Il Piemonte, uscendo ingrossato dall'una e dall'altra, aveva di poco
migliorato la propria condizione. L'Austria non aveva che a ripassare
il Mincio per riprendere in una settimana tutta la Lombardia; verso
Francia il nuovo stato era senza frontiere, mancava di comunicazioni
col sud; il vassallaggio all'impero napoleonico gli scemava l'antica
indipendenza; l'ostilità alla rivoluzione lo indeboliva all'interno; aveva
esauste le finanze, fallito il programma, assunti impegni ineseguibili.
L'unità d'Italia era negata come al quarantotto.
Le prime integrazioni rivoluzionarie non avevano potuto attuare che
una parte dello stesso disegno regio di Plombières: ma senza
Venezia, senza la Sicilia, senza Napoli e senza Roma l'Italia non era.
La prodezza di Vittorio Emanuele, l'abilità diplomatica di Cavour, non
bastavano all'Italia: la fusione della valle del Po era la parte più facile
dell'unificazione nazionale; ma poichè nè Roma era insorta, nè
Napoli si era sollevata durante la guerra franco-sarda, a fonderle
coll'Italia bisognava conquistarle.
L'iniziativa regia non era da tanto. Infatti il primo atto della nuova
politica piemontese fu di sollecitare l'alleanza di Francesco II, per
impedire a Napoli ogni moto rivoluzionario.
Solo un'impresa temeraria come un'avventura, splendida come una
visione, irresistibile come una profezia, improvvisa, piccola, assurda,
raccolta su due barconi sconnessi come quelli di Cristoforo Colombo,
con un esercito non maggiore di quello di Cortez, senz'altra fede che
la vittoria, altro amore che di patria, altra probabilità che di morte,
con un capitano invincibile come un messia, senza danaro, quasi
senz'armi, poteva approdando in Sicilia appiccarvi il fuoco della
rivolta, assalire fortezze, liberare città, moltiplicare le battaglie come
spari di festa; quindi più forte, più rossa del proprio e del sangue
nemico, lanciarsi pazzamente fra Scilla e Cariddi, afferrare il
continente, passare come una vampa per le Calabrie, correre su
Napoli, sbaragliando eserciti, stordendo popoli, ministri, re, e,
sollevando tutto un regno, che sentimenti, idee, costumi, storia
rendevano tanto dissimile dal resto d'Italia, gettarlo in seno alla
nazione e farne una patria sola.