In viaggio con Amilcare

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About This Presentation

Dossier


Slide Content

Gioco, innovazione, passione.
Ad un anno dalla scomparsa.
IN VIAGGIO
CON AMILCARE
Ottobre 2021Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1 comma 1, LO/MI - ISSN 2420-7829 - all. 1 al n. 5 2021

In copertina:
Illustrazione di Fuad Aziz
3 Le mani Amilcare Acerbi
5 Introduzione Aldo Garbarini
7 IL GIOCO
8
Quando la creatività nasce dal Gioco Amilcare Acerbi
11 C’era una volta un drago volante
Tamara Lavina e Agata Magnani
15 “Chi ha voglia di giocare con me?” Maria Gabriella Strino
19 Ludendo Furio Ferri e Paola Maestroni
22 35 anni di attività ludiche Roberto Lattini
26 I CEMEA del Piemonte e Amilcare Acerbi Aldo Volpi
29 NATURA E TERRITORIO
30
Che ne penso dell’oudoor education Amilcare Acerbi
34 L’avventura come palestra di apprendimento
Milva Capoia
39 Perdersi nel bosco Daniela Viroglio
41 Il giardino dell’arte Ester Andreola
44 Territorio come nostalgia o territorio come speranza?
Andrea Iovino
52 Educatori visionari Lina Stefanini
54 Sport&Inclusion: Cascina Sereni in Santa Maria
dell’Argine Carlo Stassano
58 Vivere e imparare la terra e la natura Liliana Dozza
63 MEDITERRANEO
64
Per una scuola “mediterranea” dei bambini in età
uno-sei anni Amilcare Acerbi
68 I bambini del Mediterraneo Marica Marcellino
73 ESPERIENZE E TESTIMONIANZE
74
Il Gingko Amilcare Valeria Anfossi
76 Il fratello di Melqart Stefano Costa e Giuseppina Di Cesare
79 Eterno Amilcare Mario Giuffrida
82 “Vivere e Giocare nel mondo” con Amicare Acerbi
Lidia Urani
84 Metà professore e metà stregone Mauro Villone
85 Il mio amico Amilcare Fuad Aziz
86 Scheda Biografica
Dossier a cura di Enrica Fontani
con la collaborazione di Silvana Audano.
LE MANI
LA POESIAIN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
"Perché sono le mani, le mani della cuoca che prepara il sugo da mettere nella pasta.
Oppure le mani della contadina che sfogliano la verdura e scelgono
le carote da portare in tavola e ti mostrano come cresce la piantina
e ti raccontano quando è stata seminata.
Oppure sono le mani del naturalista-boscaiolo che ti ha accompagnato e che ti ha
fatto vedere come scorre la linfa dentro nel legno, come si muove e come fa crescere
l’albero, come fa crescere i rami e che scorrendo mostra le dita verso l'alto,
là in alto, e ti dice che se guardi bene c'è un foro, un nido del cuculo,
e ora sai come fanno i cuculi.
Ecco, son le mani, son le mani che faranno avere successo all'ostello, all'azienda,
al bosco.
Perché sono le mani che conoscono la natura, il materiale, il lavoro
e sanno raccontare quello che succede e quello che succederà.
Le mani che hanno racchiuso le tue, la prima sera che trascorrevi lontano da papà
e mamma e non riuscivi a prendere sonno.
Le mani umide dell'acqua della lanca, nella canoa, oppure bagnate
di sudore nel sistemare gli attrezzi dell'orienteering nel bosco."
"Le dita hanno smesso di ticchettare.
Gli occhi, 100 e più occhi, hanno terminato di controllare che non ci fossero errori,
che i numeri corrispondessero ai concetti.
Ore e ore di letture, di riletture.
Tutto a posto, possiamo chiudere i file.
PUNTO.
Ora possiamo davvero chiudere gli occhi."
Amilcare Acerbi
(Pedagogista)
Monticelli d'Ongina: 28 settembre 2020
Pexels.com
Zeroseiup MagazineZeroseiup Magazine
Direttore responsabile: Direttore responsabile:
Ferruccio CremaschiFerruccio Cremaschi
Pubblicazione autorizzata dal Tribunale di Bergamo Pubblicazione autorizzata dal Tribunale di Bergamo
n. 1963/2015 reg. stampa 14 del 26/05/2015n. 1963/2015 reg. stampa 14 del 26/05/2015
IVA assolta dall’editore a norma dell’art. 74/DPR 633 IVA assolta dall’editore a norma dell’art. 74/DPR 633
del 26-10-1972del 26-10-1972
Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, LO/MI(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, LO/MI
Direzione e Redazione: Zeroseiup, Rotonda dei Mille 1, Direzione e Redazione: Zeroseiup, Rotonda dei Mille 1,
24122 Bergamo24122 Bergamo

