Comunità di pratica e Social Learning

CulturaSenzaBarriere 6,654 views 64 slides Feb 22, 2010
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About This Presentation

Le Comunità di pratica (CdP) sono sistemi emergenti all’interno dei quali si gestisce la conoscenza che deriva dalle pratiche di rete dei singoli componenti. Dall’antichità ai giorni nostri, organizzarsi in comunità costituisce un fenomeno sociale di interesse che rivela il bisogno di riconos...


Slide Content

1
Comunità di Pratica
e
Social Learning
@
Cultura Senza Barriere
Giuliana Guazzaroni
[email protected]
Padova,
20 febbraio 2010

2
Che cosa significa
comunità
per me?
Una comunità è un insieme
di individui che condividono
lo stesso ambiente fisico e tecnologico,
formando un gruppo riconoscibile,
unito da vincoli organizzativi,
linguistici, religiosi, economici e
da interessi comuni.
(da Wikipedia)

3
Essere parte di una comunitàEssere parte di una comunità
“…l’immagine della community
come metafora fondativa
delle relazioni digitali”
da “L’idea della comunità: l’archetipo di The Well”
in Eretici Digitali
(2009), Apogeo, Milano, p.33
www.ereticidigitali.it
Di quante comunità faccio parte?Di quante comunità faccio parte?

4
Social NetworkingSocial Networking
Blog
Wiki
Delicious
Facebook
…
Luoghi aperti nei
quali si conversa, si
collabora, si
partecipa
Facebook ha
avvicinato molti
utenti al Web
“Il giardino chiuso rischia di diventare anche una
prigione tecnica: teoricamente si potrebbe
conoscere e usare Facebook senza saper usare la
rete..”
Da “La nuova generazione: mezzi carcerari, mezzi rivoluzionari”
in Eretici Digitali (2009), Apogeo, Milano, p.55 www.ereticidigitali.it

5
Una rete di personeUna rete di persone
Questi siti di social network registrano uno
straordinario successo per una semplice
ragione: stanno letteralmente reinventando il
web…
…La nostra rete di amici. Ecco dove risiede il
nuovo valore. Ed è proprio questo che sta
permettendo al social network di reinventare il
web
da “La rete di persone sostituisce le pagine. Ecco come nasce un modello che
crea la ragnatela di comunità” di David Weinberger in Il fenomeno
Facebook (2008), Il Sole 24 Ore, pp. 37-38

6
FacebookFacebook
Google assomiglierà
sempre più a Facebook,
Facebook assomiglierà
sempre più a Google: è
questa, in sintesi, la
promessa che i
cambiamenti oggi
nell'aria fanno agli utenti
>>>
Titan, ovvero la posta
elettronica di Facebook.
[ZEUS News - www.zeusnews.com 09 febbraio 2010]
Immagine di MrTopf
www.flickr.com/photos/mrtopf
Facebook ha
festeggiato il sesto
compleanno con
400 milioni di utenti
nel mondo

7
Ai tempi del Blog..del Wiki..Ai tempi del Blog..del Wiki..
Il pubblico attivo della rete regala a se stesso e
agli altri il proprio tempo.
Le persone donano idee e lavoro in cambio
della possibilità di esprimersi con la propria
voce e di ascoltare quella dei pari, ottenendo
un riconoscimento della propria identità e una
nuova esperienza delle relazioni con gli altri…
da Luca de Biase Economia della Felicità (2007) Feltrinelli, Milano, p.47

8
Piramide delle aspirazioni
A. H. Maslow
Quando i bisogni
primari e quelli di
sicurezza sono
appagati, la persona
sente il desiderio di
amicizia, amore,
relazioni affettive e
perfino di un senso di
comunità
I membri di una comunità che innescano azioni positive per
la crescita della stessa arrivano a provare un senso di
autorealizzazione

9
Alcune considerazioni..Alcune considerazioni..
Fenomeni di massa come il web sociale sono rilevanti
I dati relativi alla crescita degli utenti nei network
sociali confermano il bisogno di aggregazione in rete
con persone, amici o pseudo tali, che condividono
interessi o risorse di vario genere
Il web, oltre a essere un fenomeno sociale che aggrega
tribù eterogenee di cittadini appartenenti a contesti e
a fasce d’età differenti, è anche una risorsa strategica
per le comunità di pratica

10
Rete.. parola di uso comune..Rete.. parola di uso comune..
Cè la tessitura, l’intreccio di fili sottili ma non per
questo meno solidi, in una parola tutti i legami,
voluti o subiti, che costituiscono l’interattività
propria dell’esistenza umana
Michel Maffesoli, Icone d’oggi (2009) Sellerio, Palermo, p. 93
Immagine di Eduardo Deboni: http://www.flickr.com/photos/deboni/

