s'intuisce una unità più profonda ancora di quella della razza, dei
costumi, della lingua, un'unità perenne, inalterabile alle emigrazioni e
ai dominî, eguale sotto alle correnti e alle tempeste umane, una
unità eterna: quella della terra.
La strada bianca corre ancora nell'ombra dei platani, e di tanto in
tanto qualcuno di questi giganti, tagliato per formare una barricata
austriaca, giace abbattuto, rovesciato nel fosso o sul bordo erboso.
Barricate e trincee chiudevano la via ad ogni svolto, ad ogni
ponticello. Ma nessuno le ha difese. Fino a Cervignano, per avanzare
non s'è avuta che la fatica di rimuovere gli ostacoli. A Cervignano
pochi colpi di fucile. Un ponte di ferro, all'entrata del paese, era
barrato da un terrapieno e da un'abbattuta d'alberi. Una cannonata,
che ha lasciato il segno sull'armatura del parapetto, è bastata a
mettere in fuga i difensori.
Il paese ha ripreso un'aria tranquilla e sonnolenta, e i convogli
militari passano con frastuono per le strade antiche, anguste ed
affocate, fiorite di bandiere. Al di là, verso l'Isonzo, un polverone
denso annebbia la pianura. Il cannoneggiamento è più vicino.
Nell'aria limpida, chiaro, metallico, diafano, un pallone frenato si
libra.
Ancora pochi minuti, e ci troviamo fra le truppe. Dei reparti passano
il fiume. Sulle alture di Monfalcone la battaglia rugge.
La nostra prima avanzata, che qui giunse d'un balzo a pochi
chilometri dall'Isonzo, non fece in tempo a salvare i ponti. La loro
distruzione era forse inevitabile.
Il ponte della strada carrozzabile, lungo più di cinquecento metri,
tutto di legno, ma largo e solido, ha bruciato completamente.
Vedevamo da Palmanova e da Cormòns, il giorno 24, le colonne
turbinose di fumo di questo incendio lontano, e pareva che una città
ardesse. Si credette anzi, al primo momento, che gli austriaci
avessero appiccato il fuoco a dei paesi, per vendetta.
Dei piloni, formati da fasci di travi, non rimangono che alcuni
mozziconi carbonizzati, emergenti ad intervalli regolari dall'acqua