D 4 D 5
INTRODUZIONE
ALDO GARBARINI*
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
* Già Presidente del Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia è
stato fino a luglio del 2018 Direttore dei Servizi Educativi
della Città di Torino. È condirettore della collana “Pubblico
Professioni Luoghi della Cultura” della Angeli editore e, tra
le varie pubblicazioni, co-autore di “I diritti delle bambine e
dei bambini” (editrice junior/2010).
A
milcare Acerbi inizia il suo lungo per-
corso educativo e pedagogico già negli
anni Settanta del secolo scorso, con la
direzione del Campo Robinson di Pavia,
quasi un novello Robinson Crusoe che usa ciò che
trova nella cascina e nel bosco dell’area per dare
corpo ad un impianto pedagogico basato sull’au-
tonomia, la creatività, la relazione e l’esplorazione
dell’ambiente. Raccordi ed elaborazione di quella
esperienza del Comitato Italiano Gioco Infantile,
voluto e sostenuto da Adriano Olivetti, che lo vide
prima come partecipante ai corsi di formazione pro-
mossi sotto l’indirizzo di Dino Perego e, successiva-
mente, lo vedrà come direttore.
Quando ci siamo conosciuti a Torino, per il suo inca-
rico di consulenza pedagogica dopo che Valter Fer-
rarotti era “andato in pensione”, appariva ben chiara
questa dimensione educativa in cui l’ambiente ave-
va un ruolo non supplente e rivestiva, per questo,
una funzione determinante. Un ambiente, tuttavia,
non mitizzato né distante da quel contesto in cui
si operava e si agiva. Mi sembra infatti di poter dire
che per Amilcare l’ambiente, la natura, l’ecologia nel
suo più ampio spettro sono stati sempre pensati
nella loro dimensione storica concreta: una “natura
storicizzata” ( e certo su questa mia affermazione
avremmo potuto aprire una lunga discussione) che
mi pare alquanto propria e opportuna soprattutto
nell’oggi, quando – sulla spinta dei fenomeni sanitari
in corso- il tema del ritorno alla natura e agli spazi
aperti sembra prendere le forme di inviti e proclami
a volte distanti da seri e meditati approcci.
E così troviamo in questo dossier, che presenta un
denso e impegnativo percorso di ragionamento e
di esperienze, una natura che è fatta anche di radici,
buche, pozzanghere, fossi, corsi d’acqua, così come
ci imbattiamo in una natura trasformata dall’uomo
(appunto, una natura storicizzata), ovvero quell’agri-
coltura che sempre Amilcare ha rivendicato come
elemento inevitabilmente naturale anch’esso.

Fuori dagli spazi angusti della classe o delle came-
rette di casa propria possiamo stimolare l’esplora-
zione e la relazione perché i bambini sono naturali
esploratori del loro ambiente, interessati ad essere
autonomi. L’outdoor education, così, non è solo lo
stare fuori per evitare sovraffollamenti di spazi e con-
tatti troppo ravvicinati; diventa “una ricerca-azione
per definire intenti, individuare tappe, costruire consa-
pevolezze, esercitare comportamenti”. Il grande pal-
coscenico della natura deve aiutare a perseguire,
nell’educazione di bambini e ragazzi, la conoscenza
dei luoghi e dei contesti di vita e di lavoro e favorire
comportamenti adeguati ad una società ecologica-
mente sostenibile. Insomma, un processo educativo
che è ben distante da accomodamenti di facciata e
da semplici bucoliche visioni.

