Sono i più lunghi ed i più grossi di tutti, poichè sovente arrivano ai
nove e perfino ai dieci metri e hanno una circonferenza che eguaglia
le coscie d'un uomo. Non sono però velenosi, ma sono forse più
pericolosi degli altri, poichè quando riescono ad afferrare una preda
non la lasciano più. Si accontentano però anche di prede piccole, di
topi, di rane, di lucertole, di scimmie, ma, se riescono, non lasciano
sfuggire nè le tigri, nè i babirussa, nè i tapiri, nè i mias quantunque
soccombano di frequente nella lotta con questi ultimi.
L'orang-outan, sentendosi imprigionare di colpo dal boa e vedendo
sopra di sè la testa del rettile i cui occhi dardeggiavano su di lui
sguardi d'ardente cupidigia, aveva lanciato un grido rauco, furioso.
Essendogli rimasto un braccio libero, afferrò il rettile sotto la testa e
lo torse come fosse una pagliuzza, ma le spire non si sciolsero, anzi
strinsero con maggior vigore, facendo scricchiolare la potente
ossatura dell'uomo dei boschi.
Quella stretta doveva essere stata tremenda, poichè si vide lo
scimmione dilatare spaventosamente la bocca come se l'aria fosse
per mancargli, ed i suoi occhi, che mandavano sinistri bagliori, quasi
uscire dalle orbite.
La sua robusta mano afferrò la testa del rettile e la schiacciò come
fosse una nocciuola, poi coi piedi armati di quelle unghie robuste che
con un solo colpo sventrano un uomo, si mise a lacerargli la coda,
facendola a brani.
Il serpente sibilava di rabbia, perdeva sangue dalle due estremità,
ma ancora non si decideva ad abbandonare l'avversario, e pareva
che approfittasse dell'ultime convulsioni dell'agonia per raddoppiare
la stretta irresistibile.
Ad un tratto si sentì come uno scricchiolìo d'ossa infrante, e rettile e
mias caddero entrambi a terra, ancora strettamente avvinti.
— Morti? — chiesero il marinaio ed il mozzo, che avevano seguito,
con viva ansietà, le fasi di quella tremenda lotta.