Quindi mostrommi sopra uno scaffale una ventina di edizioni della
Divina Commedia commentata dai più rinomati bibliofili, e sopra lo
scaffale un'erma del poeta, cinte le tempia da corona di lauro, e
sotto l'erma, in lettere d'oro: Onorate l'altissimo poeta!
Così scorse quel giorno. La domane, accomiatandomi, con
indefinibile slancio d'affetto, proruppe fra le mie braccia: Beppe, io
sono felice!
Comprendete voi, o signore, quanto quella parola dovesse poi
suonarmi amara? Felice! Se per essere felice non v'ha che un mezzo
solo, dimenticare la terra, pascersi di larve, Bussolini lo era! In
quell'istante, o per vago presentimento di sventura, o perchè
conoscendo io l'ardenza del carattere dell'amico mio, temessi si
lasciasse trasportare dall'entusiasmo oltre i limiti dello studio
ragionato, risposi:
— Bussolini, guardati dalle passioni: se tu eccedi nella misura, il
disinganno ti sarà atroce, forse mortale!
— Disingannarmi? E come se la mia passione è tutta pel vero, pel
bello, per Dio! Ma a che più rimembro questa storia, o signore, a voi
cui forse nulla cale dell'amico mio, di me e di queste melanconie?
Non v'è uggiosa questa rimembranza? No? Ebbene, quando farete
ritorno a' vostri, raccontate ai giovani studiosi di gloria il doloroso
racconto.
Parecchi anni lavorò Don Bussolini attorno ad un nuovo commento
della Divina Commedia, di cui conosceva omai a menadito ogni fase,
ogni allusione, e quando io ritornai a Mergozzo credetti debito
d'amico l'eccitarlo a scendere nella lizza della repubblica letteraria,
pubblicando l'opera sua. Io fidava che l'ansietà febbrile del successo,
gli sdegni per la critica superficiale, la dolcezza della lode, gli
eccitamenti a migliori forme, avrebbero di leggieri tratto a più vasta
sfera l'ingegno inteso in troppo ristretta cerchia d'azione. La battaglia
sarebbe stata la vita per Don Bussolini. S'egli si fosse animosamente
gettato da giovinotto fra la turba che di letterarie ciancie assorda il
mondo, in quel caos di sistemi e di idee e di parole senza idee, in