Questo richiamo ai comportamenti quotidiani ci
permette di recuperare un’altra fondamentale di-
mensione presente nel suo lavoro: quella del gioco.
Potere avventurarsi in cespugli, siepi, alberi, il mani-
polare terre, acqua, legna, lo scavare, lo spostare, il
trasportare, il costruire, così come ci viene raccon-
tato, sono tutte esperienze e azioni, che si snodano
nelle pagine che leggerete, finalizzate a ricordarci
che il valore del gioco è nell’apprendimento per
esplorazione, che il gioco a scuola ha valore se è
esplorazione. Qui emerge tutta l’esperienza creatasi

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Il gioco, il vero gioco, è un’attività ove
chi la pratica domina la regola ed è
padrone del tempo. Il giocatore punta
a essere indipendente e autoregolarsi.
Un formidabile esercizio di libertà.
Gioco è esplorazione del sé in relazione
con cose e persone.
IL GIOCO
nel percorso che lo ha visto partire dal CIGI per giun-
gere almeno al Centro del Gioco Educativo del Co-
mune di Torino, impegnato con Valter Ferrarotti nel-
la organizzazione e nell’avvio delle attività. È tutto il
pensiero ludico (per gli argomenti trattati, ma anche
ludico per la modalità nel trattarli) che si è venuto
formando negli incontri con l’idea di pedagogia atti-
va di Diego Perego (che riprese nei cortili scolastici e
nei parchi l’impostazione che Freinet, gli insegnanti
del MCE e Francesco De Bartolomeis sperimenta-
vano nelle classi) per poi ovviamente svilupparsi in
modo autonomo.
Nasce non a caso da questo fermento e da queste
nuove dimensioni del fare educativo, già nel 1988,
il “Manifesto per l’educazione all’ambiente” che CIGI e
Comune di Torino presentarono agli operatori del
settore, rivendicando come l’avventura dovesse di-
ventare una dimensione del processo educativo al
pari delle altre forme di apprendimento, senza dover
patire subordinazioni o sottovalutazioni.
Siamo qui richiamati da Acerbi a confrontarci con il
concetto di “Ecopedagogia” elaborato da Paulo Freire
secondo cui il rapporto tra elaborazione pedagogi-
ca e natura non può essere solamente inteso come
educazione esperienziale fatta di attività all’aperto
e contatto con la natura; deve invece trovare nel
pensiero critico e nella comprensione l’elaborazione
di strumenti messi a disposizione di tutti per cam-
biare il mondo. Intanto, attraverso comportamenti
che sappiano favorire una saldatura tra rispetto della
natura e rispetto delle persone. “Una consapevolez-
za, - ci viene detto - che dovrebbe diffondersi anche tra
educatori e insegnanti affinché si studino e si applichi-
no modifiche nei comportamenti quotidiani”. È dun-
que anche un impegno civico, quanto scorre nelle
elaborazioni e nelle memorie qui contenute, perché
in fondo il tutto si tiene o almeno si dovrebbe tenere.

Non è dunque un caso che nel suo pensiero sia
fortemente presente un’ulteriore dimensione in cui
deve essere inscritta l’azione pedagogica: quella del-
la comunità educante. I genitori sono sempre molto
presenti anche fisicamente nei progetti che h sem-
pre sviluppato e se non presenti, comunque riman-
gono come soggettività attiva per la determinazione
di un rapporto produttivo con i bambini e con edu-
catrici, educatori ed insegnanti finalizzato alla co-
struzione dei percorsi di autonomia e di conoscenza.
Così come il richiamo agli operatori appare, proprio
per il ruolo fondamentale che svolgono, alquanto
stringente: “Se si vuol agire come comunità educante
e non come semplici fornitori di servizio, bisogna es-
sere preparati al lavoro in team, conoscere il risvolto
esaltante di certi risultati ottenibili insieme, ma an-
che essere preparati a frustrazioni e ripensamenti”.

È lo stesso autore, peraltro, a dedicare la sua opera a
insegnanti che vuole “giovani dentro” perché capa-
ci di avventurarsi con passione per l’autonomia, la
personalità e la creatività di bambine e bambini. E
ai genitori che vogliano perseguire l’autonomia dei
propri figli condividendo con gli insegnanti le strate-
gie opportune.

Ci troviamo, dunque, di fronte ad un pensiero arti-
colato, complesso come d’altronde è oggi il mondo
con cui ci confrontiamo, ma anche suggestivo per
quanto suggerisce e gioioso, come sempre Amilcare
Acerbi è stato, riuscendo a coniugare un impegno
personale anche alcune volte gravoso con la per-
cezione di stare operando in uno dei campi più im-
portanti nella dimensione di un qualsiasi consesso
umano: quello della formazione del proprio futuro.

