modo più affascinante e chiaro proprio quando qualcuno dà avvio a un processo di
autoconoscenza con molta decisione, sincerità e apertura a ogni esperienza nuova, comprese le letture (pur naturalmente con spirito
critico, senza abbandonarsi e adagiarsi, al di là di ogni passività): i libri saranno catturati allora, più che dallo stato d’animo, dai
pensieri ricorrenti e coltivati attraverso le letture e dal libro letto di recente, così per il lettore, avviato sul percorso giusto, può
avviarsi un processo di conoscenza di sé e di quello che lo circonda e di autoaffermazione, tale da superare, per completezza e
opportunità, quello proposto dal maestro più qualificato… proprio come egli prima, mentre seguiva percorsi vaghi e pieni di fughe e
ritorni, attirava esperienze e letture per lui negative o vuote.
Non si dovrebbe leggere per credere a qualcuno e a qualcosa, come non si dovrebbe credere a priori a nessuno né tanto meno vivere
con manuali e fedi di sicurezza di cui parlare come di un dono solo perché le forze dell’immaginazione o le comodità dell’abitudine o
il piacere di sentirsi eletti da un donatore le rendono vive e le fanno apparire certe e utili.
Come non è giusto scrivere per "catechizzare", nessuno deve rinunciare a trovare una via solo propria con il tempo e la fatica: se la
strada giusta è una, essa è anche senza nome e i sentieri giusti possono essere solo quelli individuali che si mostrano sempre diversi
via via che si procede con una meta vaga e piccoli orizzonti.
Leggere, come parlare, deve servire solo a indicare dove guardare e poi a osservare sempre meglio le tappe già raggiunte,
“rinominandole” (rimando al concetto del "vero nome" delle pagine di Michael Ende, Doris Lessing, Italo Calvino e Carl Gustav
Jung): si tratta di dare il nome giusto a situazioni e persone, trovando corrispondenze che aiutino a raggiungerle nuovamente quando
si ripresentano sotto nuove forme in una spirale di crescita, per la quale i centri e i nomi cambiano ogni volta.
Come insegna perfino Philip Pullman, contemporaneo autore di un genere letterario considerato poco "nobile"ma sulla falsariga di
Ende e Dostoevskij, l’accettazione del principio di autorità è agli antipodi della via della coscienza ed è onesto chi davanti
all’“abisso” si ferma e accetta di percorrere faticosamente tutti i gradini della ragione, limitandosi a preservare intuito, aspirazioni e
speranza.
Del resto, la conseguenza più comune di avere fedi dogmatiche e molte certezze è, purtroppo, il diventare intolleranti e dipendenti da
esse o da chi le professa almeno a parole: chi è quasi sempre stabile, contento e sicuro non è equilibrato, ma solo una persona che
antepone alla verità il proprio interesse, mentre essere equilibrati spesso significa “vivere alla giornata” accettando la fatica e i
cambiamenti d’umore che comporta l’aderire alla realtà che cambia (rimando a Le belle immagini di De Beauvoir, oltre che, di
nuovo, all'opera di Doris Lessing).
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Si può avere fede solo nelle possibilità aperte a tutti dall’intelligenza e dalla perseveranza con un po’ di fortuna e nel fatto che si deve
restare interiormente e esteriormente fedeli alla propria volontà più profonda e alla realtà per poter avere un centro attorno a cui
sviluppare struttura e sostanza: bisogna infatti evitare le trappole dei dogmi quanto quelle della dispersione intellettuale e del
disamore di sé, se è vero che “le creazioni dello spirito sono come un corpo che cresce in barba alla volontà interiore e prende la
mano”(Robert Musil), che è poi esattamente un altro modo per esprimere uno dei messaggi principali dei più celebri libri dei già
citati Ende e Dostoevskij.
Ci sono libri che salvano da un certo tipo di alienazione o disperazione proprio aiutando a riempire certi vuoti, perché la più
profonda stabilità e le gioie più intense nella vita si trovano probabilmente non nella guarigione o nel “dimenticare e perdonare” (che
possono essere impossibili) né nell’adeguarsi con grazia a tutte le imposizioni della società, ma piuttosto si ottengono attraverso
l’oltrepassare nel corso della propria vita determinate soglie, colmando certe mancanze in modo attivo e personale: come chi ha
passato la vita a sbraitare può trovare la felicità in un silenzio composto, così chi si è trascinato per molti anni nell’inferno di non
poter esprimere e coltivare i propri sentimenti e valori e senza poter tentare di difendersi dalle calunnie, troverà realizzazione e
benessere nello sviluppare con ogni energia e nel dare aperta espressione alle proprie idee e alla verità su di sé, specialmente man
mano che saprà farlo attraverso parole adeguate, e ciò anche quando sapesse che dovrà "pagarle" molto questo risultato, perché
desidererà parlare molto più che essere felice in modo convenzionale e si sentirà bene solo quando, parlandone esplicitamente, e/o
attraverso il riferimento a un libro adatto, si ribellerà ai "mostri” almeno dentro di sé, sfruttando quell'antica e nota funzione del
narrare che di recente Silvana De Mari ha ricordato, in un saggio sul genere letterario fantasy, a proposito del carattere mostruoso di
vicende e personaggi tipici delle fiabe e della mitologia. Per citare un libro fantasy a proposito (il più noto, quello di Tolkien) questo
sempre meno vago proposito di vivere perchè si pensa di dover realizzare qualcosa di cui non si scorge ancora bene il profilo può far
pensare un po' alla espressione, ripetuta nel libro, "eventi al di là della gioia e della tristezza", perchè, Frodo e, nell'ultima parte
dell'ascesa al monte Fato, anche Sam non sperano davvero nella riuscita della loro impresa e non fanno quanto fanno per essere felici,
nè alla sua conclusione lo sono del tutto (Sam piange e ride allo stesso tempo quando il suo progetto e il suo sogno si realizzano e il
viaggio al di là del mare di Frodo, non guarito, può trasmettere non poca malinconia). Non è un caso che all'inizio del viaggio a Sam
gli elfi sembrino "felici e tristi" e "al di sopra di ciò che piace o non piace".
Attraverso le immagini e l’intreccio di un libro, comunque, è più facile per tutti, qualunque sia il carattere e l’età, rielaborare
periodicamente traumi e brutti ricordi, in modo da vederli nella giusta prospettiva, evitando che diventino meno consapevoli e trovino
espressione in incubi. malumori ingiustificati e incidenti.
C’è solo un modo di leggere davvero pericoloso e odioso. A lungo chi per natura è arido, insensibile o vigliacco e cerca di ottenere
dalla cosiddetta cultura umanistica quello che gli studenti e i laureati di oggi dell’area “psicologia” cercano nei loro manuali a volte
offensivi per la ragione e in contrasto con una saggezza secolare e senza tempo espressa da capolavori dell’arte e saggi di noti
psicologi del passato o di epistemologia. Questo tipo di individui non va imitato: non leggete per appioppare rigidamente certi schemi
psicologici scelti in base a cosa si ritiene sia utile per sé e per un certo gruppo per invidia, per dominare una paura eccessiva delle
emozioni, per distruggere un dubbio sulle proprie qualità o rivolgere altrove una giusta critica, per un bisogno innato di potere o
violenza sugli altri, per costruirvi una facile quanto vuota autostima, per restare nel gruppo e non leggete nemmeno per “segnare una
crocetta” a fianco del titolo per abitudine ad accumulare derivante da insicurezza, possessività, educazione viziata, desiderio di
stupire e di crearsi un’immagine colta e utile a livello lavorativo o sociale e non cercate di illudervi di compensare una vita egoista e
opportunista con la lettura di testi che affrontano temi sociali e dai contenuti umanitari. Agli ultimi gradini a questo proposito c’è
ogni modello del protagonista di “Rancore e nuvole” di Tabucchi.
Si sa che nell’arte non si è mai soli, non solo perché i libri sempre hanno origine anche da altri libri, ma perché l’artista è immerso nel
suo tempo e insieme attinge a un patrimonio di conoscenze e simboli che è parte dell’inconscio collettivo, così contenuti e modalità
possono “imporsi” in parte sulla sua volontà nei momenti di ispirazione come per una “grazia” – in modo autentico – oppure nei
momenti di maggiore ricettività rispetto al sentire e alle mode di un determinato periodo – con risultati di solito inferiori… C’è un
modo di leggere per cui ci si sente vivi e, come gli artisti, coinvolti nell’esistenza di tutti e nella storia e non più interamente
dipendenti dai limiti fisici ed economici o dalle scelte altrui nella possibilità di relazione: anche quando si vive in modo appartato si
può essere liberi e partecipi e ciò proprio perché “la libertà non è star sopra un albero, ma partecipazione” (Gaber), ed è una forma di
partecipazione anche la confidenza con i capolavori della letteratura e della saggistica mondiali e il metterne in relazione con
sincerità i messaggi – sempre attuali – con le situazioni più diverse in cui veniamo coinvolti, sviluppando una visione profonda e,
possibilmente, diffondendola – anche solo parlandone e scrivendone – a quei pochi in grado di capirla e accettarla e a chi, come o più
di noi, la possiede già (per natura ed esperienza) a livello confuso e ha assoluto bisogno di punti di riferimento con cui confrontarsi
per renderla chiara e farla diventare un punto di forza (il modo migliore di leggere forse è di farlo per “diventare se stessi”). Del
resto, se il conformismo per i più è facile e naturale e per altri è il risultato di una lotta più o meno dura, per altri ancora è reso del
tutto impossibile da esperienze dolorose, sensibilità e moralità innati e in quest’ultimo caso si può divenire facilmente troppo soli,
rigidi e appesantiti dalla propria scala di valori oppure leggeri come spettri – apparendo invece bandierine colorate al vento - per una
sorta di evasione disperata istintiva da se stessi, tanto che allora urge intraprendere un simile percorso: l’unica strada aperta può
essere quella di una profonda autoaccettazione e di uno scontro aperto (per quanto prudente può essere) con la maggioranza, un
percorso che necessita di una base, costituita almeno di alcuni questi testi letti nel modo giusto, quanto i più sentono il bisogno di
confondersi nei gruppi.
È assurdo credere nella possibilità di comunicare una verità qualsiasi, per quanto evidente, a chi non vuole vederla ed è abituato a
porre il proprio interesse davanti a tutto o a mentire con indifferenza su migliaia di “particolari”, in nome di una propria visione
essenziale che ritiene, o si sforza di ritenere, l’unica veritiera: del resto giudicare, per la maggioranza della gente, significa riportare
con abilità tutto quanto si sente dire o si vede fare dagli altri all’idea che ci se ne è fatta “una volta per tutte”, dopo aver osservato dal
buco della serratura per un po’ o dopo aver lanciato tre domande… L’esatto contrario davvero dell’unico modo di dare un giudizio
sensato, cioè imparziale. Tuttavia di certo se c’è una possibilità di "sbattere" almeno indirettamente la realtà di certi fatti e il peso di
certe convinzioni in faccia a personalità del genere, essa sta in questo modo di leggere – come di guardare - e nella conoscenza delle
leggi immutabili della realtà, rese più accessibili dalle buone letture.
Riferirsi poi naturalmente a un libro che si ama o che è stato ben compreso, per aiutarsi nell’affrontare direttamente individui
aggressivi e ignoranti e i propri problemi, è un altro modo di approfittare della letteratura.
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Le introduzioni vanno evitate (tranne in pochi casi) o almeno lette solo alla fine della lettura del libro e, anzi, dopo che lo si è
“meditato” a lungo, altrimenti si verrà influenzati inevitabilmente dalla presentazione, mentre il rapporto con un libro e lo scriverne è
davvero utile se si è soli di fronte ad esso, proprio perché non si tratta di apprendere e ripetere, come a scuola, nomi, date, figure
retoriche e storia della critica letteraria, ma di entrare in intimità con il testo.
La capacità di entrare in contatto con se stessi e con i testi aumenterà man mano che si dedicherà a questo tipo di comunicazione,
perché la mente cambia sempre forma adattandosi all’inclinazione ricevuta e perché ogni applicazione continua genera un processo
inconscio per cui si continuerà ad applicarsi anche inconsapevolmente, tanto che i risultati saranno imprevedibili. Per interpretare i
libri da soli è importante leggere un manuale liceale di analisi del testo (non l’antologia…) e inoltre i seguenti scritti di Jung: l’intero
Simboli della trasformazione e i capitoli sulla maturazione e sui simboli tratti dalla mitologia di Archetipi e inconscio collettivo,
quelli sui sogni di Psicologia e alchimia e quelli sullo zodiaco di Mysterium Coniunctionis. Può essere utile anche leggere Il drago
come realtà (De Mari), Albero e foglia (Tolkien) e Il linguaggio dimenticato (Fromm), Donne che corrono coi lupi (Pinkola Estes) e
il capitolo su Mercurio ed Efesto di Lezioni americane (Calvino). È propedeutico all’analisi anche leggere analisi dettagliate dei
profili zodiacali (considerando segno e ascendente) in riviste e online.
É importante trascrivere i propri commenti personali fatti a voce ai libri e ai commenti dei critici o almeno alle proprie conversazioni
al riguardo che mostrano di essere importanti per sé, o almeno il maggior numero possibile di essi, e conservarli nel tempo.
Quando ci si sente bloccati nella realizzazione di qualcosa al riguardo, si imposti il progetto, lo si mediti nei particolari, si cerchi di
realizzarlo per un po’ con molta energia e poi si passi ad altro per lasciare agire il proprio inconscio: dopo qualche mese
probabilmente ci si accorgerà che si sarà divenuti in grado di realizzarlo o che lo si sta già facendo anche se in una forma diversa da
quella ideata inizialmente… Basta rimanere aperti e flessibili circa possibilità e mezzi e avere chiaro cosa del progetto è essenziale.
Diverso è l’approccio pratico che consiglio a chi avverte un blocco profondo e non rispetto a un progetto particolare o a obiettivi
pratici quotidiani, ma proprio alla base del contatto con se stesso e con ricordi di una certa parte del proprio passato e trova difficile o
impossibile difendersi anche da aggressioni e malintesi di tipo comune, ripetuto e prevedibile: in questi casi, per poter approfittare
dell’aiuto offerto dalla letteratura, occorre fare un lavoro preliminare di solito e di esso, come ho letto e verificato personalmente,
l’essenziale è eliminare almeno per un periodo la maggior parte delle distrazioni e dei rapporti non indispensabili e isolarsi ogni
giorno per ore nella propria stanza ben arredata per trascrivere fatti e soprattutto dialoghi rimasti impressi nella memoria - soprattutto
quelli fastidiosi -, avendo cura di farlo con precisione, senza modificare o saltare un dettaglio o una parola, senza selezionare e senza
commentare o interpretare nulla, e andando anche molto indietro nel tempo…Ciò si avvicina a quella pratica di autoosservazione
particolare che Freud considerava alla base della psicanalisi e indispensabile a chiunque volesse giungere ad un’analisi obiettiva di
sé: se ne ricaverà pace e speranza inaspettate e una liberazione di energia notevole (sono quelle compromesse dalla resistenza
continua e inconscia fatta nel tempo all’esigenza naturale e ineliminabile di affrontare con sincerità e serena autoaccettazione se
stessi e fare qualcosa, nonostante abbattimento e incertezza, per migliorare le proprie reazioni almeno nel futuro, dando così anche un
senso, o una parvenza di senso, al passato).
A volte tutto ciò è fondamentale, per poter superare la tendenza a una comunicazione superficiale o per risolvere gravi difficoltà
nell’espressione di sé, quanto trascrivere le proprie conversazioni su qualunque argomento più autentiche, ben sapendo che si utilizza
sempre in qualche modo anche un libro come appoggio per sbloccarsi o andare a fondo di un problema, anche quando non se ne è
consapevoli: i progressi più rapidi e appariscenti spesso sono legati alla trascrizione dei dialoghi in cui si è riusciti a esprimere
chiaramente una decisione, un’esigenza o un modo di sentire e di sentirsi e di quelli con cui si sono corretti sbagli nella
comunicazione o si fatto il possibile per ottenere il chiarimento di un malinteso… quelle comunicazioni che hanno insomma la
conseguenza di fare evolvere positivamente personalità e capacità, anche quando non arrivano a produrre vantaggi concreti e
immediati( si otterrebbe peraltro un quaderno che sarà utile sfogliare nei momenti di sconforto).
Si può servirsi della letteratura anche per aumentare la propria capacità di percepire e scrivere chiaramente e in modo sempre più
dettagliato i propri desideri “reali”, quelli creati dalle necessità quotidiane e dai limiti personali e della propria situazione presente al
di là di sogni preconfezionati o vaghi come quelli trasmessi continuamente dai media, per allenarsi a coltivare la propria
immaginazione al di là di quei sogni in scatola per tutti e per nessuno, come al di là di fughe dalla razionalità e dal realismo: si può
iniziare cercando nelle proprie letture delle corrispondenze con liste settimanali sincere di quanto di ciò che si è detto e fatto o vissuto
ha lasciato un senso di benessere non disgiunto da una sensazione di tranquillità e intimità, liste da affiancare periodicamente ad
elenchi settimanali di azioni e esperienze che hanno causato una perdita di contatto con se stessi e con la realtà e conseguenti rischi,
sbagli o espressioni insincere di sé, che hanno provocato timore, imbarazzo, dolore e sfiducia in sé e reazioni aggressive oppure
sofferenza immeritata negli altri (i propri desideri autentici andrebbero ricavati innanzitutto da questi ultimi elenchi fastidiosi). A