11
Immagine di Robinn: www.flickr.com/photos/m2digital
Rete.. intreccio di pratiche..Rete.. intreccio di pratiche..

12
Comunità di pratica
Le comunità di pratica
affondano le radici
nell’antichità, in ogni
epoca si riscontrano
collettività unite per fini
comuni.
Esempi:
Le associazione di
artigiani nell’antica Roma
Le potenti corporazioni
Medievali delle arti e
mestieri
Immagini di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/

13
Mystery Cycle
In Inghilterra nei secoli XIV e XV fiorirono molteplici forme
teatrali. Questa comparsa presenta alcune caratteristiche
interessanti poiché “non si scrive sul teatro, ma si fa teatro”. Nel
tardo Medioevo, la comunità cittadina si ritrovava a recitare,
attraverso l’appartenenza del singolo a una corporazione.
Successivamente, verso la fine del secolo XV, proprio dalla pratica
teatrale emergerà un riflessione teorica più ampia (Mullini R.,
1992).
Nella seconda metà del XIV secolo, alle corporazioni era delegato
l’allestimento teatrale dei Misteri (Mystery Cycle) durante il
periodo del Corpus Domini. I membri delle potenti associazioni
cittadine gradualmente elaborarono le loro rappresentazioni di
argomento sacro. Gli attori erano gli stessi membri delle gilde che
producevano l’opera.
Le opere rappresentate erano viste come occasioni per esaltare
l’onore della singola corporazione e della comunità cittadina
stessa, formando allo stesso tempo, un’espressione significativa
dell’unità e dei legami sociali che queste messe in scena andavano
a rinforzare (Richardson C., Johnson J., 1991).
Immagini di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/

14
Comunità di pratica
In seguito alla Rivoluzione Industriale le
corporazioni persero la loro importanza
L’unirsi in comunità di pratica non ha
mai perso di valore
Ogni organizzazione produttiva ha una sua
storia di condivisione (Wenger E., McDermott R.,
Snyder, W. M., 2007)
Gli antropologi Wenger e Lave studiano le
comunità di produzione africane come
continuazione delle vecchie corporazioni
medievali
Immagine di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/

15
Apprendistato Apprendistato
e comunità di praticae comunità di pratica
Jane Lave ed Etienne Wenger (1991) rovesciano
l’assunto consolidato secondo cui l’apprendistato si
fonda su una relazione speciale tra esperto (maestro) e
novizio (discepolo), e mettono in evidenza che
l’apprendimento graduale di una competenza esperta
si basa su un processo sociale di partecipazione a una
pratica che configura un insieme di relazioni tra il
novizio e gli altri membri del gruppo, la pratica, la
cultura del gruppo.
Wenger E., McDermott R., Snyder W. M., Cultivating communities of practice,
Harvard Business School Press, Boston 2002, trad. it. Coltivare comunità di
pratica. Prospettive ed esperienze di gestione della conoscenza, Milano, Guerini
Associati, 2007, p. 11
Immagine di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/

16
Campo tematicoCampo tematico
Immagine di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/
“Crea un terreno comune e un senso di identità condivisa.
Un campo tematico ben definito legittima la comunità
affermando il suo scopo e il suo valore per i membri…”
Wenger E.
McDermott R.
Snyder W. M.
Coltivare comunità
di pratica
Milano, Guerini
2007, pp. 70-71

17
ComunitàComunità
Immagine di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/
“Crea il tessuto sociale dell’apprendimento. Una forte comunità
incoraggia interazioni e relazioni basate sul mutuo rispetto e sulla
fiducia, stimola la volontà delle persone di condividere idee,
di mettere a nudo la propria ignoranza, di fare domande difficili
e ascoltare con attenzione…”
Wenger E.
McDermott R.
Snyder W. M.
Coltivare comunità
di pratica
Milano, Guerini
2007, pp. 70-71

18
PraticaPratica
Immagine di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/
“è un insieme di idee, strumenti, informazioni, stili, cornici di significato,
linguaggi, storie e documenti condivisi dai membri della comunità…la
pratica rappresenta la conoscenza specifica che la comunità sviluppa,
condivide e mantiene aggiornata…”
Wenger E.
McDermott R.
Snyder W. M.
Coltivare comunità
di pratica
Milano, Guerini
2007, pp. 70-71

19
Interazione positivaInterazione positiva
Immagine di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/
“Quando interagiscono in modo positivo, questi tre elementi rendono
La comunità di pratica una struttura ideale per la gestione della
conoscenza, una struttura sociale in grado di farsi carico
della responsabilità di sviluppare e condividere conoscenza..”
Wenger E.
McDermott R.
Snyder W. M.
Coltivare comunità
di pratica
Milano, Guerini
2007, pp. 70-71