Purtroppo, da più di un anno Amilcare ha smesso
di camminare in quegli ambienti naturali che ci ha
sempre ricordato. Ho avuto il piacere di lavorare in-
sieme per alcuni anni e poi, finita l’esperienza torine-
se, di continuare a chiacchierare, parlottare, discute-
re, trovarci d’accordo e qualche volta no in un suo
impegno che non è mai venuto meno. Rileggendo
le righe di questo dossier non ho potuto che ritro-
vare quegli stimoli, quegli approfondimenti, quelle
passioni, anche a volte urgenti e “rumorose”, che lo
hanno accompagnato in tutti questi anni di impe-
gno educativo e civile.
Per questo, sono stato e rimarrò sempre molto con-
tento di averlo conosciuto.
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER

D 8 D 9
S
iamo nel tempo in cui
le famiglie per lo più
si formano su un patto
affettivo, e non di con-
venienza, dove la rela-
zione regge sino a quando l’affet-
to si mantiene. È il tempo in cui,
grazie alla maggiore cultura dei
cittadini, si è passati dall’alleva-
mento dei figli secondo schemi
tramandati tra generazioni e,
per lo più con una educazione di
stampo autoritario, ad un alleva-
mento perfezionato dalla scienza
e a un’educazione “democratica”,
basata sulla relazione e sul dialo-
go, per la quale è fondamentale
la definizione di un “contratto”
tra adulto e bambino, contratto a
sviluppo variabile, parallelo alle
età. Il problema attuale è come si
imposta questo contratto, chi fa
da modello ai nuovi genitori. Un
tempo in cui per la prima volta
comportamenti e saperi, preva-
lenti, di bambini, ragazzi, ado-
lescenti, derivano dai mass-me-
dia più che dai genitori e dagli
insegnanti: i comportamenti e
le conoscenze sono strettamente
correlate al consumo di beni; i
migliori conoscitori delle moda-
lità di rapportarsi con bambini,
ragazzi, adolescenti, dobbiamo
purtroppo riconoscere, sono gli
ideatori delle campagne pubbli-
citarie e di vendita.

La relazione tra società e minori
si basa dunque sul consumo di
beni. Anche ora, come sempre
nella storia, è la comunità che
interviene con proprie moda-
lità ad accogliere il giovane nel
consesso degli adulti; un tempo
vi erano i riti di iniziazione, ge-
stiti da figure esterne alla coppia
generante, ora tale comunità è
rappresentata dall’ente locale e
dallo Stato, attraverso i suoi vari
organismi.
Volete uno spaccato odierno dei
riti di iniziazione? Quelli più
specificamente deputati ad ac-
compagnare e segnare la crescita
dovrebbero stare nella scuola: ma
la valutazione delle competenze è
molto approssimativa e gli esami
sono estremamente imprecisi. I
veri riti di passaggio per diveni-
prelievo fiscale ulteriore. Legit-
timato, sostenuto, diffuso dallo
Stato. E va ben oltre la sfida alla
sorte dei giochi popolari basati
sul lancio dei dadi o simili.