questi elenchi è utile affiancarne altri di successi nella resistenza a impulsi simili a quelli dell’ assecondare i quali ci si è poi pentiti.
Anche trascrivere testi poetici e soprattutto i Salmi eliminando ripetizioni e quant’altro non è “risonante” può aiutare a creare
un’intimità essenziale con le proprie letture e con se stessi, purché si continui a riferirsi anche al testo intero, che, se stralciato,
porterebbe con il tempo ad alimentare parzialità e confusioni anziché dissiparle, soprattutto se lo si facesse prima di aver raggiunto la
piena maturità (come succede ad esempio a chi crede che le misere selezioni o i commenti delle antologie di letteratura scolastiche
possano davvero comunicare qualcosa): l’intimità con se stessi, sia a livello interiore che esteriore, deve essere costante e coltivata
fin dall’infanzia, allenandosi a riconoscere tutto ciò che è adatto a sé o meno indipendentemente dai gusti e dai giudizi degli
altri(ovviamente ci vuole prudenza nell’esibizione dei gusti personali e non nel riconoscerli e nell’adeguarvisi) e tra continui
tentativi, ripensamenti e scelte autonome…altrimenti si può arrivare a essere presto vittime di terribili e duraturi blocchi della
comunicazione. In senso meno concreto, la conoscenza della letteratura può agire nello stesso modo sull’immaginazione
sovraccaricata e infiacchita dai media, risvegliando o incrementando la creatività. Può aiutare un po’ anche trascrivere dei testi
apprezzati con parole diverse.
Può avere una certa utilità anche scrivere le proprie esperienze e convinzioni più significative una volta che le si è sapute interpretare
in modo imparziale e inserire in un ampio contesto: come forse sa bene ogni scrittore, quando si è scritto qualcosa che riveste per sé
un grande valore emotivo, la mente fa un passo avanti in modo automatico e, rispetto a quanto si è scritto, essa si distacca e comincia
a produrre dubbi che portano con sé un senso di vuoto e nuove esigenze…Si può allora avvertire il bisogno di una vita nuova e
maturare ulteriormente in modo particolarmente rapido….un’avventura rischiosa, ma un’evoluzione forse necessaria e che attesta
l’esistenza di un cervello e di uno spirito vivi.
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Sarebbe poi utile per tutti, prima di accostarsi a certe letture, immaginare cosa significhi imparare a parlare di sé per chi è da sempre
bloccato nell’espressione di ciò che lo riguarda da vicino, anche quando essa è più necessaria, da mura interiori contro cui non ha
armi: a lungo e con profonda sofferenza subire il proprio silenzio anche quando qualcuno offre la propria disponibilità ad ascoltare e
a soddisfare tale necessità di tutti che diventa con il tempo, se frustrata, estremamente dolorosa; subire con molta lucidità le proprie
reazioni stupide e odiose e sempre più decisive per il cristallizzarsi del giudizio altrui, sapendole autentiche e capaci di esprimere chi
si è esattamente quanto il riflesso del proprio occhio che si chiude sotto lo stimolo di qualcosa che percepisce troppo vicino e con cui
non può competere o come tutti quei giudizi, paure o rancori non ancora vagliati dalla riflessione (in fondo in tutti un periodo anche
solo di media durata di silenzio imposto degenera nell’esplosione di tensioni in sproloqui pieni di esagerazioni) … Bisognerebbe
sforzarsi di raccogliere tutte le proprie capacità di empatia per sentire, al di là del sentimentalismo e del melodramma quanto dai
soliti giudizi freddi e prestabiliti, di non poter difendersi, e per percepirsi mutilati e chiusi in una cella che si sente dire priva di
serratura, anno dopo anno, senza possibilità di un attimo di consolazione, riposo e riscatto, con affettività e sensibilità esacerbate e
una capacità di resistenza e di comprensione per molti aspetti ormai più grande di quella della maggioranza, ma mescolata a
risentimento, confusione e debolezza in modo più evidente che in chiunque ci circondi, perché costretti ad andare avanti solo
attraverso strappi della volontà e dei nervi nel vuoto, in una conseguente alternanza inevitabile di atteggiamento attivo,
determinazione e passività.
E poi si dovrebbe – poiché, al contrario di quanto si blatera, dai problemi di comunicazione si esce, almeno attraverso tentativi
reiterati di immettersi nel percorso proposto – saper vedere davvero questo inferno venire sostituito a poco a poco da una vita
affettiva appagante, da un senso costante di rara pace, da una abituale percezione della propria realizzazione e del contatto con se
stessi, da disinvoltura e capacità di disinteresse nella gestione delle emozioni e nell’agire, e da autonomia, prontezza mentale,
capacità di penetrazione e forza d’animo (instaurare un buon dialogo anche solo con una persona può significare passare dalla morte
alla vita e innescare una lunga catena di cambiamenti che coinvolgeranno anche almeno le comunicazioni essenziali con gli altri).
Come non c’è forse niente di più lontano dalla letteratura di coloro che hanno sempre sulle labbra “la vita è bella” o frasi fatte sul
“pensare positivo”, anche in questo caso non si tratta di illudersi, ma di capire che questo percorso ha un senso.
Più di seguire qualsiasi consiglio riportato qui, è importante comunque evitare con determinazione il più possibile il contatto con
persone che ci si rivolgano lasciando trapelare o fingendo di considerarci stupidi, pazzi, diversi e in genere quello con chi ci umilia e
aggredisce mentre non riusciamo a difenderci: la maggior parte dei problemi di comunicazione non deriva da isolamento quanto dal
contatto con questo tipo di persone. Con chiunque lasci un minimo di apertura bisogna invece tentare ripetutamente, anche a costo di
riprendere una conversazione che ha dato adito a malintesi dopo giorni e di creare da sé le occasioni di riprendere comunicazioni
lasciate incomplete, sforzandosi sempre al meglio delle proprie possibilità, sapendo che queste cambieranno con il tempo e badando
solo a evitare di “controinscenare” (quando si tratta dell’imparare a esprimersi, tutto è Grazia, ma un lungo e metodico impegno
premia). Quando ci si accorge di sbagliare o ci si sente trascinati, semplicemente ci si fermi, si faccia un respiro profondo e si
cominci a “riavvolgere il nastro”. È importante soprattutto prepararsi e allenarsi a subire nel modo giusto la sensazione inevitabile di
crescente paralisi - seguita da paura, disperazione di poter rispondere in modo autentico e disprezzo per se stessi - che, in chi ha gravi
blocchi nella comunicazione, accompagna un’emozione e il senso della necessità di esprimere i propri pensieri o di spiegarsi a
qualcuno: dovete contrastare attivamente non il senso di paralisi e prigionia, ma la paura, i giudizi di valore e le prospettive sul futuro
che in modo automatico esso produce e abituarvi prima di tutto a reagire con il corpo anziché con la parola, cioè ad allontanandovi
subito con una scusa qualsiasi appena lo sentite, prendendo quindi tempo. Se potete isolarvi qualche minuto (anche solo nel bagno
pulito e finestrato di un bar) praticate un esercizio di respirazione raccomandandovi di riflettere solo dopo: in caso di attacco di
panico, che per molti versi ha sintomi simili, in genere viene suggerita la respirazione con diaframma – addominale -, ma io trovo che
sia molto più efficace e di effetto più sicuro e rapido la “respirazione in nove parti” (l’inspirazione simile al Pranayama, che è
eseguita a narici alternate ogni tre respirazioni complete e seguita da tre respirazioni profonde con entrambe le narici illustrata in
Arte del rilassamento, della concentrazione e della meditazione (Joel Levey), reperibile peraltro in diverse biblioteche) e, se avete
spazio per muovervi, quell’esercizio Yoga che consiste nel descrivere un ampio cerchio con le braccia, avendo cura di incrociarle alla
base per poi girare i polsi all’altezza del volto (il tutto inspirando profondamente), e di espirare mentre scendete con le braccia (non
ricordo il suo nome e non posso rintracciarlo, ma credo possiate trovarlo senza troppa fatica se vi serve, perché è uno dei più
conosciuti). Dopo che vi sarete allontanati e fisicamente calmati, cercate, attraverso le nuove cognizioni derivatevi da testi come il
mio, di dialogare con la parte di voi stessi che vi suggerisce di disperare, di arrendervi e di disprezzarvi e anche con l’idea errata che,
prima di esprimervi, dobbiate comprendere perfettamente o giustificare la natura dei vostri blocchi, ogni vostra idea e qualsiasi
emozione: per stare meglio subito e iniziare a progredire basta esprimere in breve, con parole sincere ed espressioni del viso naturali,
quel che sentite e pensate al momento (purchè non lo crediate niente di immodificabile né così lo presentiate agli altri) e non dovete
sempre poter giustificarlo in base alle convinzioni altrui, che spesso, del resto, non sono che falsi luoghi comuni! Esprimersi in modo
naturale non significa però lasciarsi andare del tutto: non siate eccessivi (una forte emozione non necessita di canali di espressione
altrettanto forti e anzi una manifestazione eccessiva spesso è un ulteriore maschera e crea in chi vi cade un senso di disagio proprio
per via della percezione più o meno conscia che egli finirà con l’avere della sua inautenticità).
Bisogna ovviamente imparare a essere flessibili e rispettare i propri limiti e tempi e quelli degli altri, perché può essere rischioso
parlare a qualcuno che ascolta costringendovisi a colpi di volontà innestati su un atteggiamento sbagliato, anche se questi lo facesse
con ottime intenzioni (magari semplicemente per non offenderci con un rifiuto o a causa di una difficoltà particolare nell’imporre agli
altri freni, ordine o pause e nel mantenere la propria visione d’insieme): in questi casi il nostro interlocutore potrebbe trasformarsi per
noi in uno spazio vuoto, un muro bianco senza limite che ci farebbe perdere facilmente l’orientamento e catturerebbe, generando in
noi crescente tensione, spingendoci a esternare i pensieri senza darvi struttura e secondo associazioni casuali rispetto a emozioni e
immagini confuse, che probabilmente sorgerebbero in massa e incalzanti, per nasconderci l’impressione di essere rifiutati e quella,
spesso connessa in modo condizionato e automatico, di meritarlo…Sbagliando ma in modo istintivo, saremmo allora portati a
esprimere la rabbia, generata dalla frustrazione di cadere vittime di questo meccanismo, su chi ci ascolta così poco volentieri, senza
tener conto delle sue intenzioni, e lo incolperemmo di sentirci male e sbagliati, invece di uniformare razionalmente il nostro
comportamento alle sue espressioni di stanchezza e disagio… La paura di non riuscire a cambiare ci porterebbe infatti a pretendere
che sia l’altro a farlo e ci renderebbe o farebbe apparire esaltati e aggressivi (il “vuoto” genera sempre frenesia finchè non si impara
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ad accettarlo e a conviverci per ridurlo gradualmente con molta pazienza, attraverso un lavoro su di sé che non lasci molto da fare
agli altri).
Precauzioni più importanti di quanto sembri, quando non si sa esprimersi bene, sono poi evitare comunicazioni in luoghi frequentati
o telefoniche che non siano di carattere meramente pratico e brevissime, e nè riferire né ascoltare a voce novità che possano
coinvolgere emotivamente e in particolare brutte notizie.
Soprattutto è bene tener presente che chi è molto emotivo e chi ha molta immaginazione e sensibilità non può, fin dall’infanzia, star
bene con i coetanei e ha anche per questo necessità assoluta di leggere (soprattutto saggi, ma anche la migliore narrativa a lieto fine)
e inoltre che chi è ipersensibile non lo è mai solo a causa delle esperienze vissute e delle proprie decisioni, cioè che con questa
caratteristica sfortunata e che emargina si nasce e si muore.
Bisogna capire che se una persona emotiva, impulsiva e poco ragionevole può cambiare con il tempo, mentre l’ipersensibilità non
può invece mai essere ridotta nel corso della vita: chi è nato ipersensibile non deve mirare a “maturare” nel senso di modificare le
proprie reazioni, ma a conoscere e gestire gradualmente sempre meglio - anche tramite certe letture - le esigenze, le conseguenze e i
limiti che la sua sensibilità al dolore inevitabilmente sempre porrà. Spesso i familiari e anche molte delle persone estranee alla
famiglia sono del tutto privi di pazienza e aggressivi con chi ha una sensibilità eccessiva e la loro ingiustizia viene assorbita dalla loro
detestata vittima, la quale allora si getta poi da sé nelle situazioni meno adatte oppure, una volta “dentro” ad esse, non arriva a capire
e decidere di dover andarsene subito a ogni costo: se nessuno la accetta, se il rifiuto è generale o ha tutte le apparenze di esserlo, essa
rifiuterà se stessa fino a una sorta di dissociazione e inoltre avrà l’impressione da una parte di non avere il diritto di stare bene (cioè
di evitare per quanto possibile fastidi) e dall’altra di poter cambiare le proprie emozioni e di poter abituarsi al dolore
(esponendovisi!); ecco allora la fatica nel capire ciò che le piace e nel prendere e mantenere decisioni da soli. Si è scritto che in questi
casi si è come piante che possono crescere e fiorire (arrivare col tempo a sentire, pensare, volere) in autonomia solo se prima possono
farlo avviluppandosi o sostenendosi a un’altra pianta. Quanto al problema fondamentale dell’intimità/comunicazione, che si sia o non
si sia dotati di molta immaginazione per natura o tendenti al sogno, un forte bisogno di ascoltare ogni comune esperienza, oltre che di
riempire ogni istante di azione ed emozione, è l’ altra reazione naturale più frequente al vuoto interiore generato dalla mancanza
totale di affetto e dalle manifestazioni costanti, mai spiegate o ragionevoli, di disprezzo da parte di familiari. E niente allontana da se
stessi e dagli altri e rende profondo un vuoto affettivo tanto quanto l’esaltazione e la frenesia, il che ovviamente genera uno dei più
pericolosi circoli viziosi in cui si può rimanere invischiati da bambini e quindi spesso anche dopo (per tutto il tempo in cui si è
costretti a vivere coi genitori e perdurano gli effetti di traumi accumulati e deleterie abitudini). Se familiari e conoscenti costrinsero
una persona emotiva e sensibile a subire anche di più di quel che avrebbero sopportato loro stessi, anche se lo fecero per disprezzo e
cattiveria, alcuni di loro certamente diedero ad intendere di averlo fatto perché si abituasse a a dominarsi e diventasse più forte o per
spronarla a cambiare e allora lei intenderà che la si vuole diversa o morta… e lei, che lo sappia o no, non può essere diversa! Il fatto è
che se si è sensibili non ci si abitua al dolore e a ciò che non fa soffrire gli altri e, anzi, un accumularsi di esperienze negative
peggiora un’ipersensibilità naturale e aumenta l’incapacità di gestire la tristezza, anche se può rendere con il tempo più capaci di
dominare rabbia, ansia, paura, tendenza a illudersi e impulsività: in alcune persone sensibili la tristezza addirittura genera per tutta la
vita, sul momento, una sorta di paralisi molto simile agli attacchi di panico e ciò anche qualora costoro siano divenuti con il tempo
piuttosto forti e capaci di dominare paura, ansia o rabbia, il che infatti richiede capacità di distacco, autoanalisi e forza che l’abitudine
e un po’ di benessere possono accrescere, al contrario della gestione della tristezza, che passa attraverso l’adeguata espressione di sé
(cosa molto più difficile da ottenere e che richiede i libri giusti e l’interlocutore adatto).
Si tenga sempre presente che niente è più importante di comunicare e che stare bene significa stare bene insieme, tanto che instaurare
un buon dialogo anche solo con una persona, purchè la si veda spesso, può essere per anni sufficiente a fornirci tutto il calore, il
benessere e l’energia necessari per affrontare quasi ogni sfida e superare per gradi moltissimi limiti e difficoltà (anche se,
ovviamente, a partire da quelle di espressione con persone ostili e estranei) e a farci sentire, dopo appena qualche tempo, di aver
vissuto pienamente indipendentemente dai nostri risultati. Questo resta vero anche se per conoscersi e migliorare è indispensabile
entrare almeno periodicamente in contatto con gli estranei.
Non saprei dare una spiegazione dell’origine di tutti i diversi disturbi della capacità di comunicare le emozioni e i pensieri reali, del
fatto che si arrivi con il tempo a parlare o comportarsi secondo le aspettative più negative altrui o, in certi frangenti, secondo gli
esempi negativi con cui si è più spesso a contatto (forzato). Si potrebbe comunque dire che spesso quando una persona si trova
davanti un problema che non può affrontare - per l’età, la sensibilità e l’ignoranza -, questo problema finisce in un angolo della sua
mente: non riuscendo a comprenderlo e non potendo vederlo in prospettiva, essa non può neanche sperare di arrivare a gestirlo e così
la sua mente si difende nel modo peggiore, cioè allontanando l’ostacolo senza allontanarne del tutto la consapevolezza. Di ciò di cui
non si è abbastanza a lungo consapevoli non si parla e ogni problema sembra e diventa più grave se non se ne parla. Un problema
relegato di continuo ai margini della coscienza crea nevrosi deleterie e duraturi blocchi dell’intimità (intimità con il corpo e con
istinti, intuizioni, pensieri, desideri, impulsi ed emozioni sia proprie che, in parte, altrui). Simili blocchi e rifiuti inconsci sono più
comuni e peggiori quando si nasce “diversi” in ambienti familiari dove tutti sono determinati a non permettere al “diverso” di essere
se stesso, perché allora nasce nell’inconscio una spinta a non essere mai quel che si è (la nevrosi viene a volte definita da Jung una
difesa involontaria e inconscia dalla personalità), stato si cose deleterio e che porta il diverso a coazione, debilitazione e a malesseri,