20
Campo tematicoCampo tematico
Occorre scegliere la propria traiettoria, il
proprio campo di interesse verso il quale
indirizzare il proprio impegno, nel quale
investire tempo ed energie.
Se davvero desidero sapere cosa sono in
grado di fare, la mia esperienza di vita
dovrebbe essere sottoposta
all’interazione con una comunità.
La domanda che possiamo porci è:
“In quale settore potrei investire la mia identità
confrontandomi con una comunità?”
es. di risposta: “nella comunità dei sommelier”

21
ComunitàComunità
Il punto di partenza è l’abilità di riconoscere
gli altri come eventuali partner per dare
forma a delle comunità. Le persone
possono riconoscersi l’un l’altra in base alla
propria esperienza e al fatto che c’è un
interesse reciproco per l’esperienza
dell’altro:
“Io sono sinceramente interessato a te, io sono
realmente interessato alla tua esperienza”
Il punto centrale delle comunità risiede
nella pratica e nel saper riconoscere
l’altro

22
PraticaPratica
C’è qualcosa nella pratica delle
persone che la rende universale.
La mia identità è legata
all’interazione, alla competenza
sociale.
L’identità si costruisce facendo
esperienza, la pratica non è
qualcosa di stabile ma è qualcosa in
continuo divenire.

23
Apprendimento
L’apprendimento investe la sfera:
Esperienziale
Emotiva
Cognitiva
L’apprendimento non è riducibile alla sfera individuale, ma è
legato:
alla sfera delle relazioni intersoggettive
alle relazioni con oggetti/artefatti materiali
L’apprendimento è:
Sociale
Situato
Esperienziale
Pratico
Wenger E., McDermott R., Snyder W. M., Cultivating communities of practice, Harvard
Business School Press, Boston 2002, trad. it. Coltivare comunità di pratica. Prospettive
ed esperienze di gestione della conoscenza, Milano, Guerini Associati, 2007, p. 14
Immagine di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/

24
Esempio: LinuxEsempio: Linux
Il miglior esempio di "saper
fare" moderno?
Il gruppo che ha creato
Linux, gli artigiani della
moderna cattedrale
informatica.
(R. Sennet)

25
Differenza tra Comunità di praticaDifferenza tra Comunità di pratica
e altre comunità e altre comunità
“Non tutte le comunità infatti sono
comunità di pratica”
Immagine di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/
Wenger E.
McDermott R.
Snyder W. M.
Coltivare comunità
di pratica
Milano, Guerini
2007, pp. 84-87
•Dipartimenti formali
•Team
•Team di progetto
•Comunità di interesse
•Reti informali
Non sono CdP tenute assieme da:
•Passione,
•Impegno,
•Identificazione con il gruppo
•Identificazione con la sua pratica

26
Diversi tipi di Diversi tipi di
Comunità di praticaComunità di pratica
Piccole o grandi
Longeve o di vita breve
In presenza o distribuite
nello spazio
Omogenee o eterogenee
All’interno dei confini o
che oltrepassano i confini
Attraverso i confini
organizzativi
Spontanee o intenzionali
Non riconosciute o
istituzionalizzate
Immagine di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/
Wenger E.
McDermott R.
Snyder W. M.
Coltivare comunità
di pratica
Milano, Guerini
2007, pp. 66-69

27
Relazioni tra le comunità e le Relazioni tra le comunità e le
organizzazioni ufficialiorganizzazioni ufficiali
Non riconosciuta
Legittimata
Clandestina
Supportata
Istituzionalizzata
Immagine di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/
Wenger E.
McDermott R.
Snyder W. M.
Coltivare comunità
di pratica
Milano, Guerini
2007, p. 69

28
Il valore della conoscenzaIl valore della conoscenza
La conoscenza non è un’entità
fissa, bensì un’esperienza che si
compie e si completa in forma di
processo, nel tempo e nello
spazio.
Non si tratta cioè di un asettico e
statico insieme di informazioni.
Le comunità di pratica fanno
della conoscenza una parte
integrante della loro attività,
sviluppano conoscenza sulla
base dell’esperienza dei
partecipanti alla comunità, i
quali vogliono condividerla con
ogni altro membro della
comunità e crescere, migliorare
facendo tesoro della ricchezza
dei tanti che vi contribuiscono.
La conoscenza è esplicita e
anche tacita.
Immagine di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/
“Conosciamo
più di quello che
possiamo esprimere”
(Polanyi, 1966
in Coltivare comunità di pratica
Wenger E.,
McDermott R.,
Snyder, W.M.,
p. 50).