Il gioco, il vero gioco, è un’atti-
vità ove chi lo pratica domina la
regola ed è padrone del tempo.
Il giocatore punta ad essere in-
dipendente e autoregolarsi. Un
formidabile esercizio di libertà.
Gioco è esplorazione del sé in
relazione con cose e persone. L’e-
splorazione conduce agli adatta-
menti. E qui si apre il confronto
col concetto di creatività. Crea-
tività è la capacità di acquisire e
trasformare, così come di risol-
vere problemi tecnici (la capacità
logica) e di mettere a punto mo-
dalità comunicative (la capacità
espressiva ed artistica). Esplora-
zione dell’ignoto per intervenire
nella realtà. Non si nasce creativi,
ma tutti gli individui sono predi-
sposti ad imparare, si potrebbe
dire “programmati per impara-
re”. Le regole dei giochi non sono
innate, ma si acquisiscono dagli
altri. Dunque si può educare
all’una e all’altra abilità.
Oggi il gioco non si impara più
dai più grandi, considerato che i
fratelli sono pochi e i cugini non
sono più prossimi; non solo ma
i luoghi all’aperto non sono più
frequentati quotidianamente e
in quelli al chiuso i gruppi sono
omogenei per età e abilità e sono
governati dagli adulti. Il gioco è
una dimensione di addestramen-
to, alla prova e alla divergenza; il
gioco è uno dei mezzi più formi-
dabili per insegnare la creatività.
Libertà e creatività vanno acqui-
siti progressivamente. Oggi più
che mai ciò fa parte di una stra-
tegia della comunità; anche se si
vuole a difesa di bambini, ragaz-
zi, adolescenti assaliti dai vendi-
tori di oggetti e comportamenti.
Il mancato intervento conduce
all’alienazione dell’individuo e
alla rinuncia ad utilizzare la pro-
pria capacità di essere liberi. La
comunità che non provvede a
offrire occasioni, spazi, tempi a
educare al gioco dimostra di pre-
ferire la formazione di cittadini
non liberi e non autonomi. Se
genitore e insegnante non riesco-
no a indirizzare i comportamen-
ti è necessaria una terza figura,
quella dell’educatore/animatore,
che operi non per contenere ma
per accompagnare e far evolve-
re. Oggi purtroppo è prevalente
la funzione di contenimento. Io
ho operato per far emergere mo-
dalità e contesti che accompa-
gnassero bambini, ragazzi, ado-
lescenti verso libertà di giudizio,
autonomia, indipendenza.
Mi servirò ora di alcuni esempi
per dimostrare come sia possibile
insegnare creatività, dentro una
dimensione ludica. Non temo di
affermare che il gioco proposto
da una comunità debba essere
Le riflessioni e gli esempi che qui proporrò
emergono dai contesti in cui ho operato,
ovvero una serie di interventi e servizi a
favore di bambini, ragazzi, adolescenti,
nelle scuole e nel territorio.
re adulti i ragazzi li riconoscono
nella prima sigaretta, nel moto-
rino, nella discoteca, nel primo
rapporto sessuale, nello spinello,
nel “piercing” e nel tatuaggio,
nella patente: tutte prove e azio-
ni con forte connotato negativo
e ansiogeno da parte degli adul-
ti; si basano sull’età anagrafica
(come diritto naturale) e non su
abilità acquisite e riconosciute.
Con questo sfondo ho condotto
le mie esperienze di educatore e
di pedagogista. Che nesso hanno
la creatività e il gioco con tutto
ciò? Proverò a dimostrare che
hanno un nesso, e forse più di un
tempo, considerati i nuovi valo-
ri della convivenza e le esigenze
economiche e di progresso della
società.
Parlo di gioco. Non del gioco di
azzardo. Nel gioco di cui parlo
c’è l’azzardo, da intendersi come
sfida condotta sul filo del pro-
prio limite fisico e psicologico.
Il gioco d’azzardo invece, basato
sulla debolezza dell’individuo,
rappresenta oggi un balzello, un
QUANDO LA CREATIVITÀ
NASCE DAL GIOCO
SVILUPPARE IL PENSIERO E LA SOCIALITÀ
AMILCARE ACERBI
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
Conversazione con educatori e
insegnanti dei servizi della prima
infanzia di Gorizia, 3 Febbraio 2016

D 10 D 11
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
educativo, avere un fine sociale
per facilitare l’ingresso del giova-
ne nel mondo adulto del lavoro e
della comunità. D’altra parte così
è stato, spontaneamente, nelle
epoche passate, quando il gioco,
pur derivava dall’osservazione e
dall’imitazione delle azioni degli
adulti o dall’invenzione di azioni
che portassero al confronto, an-
che conflittuale, con coetanei e
con gli adulti.