incidenti e incontri sfortunati quanto più egli cerca di seguire i percorsi tracciati e spesso lo fa ammalare anche fisicamente: ricordo
che tutto ciò avrà a volte come esito la malattia mentale e la morte molto prematura se egli non trova il modo di essere se stesso ed
esprimersi liberamente (i diversi nascono per vivere da diversi). Quando si verificano scissioni del genere, esse, pur essendo solo
parziali, provocano la triplice reazione dell’inconscio a cui venga rifiutato l’indispensabile dialogo con la coscienza: l’inconscio, con
frequenza variabile comincia a “ispirare” impulsi e riflessi (parole e azioni non legate a convinzioni e altri incidenti) davvero
distruttivi per la vita della persona, comportandosi come farebbe una persona nemica del tutto priva di moralità, compassione,
ragionevolezza: ecco allora, e spesso proprio nei momenti in cui risulta più dannoso, assurde frasi fatte, tic fisici e verbali veri e
propri, frasi offensive pronunciate senza la minima intenzione di offendere, volgarità o parole dialettali anche se non si è per nulla
volgari e si parla quasi sempre in italiano, risposte che non c’entrano niente con quanto si pensa ed è stato chiesto, mutismo o
chiacchiere a vanvera quando si vorrebbe parlare sul serio, giudizi o espressioni del viso incontrollate o che non rispettano i pensieri
e i sentimenti consapevoli al momento, come si rischierà la vita o la salute in incidenti che colpiscono il fisico. Ce n’è quanto basta
per demoralizzare e rendere inutili l’intelligenza, il coraggio e la resistenza di chiunque. Se siete in una situazione, come lo sono stata
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io per anni, vi consiglio di tenere con voi stessi un comportamento contrario a quello che i più avranno quasi certamente avuto quasi
tutti con voi e cioè di prendere ogni decisione (piccola o grande, dagli effetti quotidiani o a lungo termine) in base al seguente
criterio: come posso esprimere, pur con prudenza, e come posso proteggere meglio questa mia sensibilità dal dolore sia ora, sul
momento, che nel futuro? Non si possono ipotecare anni, nemmeno mesi, nemmeno giornate intere: dal contatto con persone
insensibili e ostili e dal sottoporsi a lungo a esperienze che creano dolore non deriva mai niente di buono e spesso si arriva molto
vicini a chiudere con una morte prematura una vita da incubo e inutile. In casi simili andrebbe limitato perfino il contatto frequente o
passivo con persone non del tutto insensibili al dolore altrui ma estroverse, poco consapevoli, poco rispettose della diversità o con cui
comunque non si riesca a parlare senza sforzo. E il contatto con le persone sensibili, rispettose per natura, e dotate di coscienza ma
deboli dovrebbe essere limitato alla casa, perché non ha certamente effetti positivi su una sensibilità eccessiva il non essere difesi
dagli amici quando si viene attaccati, il che fuori casa può capitare spesso ai “diversi” (una persona vigliacca e debole per natura non
vi difenderà mai, pur amandovi).
Assumetevi ogni istante con amore il carico e la responsabilità di una sensibilità esagerata, leggete molto, e potrete allora vivere
subito appieno, ragionevolmente, senza troppe dipendenze e con la maggior serenità e il maggior benessere possibili per voi. Con gli
anni probabilmente arriverete a comunicare bene e creare e mantenere un ottimo rapporto con voi stessi e con alcune persone e
ambienti adatti.
Esiste anche un vocabolario delle emozioni (nel senso del linguaggio propedeutico all’analisi delle proprie emozioni) che si può
incrementare e consolidare attraverso l’esame attento dell’opera di Jung e Fromm e perfino con la lettura di alcune riviste (per
esempio gli articoli di Erica Francesca Poli su F e prima su Natural Style e i numeri di Astra e soprattutto di Astrella del periodo
2010-2014): ciò è più utile che leggere i manuali attuali di psicologia, freddi, poveri e contraddittori dove l’uso del simbolo può
mancare del tutto (ci sono citazioni delle riviste di astrologia citate – ora molto diverse – in coda a
http://www.slideshare.com/citazioni-utili-per-avviare-un-percorso-di-maturazione
Nelle grandi città ci sono di solito aule studio spaziose aperte nei weekend e di sera (in estate, un altro luogo ideale per leggere nei
weekend per chi non può stare bene in casa sono gli orti botanici e i grandi parchi cittadini ben frequentati).
Per cominciare a orientarvi, vi consiglio di leggere innanzitutto sull’arte di parlare, scrivere e leggere bene L’istituzione oratoria (M.
F. Quintiliano), Parlare italiano (E. Lombardi Vallauri), Lezioni americane (I. Calvino), Come un romanzo (D. Pennac), Massime e
pensieri (W. Goethe), Raccolta di saggi (V. Woolf), ma soprattutto tenete presenti le citazioni qui riportate.
LEGGERE I CLASSICI
**Ho scritto questo testo anni fa, quando avevo meno esperienza e meno letture alle spalle e ancora non avevo sviluppato una certa
sfiducia nella letteratura e nei classici, ma ritengo che possa ancora in parte essere utile.
Leggere come ascoltare gli altri con sincerità e apertura e come accogliere, con spirito indipendente e disinteressato, i messaggi che
giungono dall’inconscio, finché ne nasca per distillazione una struttura con un centro diverso da quello fatto di aggressività, comodo
e pregiudizio, attorno al quale molti cercano e costruiscono la loro personalità.
Leggere ha la funzione che dovrebbe avere la scuola: insegnare a emanciparsi dai propri automatismi osservandosi con distacco
anche attraverso l’informazione corretta sui principali schemi inconsci che si ereditano naturalmente. Leggere per andare a fondo
delle proprie sensazioni osservando se stessi e gli altri con impegno e onestà intellettuale, scoprendo:
- quanto è assurdo pensare di poter conoscere e giudicare un libro in base a quanto vende al momento, alla lettura di alcune sue
pagine, anche se sono quelle selezionate delle antologie liceali, o in base a quanto ne dicono i forum on line, il conoscente o critico
più stimato o l’insegnante;
- che non si possono avere certezze facili e che è stupido giudicare le debolezze altrui senza indulgenza, specie se non se ne ha
esperienza diretta e personale, fossero anche del tipo su cui la maggioranza dà i giudizi più netti e “facili”, ma che d’altra parte si
deve essere pronti a condannare i criminali, i violenti e gli indifferenti quando i fatti lo impongono;
- come certi concetti e situazioni lette sulle pagine o nella realtà siano difficili da accettare, come la mente tende a rifiutarli e
ricordarli nel tempo in modo diverso da come sono e come una lettura valida non capita possa permanere semidimenticata nel
subconscio per molto tempo e d’altra parte emergere in un momento particolare della vita con un aspetto nuovo, più vivo e vero e
portare a evitare magari un’azione ingiusta o irrimediabile per se stessi o per qualcun altro;
- che un distacco anche parziale rispetto ai propri ricordi di letture o esperienze e ai propri pensieri, emozioni, impulsi, istinti o
legami produce un miglioramento in una persona di per sé e che sarebbe bello che nessuno ignorasse che a volte quel che si “pensa”
non è quel che si “pensa” e ciò che si desidera non è ciò che si desidera e che le emozioni che ci siamo abituati a considerare non
sono tutte le nostre reali emozioni, e che non si può ignorare tutto ciò senza danneggiare altri profondamente e senza pagare in prima
persona, in qualche modo;
- che lo studio della storia ha senso solo se messo di continuo in rapporto alla vita, se considera il punto di vista dell’individuo meno
noto insieme a quello delle masse e dell’uomo politico e se si basa sull’assunto che un elenco di date di battaglie e di qualche fatto
politico è pressoché inutile e che non bisogna mai confondere pretesto e reali ragioni di una guerra o di una risoluzione politica -
come nel caso dei conflitti di tutt’altro genere -, ma con metodo porsi delle domande ogni volta che si vorrebbe accontentarsi di
quanto viene riportato e delle cause apparenti solo perchè sembra facile e conveniente. Come ogni persona colta può osservare e
come ben scrisse, fra altri, il memorialista Chateaubriand, la nostra storia è un susseguirsi di eventi e personalità in sostanza molto
simili e che ancora si ripeteranno, perché la psicologia umana non si modifica minimamente nel corso dei millenni ma solo in epoche
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storiche lunghissime (come quella che ci separa dall’uomo di Neanderthal: rimando al riguardo a ciò che ne scrissero Jung e lo
storico da lui citato in un suo libro), mentre i cambiamenti della mentalità dominante sono transitori e sempre troppo mistificati
perché si possa dedurne l’entità con sicurezza. L’ignoranza è il paradiso dei mostri.
- che ci sono letture che modificano in un lampo atteggiamenti involontariamente falsi e passivi e letture che li creano.
- che l’arte non è né solo né principalmente forma e che parte dell’opera di scrittori improvvisatisi tali a causa di esperienze di valore
epocale come Rigoni Stern, Hemingway (scrittori di grande umanità) e Silone (scrittore a volte dal cattivo gusto e con qualche difetto
formale, ma sensibile, intelligente, onesto e a volte davvero artisticamente ispirato) può essere definita Arte più che quella di uno
scrittore in un certo senso “professionista” come Emerson, che, per quanto apprezzabile per l’indipendenza rispetto certe tradizioni e
piacevole quando parla di amicizia e temi analoghi, spesso procede per luoghi comuni e che del resto si definisce egli stesso un
portavoce della gente: tra gli sproloqui di Emerson condivisi dalla maggioranza (compresi molti cosiddetti “esperti” di “scienze”
umanistiche e psicologiche)e negati sia dall’esperienza profonda sia degli esponenti della grande letteratura (ad es. vedete le ampie
riflessioni in proposito di London, Musil, Simone de Beauvoir o Simone Weill), ci sono ad esempio il suo consiglio di leggere in
modo trasversale cogliendo solo frasi qua e là, in risonanza con l’umore del momento o i pregiudizi più coltivati in voga o l’altro suo
consiglio di diffidare sempre di chi ha un atteggiamento timoroso, come di qualcuno con necessariamente una colpa o una vergogna
da celare.
- che “l’uomo non è solo quello che si vede” e spesso non può essere giudicato da ciò che dice e fa (specialmente senza considerare
le condizioni di vita reali e non solo apparenti); cosicché a volte la natura e la situazione degli altri possono apparire molto diversi da
come sono, almeno finché questi non imparino a esprimersi in ogni situazione. Tutti dovremmo imparare a fare il più possibile il
vuoto in noi stessi e a informarci su automatismi nevrotici, fobie (quella di tutte le attività nella fase della novità è tra le più limitanti,
durature e che fanno più apparire inferiori di ciò che si è) e condizioni di vita presenti e passate prima di giudicare.
- che si è sempre intelligenti in qualcosa e stupidi in altro e che tutti siamo fortemente condizionati dai meccanismi devianti
dell’inconscio (occorre davvero leggere La psicopatologia della vita quotidiana di Freud e le pagine sulle proiezioni comuni e su
transfert e controtransfert di Fromm e di Jung per saperlo?). Bisogna pur rassegnarsi al fatto che i giudizi richiedono tempo ed eterna
disponibilità a essere modificati e anche ribaltati, che la validità di un giudizio è determinata dal metodo seguito e dall'informazione
disponibile e che quando essi sono insufficienti sotto vari aspetti, le doti intellettuali non possono supplire (sono forse i temi più
sviluppati dalla letteratura e dalla storiografia l'importanza di fare riferimento in primo luogo a chi ha un'esperienza diretta e
personale di un problema e il fatto che il cervello della maggioranza delle persone si autoregola per rappresentare le cose da un punto
di vista adatto alle capacità, all’umore e soprattutto all’interesse e agli obiettivi).
- che la lucidità faticosamente e tardi conquistata è superiore solitamente alla capacità di penetrazione e resistenza comuni, e che ogni
energia bloccata a lungo da ostacoli interiori ed esteriori di ogni genere, può sbloccarsi a un certo momento grazie a un concorso di
circostanze – se il blocco è stato a lungo combattuto in qualche modo da chi lo ha subito (per quanto senza nessun risultato
immediato) – e dar luogo a un flusso creativo notevole (davvero, come diceva Basaglia, non esistendo forti e deboli, intelligenti e
stupidi, ma “punti di forza” diversi);
- che equilibrio o normalità non sono questione di numero e che bisogni così particolari da apparire eccentriche pretese o segno di
follia o di debolezza, possono essere invece qualcosa di naturale e valido quanto il percorso che li ha creati e che creano e a cui può
essere fondamentale adeguarsi;
- che è un insieme di convinzioni diffuse a ogni livello quanto false quello su cui si basano le identificazioni di fascino con qualità o
personalità; danno con fastidio; cura continua con base; pazzia o stupidità con emotività o con difficoltà e blocchi nell’espressione
(anche quando molto accentuati in alcuni contesti fintanto che perdurano determinate condizioni di vita); conformismo con equilibrio
(che è sempre la risultante molto precaria di più fattori, esso stesso un processo dinamico e qualcosa più facile da mantenere se
esteriormente l’immagine che si rimanda è quella dell’eccentrico) e con normalità (la verità è un dono che riceve chi a un dato
momento “va allo sbaraglio”);
- che non è possibile basarsi sui test sul quoziente intellettivo e sulle opinioni di insegnati o della maggioranza per giudicare chi è
intelleigente e chi stupido. Infatti occorre prima considerare diverse letture.
Bisogna accogliere le opportunità offerte dai prezzi bassissimi dei classici e dalle biblioteche, istituzioni così recenti e tra le poche
cose di cui essere grati allo Stato.
Del resto leggere è un dovere sociale e niente può sostituire la frequentazione dei classici di letteratura, storia e psicologia e di certi
testi attuali nella creazione di un background culturale e di un valido metodo di giudizio (perché è di informazione di base e di
metodo che si dovrebbe parlare e non semplicemente di intelligenza e sangue freddo, come se fosse davvero possibile parlare di
persone intelligenti per nascita e in astratto o se un ingegnere mai a corto di “amici” benestanti non potesse essere volutamente o
involontariamente stupido in ogni momento della vita fuori dall’ufficio).
Hannah Arendt presenta Eichmann dicendo che egli non aveva voluto sfruttare la biblioteca messagli a disposizione dal padre né
altra, mentre fu invece pronto a memorizzare codici e regole sempre nuove basate sullo stravolgimento di valori e legalità precedenti
o accettati all’estero, quanto ad allontanarsi in fretta da ogni posto dove poteva prendere visione diretta di quanto accadeva nei lager,
nei camion a gas (che, come i suoi collaboratori e i suoi concittadini, definiva “Morte dolce”), nei treni e nelle macellerie rumeni e
nelle fosse comuni.
Leggere è un dovere come lo è l’andare a vedere nel senso di partecipazione e obiettività che vi dà sempre per esempio Camus, un
senso opposto rispetto a quello basato sulle telecamere e sulle registrazioni parziali o sui test, come rispetto a ogni stupida comune
caccia di frammenti da far combaciare a forza con un’idea che si è voluto farsi “una volta per tutte”. Tuttavia non è facile né comune
arrivare a intraprendere questo tipo di percorso e non è possibile farlo se non a livello individuale con fatica e con dei costi sociali
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probabili, anche pesanti, essendo la conoscenza osteggiata, oltre che disprezzata, dalla maggioranza aggressiva: in libri come Lezioni
americane e I Mandarini, letteratura e vita si intrecciano, additando un cammino.
Nel capitolo omonimo del libro Il taccuino d’oro, Doris Lessing si fa forse prendere un po’ dal bisogno di illudersi nonostante il libro
nel complesso sia abbastanza lucido: si nota un’influenza della fede di Jung nel possibile miglioramento progressivo dell’umanità, un
credo che si basa sulla possibilità che la gente possa essere influenzata da quelli che ella definisce “grandi uomini”, dai pochi che
respingono la logica dell’indifferenza: la gente invece vuole gli schiavi e i paria…è così, è stato così e sarà sempre così, dato che i
valori affermati dalla letteratura nei secoli non hanno influenzato minimamente la maggioranza, che ritiene anzi suo diritto ignorare,
ridicolizzare e scavalcare come può gli inviti , del resto rari, alla tolleranza e alla lucidità lanciati da alcuni media e introdotti nei
programmi universitari tra centinaia di messaggi di natura opposta, otre che le poche conquiste dell’evoluzione del diritto civile e
penale.
Lessing parla di masse ignoranti, quando invece il problema è l‘indifferenza naturale per i più, e la conseguente chiusura mentale.
Lessing scrive addirittura della possibilità che a gente nel complesso possa essere invasa in futuro dalle personalità migliori
aumentate di numero, come gli individui schizofrenici o come gli individui “normali” nei momenti in cui il loro “io” dominante cede
agli altri “io” o quando la loro stabilità diminuisce a contatto con ansiosi o con persone forti o carismatiche: al di là della questione se
si possa davvero fare sensatamente questa ipotesi, il fatto è che nelle vite individuali non è così che si cambia davvero, ma solo
attraverso uno sforzo prolungato e per gradi, e cioè volendolo e la gente non lo vuole( e in Il Parini ovvero la gloria di Leopardi e
soprattutto in Il Gattopardo di T. da Lampedusa lo si dice meglio che in altri testi). Si possono superare con l’impegno e un po’ di
fortuna molti limiti, ma non si può cambiare la propria e altrui natura più profonda e pertanto può migliorare solo chi, per natura a