29
Le reti a supporto dei processi di Le reti a supporto dei processi di
apprendimentoapprendimento
L’apprendimento “in rete” (e “a rete”), tipico
delle comunità professionali
strategico nei processi di creazione, gestione e
condivisione delle conoscenze all’interno
delle organizzazioni

30
Iter formativi di tipo tradizionale sempre
più saranno
Momenti di avvio di un percorso di
apprendimento che deve durare nel
tempo, sotto la diretta responsabilità
del singolo individuo
Formazione continuaFormazione continua

31
Apprendimento mutuato
(o reciproco)
Comunità di apprendimento auto-gestite
nelle quali la crescita professionale si basa sui
seguenti punti

4.Condivisione delle esperienze
5.Individuazione delle migliori pratiche
6.Aiuto reciproco nell’affrontare i problemi
quotidiani della propria professione

32
Coltivare le Comunità Coltivare le Comunità
di praticadi pratica
Immagine di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/
Coltivare CdP significa lavorare sui fattori che nel tempo
consentono:
•di mantenere vivo l’interesse dei partecipanti a
rimanere insieme
•di rinnovare l’energia che alimenta la comunità,
evitando l’indebolimento della vitalità delle relazioni
Dal momento che le CdP sono spontanee o volontarie,
coltivare una CdP significa garantire che questa sprigioni
energia e passione, per mantenere alto nel tempo il
grado di coinvolgimento dei partecipanti
Wenger E., McDermott R., Snyder W. M., 2007, p. 32

33
Sette principi essenzialiSette principi essenziali
Immagine di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/
Progettare la vitalità di una CdP richiede l’attuazione di
principi di progettazione adeguati e, sulla base delle
esperienze degli autori, sono stati individuati sette
principi essenziali:
1. progettare per l'evoluzione;
2. aprire un dialogo tra prospettive interne ed esterne;
3. favorire differenti livelli di partecipazione;
4. sviluppare spazi di comunità sia pubblici che privati;
5. concentrarsi sul valore;
6. combinare esperienze familiari ed eventi inconsueti;
7. dare ritmo alla comunità.

34
Progettare la vitalitàProgettare la vitalità
È possibile progettare la vitalità delle
comunità?
Il ciclo di vita delle comunità è una
questione di grande rilevanza; questa non
ha nulla a che fare con la progettazione
organizzativa del sistema.
Ha a che fare con il suscitare l'interesse, la
curiosità nei membri, la vitalità, il
rinnovamento costante.
Immagine di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/

35
CdP come ecosistemaCdP come ecosistema
Le Comunità sono
paragonabili a
esseri viventi,
dunque a ecologie.
Ecosistemi
complessi
all'interno dei quali
si gioca la carta
della vitalità.
Immagini di Hans s e Drplokta: www.flickr.com

36
CdP come ecosistemaCdP come ecosistema
La comunità in rete
vive, se e solo se,
garantisce un
sistema sempre
rinnovato di risorse e
relazioni:
l'inserimento di
nuovo materiale, di
nuovi membri,
l'intervento di un
ospite-oratore ecc.
Tutti questi elementi
danno vita a un
nuovo ciclo vitale
della comunità.
Questo tipo di
progettazione
non può essere
definito con precisione
in anticipo,
dal momento che abbiamo
a che fare con dei sistemi
complessi.
Si inizia con la creazione
di un elemento vivente che
cresce di vita propria.
Immagini di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/

37
Come progettare l'evoluzione delle Come progettare l'evoluzione delle
comunità?comunità?
La natura dinamica delle comunità (e degli ecosistemi)
è fondamentale per la loro evoluzione.
Quando la comunità cresce e arrivano nuovi membri, il
focus della comunità potrebbe spostarsi verso direzioni
differenti, si generano nuove esigenze. Ci sono esempi
di comunità considerate marginali che nel processo di
evoluzione diventano strategiche per l'organizzazione
di appartenenza.
Scopo della progettazione non è tanto imporre una
struttura rigida, quanto aiutarne il possibile sviluppo
futuro.
La comunità vive riflettono sui loro elementi strategici
e li riconfigurano nel corso del ciclo di vita.
Immagini di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/

38
Diversi livelli di partecipazioneDiversi livelli di partecipazione
Immagine di Steve Dale
occasional
transactional
peripheral
active
facilitator
core group
lurkers
leaders
outsiders
experts
beginners