Il bambino vive e gioca nel suo
tempo, secondo il contesto che
offrono gli adulti. Oggi il con-
testo proposto ai ragazzi è quasi
totalmente virtuale. Chi propone
gioco deve tenerne conto e ren-
dere positiva questa ulteriore op-
portunità di esperienza, agendo
tanto sul virtuale quanto sul rea-
le e materico. Controbilanciando
le esagerazioni determinate dalla
pubblicità. È strategico oggi por-
tare l’attenzione sul come edu-
care alla creatività, al pensiero e
alla socialità. L’utilizzo precoce
degli strumenti digitali, con i re-
lativi prodotti di intrattenimento
conduce i piccoli in un mondo
virtuale piacevole, fisicamente
sicuro, domestico. Inizia così
però l’estraniazione dal mondo
reale, delle persone, della natu-
ra. L’assuefazione è facile e tale
condizione dei bambini è rassi-
curante per i genitori, entusiasti
che il proprio figlio sappia de-
streggiarsi nella modernità dei
prodotti. L’assedio del mercato
va analizzato, i bambini vanno
aiutati a conoscere e valutare il
senso e l’utilità degli oggetti, a
evidenziare alternative o ma-
nipolazioni possibili, debbono
essere accompagnati a scoprire
interessi ed aiutati con discre-
zione a coltivarli. Virtuale e reale
vanno considerati in relazione,
come due mondi di cui prendere
confidenza e acquisire progres-
sivamente padronanza, ricono-
scendone utilità e specificità. Il
rapporto coi genitori si deve fon-
dare su un patto, che riconosca
la loro voce come educatori, crei
una relazione aperta e continua-
tiva con gli educatori, sapendo
essi distinguere aspettative ne-
cessariamente diverse, si sviluppi
attraverso confronti periodici su
alcuni elementi valoriali (educa-
zione alla sobrietà, alla coopera-
zione, alla solidarietà ...).
La diversità. La creatività. La di-
versità è ricchezza? La creatività
è dote italica naturale? Bisogna
studiare e sperimentare come la
diversità diviene ricchezza; bi-
sogna alimentare la creatività di
ciascuno e sfatare che sia frutto
genetico. Queste considerazioni
conducono all’esigenza di rivede-
re le impostazioni di accoglien-
za, di gestione, di stimolazione
dei piccoli, tra l’anno e i sei anni.
L’universo simbolico deve essere
preceduto o quantomeno arric-
chito di concretezze, di processi
reali, di contatti e di scoperte di
cose, elementi naturali, persone.
L’attività appagante col digitale
porta all’isolamento progressivo,
se non c’è esercizio di relazione
con altri bambini e altri adulti; la
capacità di stare in società, di fare
amicizie, di riconoscere per tem-
po i comportamenti altrui positi-
vi o negativi diventa impossibile.
La diversità è risorsa quando nella
relazione apporta un contributo
per accrescere le abilità di ciascu-
no, per alimentare l’immaginario,
creare basi per una coesistenza
basata sul reciproco rispetto e
sulla curiosità verso il nuovo. La
curiosità verso il nuovo è humus
per la creatività.