livello innato, è un po’ più evoluto della media dal punto di vista morale e della sensibilità, qualsiasi sia il suo punto di partenza sotto
gli altri aspetti.
Lessing era più lucida forse nella diagnosi dello stato e dell’evoluzione del mondo nei capitoli precedenti, ricchi di riflessioni sulla
bomba H, sulle stragi di civili, sulle recenti deportazioni di massa in molti Paesi di “persone improduttive”, sui licenziamenti e sulle
comode condanne a morte in certi casi moralmente abominevoli, sui TSO basati su ignoranza, indifferenza e aggressività, e sulle
torture praticate ancora dalla psichiatria, di cui le più atroci e deleterie – la reclusione continua, la camera di isolamento “senza
stimoli” e la pratica di tenere la gente legata e drogata senza l’essenziale e solitamente anche senza cure mediche, portandola a
impazzire o a non poter pensare, e comunque quasi sempre ad ammalarsi fisicamente e, spesso, a morire - sono prassi oggi in Italia
con l’applauso della maggioranza (tra gli internati sottoposti a queste “terapie” ci sono di fatto bambini, ragazzi e anche persone
semplicemente emotive come tanti o reduci da traumi o violenze anche recenti.).
Del resto il leggero miglioramento che si avverte in certi Paesi rispetto al passato non bilancia gli orrori e non riscatta né risana
torturati e uccisi , mentre la coscienza si basa sull’individuo non su statistiche e pronostici di massa (non sul gruppo!).
Forse parlare di certi fatti e valori può produrre piuttosto una certa azione sull’inconscio delle persone abituate a pensare solo ciò che
fa loro comodo e viene loro più facile, ma tali processi hanno tempi lunghi, possono portare a cambiamenti di mentalità ma non della
psicologia (della natura, del carattere) e inoltre solitamente si svolgono fino a dare esiti apprezzabili solo se qualche interesse
economico nuovo viene a favorirli: per capire cosa intendo, pensate all’esempio che Jung fa spiegando in un suo libro quali
motivazioni abbiano favorito una maggior libertà sessuale e di relazione nelle donne dopo le guerre mondiali, che avevano ridotto
molto il numero di uomini; un altro esempio potrebbe essere l’abolizione della schiavitù in America quando la tecnologia imponeva
nuovi metodi di lavoro; probabilmente anche sull’abolizione della leva obbligatoria deve aver influito lo sviluppo tecnologico e altri
fattori economici. Insomma, non vedo nessuna possibilità, niente che possa modificare in meglio le leggi criminali attuali, così
fortemente sostenute da interessi economici, pregiudizi e cattiveria; si può solo cercare di informare il più possibile le potenziali ed
effettive vittime, che sapranno allora difendersi meglio e lotteranno con determinazione e senza sentirsi abbandonate da tutti , per poi
informare e consigliare a loro volta.
Se la letteratura non può cambiare la società, non è poco però che le persone schiacciate e emarginate, perché dotate di una
natura”morale” o perché indebolite a causa dei fattori più diversi, possono grazie soprattutto a essa sentirsi meglio, rafforzarsi,
superare blocchi e difficoltà di comunicazione e realizzarsi al livello più profondo, personale e importante, anche se non sempre
sociale ed economico.
La letteratura è un’ancora di salvezza, un punto di riferimento irrinunciabile per potersi confrontare, maturare personalità, gioie e
scelte coraggiose e per prepararsi alla difesa, a vittorie e sconfitte dignitose.
Non leggere e rileggere quei testi contemporanei che affrontano questioni importanti da diversi punti di vista e soprattutto i classici
della letteratura è una colpa a livello sociale di cui bisogna parlare senza temere nomi e cognomi, perché non esistono colpe di
gruppo.
“La notte in cui tutti i gatti sono bigi” scriveva Arendt per esprimere l’aspirazione crescente della maggioranza, quella al rifiuto della
condanna morale e giudiziaria di individui precisi quando si tratta di azioni violente e crudeli e di manifestazioni oggettive di
irresponsabilità e di indifferenza, aspirazione, a quanto sembra, pari per diffusione a quella di poter giudicare con una domanda e
un’occhiata, quando conviene, caratteri, pensieri, possibilità, debolezze o eccentricità altrui, cioè quelle realtà davvero impossibili da
giudicare con gli schemini limitati (spesso ridicoli e attribuibili sempre a tutto e al contrario di tutto) e con la sensibilità (quel cocktail
letale di pregiudizi e mancanza di empatia) della maggioranza e della psichiatria (oggi come sempre istituzione volutamente
irresponsabile, cieca, violenta e di fatto omicida di persone davvero di ogni età).
Senza prendere sul serio la letteratura nella sua storia non si può vivere consapevolmente e senza essere complici del peggio in un
mondo in cui politici dicono pubblicamente “Hitler è la vittima innocente degli ebrei”, avvocati definiscono le torture dei lager
nazisti “questioni mediche”, e psicologi, psichiatri e loro collaboratori in ogni settore della società si lamentano con gli amici della
rottura di scatole che è a volte per loro (poverini!) la violenza, che scelgono di infliggere, e la vista delle sofferenze e delle
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idiosincrasie, che sono loro a creare, di quell’insieme cioè di violenze fisiche e psicologiche e conseguenti manifestazioni di dolore
che credono di poter rendere qualcosa di diverso da ciò che è attraverso un vocabolario assurdo e di casta (usando insomma i metodi
nazisti del gergo e dell’addormentare la coscienza con il senso del grado nella gerarchia e delle fatiche compiute per il Reich… Del
resto è un fatto storico accertato, per quanto solitamente non insegnato nelle scuole, che le camere a gas dei lager nazisti erano state
inventate e utilizzate precedentemente dagli psichiatri del Reich per uccidere i “malati di mente” tedeschi, che in Russia medici e
psichiatri internavano ancora negli anni 80- e forse ancora internano- gli intellettuali dissidenti con il regime e che la commissione
sui controlli della pratica della lobotomia ha rilevato diversi casi in cui gli psichiatri hanno internato esponenti delle minoranze
etniche, politiche ecc…delle loro nazioni).
Direi che senz’altro non è affatto la forma a “fare” l’arte, ma contenuto sincero e forma quando essa serve a esprimerlo… L’arte è
spirito: non si può non approfittare dell’arte tra i mezzi possibili per ampliare una visione creata da scuole in cui gli insegnanti spesso
sono “bulletti” che non consigliano letture fondamentali né obbligano a leggere nulla di utile e hanno letto essi stessi poco e male, ma
sono molto compresi del loro prestigio e sanno la Divina Commedia a memoria…e tra Chiese di ogni tipo che, calpestando i testi
religiosi fondamentali, tra un rito di gruppo e l’altro, invitano a pensare al momento opportuno che “il martirio (degli altri!!) è giusto”
e a non intervenire di fronte al dolore altrui “giusto in quanto permesso da Dio, espiatorio e propiziatorio dell’altra vita”, mentre
esibiscono come verità altri comodi e assurdi sofismi come “ chi si lamenta o si blocca non vale né conta niente perché la vita è
bella” e “se io faccio così anche tu puoi e devi farlo senz’altro”… Accettiamo le nostre responsabilità oppure per sempre lasciamo
che ci guidino questo genere di insegnanti e gli “elenchi scolastici”, mamma e papà e gli amici del posto, che ci ha messo vicino il
caso, e per questioni particolari rimettiamoci alla maggioranza, al governo e a questo tipo di clero, come ai tempi del papa nazista…
E intanto limitiamoci a girare il centro dove una ragazza brutta e malvestita generalmente è considerata senza alcun diritto di vivere,
nata stupida e irrecuperabile da ogni punto di vista, e passiamo le sere nei pub: sbirciamo ai tavoli chi si comporta stupidamente
ritenendolo per questo necessariamente uno stupido, fissiamo ogni persona emotiva come se fosse immondizia, ridicolizziamo chi vi
lavora e parliamo delle coppie lesbiche ai tavoli come di pazze o di prostitute , attendendo che l’amico gay si allontani per sparlare
anche di lui…A fine serata sediamoci davanti alla tv, dove la norma è un filmetto sulla santità del fare figli e del farsi gli affari propri
oppure il vecchio episodio di Real tv in cui una poliziotta ha rovesciato e picchiato un paralitico perché guardarlo la infastidiva e
perché lui non si era “alzato” dalla sedia a rotelle per dare le impronte digitali… E intanto magari diciamo che siamo colti se abbiamo
studiato a Lettere elenchi di dati inutili (in quanto identici a quelli liceali o di carattere formalistico), esperti giudici degli altri se
iscritti a Psicologia, Medicina, Scienze Sociali e dell’Educazione (e ce ne vuole!) e informati se ci riescono i cruciverba e se
leggiamo ogni giorno 2 o 3 giornali, che vanno avanti tra campagne diffamatorie e processi risolti con condanne per diffamazione (ci
si informi, anche solo sui profili di wikipedia) e dove troviamo articoli in cui si parla di “sacrificio cristiano” per identificare la
tortura sui malati gravi cui si nega l’eutanasia anche quando non vengono forniti in convenzione dei costosi antidolorifici loro
necessari o quando questi non sono sufficienti a placare il dolore o producono coma, che forse sono in un altro senso similmente
dolorosi e che comunque il malato rifiuta, desiderando morire come naturale. E se qualcuno ci critica, distruggiamo il “pazzo” che lo
osa e intanto sfogliamo un bel testo di “Psicologia” alla caccia di ciò che giustificherà ogni nostra violenza, oppure diciamo, come
ragazzi, che tutti siamo “merde” e se non “si prende per il culo” si è “presi per il culo”, che la colpa è del “mondo” o magari del fatto
che i giovani non possono occupare certe cariche politiche, che non siamo “santi”, che vogliamo divertirci e che pensare è compito
degli “esperti”.
La scelta da fare è semplice: o si fa tutto il possibile per svegliarsi e tenersi svegli, oppure si accetta e sostiene questa mentalità
diffusa in ogni settore della società, dall’ambito familiare a quello politico, ben esemplificata dai dittatori comunisti, quando
dicevano che “falso è tutto ciò che nuoce”: diventiamo sempre più abili nel “decidere di credere e di pensare” “una volta per
tutte”qualsiasi cosa ci porti a dare la colpa agli altri, a ricavare da tutti un personale tornaconto e a creare e mantenere sempre
maggiori distanze da chiunque non si adegui in qualche cosa e per qualsiasi ragione alle nostre pretese o richieda da noi qualche
sforzo per ragioni di principio o valutazioni generali.
Innanzitutto chi ha il senso di responsabilità reagisca, attraverso biblioteche e librerie, all’ignoranza diffusa dalle scuole di ogni
livello: solo così, oltre che sforzandosi di osserevare, fare esperienza e parlare a lungo con persone diverse da sé, è possibile
difendersi da programmi scolastici deleteri.
DA CONOSCERE PER FARE AUTOANALISI E COMPRENDERE BENE I
PERSONAGGI DELLA NARRATIVA
Conoscere bene ciò che distorce di solito il nostro giudizio e le protezioni che per noi sono più distintive è il primo passo per poterci
liberare sia di questi automatismi che dei sintomi nevrotici e imparare a scegliere davvero; conoscere le riflessioni e le azioni che si
sono dimostrate più utili per la maggioranza di coloro che hanno deciso di intraprendere questo percorso (le tecniche definite oggi
cognitivo-comportamentali) e quindi leggere i libri sottolineati nella prima parte di questo documento, è il naturale passo successivo.
Conosco persone divenute abbastanza obiettive e abili nella risoluzione di problemi e incombenze dopo aver subìto per molti anni
alcuni dei più deleteri di questi processi mentali coatti.
Credo che, oltre a conoscere di ognuna delle reazioni elencate gli esempi più rappresentativi nelle nostre azioni passate e nel
presente, ci permetta di liberarcene anche riflettere su ciò che Jung scrisse su cos'è in generale una nevrosi e su quali ne siano più
spesso l'origine e la soluzione, perché i sintomi nevrotici sono esagerazioni dolorose molto difficili da gestire di reazioni inconsce
comuni a tutti (un progetto è meglio concepito e realizzato quando si ha una visione d'insieme: ecco perché può aiutarci leggere i
commenti in corsivo della prima metà di questo documento dedicati soprattutto a Jung e al suo concetto generale di nevrosi come
difesa della personalità spesso nata nell'infanzia a causa delle decisioni più negative dei genitori, una reazione involontaria deleteria e
duratura). Tenete presente che molti libri sulla meditazione e alcuni saggi sul buddismo indicano come meta ideale di ogni individuo
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proprio l'emancipazione della coscienza dall'automatizzazione e anch'essi citano esempi di chi l'ha gradualmente raggiunta.
Purtroppo però ancora oggi molti psichiatri sfruttano soprattutto la maggiore inconsapevolezza e presenza in alcune persone di tali
meccanismi di distorsione o difesa (oppure la loro ingannevole apparenza) per diagnosticare un disturbo di personalità, cioè una
malattia incredibilmente vaga, ma classificata come cronica pressoché costituzionale e grave e riguardo alla cui origine e al cui
trattamento i manuali di psichiatria e la prassi nota non si pronunciano se non per far internare e costringere a psicofarmaci
estremamente dannosi i disoccupati (anche giovani) e chi non riesce a pagare l'affitto (la disoccupazione è considerata uno dei
principali sintomi di questi disturbi fin dalle prime e classiche loro definizioni, anche se oggi c'è chi vede persone con patologie
mentali gravi e croniche ovunque e anche tra i lavoratori).
FALSI RICORDI, MISURE DI SICUREZZA E MECCANISMI DI AUTODIFESA INCONSCI
Ciò che impedisce al nostro sguardo di essere limpido e offusca il nostro giudizio degli altri e delle vere cause dei comportamenti e
dei problemi è di solito una mescolanza poco consapevole di tendenze al prestigio e al controllo autoritario, è vedere tutto bianco o
nero semplificando, a giudicare in fretta o a partire dalla corrispondenza con il nostro modo di vivere e in base alle simpatie, quando
non secondo l'esperienza (quella più recente o quella di una vita), l'abitudine o gli stereotipi... e insomma l'impulso a non mettere la
logica distaccata tra le nostre priorità. E poi ovviamente umore, necessità o urgenza influenzano ciò che possiamo vedere. I
meccanismi di difesa inconsci invece si attuano in modo del tutto o per lo più automatico per mantenere la stabilità interiore ed
evitarci, a prezzo della verità, sensazioni spiacevoli: non ne siamo responsabili, finché non ne diventiamo consapevoli, abbiamo
bisogno di cambiare e otteniamo i mezzi per farlo (soprattutto informazioni chiare, precise e scritte). Essi sono in genere responsabili
di un grande numero di sintomi nevrotici e di alcune psicosi, ma quando sono attivi in misura moderata sono utili allo sviluppo fino
alla crescita e, nel caso della rimozione, necessari all'esistenza mentale stessa. Quello a cui ricorriamo più facilmente e che si innesca
più direttamente è proprio l'espulsione dalla coscienza di un'idea o di un sentimento dolorosi già esperiti o che cercano di accedervi
(nell'infanzia tale rimozione è quasi inevitabile). La rimozione può consistere anche solo nel tipico dimenticare un appuntamento
preso con una persona sgradevole. Si può però ricordare bene un evento spiacevole o traumatico, ma non provare un'emozione nel
viverlo e/o nel ricordarlo, come se dalla nostra mente essa fosse stata separata e "isolata" dall'accaduto. Uno presente in ogni
patologia psichiatrica è un processo di ritorno ad una modalità di essere precedente meno ansiogena, ma alcuni comportamenti
regressivi li manifestiamo quasi tutti quando troppi ostacoli ci sbarrano la strada e non per questo ci si può considerare dei malati di
mente veri e propri. Molto diffuso è l'attribuire ad altri desideri, sentimenti e motivazioni rifiutati dall'io, proiettandoli al di fuori di
sé, ma è comune anche il semplice rifiuto a riconoscere pulsioni e tendenze inaccettabili. Un esempio di proiezione consiste nel
giudicare invidioso un amico perché lo invidiano. Il movimento difensivo più istintivo per noi però può essere a volte quello della
direzione opposta: per esempio possiamo fare nostri i valori di un'altra persona (un genitore, un insegnante, ecc.) se essi ci vengono
imposti con severità e ciò per sfuggire la sensazione di essere sottomessi al volere altrui. In un caso analogo se la severità è tale da
generare in noi rabbia o agitazione, possiamo volgere contro noi stessi una vera e propria aggressività fino al punto di farci
fisicamente male se non possiamo aggredire l'aggressore. Se da bambini siamo però molto maltrattati dai familiari, ci accade anche di
attaccarci maggiormente a chi ci maltratta: è una reazione automatica che hanno anche i cani picchiati e trascurati dal padrone. Ad
adulti torturati soprattutto psicologicamente in modo grave e prolungato nelle dittature (lavaggio del cervello) è capitato di
idealizzare chi li perseguitava e a donne sole che hanno subìto a lungo violenze di vario genere è accaduto di non trovare in sé la
forza di esprimersi e si sono attaccate al persecutore, spinte dall'emergere di una paura eccessiva dell'ignoto, al punto di non saper
chiudere un rapporto nemmeno quando possibile, di bloccarsi fino a non riuscire a concepire soluzioni per migliorare la propria
condizione, a distaccarsi emotivamente da tutti. Reazioni simili sono frequenti, proprio perché quasi automatiche, anche nella
maggioranza delle persone che subiscono per diverso tempo bullismo a scuola e soprattutto mobbing, tanto è vero che quando ci
troviamo in tali situazioni dobbiamo aspettarci da noi stessi sia tali comportamenti irrazionali, sia un distanziamento emotivo reattivo
che si estende in genere al contesto non scolastico e non lavorativo e che può portarci a non essere più ricettivi nemmeno del calore
dei nostri amici e familiari. Anche quando da adolescenti o in giovane età ci rechiamo da uno psicologo per uno o più problemi seri e