39
Quando l'architettura della comunità è stata costruita in modo efficace, i membri
possono prendervi parte in maniere differenti. Nella vita di una piccola comunità,
come potrebbe essere un quartiere si delineano diversi gradi di partecipazione a
quella realtà locale. Le persone hanno differenti livelli di interesse alla
partecipazione attiva a una comunità. Le comunità reali, programmate o
spontanee, in genere, presentano:
un nucleo centrale di coordinamento, caratterizzato da un’altissima
partecipazione e fortemente motivato a contribuire alla comunità. Il nucleo
centrale coordina una comunità.
un’area di partecipazione attiva, i quali partecipano attivamente agli incontri ed
agli scambi di opinione ma non sono così attivi come il nucleo centrale di una
comunità.
un’area di partecipazione periferica, che partecipa sporadicamente alle attività
della comunità. Spesso quest’area resta ad osservare la vita della comunità e,
anche se questo comportamento potrebbe apparire prettamente passivo e
improduttivo, in realtà questa parte della comunità apprende molto e trasferisce
quanto appreso nel proprio ambito lavorativo, importando innovazione e dialogo
costruttivo.
un livello esterno di partecipazione; si tratta di persone che non fanno parte in
senso stretto della comunità, ma che gravitano attorno ad essa ed hanno interesse
alle sue attività. Sono spesso clienti di comunità professionali, fornitori, etc.
Diversi livelli di partecipazioneDiversi livelli di partecipazione

40
Fasi di sviluppo di una comunitàFasi di sviluppo di una comunità
 Potenziale >>> Scoperta della comunità potenziale
 Coalescenza >>> La comunità viene presentata ufficialmente
attraverso la promozione di eventi e vengono avviati progetti e
attività che consentono alle relazioni tra i suoi membri di
svilupparsi in modo sempre più saldo. Inizio della crescita, con
l’emergere del valore dell’insieme (cooperazione condivisione,
negoziazione..)
 Maturità >>> Nella maturità le comunità spesso sperimentano
tensioni forti tra la spinta ad accogliere nuovi membri (che
apportano nuovi interessi e nuove tematiche) e la necessità di
mantenere immutato un determinato campo tematico.
Tuttavia, i membri in questa fase hanno già sviluppato
l’“intimità di mestiere”
 Gestione >>> Il problema nodale è far fronte ai cambiamenti
delle pratiche, dei partecipanti, delle tecnologie, delle relazioni
e dell’organizzazione in generale.
 Trasformazione >>> Molte comunità si disgregano perdendo
sia alcuni dei loro membri sia la vitalità e la motivazione di un
tempo.

41
Comunità distribuiteComunità distribuite
Sono comunità distribuite quelle comunità
che non possono stabilire contatti e
interazioni in presenza e, per questo,
usano altri strumenti per mettersi in
collegamento e scambiare e costruire
conoscenza
Le comunità distribuite di solito
superano molti confini e mettono in
collegamento realtà molto diverse.
Mettono in collegamento persone molto
distanti tra loro e ciò comporta l’entrata in
gioco di quattro fattori:
La distanza, la dimensione, l’affiliazione
organizzativa e le differenze culturali.
Immagini di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/

42
Criticità >>> Criticità >>>
OpportunitàOpportunità
Superare le differenze e cercare di
coinvolgere tutti i partecipanti per venire
incontro ai differenti interessi e obiettivi dei
membri dislocati;
Creare le condizioni sia per lo scambio a
livello locale che per le connessioni globali
(scomporre la comunità distribuita in sub-unità più
piccole concentrate su un focus specifico);
Utilizzare tutti i mezzi di comunicazione
disponibili anche attraverso l’organizzazione di
eventi che permettano ai partecipanti di interagire
al fine di mantenere la visibilità della comunità;
Creare degli spazi di incontro privati in cui sia
possibile accedere a una descrizione dettagliata
dei partecipanti oppure organizzare dei piccoli
gruppi di lavoro.
Immagini di Hans s: www.flickr.com/photos/archeon/

43
Comunità di pratica Comunità di pratica
e web 2.0e web 2.0
Un contributo
importante per le
comunità di pratica
dislocate viene dal
Web 2.0.
Servizi Web Based
che possono
facilitare dialogo,
collaborazione e
condivisione
Immagine di MrTopf
www.flickr.com/photos/mrtopf
Blog, Wiki, Social
tagging, Feed RSS,
Microblogging ecc.
questi tool sono stati
efficacemente
impiegati nelle CdP
distribuite

44
Web come ecosistemaWeb come ecosistema
Esistono differenze strutturali che le diverse
realtà presenti in una CdP di tipo dislocato
possono presentare, Luca De Biase (2007) in
Economia della felicità (pp. 151-152) scrive:
“Il web è più simile a un grande ecosistema che a
una macchina. Ed è formato da quattro continenti:
un corpo centrale nel quale ogni sito può essere
raggiunto da ogni altro sito; un secondo gruppo di
siti, chiamato <<in>>, dal quale si va al corpo
centrale ma non si torna; un terzo gruppo
chiamato <<out>> , che si raggiunge dal corpo
centrale ma non permette di tornarvi; infine un
insieme di siti isolati, cioè non connessi al corpo
centrale”.