non ci informiamo per tempo sulla psicoterapia, spesso fatichiamo a chiudere il rapporto anche se lo psicologo non ci dà né
spiegazioni né soluzioni e si approfitta di noi rubando di fatto o coinvolgendoci in attività fuori dallo studio pericolose o dannose,
contro ogni regola deontologica. Illusioni più o meno aggredite dal buonsenso e dall'osservazione e una dedizione senza fondamento
caratterizzano chi viene coinvolto in gruppi e movimenti religiosi (ad esempio di facciata cattolica) o politici, spesso e quasi sempre
la tossicodipendenza e ciò al punto che c'è chi, una volta riappropriatosi dei propri spirito critico, libertà e tempo, ha paragonato
spontanemente adepti, affiliati e drogati. Se pensiamo a quanto spesso finiamo col cedere anche solo alle insistenze dei commessi nei
negozi se ci troviamo in un momento di debolezza conseguente a un lutto recente o a un trauma, ci è più facile intuire cosa ci può
accadere in situazioni di sofferenza psicologica e/o fisica davvero molto prolungata e intensa. Se invece reagiamo con rabbia e il
nemico è troppo forte (un'istituzione, un gruppo, ecc.) accade frequentemente che la confusione, il dolore o il panico ci accechino e
che assumiamo un atteggiamento insistente senza pianificare con metodo, cambiamo spesso porte cui bussare o con impazienza e
imprudenza ci rivolgiamo quasi subito a chi sta al posto più alto di un'organizzazione, sia essa una scuola, un ospedale, un servizio
sociale, un'associazione religiosa ecc. Quando siamo attaccati in situazioni in cui le forze in campo sono meno impari, una reazione
istintiva può anche essere quella di cercare di assomigliare al nostro aggressore, perché questo ci appare un mezzo per tornare a
sentirci forti, attivi e padroni della situazione e fuggire la passività impostaci (da bambini soprattutto tendiamo a imitare i bulli). Ma
l'aggressività e la rabbia verso un compagno, un collega, ecc., espresse o meno in un'azione precisa, possono provocare senso di
colpa e, per una reazione ad esso, spingerci a divenire gentili e particolarmente pazienti con la persona con cui ci siamo arrabbiati o
con tutti in una sorta di annullamento retroattivo o con una trasformazione nel contrario: queste reazioni possono accompagnarsi a
rimozione del desiderio iniziale o alla sua proiezione su altri (anche fino a identificazione) e avvengono nei casi più svariati e
sopratttutto durante la crescita e rispetto ai desideri dimostrati nell'infanzia, soprattutto se i genitori sono stati troppo inibenti rispetto
a essi (può accadere perfino che una bambina molto interessata agli abiti e al divenire madre da grande diventi in età adulta sciatta e
apparentemente poco ambiziosa e resti nubile per vivere i vecchi desideri attraverso le amiche e gli amici ammirati, interessandosi
cioè di continuo ai loro figli, vestiti, relazioni sentimentali e carriera). Ambizione, aggressività, desiderio di sottomettere gli altri
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possono però anche subire il processo, più positivo, provocato da un altro meccanismo difensivo ed essere in qualche modo
sublimati, quindi trasformati in capacità sportive, artistiche o intellettuali, che consentono di primeggiare in modo non dannoso per lo
stesso tipo di elevazione che porta chi teme le malattie a coltivare un interesse scientifico per le terapie e a divenire capace di curare
corpo e mente. Un'altra reazione positiva c'è quando trasportiamo un conflitto affettivo interno verso l'esterno, più che verso l'alto,
pur continuando a servirci dell'intelletto come principale difesa: possiamo ad esempio dimenticare in parte un problema angosciante
con un genitore sviluppando un interesse intellettuale per questo genere di conflitti. A volte è solo inconscio il tentativo di giustificare
sentimenti e azioni inaccettabili, anche mantenendone inalterato lo scopo. Gli effetti più evidenti e pericolosi la nostra separazione
inconscia da un'emozione/pensiero/situazione li ha quando il risultato è costituito da depersonalizzazione, schizofrenia, stati di fuga,
isteria e sdoppiamento della personalità, ma la stessa causa è alla base del semplice e più comune sonnambulismo. Quando sono i
nostri desideri sessuali ciò che vorremmo negare, a causa dei problemi che ci provocano, allora possiamo essere portati a un controllo
pressoché totale dei nostri impulsi e a comportamenti eccessivamente riservati, quasi ascetici, soprattutto se siamo adolescenti (una
fascia di età in cui questi impulsi provocano ovviamente particolare turbamento). Un meccanismo di cancellazione anche
istituzionalizzato è quello che ha creato il rito cattolico della confessione e che un tempo si attuava attraverso riti tribali sacrificali.
Dopo un trauma o una separazione sono possibili in tutti amnesia e allucinazioni, e ciò anche senza la compresenza di patologie.
Anche i falsi ricordi sono più diffusi di quanto non si creda. Abbastanza comune è lo spiazzamento di un sentimento dal suo oggetto
reale interno e il suo spostamento su un altro esterno (forse ciò è alla base anche delle fobie e dell'autolesionismo). Spesso le nostre
fantasie della veglia sono così brevi e attirano così poco la nostra attenzione da potersi considerare inconsce, quindi si tratta di
gratificazioni che otteniamo passivamente dall'immaginazione. Può capitarci di sopravvalutare qualcuno a causa di un notevole
nostro investimento affettivo e ciò ci porta anche a tendere a emularlo in modo conscio o anche del tutto inconsapevole e possiamo
finire con l'internalizzare ciò che ammiriamo (trasferendolo dentro di noi in via simbolica, qualche volta fino al delirio), perché non
possiamo fare a meno di desiderare di essere accettati e amati. Però una difesa può anche sfruttare l'intelletto: esso diviene il mezzo
con cui inconsciamente cerchiamo di allontanare la realtà, e il risultato è che danneggiamo la nostra parte affettiva fino a che
diventiamo quasi degli automi con cui non si può ragionare, oltre che scambiare affetto. Il nostro bisogno di piacere ad altri e a noi
stessi può portarci anche a perdere sempre più lucidità nel giudizio, fino a crearci un'autostima irrealistica (il cosiddetto falso sé) o a
giungere perfino alla megalomania oppure può renderci troppo aggressivi. L'aggressività e l'autoaffermazione ci sono necessarie, ma
chi non ne riconosce sempre in sé il bisogno o la manifestazione, rischia di illudersi su se stesso e di perdere rapporti importanti (gli
aggressivi-passivi indispettiscono, deludono molto e allontanano chi più è attratto dalla flemma che li contraddistingue, spesso
scambiata per calma, disponibilità o gentilezza). Anche l'altruismo e il conformismo possono nascere da un bisogno inconscio di
difendersi e il più delle volte non causano problemi, ma è particolarmente dolorosa negli esiti la spinta inconscia a manifestare
comportamenti del tutto opposti a necessità o tendenze poco consapevoli o rifiutate, perché esprimere il rifiuto con la sollecitudine
(compiacendo troppo chi ci è vicino o facendo spesso ciò che non è adatto a noi) oppure con la dipendenza ci porta inevitabilmente a
deprimerci e a perdere il controllo. Quando ci sentiamo a lungo tristi e fiacchi e quando dopo un certo tipo di incontri e attività
accettati solo per abitudine o perché spinti da altri o da motivazioni confuse, a volte quel che accade è che il nostro inconscio sta
cercando così di comunicarci che è urgente che facciamo chiarezza in noi con l'autoanalisi (l'inconscio con il calo dell'energia crea
simbolicamente l'introversione che esso desidera e inoltre ci mette nella condizione di farci e fargli delle domande per poter poi
esprimerci di più, cambiare decisione, ecc.) Spesso però la stanchezza fisica improvvisa o prolungata immotivata e l'agire
meccanicamente esprimono invece una paura non ancora cosciente e sono reazioni inconsce che ci invitano ad arrestarci e cioè ad
abbandonare una persona o un'attività che rappresenta un grande pericolo non riconosciuto, e ciò è vero e va ricordato sebbene non di
rado sia proprio questa passività indotta a farci cadere in trappola (chi ha avuto a che fare con dei criminali comprende certamente
bene cosa intendo affermare). Spiacevoli sensazioni fisiche, disagio improvviso, mancanza di spontaneità e generale perdita o
riduzione d'iniziativa sono di frequente simili reazioni di difesa inconsapevoli, a volte controproducenti quanto sensate secondo la
logica dell'inconscio e quindi da ascoltare soprattutto nei rapporti di coppia e se siamo alle prese con le prime esperienze sessuali e
relazioni, anche perché chi non lo fa va incontro a incidenti, ad alcune sintomatizzazioni fisiche e spesso infezioni. Le vere e proprie
malattie psicosomatiche molto durature e dolorose hanno ovviamente una certa attinenza con questo tipo di reazioni, anche se hanno
rapporti tanto complessi con le malattie organiche funzionali che non è possibile operare comode semplificazioni, anche perché,
quando ad ammalarsi sono gli altri, è fin troppo facile dimenticare che le vie dell'inconscio non sono le nostre, che esse non sono
quelle dell'io. Quando cadiamo e troppo a lungo rimaniamo vittime di mobbing, bullismo, maltrattamento familiare o del partner o di
un'altra situazione angosciante senza ritorno, può capitare facilmente che a un dato momento reagiamo automaticamente con un
distanziamento emotivo che riduce il dolore ma non ci permette di accogliere l'affetto e il sostegno quando ancora presenti o possibili
e a volte non riusciamo nemmeno a elaborare altri tipi di aiuti e soluzioni, per quanto apparentemente raggiungibili o magari perfino
ovvi. Di fronte all'autorità in noi scattano misure protettive di solito non del tutto inconsce, ma poco meditate, per cui reagiamo
tacendo oppure sorridendo tra tante parole che non dicono quasi niente e/o mostrando apertamente aggressività. Se siamo stati
ingiusti, violenti, ecc. a scattare possono essere invece i cosiddetti meccanismi di disimpegno morale, almeno in mancanza di empatia
naturale, coscienza o abitudini di autosservazione o riflessione: obbedendo soprattutto alla tendenza naturale in tutti a evitare a se
stessi ogni dolore, si attribuirà la colpa alla vittima, la si disumanizzerà e spregerà, magari la si aggredirà nuovamente e ciò anche – e
forse ancor più – se l'ingiustizia della propria iniziale aggressione è palese, come quando si è voluto colpire con la violenza un'altrui
fragilità considerata di per sé intollerabile (i diversi appaiono deboli) oppure approfittarsi della debolezza di un altro per procurarsi
qualche forma di piacere o puntellare la propria debole identità su quella di un gruppo aggressivo.
I testi di riferimento sono stati per me il testo liceale degli ultimi anni Intrecci. Psicologia e Pedagogia ai manuali Test psicologici di
Sanavio-Sica, Sinossi di psichiatria Kaplan e Sadock’s, Manuale di psichiatria di Sarteschi -Maggini, Interviste e colloqui nelle
organizzazioni di Castiello d’Antonio, Tecniche dell’intervista e del questionario di Zammuner, Modelli di colloquio in psicologia
clinica di Del Corno-Lang e Il colloquio nell’assistenza sociale di Allegri, dei quali ho riassunto e tradotto nel linguaggio comune i
concetti più importanti, da loro espressi con troppo numerosi, inutili e respingenti tecnicismi .
Tutti avvertiamo la pressione a conformarci alla maggioranza, anche quando non rischiamo gravi ritorsioni. L'esigenza di evitare
dissensi a volte sfocia in decisioni disastrose soprattutto se subiamo stress e pressione a che il nostro gruppo dia un parere unanime e
decida in fretta. Gli errori più comuni che commettiamo nel giudicare, trovare soluzioni o prendere decisioni sono tuttavia di altro
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genere. Spesso infatti per arrivare alle conclusioni non sottoponiamo i discorsi e la qualità delle argomentazioni ad attenta analisi, ma
vi arriviamo attraverso delle scorciatoie presenti nella nostra mente. Pensiamo ad esempio "lo dice un esperto, sarà vero". Le
informazioni che ci giungono dall'ambiente caso per caso stimolano questa e altre "euristiche", queste economie di pensiero (ad
esempio una fonte autorevole stimola l'euristica dell'esperto). Esse ci espongono sempre ad errori, ma vi tendiamo per semplificare i
problemi. Soprattutto tendiamo a giudicare dalle cose che ci vengono alla mente facilmente o in base all'idea che abbiamo di una
categoria di persone o di eventi o per via del ricordo di un evento simile recente o di qualche fonte e lo facciamo anche quando si
tratta di riferimenti arbitrari. Per di più, una volta che ci siamo formati una convinzione, tendiamo a conservarla anche a dispetto di
prove contrarie! Si possono contare decine di altre tendenze della nostra mente potenzialmente fuorvianti e tali "biases" influiscono
anche sui giudizi professionali per ansia o fretta e perché abbiamo una razionalità limitata e bisogno di coerenza, ma soprattutto
perché tendiamo, nell'attribuire cause e altre relazioni, ad accomodarci le cose in conformità con i nostri interessi (per chi è onesto e
interessato all'altro il processo è inconscio e viene frenato con un po' di allenamento). A volte però ci facciamo semplicemente
influenzare dal parere dei più, ci convinciamo e cioè cadiamo nell'euristica del consenso ("se tutti la pensano così, è vero"), anche se
probabilmente anche in tal caso siamo inconsciamente spinti da interesse per la pressione al conformismo alla maggioranza (questo
accade infatti soprattutto se siamo tenuti a far sapere agli altri la nostra opinione). Inoltre, quando c'è una discussione tra più di due
persone tendiamo a spostarci verso posizioni estreme per le conferme ricevute o per stanchezza e ci allontaniamo da iniziali posizioni
moderate. Soprattutto comunque quando in ogni comunicazione non facciamo in modo e non controlliamo che il nostro interlocutore
sia in sintonia con noi (nel senso che abbia chiaro di cosa parliamo, abbia in mente le stesse cose che abbiamo in mente noi), egli
arriva inevitabilmente a conclusioni sbagliate: per tutti noi lo sforzo di comunicare è vano a volte, anche se ciò capita più di frequente
a chi ha un disturbo mentale. E in generale non possiamo correggere malintesi e comunicazioni inefficaci quando, come a volte
avviene, attribuiamo male le cause di essi (di solito prima crediamo che la causa sia l'incompetenza di alcuni interlocutori, poi una
intenzione generale della controparte, poi differenze culturali) o quando la causa è nascosta da un'ideologia distorcente non messa in
discussione (ad esempio la mentalità per cui le donne sono in posizione un po' subalterna rispetto agli uomini può spingerle a tacere
se un uomo le interrompe o contrasta deciso e l'avere poca consapevolezza di questi pregiudizi diffusi può fare sì che gli uomini non
tengano abbastanza conto che anche le loro intenzioni migliori sono fraintendibili e non ne spieghino nulla). Ovviamente infine
siamo facilmente indotti ad errori di giudizio anche dalle consapevoli menzogne altrui, che smascherare è molto più arduo di quanto
tendiamo a credere per ignoranza e pregiudizi diffusi: crediamo spesso che esistano specifici indizi di menzogna, mentre essi possono
sempre significare anche tutt'altro, abbiamo talvolta teorie assurde sulla personalità dei bugiardi e soprattutto abbiamo udito dire
troppo spesso che il corpo non mente e che ne è prova il fatto che gli animali sono sinceri, quando invece con gesti ed espressioni
molte persone mentono bene, anche se in modo imperfetto a causa della difficoltà del compito, e tra gli animali gli inganni sono
molto diffusi e favoriti dall'evoluzione, perciò al massimo possiamo puntare sul cogliere i segnali fugaci e rari di menzogna nel
movimento dei piedi e di altre parti del corpo, più ancora che nel viso, sempre presenti quando il potenziale bugiardo è sotto stress a
causa delle conseguenze gravi di quanto dice e/o in preda a una delle emozioni primarie (felicità, rabbia, paura, disgusto, tristezza,
sorpresa e forse fiducia e trepidazione) tenendo presente che le donne vi riescono meglio in genere, se solo l'interlocutore non è una
persona cara. Proprio nei rapporti di coppia e familiari è facile che ci blocchiamo anche di fronte a un altro noto ostacolo, quello
consistente nello scontro di punti di vista che ci appaiono inconciliabili su una questione importante quando continuiamo a desiderare
e ad avere molto bisogno di condividere valori e visione del mondo: di solito purtroppo in queste situazioni crediamo di non avere
scelta tra la rinuncia a uno dei due nostri bisogni fondamentali (integrità e stabilità personale o benessere nella coppia) e non vediamo
la piccola ma reale terza possibilità.
I testi di riferimento con cui mi sono informata sulle distorsioni della percezione e del giudizio sono stati Psicologia della
comunicazione (Di Giovanni), Interviste e colloqui nelle organizzazioni di A. Castiello D'Antonio (un libro che non consiglio per gli
altri argomenti affrontati), Il colloquio nell'assistenza sociale (Allegri-Palmieri-Zucca) e Sinossi di psichiatria (Kaplan-Sadock).
Anche in questo caso ho riassunto e tradotto nel linguaggio comune i concetti più importanti, da loro espressi con troppi tecnicismi .
Modelli di colloquio in psicologia clinica (Del Corno), un testo davvero odioso, è utile per leggere qualcosa di più sulle euristiche e
per il lungo, chiaro e dettagliato elenco di cause di bias tipici del clinico che contiene (non è infatti solo la maggioranza degli
psicologi e degli psichiatri a ritenere di poter avere certezze sugli altri e su di sé e per giunta in fretta), ma trovate tali biases riassunti
nel paragrafo apposito più sopra in questo documento.
Un elenco preciso degli errori di percezione e giudizio più frequenti può essere considerato quello contenuto nel documento online
citato in coda per gli utenti delle biblioteche.

RITRATTO DI UN ARTISTA DA GIOVANE (J. JOYCE)


AREA SEMANTICA DELL’UCCELLO /VOLO


Rondini-falco– pensieri/ispirazioni
artistiche/teorie/libertà dell’arte/voli estatici:
simbologia tipica in molti autori di ogni genere (già
nel Vangelo). Il falco (dio solare) indica la
trasformazione dell’eroe in tradizioni mitiche..

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Nei miti antichi, quando l’eroe uccide il mostro (la
“Madre terrificante”), che lo ha divorato, dal suo
interno e poi ne esce, un uccello lo aiuta e poi si
leva a volo sull’acqua. Questo levarsi dell’uccello
sul mare è un simbolo solare di rinascita dalla
“Madre” (l’inconscio in opposizione) da
confrontare con il cigno cantore, la fenice, in parte
gli angeli (vedi Simboli della trasformazione).
Lapis alata - Mercurio alato - Morfeo alato – angeli
- aquila o fenice (anima liberata o presagio di
potenzialità nell’Alchimia) - Perseo/Unicorno
(Alchimia).
Ragazza sulla spiaggia sola- uccello: “donna
sconosciuta” come anima o Sé in Alchimia +
simbolo dell’unione degli opposti: sensualità (il
femminile) unita a un classico simbolo
dell’elemento spirituale in senso lato (uccello) +
simbolo emerso dall’inconscio quando la funzione
meno differenziata si impone sulla coscienza (C. G.
Jung).
Citazioni dal testo:
“Era il cuore di lei semplice e caparbio come
quello di un uccello? (…)
Una gioia tremante, carezzevole come una luce
tenue, gli danzò intorno come un gruppo di fate,
(…) perché lei era passata nell’aria (…)
La vita del suo corpo malvestito, malnutrito,
mangiato dai pidocchi, gli fece chiudere le palpebre
in un improvviso spasimo di disperazione e,
nell’oscurità, vide i fragili luminosi corpi dei
pidocchi cadere dall’aria (…)
Sotto il crepuscolo incupito sentì i pensieri e i
desideri della razza a cui apparteneva svolazzare
come pipistrelli per gli oscuri sentieri di campagna
(…)
Un dubbio inquieto gli svolazzava qua e là davanti
alla mente. Ricordi mascherati gli passavano rapidi
dinanzi: riconosceva scene e persone, pure si
accorgeva di non essere riuscito a individuare in
esse un qualche particolare vitale (…) l’essenza
(…)
Avanzavano strane figure come da una caverna (…)
Attraverso l’immagine intravide una strana caverna
di speculazione (…)
Era un silenzio incantato di pensiero (…)
Uno spirito (…) spirava lieve in lui (…) come se gli
stessi serafini gli alitassero addosso! (…)
Era quell’ora immota dell’alba, quando la follia si
risveglia, strane piante si aprono alla luce e la
falena prende il volo silenziosa. Un incanto del
cuore! Era stata una notte d’incanti (…) L’attimo
era balenato come un punto di luce (…) Il serafino
(…) era venuto nella camera della vergine (…) nel
vergine grembo dell’immaginazione (…) Un ultimo
bagliore si incupì nel suo spirito in un’infuocata
luce rosa (…) Ammaliati, (…) i cori dei serafini
100

cadevano dal cielo (…)
Una frase (…) gli attraversò il cervello, poi si
misero a svolazzare qua e là pensieri informi (…)
sulle corrispondenze tra gli uccelli e le cose
dell’intelletto (…)
“Luminosità cade dall’aria”,(…) ricordò il verso.
I gridi degli uccelli erano stridenti, limpidi e sottili
e cadevano come fili di luce serica dipanati da
rocchetti turbinosi (…)
Un’estasi di volo gli rendeva raggianti gli occhi
(…), raggianti le membra (…)
‘A incontrare per la milionesima volta la realtà
dell’esperienza (…) le voci mi chiamano (…),
scrollando le ali della loro gioventù’ (…)
Sacerdote dell’eterna immaginazione, trasmutava il
pane quotidiano dell’esperienza nel corpo radioso
di una vita immortale (…)
Un’immagine (…) gli sarebbe venuta incontro (…)
Si sarebbero trovati come se si fossero conosciuti
(…) in qualche luogo segreto, (…) circondati
dall’oscurità e dal silenzio (…)
La ragazza (…) sembrava una creatura trasformata
per incanto a somiglianza di uno strano e bellissimo
uccello marino (…) Il primo lieve suono di acqua
mossa piano ruppe il silenzio (…), lieve come le
campane del sonno; qua e là, qua e là: e una fiamma
lieve le tremò sulla guancia (…). L’immagine della
ragazza gli era entrata nell’anima e nessuna parola
aveva rotto lo strano silenzio della sua estasi (…)
Le palpebre gli tremarono (…) come se sentissero
la strana luce di qualche nuovo mondo (…) Sedette
nel cerchio di sabbia (…) L’orlo (…) della luna
nuova fendeva il pallido deserto dell’orizzonte, (…)
cerchio d’argento (…) in sabbia grigia”.