45
Il frattale come rappresentazione Il frattale come rappresentazione
di una CdP dislocatadi una CdP dislocata
In Coltivare comunità di
pratica, gli autori parlano
delle comunità come di
organismi viventi.
Nel capitolo 6, si ipotizza
per una CdP di creare le
condizioni sia per lo
scambio a livello locale che
per le connessioni globali.
Come? Evitando di trattare
la comunità globale come
un “monolite”. La comunità
globale è avvicinata
piuttosto a “cellule”. Una
comunità distribuita è una
specie di FRATTALEFRATTALE (
Video sui frattali).
Un frattale è un oggetto
geometrico che si ripete
nella sua struttura
allo stesso modo su scale
diverse,
ovvero che non cambia aspetto
anche se visto con una
lente d'ingrandimento.
(da Wikipedia)
Immagine di Mavi Milia: http://www.flickr.com/photos/35862466@N05

46
CdP dislocateCdP dislocate
Le comunità globali, in sostanza,
rappresentano delle realtà in cui le
competenze e le conoscenze, nonché la
possibilità di mettersi in collegamento e
di collaborare consentono di costruire un
fitto tessuto di talenti, il cui
riconoscimento e valore non incontra i
limiti di un’organizzazione o di un paese.

47
Scuola di Dottorato in e-LearningScuola di Dottorato in e-Learning
““Comunità di pratica per la produzione di Comunità di pratica per la produzione di
conoscenza”conoscenza”
AnconaAncona

48

49

50
Ruoli e compiti nei gruppiRuoli e compiti nei gruppi
presidentepresidente: invio al lunedì del primo messaggio al gruppo nel
forum con indicazione dei ruoli e organizzazione generale e
agenda della settimana; gestione degli eventuali incontri in
presenza o in skype; gestione degli eventuali conflitti
editoreeditore: realizza la versione finale dell’elaborato del gruppo e lo
pubblica entro le 24 di domenica
moderatore:moderatore: modera e anima la comunicazione nel forum,
organizza e crea le eventuali nuove rubriche per una migliore
organizzazione del forum
cercatore:cercatore: ogni settimana cerca e mette a disposizione del
gruppo, pubblicandoli, 2 url significative (siti o articoli)
redattoreredattore: pubblica, entro le 24 di domenica, il diario della
settimana nel “diario della settimana”, ovvero 5 righe su come è
andata la settimana del gruppo,
spione:spione: sbircia negli altri gruppi e riporta ai compagni di gruppo,
entro le 24 di domenica, 5 righe di informazioni strategiche
sull’andamento dei lavori degli altri gruppi

51

52

53
““CdP per la produzione di conoscenza”CdP per la produzione di conoscenza”
Università Politecnica delle MarcheUniversità Politecnica delle Marche
L’esperienza era finalizzata alla
costruzione e gestione di una CdP
distribuita in blended learning
(incontro in presenza iniziale, 5
settimane online, incontro finale in
videoconferenza), per un totale di
150 ore.

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Wenger a UNITNWenger a UNITN
Convegno
internazionale “
Comunità di pratica e Formazione continua in sanità

Università degli Studi
di Trento, Facoltà di
Scienze Cognitive
(Rovereto) l’11
dicembre 2009
Casi di studio
caratterizzati da:
Passione
Interesse
Emergenza per un
dominio della
conoscenza che
porta le persone a
unirsi in una
Comunità di pratica
vitale

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Wenger a UNITNWenger a UNITN
Quando le persone
parlano, qual è il
potenziale?
La pratica rende le persone
capaci di essere
competenti / autorevoli
La conoscenza è qualcosa
di vivo
Vivere la conoscenza: non
si può separare la
conoscenza dal vivere.
Come possiamo rendere
viva la conoscenza nel
nostro processo di
apprendimento?
Uno scenario complesso di
pratiche: il corpo della
conoscenza relativo a una
professione non è il
curriculum, ma lo scenario
delle pratiche.
Dove sono autorevole?
Dove trovo la mia identità
nello scenario delle
pratiche?

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Wenger a UNITNWenger a UNITN
Fattori di successo:
Passion for domain / Passione per
il dominio
Internal leadership / Leadership
interna
Energized core group / Gruppo
base vitale
Focus on practice / Focus sulla
pratica
Trust / Avere la fiducia
Community rhythm / Ritmo della
Comunità
Personal touch / Tocco personale
High value for time / Importanza
del tempo
High expectations / Aspettative
alte
Engaged sponsorship /
Sponsorizzazioni specifiche
Skilled support / Supporto
Criticità:
Lack of time / Mancanza di
tempo
Leader neglect / Abbandono
da parte del leader
Focus on events / Focus
sull’evento
Focus on documents / Focus
sui materiali
De-energizing tasks / Compiti
che tolgono vitalità
Logistic of it / Logistica
Command / Controllo
Ideology / Ideologia