Luminosità cade dall’aria/dall’alto →

→ Ispirazione artistica: es. Emily Dickinson (“io
vivo nella Possibilità (…) e la mia vita è questa:
aprire le mie esili mani per accogliervi il paradiso”)
605 e 328 (argento-luce-volo-intuizione)

→ Leitmotiv e chiave del gruppo Giudicare del
Documento in rete “Citazioni molto utili”e
dell’Introduzione di questa pagina online (“non si
può decidere cosa pensare” o pensare “una volta
101

per tutte”; il fondamento del pensiero è il dubbio.




AREA SEMANTICA DELLA SUPERIORITÀ DELL’ARTISTA




















Lo scrittore nascosto dietro l’opera come Dio
“Cosa mi si offre in cambio, un’eternità insieme al preside degli studi?”
Disprezzo per le persone servili intorno a lui e per lo squallore generale espresso
in più punti
razza” (irlandesi, ceto, famiglia evocati alla vista dell’albergo dei patrizi) → “Sua
razza” (artisti) nel finale
“La lingua che parliamo è sua prima che mia. Come sono diverse le parole casa,
Cristo, birra, maestro, sulle sue labbra e sulle mie” (i vocaboli esemplificativi
scelti non sono evidentemente casuali… La distanza è nel significato, oltre che
nel significante)

Ulysse
Vicenda di Parnell: trauma per Joyce. Un simbolo per la presa di distanza dagli
Irlandesi (Parnell, in modo esplicito o indiretto - trasfigurato nel fantasma dl
sogno o del castello al collegio, ecc. - , compare più volte all’inizio, a metà e a
fine libro)
Il poeta nazionale d’Irlanda
Dedalo → artefice “favoloso”/”grande”/”antico”

Arifex – Mercurio (Alchimia) legato a Toth (dio degli scrittori
citato) Radici → razza/appartenenza spirituale
agli artisti/destino


“Eterna imaginazione”/Epocaprecristiana/”mare disumano”/”gridi disumani”
Thoth, dio degli scrittori egizio avvicinato a Ermete Trismegisto nell’Alchimia.
Impermanenza dell’emozione → bisogno di un “rito prescritto”/”teoria e
coraggio”/prosa “lucida e flessibile”/”mostruose fantasticherie” che
“spadroneggiano” →visioni/ritmo/”consonantia”/”Claritas”/arte/scrittore
102

Destino
nell’Arte
Flusso di associazioni mentali (confronta ad es. con l’analisi del funzionamento
della mente dello scrittore nei classici Martin Eden, L’uomo senza qualità e La
prigioniera e con Piccola guida per persone intelligenti che non sanno di esserlo
della neurobiologa specializzata in Neuroscienze B. Milletre)

Immagine del
Rocchetto
Folgorazioni
Rondini-falco-angeli-pesci
Ragionamento sulla chiesa del preside degli studi
Modo di ragionare del professore

Contesto religioso → contesto profano e soprattutto dell’arte (la liberazione di
Stephen avviene sul piano dell’arte un po’ più che su quello umano a causa del
peso dell’educazione)
- Epifania
- ripetizione e altri
artifici usati nella
predica trasposti con
più sapienza per dare
messaggi ostili ad essa
- adorazione della
ragazza-uccello
- Sacerdote dell’eterna
immaginazione –
Eucarestia
- Rinascita in riva al
mare = battesimo
(nascita dell’anima/
mito del “processo di
Individuazione”-vedi
La personalità Mana in
C. G. Jung)
- Poesia all’amata
- avorio, tempio d’oro
→ da Maria a Eyleen
alla ragazza della
spiaggia
- Gabriele/vergine
grembo
dell’immaginazione
- Dante (vedi più oltre)
- Shelley (vedi più
oltre)


AREA SEMANTICA DELLO SQUALLORE

103

Città
I genitori, la casa
Colloquio col padre e università
Abiti, cibo
Pidocchi
Fantasie e impulsi, istinti
Vermi
Parole oscene sul muro al termine della recita - “Foetus” sul banco – iscrizione
dei compagni in bagno ecc.
Poeta nazionale d’Irlanda
Mente di Stephen quando ricorda il verso di (?)
Pidocchi – pensieri di Stephen
Pipistrelli – pensieri – dubbi (personali e di artista – altra razza) della razza
(irlandesi)
Nomi→ nome profetico ↔ nomi ordinari dei giovani preti o come l’aspetto dei
compagni alla spiaggia o di Dolan (“sembra il nome di una lavandaia).



AREA SEMANTICA DELLA FOLLIA




Pazzia/Follia
Thoth, dio degli scrittori
La poesia all’amata
Visione al risveglio – poesia (“Era quell’ora immota dell’alba, quando la follia
si risveglia”
≈ “Mostruose fantasticherie” + “istinti forti” (perché repressi e accresciuti
dal dolore) + “sciocchi impulsi irrequieti”(giovanili)
Emozioni create dall’immaginazione di se stesso all’inferno
Dubbi sul Creatore. Dubbi sulla natura sana o malsana della sessualità

AREA SEMANTICA DEL COLORE
104

1 e 2. Blu + Argento → Mercurio/fase
dell’evoluzione (Jung)
↓ ↓
(Spirito) Treno che porta dal
collegio a casa dei familiari (poi casa =
evoluzione ultimata – destino
maturato/aperto) + epifania sulla spiaggia:
gonna blu della ragazza uccello/
Luna nuova argento il cui cerchio è il
mandàla (“cerchio di collinette di sabbia”
≈ “incastonato”
≈ “pozze lontane” ≈ isolando ↔
movimento ciclico della terra e dei suoi
“guardiani” (“guardiani dell’adolescenza”
= gesuiti e familiari da cui fugge) ↔
Trinity (“pietra opaca incastonata
nell’ignoranza.
3. Grigio → durezza – squallore –
limitatezza
a) barba del prete
confessore
b) abito degli studenti
immaginati nel collegio
visitato dal padre
c) capelli e occhiali di
Dolan → l’aria e il canale
durante la conversazione
sull’arte con Lynch →
grigiore del preside degli
studi → Trinity vicino alla
statua del poeta nazionale
d’Irlanda
d) vestito di Stephen
bambino
e) aria e sabbia della
spiaggia la sera della
Visione Liberatrice

4. Giallo → squallore (in Oriente di
malaugurio o negativo. Riferimento al
giallo nella cultura attraverso il

105

personaggio Lynch)
a) acqua stagnante del
bagno del collegio
b) torba/fustagno dei
contadini
c) olio del fritto preparato
dalla madre ≈ olio della
Santa Unzione
d) scarpe degli studenti
immaginati nel secondo
collegio visitato dal padre
e) visi dei giovani preti sulla
spiaggia
f) forse il tè acquoso del
collegio e di casa

5. Rosso (vedi “Rosa”)
a) malattia infantile
b) vergogna
c) fuoco dell’inferno
d) collera sul viso di Stephen
prete

6. Bianco →
malattia/morte/gelo/paura/refrigerio
calmante/apertura/purezza (spesso
eccessiva)
a) avorio/marmo
a1) Madonna (“troppo
pura”)
a2) Mani di Eileen
a3) Gambe della ragazza-
uccello sulla spiaggia
b) pallore di Stephen malato
in collegio – del viso di
Padre Arnall
c) fantasma del castello ≈
Parnell morto
d) pallore del sole velato in
collegio e nella fase
indistinta di transizione del
106

finale

7. Marrone
a) saio dei cappuccini
b) avversario di Parnell
(“spazzola marrone”)

8. Rosa
a) chiazze di un
immaginario Stephen prete
b) luce dell’amore e della
poesia e del fiore sbocciato
(anima nata e libera)

9. Incolore/gelo
a) occhi di Dolan
b) rosari ripetuti di Stephen
ripetente
c) legno evocato
dell’albergo per benestanti
la cui vista ferisce Stephen
povero
d) cielo fissato da Stephen
poco prima della proposta
di diventare sacerdote





AREA SEMANTICA DELL’ ODORATO

ogni episodio ha “odori” particolari che non sono solo fisici (l’olfatto è connesso di per sé all’intuizione e all’anima…Vedi la radice latina del
termine “sagacia” e il fatto che la paura ha un odore percepito chiaramente da molti animali)


AREA SEMANTICA DELLA ROSA/FIORE
107

- Rose bianche e rosse dei distintivi per i migliori alunni del collegio (rosa rossa e rosa bianca
dell’alchimia?)
- “Fiore” che appassisce in collegio à Stephen Dedalus imprigionato nel labirinto
- Fiore rosso/ rosa che sboccia à Stephen sulla spiaggia liberato – Dedalo – “inghirlandato”
(Stephanoforos) di arte e maturato ≈ Sé/mandàla/loto (Jung) ≈ Rosa mistica (Paradiso dantesco) ≈
evoluzione raggiunta/fase alchemica del successo-pietra filosofale.
-. Rosa con “raggi di rima” infuocati ≈ luce rosa dello spirito ≈ rosa = ”cuore” dell’amata à arte
ispirata dall’amore.
- Fiori scarlatti carta da parati di casa + sentiero di rose tra fiori scarlatti dal letto al cielo
(poesia/donna amata)





AREA SEMANTICA DEL FUOCO


a) dolore fisico e vergogna
(“brucianti”)
b) predica dell’Inferno
c) freddezza del padre
d) gelo/squallore/incomprensione
della vita familiare, di quella di
Dublino e di quella al collegio
e) oblio nel sesso
f) amore – calore umano
g) ardore di muoversi liberi
h) freddezza/superiorità dell’artista
i) ispirazione artistica
j) “claritas” → immaginazione

Intelletto

108

. In apertura del libro (canzoncina per bambini)

- “verde prato” - “rose verdi” - “spazzola verde” (Parnell) - “alghe
smeraldine” (ragazza – uccello sulla spiaggia) ≈ v erde-inconscio (terra
madre)- “selvatica” à “canto selvaggio” / “angelo selvaggio” : rifiuto di
ordini (Irlanda, famiglia, sacerdoti, università, amicizie) ≈
kkkkkkkkkkkkkkkkkkk“nuvole nomadi”
-
-
-
-
- ≈ “foschia” ≈ “musiche confuse” ecc. ↔ “razza trincerata” (Europa) ≈
“vita senza passioni” (sacerdozio) ecc.

k) lampi di intuizione che bruciano
l’ordinarietà e l’incomprensibilità
del mondo
l) fuoco dell’Alchimia


AREA SEMANTICA DELLE VOCI


sibilo → prigionia
gas del collegio
a) bacchetta usata per le
punizioni dai gesuiti
b) incenso
bisbigli del confessionale
voce “disumana” del sacerdote
grida di Dolan ripetute
fischio del padre di Stephen e
lamentele della madre
voci “vacue” (pretese
altrui/ripetizioni)
pianti e grida di dolore di Stephen al
collegio
canti di lode a Dio dai gesuiti
voci ordinarie di via della Chiesa
discorsi “infantili” e voci “sciocche”
(ragazzi coetanei di Stephen)
voci dei bambini
“baccano” protettivo del gruppo
canzoncina del gas ripetuta
all’infinito al Castello (prigionia,
noia → ripetizione)
rosari ripetuti da Stephen penitente
(prigionia, noia → ripetizione)
echi delle espressioni del collegio
(prigionia, noia → ripetizione)
echi dei rimproveri materni
sibilo della visione di lei
musica sommessa e confusa che accompagna
l’epifania sulla spiaggia e la visione dell’Europa;
voce “tenera” interiore che invita a partire
voci meravigliosamente “disumane” del mare e
degli uccelli
“urla interiori” di Stephen
grida del falco/grido di liberazione
“grido del cuore”/poesia
inno di ringraziamento dell’artista ispirato
musica della poesia
canto selvaggio dell’anima liberata
musica di certo latino evocativo di immagini
femminili
musica vivace della liberazione dal destino di prete
musica vivace dei fischietti e delle chiavi sul
treno che portava a casa i ragazzi, liberandoli dal
collegio
109

(prigionia, noia → ripetizione)
fanfara tedesca di 5 suonatori con
attori (?); suono acuto del pianoforte
udito in visita col padre
all’Università (scuola?)

………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
.


AREA SEMANTICA DELLA RAPIDITÁ


1.↔ lentezza/prigionia/violenza
2.fuga
3.intuizione (intellettuale o
artistica)/epifania
4.leggerezza segni d’aria (Temple) ↔
pesantezza segni terra (Cranly)




AREA SEMANTICA DELL DEBOLEZZA


La vita imposta dalla religiosità dei gesuiti è
“disumana” ≈ estasi dei santi descritta come
morte di stanchezza
Debolezza di Stephen al collegio (ripetizione di
“deboli e stanchi”e di termini che indicano lo
stato di debolezza fisica o mentale o caratteriale
(occhi e mano durante la bacchettata ecc.); esiti
del pensare a Dio; prostrazione durante la
penitenza imposta da Stephen adolescente a se
stesso

110

AREA SEMANTICA DEL SERVILISMO E DELLA TIRANNIA

Fantasie di Stephen bambino al collegio ≈ occhi del predicatore (fulvo splendore che “accendeva la penombra” del movimento animalesco e come
“fuoco oscuro”) - occhi del cane nero del castello → (grandi come fanali nel buio)
Servitù
Esercito
Generali
Gerarchie
Potere delle chiavi
Torture ≈ torture legali (di criminali o internati od occupati da eserciti)

“Suoi”
Assoluto dell’applicazione della legge
Bambini torturati all’inferno o dal Diluvio

“Giustizia” (es. Nella colonia penale) ≈ astrazione/Potere ≈ follia (Orwell e il suo “fratello italiano” Silone)

“Non servirò” – rifiuto della “tirannia” (mistificata/religiosa) prima di tutto

Demonizzazione del sesso

Tre sole ore di tortura per Cristo ↔ eternità supplizio infernale/venuta di Cristo nella pienezza dei tempi ∩ attesa del Regno dei Cieli “imminente dei
primi cristiani, malattie croniche, lager ecc. ↔ “adorazioni”delle piaghe di Cristo o delle ferite del cuore di Maria/ Cristo
1. “Non serviam”: Satana nella predica all’inferno (≈ Satana di Milton) ≈ Prometeo di Shelley (citato e anche evocato indirettamente da certe
immagini poetiche e per via del messaggio centrale simile a quello di Inno alla bellezza intellettuale) ≈ “Non servirò” (Stephen a Cranly) – “angelo
selvaggio” dell’epifania sulla spiaggia ≈ “braccia nere dalle mani alte contro la luna (…) scrollando le ali della loro gioventù esultante” – Satana
radioso – raggi delle rime poetiche – raggi della luce dello spirito – raggianti gli occhi e il corpo di Stephen liberato
2. Radioso è il corpo della vita immortale dell’arte
3. Gli studenti sono formiche diligenti e le loro teste sono “docilmente chine a scrivere i punti che veniva detto loro di annotare”.
4. Servile è la statua del poeta nazionale d’Irlanda, il nazionalista Davin, il preside degli studi.
5. Rifiuto nel discorso al compagno universitario.
6. “Vie dell’errore e della gloria”.
7. Satana cacciato per il pensiero di un istante ≈ psicoreato (Orwell) ≈ dittatura comunista ≈ Inquisizione cattolica (Silone per esempio).
8. “Caduti serafini” → in adorazione dell’amata (poesia
9. “Animali e uccelli erano docili servi” (predica dell’inferno) – “i cuori infiammati umili servi sono dei tuoi fini (poesia sull’amata)
10.“Meglio restare bambini”… allora “il giogo di Dio era leggero”.
11. La parola “succubo” (inizio del libro).
12. Partenza di Stephen ≈ esilio dantesco (ma più umile – “Non posso lottare con un altro, anche se orgoglioso”).
13. Ironia su Dante (“spiritual eroico inventato e patentato”; la zia acida e rigida Dante; predica sull’inferno; forse adulterio Parnell ≈ episodio
dantesco di Paolo e Francesca; forse anche eco della condanna all’inferno di Pier delle Vigne nel ribadire che la condanna di Adamo ed Eva e di
Satana è avvenuto per il pensiero di un istante, per un attimo di debolezza; per la visione dantesca in bianco-nero: perfezione di Beatrice/dannati e
rapporto tra la struttura di Gente di Dublino e la Divina commedia – che senso ha l’opera di Dante se la gente è come i Dublinesi?).
14. Di Dante molte immagini sono trasportate dal piano religioso in contesto profano-artistico; l’aria dolce e purificatrice; i naviganti e la nuova
impresa.
15. Predica sull’inferno
111

“Qua e là” →
Isole di sabbia scintillanti
Pensieri informi su uccelli
Acqua mossa dalla
ragazza-uccello
Vagare su e giù
Dubbio
Mazze da cricket/
bacchette/ ragazzi
Contadini nel ritorno a
casa dal collegio




Caso/indefinito
vuoto/inquietudine →
dubbio




Fuga/struttura/ritmo/est
etica
“Succubo” e prima
descrizione della vita in
collegio
Malattia di Stephen
bambino
Episodio della spiaggia
Riflessioni
sull’attenzione e sulla
“femminilità” di Cranly
→ sogno descritto nel
diario
Riflessioni sull’amata e
poesia per lei





Ancora! Ancora! Ancora!
Sì! Sì! Sì! ≈ Avanti, Avanti, Avanti; Via! Via!
→ Milton? Nietzsche? Shelley → (parole di
Demogorgone evocate forse con “vivere, errare,
cedere, trionfare ecc.)


112

Strano → Indica sempre visioni nel testo
(vedi Simboli della trasformazione di Jung:
“l’attributo ‘strano’ esprime carattere di
numinosità”)





Immoto →
Ore velate/poesia
Ore dell’alba/”follia”/visione
Stasi provocata dall’arte/bellezza-estasi-incanto del cuore/arresto≈aria
dell’episodio dantesco sull’incontro con la donna/poesia
Immagini-idea della prigionia/del tempo al Collegio (≈”putrefazione” e “odore
mortale” dell’Università?)
Altri riferimenti per il collegamento tra bellezza e stasi/rapidità/estasi es. forse
molti componimenti di E. Dickinson e La felina (Baudelaire)

Iincupito → La sera si sarebbe incupita sul mare…
mostrando nuovi campi, volti, monti… già un
lungo bianco ovale (di sabbia)
Alzò gli occhi al viso del prete e vedendo un
riflesso cupo del giorno tramontato, staccò la
mano
Una maschera cupa dalla soglia del collegio
rifletteva un riflesso cupo del giorno
tramontato

Un ultimo bagliore si incupì nel suo spirito
incupendosi fino a un’infuocata luce rosa.
Quella luce rosa infuocata ha lo strano cuore
caparbio di lei
Volgeva gli occhi incupiti, impotente, turbato
e umano alla ricerca di un dio bovino da
contemplare



Passato che si
distacca/allontana





Reazione dell’anima e del
corpo

FIGURE RETORICHE FREQUENTI

- Chiasmo es.: “ingiusto e crudele”- “ Crudele e ingiusto”
- Climax : es. predica dell’inferno
- Antinomia/Antitesi: es. caldo/freddo (riferimento agli opposti nell’Alchmia?)
113

- Ossimoro: es. “fuoco oscuro” (riferimento all’unione degli opposti nell’Alchmia?)
- Pleonasmo: es. “freddo e gelido”
- Ripetizione: artificio retorico principale, di per sé vettore dell’idea della prigionia e dell’incessante monotonia; nella prima parte del libro rende la
“regressione” dell’autore, la cui prosa rispecchia il modo di pensare e di esprimersi dei bambini (la ripetizione è tipica nei bambini) come se si
trattasse del discorso indiretto libero, anche se la forma della narrazione non è quella (come quando l’anima di Stephen adolescente, prima della
predica, torna bambina all’insorgere dei ricordi dell’infanzia suscitata dalla vista di Padre Arnall, il vecchio insegnante del collegio); sottolinea
l’assurdità di molte cognizioni cattoliche (“incessante ripetizione delle parole sempre, mai” riferita al contrasto tra Inferno e Paradiso evocato dal
ticchettio dell’orologio al santo citato dal predicatore ≈ “rosari ripetuti in continuazione”, messe ogni mattina e offerte di ogni istante a Dio da
Stephen durante la penitenza; “istante” è termine chiave della predica dell’Inferno); base della costruzione della predica dell’Inferno, manifesta e
rende efficace anche il terrorismo di Dolan; collega episodi in modo significativo, immerge il lettore in una data atmosfera, trasmette certe sensazioni.

ALCUNI TESTI DA CONFRONTARE

Divina Commedia (Dante)
Era già l’ora che volge il disio ai naviganti e intenerisce il core lo dì ch’han detto ai dolci amici addio; e che lo novo peregrin d’amor punge
se ode squilla di lontano che paia il giorno pianger che si more, quand’io incominciai a mirare una de l’alme che l’ascoltar chiedea con
mano…
Li occhi verso l’Oriente – come dicesse a Dio: “d’altro nol calme”. “Te lucis ante” sì devotamente le uscio di bocca e con sì dolci note, che
fece me a me uscir di mente
- Navi/partenza/sera dalla luna nuova
- Campane nel sonno
- Vagabondo/e raccogliendo un bastone… scese
- Ragazza che guarda il mare “lieve, bisbigliante” ecc. riferiti alla
ragazza uccello e ripetuti
- Estasi/esclamazione gioiosa


La concubina di Titone antico già s’imbiancava al balco d’Oriente, fuor de le braccia del suo dolce amico. Di gemme la sua fronte era
lucente… Ne l’ora che comincia i tristi lai la rondinella presso a la mattina, forse a memoria dei suoi primi guai, e che la mente nostra più
da carne e men da pensier presa, a le sue visioni quasi è divina, in sogno mi parea veder un’aquila librarsi
[Già fiammeggiava l’amorosa stella (Petrarca)?]



………………………………………………………………………………………
L’alba vinceva l’ora mattutina che fuggia innanzi sì che di lontano conobbi il tremolar de la marina. Noi andavamo per lo solingo piano,
com’om che torna a la perduta strada che ‘nfino ad essa li pare ire in vano
Senza più aspettare, lasciai la riva, prendendo la campagna…Un’aura dolce senza mutamento avere in sé mi ferì non di più colpo che soave
vento, per cui la fronda tremolando… Ed ecco un rio con le sue piccole onde, e là m’apparve sì come ell’appare subitamente cosa che
disvia per meraviglia tutt’altro pensare, una donna soletta… “Deh, bella donna, ch’ai raggi d’amor ti scaldi”… Volassi, in sui vermigli e in
sui gialli fioretti, verso me… non credo che splendesse tanto luna sotto le ciglia a Venere… Non le dispiacque ma si se ne rise che lo
splendore da li occhi suoi ridenti mia mente unita in più cose divise. Io vidi più folgor vivi e vincenti far di noi centro e di sé far corone,
più dolci in voce che in vista lucenti.
………………………………………………………………………………………
A rotar cominciò la santa mola e nel suo giro tutta non si volse prima che un’altra di cerchio la chiuse e moto e moto a canto a canto colse.
Per correr miglior acqua alza le vele ormai la navicella del mio ingegno che lascia dietro a sé mar sì crudele… A li occhi miei ricominciò
diletto, tosto ch’io uscì fuor de l’aura morta, che m’aveva contristati li occhi e ‘l petto.

- Scintillio sul viso (del vagabondo per
- Desolati lai (poesia) - rondini/alba dell’ispirazione poetica
- Risveglio la mattina in cui scrive la poesia - falco (visione/grido sulla
spiaggia)/Dedalo – Tremore della luce e del mondo del cuore/scintillio –
treno; navi → casa/destino
…………………………………………………………………
“In pochi attimi fu a piedi nudi… e scese”.
Stasi/silenzio (Incanto/arte)
Tremore (vedi sopra)
Ruscelletto sulla spiaggia
Epifania/ (e)stasi
Ragazza uccello/raggi della rosa/luce infuocata/ripetizioni di lieve/soave/vento sulla
rosa/spiaggia purificatrice della metamorfosi


114

…………………………………………………………………………………………………
Chi è questa che vien che ogn’om la mira (Cavalcanti)
Chi è questa che vien che ogn’om la mira e fa tremar di chiaritate l’aere (…) si che parlare null’omo pote?
………………………………………………………………………………………………… .

Tanto gentile e tanto onesta pare (Dante)
Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia, quand’ella altrui saluta, ch’ogne lingua deven muta.
………………………………………………………………………………………
Stephen Hero (J. Joyce)
Per epifania ** intendeva un’improvvisa manifestazione spirituale o in un discorso o in un gesto o in un giro di pensieri degni di essere
ricordati (…) Sono stati d’animo delicati ed evanescenti (…) L’occhio spirituale (…) cerca di mettere a fuoco la sua visione, e nel
momento che questo fuoco è raggiunto, ecco, l’anima, l’identità, dell’oggetto balza fuori a noi dai veli dell’apparenza (…) Dapprima
riconosciamo che l’oggetto è una cosa integrale, poi riconosciamo che è una struttura organizzata e compiuta, una “cosa”, un fatto;
finalmente, quando la relazione tra le parti è perfetta (…) riconosciamo che quella è la cosa che è e (…) l’anima dell’oggetto (…) ci appare
radiante.
……………………………………………………………………………………… L’uomo senza
qualità (R. Musil)
Nessun oggetto, nessuno, nessuna forma, nessun principio è sicuro (…) Il presente non è che un’ipotesi non ancora superata (…) Il passo
(…) è condotto sempre più avanti. E se a un certo momento si crede di avere l’ispirazione giusta ci si accorge che una goccia di fuoco
inesprimibile è caduta sul mondo e il suo brillare cambia l’aspetto della terra (…) Tutto questo (…) si collegava con il particolare concetto
di “saggio” (…) Un saggio è il definitivo e immutabile aspetto che la vita interiore di una persona assume in un pensiero decisivo. Nulla gli
è più estraneo che l’irresponsabilità e la mediocrità delle idee, che si suole chiamare soggettività, ma anche il vero e il falso, il ragionevole
e l’irragionevole non sono concetti applicabili a tali pensieri tuttavia sottoposti a leggi severe
………………………………………………………………………………………
Lettere sull’educazione estetica dell’uomo (F. Schiller)
Mentre alla celeste gravità rapiti ci abbandoniamo, la celeste autosufficienza ci fa indietreggiare sgomenti. In se stessa riposa e sta tutta la
figura, una creazione perfettamente chiusa, e come se fosse al di là dello spazio, senza cedimento e senza resistenza: là dove non c’è forza
che combatta con altre forze, non c’è nessun vuoto per dove la temporalità possa far breccia. Da un lato irresistibilmente afferrati ed
attratti, dall’altro mantenuti a distanza, noi ci troviamo contemporaneamente nello stato della suprema quiete e del supremo movimento, e
sorge quella mirabile commozione, per la quale l’intelletto non ha alcun concetto e la lingua alcun nome.
………………………………………………………………………………………
Inno alla bellezza intellettuale (P. B. Shelley)
Spirito della bellezza, tu consacri il pensiero… Da ragazzo cercavo i fantasmi e rievocavo i nomi velenosi di Demone, spirito e cielo non
udito, senza vederli, e il vento mi portò notizie di alati e di fiorite e di pergolati di visione piene di zelo appassionato e gioie che hanno
superato con me l’invidia della notte… La tua forza… discesa sulla mia giovinezza passiva.
……………………………………………………………………………………… .
Prometeo liberato (P. B. Shelley)
Zeus mandò inquietudini folli e pigri simulacri di bene, ma Prometeo risvegliò a legioni speranze che dormivano dentro fiori chiusi… e
mandò l’amore a legare i disgiunti viticci del cuore e il fuoco e il linguaggio… il pensiero e i canti di profezia… La mia anima è un battello


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Navi/esilio
Squallore della vita, del corpo, della mente



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Bellezza/arte come (e)stasi
Tremore/brividi (vedi sopra)
Epifania
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Bellezza/arte come (e)stasi
Epifania

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incantato… che fluttua sulle onde d’argento e la tua anima simile ad angelo regge il timone… tra solitudini calme e verdi, abitate da forme
troppo lucenti perché uno possa vederla e restare quieto poi, qualcosa come te che cammini sopra il mare e canti così dolci… Le file
fiammeggianti di nuvole si dipanano nell’aria pallida e tra le vette innevate, rosata la luce del sole rabbrividisce.





Epifania come rivelazione (vedi
“Peripezia”)
Arte come (e)stasi


















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“Inquietudine”/”follia”/riti e pratiche cattolici e dei santi/martirio
Fiore appassito/”fiore in boccio”/rosa
Consonantia ↔ epifania
Dedalus nome profetico
Luna cerchio d’argento/treno blu e argento
Visioni
Rose verdi/alghe smeraldine
Ragazza-uccello in mezzo alla corrente/donna sulla spiaggia
Musica sulla spiaggia
Luce infuocata/rocchetto/luce rosata/sole velato/tremore del cuore e della luce.



Prometeo ≈ Satana di Milton ≈ “non servirò”/”non serviam”
Shelley è citato esplicitamente a proposito della claritas
Un brano di Il ritratto significativo per sottolineare la presa di distanza di Joyce da Dante e da confrontare con l’episodio dantesco di riferimento:
“Si volse verso terra: sentì sopra di sé la vasta volta indifferente; la terra che lo aveva generato, lo accoglieva nel suo seno”.

L’azzurro (S. Mallarmé)
L’azzurro trionfa, lo sento che canta nelle
campane, anima, che si fa voce (…) Antico
prorompe attraverso la brezza e trafigge la tua
esistenziale agonia.
“Canto selvaggio”/nel sonno visione/pazzia
come musica
“Come” campane nel sonno/mare/gonna blu
della ragazza sulla spiaggia/Antico
Artefice/Dedalus

Brezza marina (S. Mallarmé)
Sento uccelli ebbri d’essere tra l’ignota
schiuma e i cieli (…)
Niente (…) terrà questo cuore che già si
bagna nel mare (…)
E gli alberi forse (…) son quelli che un
vento inclina sopra i naufragi (…) ma
ascolta, o mio cuore, il canto dei marinai
Ragazza/uccello
Rondini sulla spiaggia – presagio di partenza verso
l’ignoto
“Cuore caparbio” come quello di un uccello
Via dell’errore e della gloria/navi sorelle/”canto
selvaggio”/”Benvenuta vita!”
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Aspirazione (P. Verlaine)
Questa è una valle grigia e triste; uccello,
gazzella, prestami il volo; tu rapiscimi
lampo! In fretta, più in fretta verso i
pianori del cielo dove primavera regna
(…) Squillante e, vibrante, la sua eco
lontana scuote la fibra del cuore mio
palpitante; (…) Là nelle arie incantate
volteggiano ammalianti odori a inebriare
di blandizie cervelli e cuori (…) Lungi
dagli uomini ancor più dalle donne, al
sognatore ardito par sollevarlo dal suolo,
tu, aquila, dispiega le ali.







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