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Alla fine dell’intervento Etienne Wenger ha
lanciato la seguente domanda al pubblico:
“Come posso contribuire alla capacità di
apprendimento del mio mondo
(contesto) valorizzando la capacità di
apprendimento della mia sfera di
partecipazione?”
Questa domanda è stata riportata
all’interno di una nota del mio profilo
Facebook, le risposte sono state le
seguenti…
Wenger a UNITNWenger a UNITN

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Andrea F: Una possibile risposta è la P4C, intesa sia come Philosophy for Children
che come Philosophy for Community.
Gaspare A: Se non c’è ascolto, non ci può essere apprendimento, da questo
punto, a mio avviso, bisogna partire.
Laura C: Credo che Wenger si ponesse anche la questione dell’ascolto e del come
stimolarlo…cercando di comunicare in modo che il messaggio abbia un
significato per chi ascolta.
Irada P: E’ una domanda che richiede una maggiore contestualizzazione. Il
riferimento al mondo (contesto) non è uno solo. Se contempliamo la
complessità, la presa di coscienza più utile può essere quella di utilizzare più filtri
cognitivi diversi a seconda della sfida/processo in cui interviene una relazione
soggetto/oggetto e nella quale come stimolo/risposta esercitiamo una seria
attenzione.Non si tratta quindi solo di intercettare la cornice o la piattaforma più
idonea alla categoria di prodotto, ma incarnare il processo come approccio
all’apprendimento, e mi riferisco più all’essenza del principio heisemberghiano
che al frugale approdo ad un necessario e stabile status quo. E già qui
bisognerebbe affrontare aspetti molto diversi legati all’esercizio dell’attenzione,
della volontà, dell’ascolto, ma anche riconoscere come siamo abituati a
percepire il mondo automaticamente. Come cognitivamente processiamo
mondi, li categorizziamo, li organizziamo a livello sociale e li restituiamo a noi
stessi (Parole e Categorie, Carnaghi). E’ un processo che dura una vita. Non c’è
una ricetta, ma la possibilità di intercettarne sempre di nuove. Chi ha scritto
pagine significative sul tema dell’attenzione è Simone Weil, che, come direbbe
un amico, non stacca mai l’anima dal mondo e dal sociale; più centrato sul
ricordo di sè è Ouspensky, Gurdijeff, ma la stessa Montessori, Dante, sulla scuola
intesa come autonomia sociale la stessa Weil e Illich, J.T. Gatto come
provocazione al sistema scuola, superfluo se si leggesse seriamente Mark Twain.

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Paolo L: Osservazioni molto interessanti che hanno bisogno di attenta analisi. Irada
propone una intelligente rilettura “umanista” della complessità che mette in gioco
l’irreversibilità dello sviluppo della vita (cognitiva e comunicativa) ed il suo incessante
innovarsi. Penso inoltre ci sia oggi un interesse peculiare dettato dalla attuale
congiuntura globale, che suggerendo l’attraversamento di un “sistema emergente in
fase caotica”, necessiti una rivalutazione soprattutto della “scuola intesa come
autonomia sociale” e dunque l’approccio che ritengo attualissimo di
“Descolarizzazione”. Riprenderei anche alcune suggestioni di John Ruskin. Grazie
Irada.
Rosamaria G: “aspetti molto diversi legati all’esercizio dell’attenzione, della volontà,
dell’ascolto”. La motivazione, la scelta dei partner, le regole da seguire e da
condividere sono basilari: può capitare che un obiettivo diverso da quello di base
apparentemente condiviso funga da motore iniziale e da ostacolo successivo; per
questo mi sembra indispensabile che le intenzioni di ognuno vengano palesate
adeguatamente o che almeno ognuno manifesti espressamente la propria volontà di
perseguire l’obiettivo comune, assumendosene ufficialmente la necessaria
responsabilità. Noto che un male del secolo è costituito dal disimpegno, dal
pressapochismo, dalla fluidità, vista come adesione “libertina”, più che libera, agli
ambienti ed alle comunità più diverse, dalle quali attingere, all’occorrenza, senza che
questo comporti alcun sacrificio materiale né temporale.
Giuliana G: Per prima cosa ringrazio tutti/e per le osservazioni! Stavo rivedendo i miei
appunti sull’intervento di Wenger e la mia attenzione si è fermata su un aspetto
apparentemente scontato. Avere la capacità di riconoscere che le altre persone sono
portatrici di “pratiche”, esperienze, conoscenze tacite. Queste persone hanno la
capacità di riconoscersi l’un l’altra come portatrici di esperienze verso cui si nutre
interesse. Questo è stato individuato come il punto di partenza per iniziare a creare
una comunità.

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Altro elemento sottolineato è stato qualcosa come l’intelligenza emotiva, la passione che
porta alcuni gruppi a costituirsi in comunità di pratiche.
Rosamaria G: “Avere la capacità di riconoscere che le altre persone sono portatrici di
“pratiche”, esperienze, conoscenze tacite” e “voler” contribuire in maniera fattiva alla
costruzione di una conoscenza condivisa (i lurker evidentemente riconoscono e
apprezzano, ma non partecipano attivamente al processo). “La passione che porta alcuni
gruppi a costituirsi in comunità d pratiche” non è sempre motivata in maniera univoca o
effettivamente finalizzata ad un obiettivo condiviso da tutti con la stessa intensità e lo
stesso interesse. Io penso tuttavia che la cosa possa sortire risultati accettabili anche
laddove i contributi non siano del tutto equilibrati, sempre che si possa registrare un
minimo d’impegno da parte dei più.
Silvana O: grazie Giuliana per aver introdotto un argomento così attuale come quello delle
comunità di pratica .Sono d’accordo sulle nuove tendenze della politica scolastica che
intende divulgare questa nuova idea di apprendimento che nasce dalla volontà di voler
attualizzare le più tradizionali ma soprattutto le più moderne teorizzazioni in campo
pedagocico e che riguardano la psicologia di apprendimento.Una sfida che io mi sento
d’affrontare. La comunità di pratica ,è la possibilità di costruire insieme agli studenti la
conoscenza .La motivazione alla conoscenza è a mio avviso qualcosa di connaturato non
credo ci sia qualcuno che non voglia apprendere,il problema è proprio la sfera di
partecipazione e la responsabilità di ognuno rispetto ad una comunità di pratica ? E allora
come si può intervenire ? Da docente direi che bisognerebbe creare pratiche che tengano
conto delle potenziali diversità di apprendere in modo da coinvolgere tutti nel processo di
conoscenza e avvalendosi di oggeti di pratica che fungano da stimolo alle diverse
intelligenze ( mi rifersco a quelle di cui parla Gardner ) e a diversi vissuti.

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Luca I: solo un ambiente non rigidamente organizzato in forma gerarchica riconosce e
facilita il nascere di comunità… Mostra tutta la pratica. in un ambiente burocratizzato
dove solo la procedura conta e le procedure sono sempre quelle non si ha confronto ma
solo rispetto alla procedura. Sto pensando che l’ambiente dei Borg di Star Treck non era
una comunità di pratica, anche se era una comunità alveare, nella comunità di pratica si
parla di partecipazione periferica legittimata quindi si riconosce che dei membri sono
maggiormente centrali di altri che appena arrivati sono apprendisti e nei cerchi estesi, ma
questi membri con l’esperienza possono via via diventare centrali. Ecco la comunità di
pratica non nasce in ambienti statici.
Ricercatrice A: d’accordo con luca.. grazie!
Luca I: è una cosa a cui Wenger ha solo dato un nome a una modalità formativa che
esisteva nelle botteghe artigiane del medioevo e che sussiste ancora nella comunità
africane. E’ lo stesso wenger che ricosce questo realtà come esistente. Il fatto è che si è
persa nel mondo occidentale, post rivoluzione industriale inglese.

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Grazie dell’attenzione!Grazie dell’attenzione!

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Bibliografia
A.A.V.V., Il fenomeno Facebook, 2008, Il Sole 24 Ore,
Milano
L. De Biase, Economia della Felicità. Dalla blogosfera al
valore del dono e oltre, 2007, Feltrinelli, Milano
G. Guazzaroni, S. Leone, (in pubblicazione)
“Pedagogical Sustainability of Interoperable Formal
and Informal Learning Environments” in Developing
and Utilizing E-Learning Applications, a cura di Fotis
Lazarinis, Steve Green, Elaine Pearson, IGI Global, USA
J. Lave, E. Wenger, Situated Learning. Legitimate
peripheral participation, 1991, Cambridge, Cambridge
University Press,
M. Maffesoli, Icone d’oggi, 2009, Sellerio, Palermo
M. Russo, V. Zambardino, Eretici digitali. La rete è in
pericolo, il giornalismo pure come salvarsi con un
tradimento e 10 tesi, 2009, Apogeo, Milano

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Bibliografia
G. Trentin, Apprendimento in rete e
condivisione delle conoscenze, 2004, Franco
Angeli, Milano
E. Wenger, R. McDermott, W. M. Snyder,
Cultivating communities of practice, Boston,
Harvard Business School Press, 2002; trad. it.,
Coltivare comunità di pratica. Prospettive ed
esperienze di gestione della conoscenza, 2007,
Guerini, Milano
E. Wenger, Communities of practice. Learning,
Meaning and Identity, Cambridge, Cambridge
University Press, 1998; trad. it. Comunità di
pratica. Apprendimento, significato, identità,
2006, Milano, Raffaello Cortina Editore, Milano