Vi è un altro limite da evidenzia-
re. Lo scarso utilizzo del corpo
non è solo foriero di inabilità o di
obesità precoce. Studi e ricerche
stanno dimostrando come nella
prima fase della vita l’esercizio
fisico faciliti e rafforzi l’appren-
dimento. Dunque diviene fon-
damentale che il bambino eser-
citi le sue capacità creative, sia
immerso volontariamente dagli
adulti in esperienze di realtà,
svolga azioni fisiche quotidiana-
mente. Tali approcci devono es-
sere costanti, vere e proprie rou-
tine quotidiane, così come si fa
raggiungere a ciascun bambino
l’autonomia nel provvedere alla
propria igiene personale o nell’a-
limentarsi da solo. I bambini per
lo più amano giocare in solitaria
e svolgere le proprie storie sino
ad esaurimento. Se giocano ac-
canto gli uni agli altri è possibile
che si influenzino copiandosi a
vicenda. Ciò è naturale, d’altra
parte hanno imparato a cammi-
nare ed a parlare imitando gli
adulti più vicini. Può essere che
per brevi periodi intreccino ruo-
li complementari secondo una
storia che inventano e sviluppa-
no insieme. Per questo è impor-
tante che dispongano di angoli
gioco. Per angolo gioco intendo
una porzione di ambiente inter-
no (aula, salone, corridoio, anti-
bagno) ove collocare giocattoli,
strumenti e alcuni mobili, con
funzioni similari, posizionati in
modo che vi si possano inseri-
re al massimo sei bambini per
svolgere attività in contempora-
nea. L’angolo gioco sia ristretto,
assomigli ad una nicchia, dove si
evitino interferenze volontarie o
involontarie da parte di altri.
Questo è il vero gioco libero,
dove nascono le prime relazioni
e le prime amicizie. All’educatore
il compito di coglierle e far speri-
mentare qualche collaborazione
un poco più complessa e dura-
tura. Collaborazione, coopera-
zione, solidarietà scaturiscono
da relazioni serene, con progetti
di breve periodo, assecondando
simpatie e comunque sempre va-
lorizzando le conquiste di singoli
e di gruppetti.
È
sempre meglio che le
“cose” belle nascano da
eventi belli, positivi,
ricchi, luminosi, pieni
di speranza. Ma non sempre è
così nella storia. E poi “non tutti
i mali vengon per nuocere” recita
un vecchio proverbio della tra-
dizione contadina, che ci riporta
ad una dimensione quotidiana,
passata e presente, e mette in
luce anche le opportunità che un
evento negativo porta con sé.
Era parecchi anni che non si ve-
devano così tante classi uscire,
per giocare, dalle pareti scolasti-
che: magia del virus! Bambini e
bambine in un periodo così buio
hanno guadagnato l’aria aperta!
Il virus è meno pericoloso e insi-
dioso all’aperto, quindi apriamo
le porte e, anche se con le ma-
scherine, “liberi tutti!” il grido
di liberazione di tutti i “prigio-
nieri e prigioniere” del gioco di
Nascondino, uno dei giochi più
belli e diffuso in tutto il mondo,
ricco d’implicazioni relazionali,
motorie, cognitive, che si fa all’a-
perto, in quell’ambiente che tante
istituzioni educative e ricreative
hanno dimenticato.
Un’altra cosa che l’infanzia ha
guadagnato è la liberazione dagli
impegni di corsi e attività pro-
grammate, e spesso scelte dai
genitori, che occupano tutto il
cosiddetto “tempo libero”. Fare
sport, coltivare le arti è salutare,
ma un’eccessiva esposizione è
tossica, specialmente se preco-
ce, e se dettata da una tempistica
che non tiene conto delle reali
esigenze dei diretti interessati.
Anche quello del tempo libero è
un mercato e come tutti i mercati
ciò che conta è, prioritariamente,
la circolazione del denaro.
Anche festeggiare i complean-
ni con pochi invitati scelti, con
ritorno ad una dimensione più
intima, può essere rigenerante
per l’animo e la qualità delle re-
lazioni.

Per i ragazzi e le ragazze più
grandi è una prova dura non an-
dare a scuola, non frequentare i
compagni in ambiti strutturati,
Le autrici ricordano come Amilcare Acerbi
abbia contribuito alla nascita e allo sviluppo
della ludoteca il “Drago volante”, curando un
percorso formativo ricco e articolato, che con
grande lungimiranza valorizzava l’ambiente
naturale come spazio ludico favorevole alla
scoperta, alla conoscenza, al rispetto della
natura e delle sue regole.
C’ERA UNA VOLTA
UN DRAGO VOLANTE
TAMARA LAVINA e AGATA MAGNANI*
Immagini dalle
Ludoteche di Torino
* Insegnanti, ludotecarie, formatrici,
presso il Comune di Torino
Hanno collaborato alla progettazione
creazione e gestione della ludoteca
“Drago Volante”dove hanno lavorato
occupandosi del servizio ludo
mattino (0/3), delle attività di gioco
e laboratorio con bambini bambine
(+3/14anni) e le loro famiglie e
dei percorsi con le classi. Hanno
gestito inoltre le formazioni delle
insegnanti e dei nuovi ludotecaria.
Oggi in pensione collaborano come
volontarie con il Comune di Torino.

D 12 D 13
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
ma era da tempo che non si ve-
devano piccoli gruppi di due, tre
adolescenti che, dandosi appun-
tamento sotto casa chiacchiera-
vano, seppur con mascherine,
passeggiavano vicino a casa o
nel giardinetto del quartiere
con monopattino o bicicletta o
a piedi, riscoprendo il piacere
semplice, ma fondamentale per
la crescita, dell’incontro e della
comunicazione con gli amici.
Tutto questo sarà tesoro, se gli
adulti sapranno comprenderlo e
valorizzarlo, per i tempi migliori
che arriveranno prima o poi.
Per questo lo psichiatra Massimo
Recalcati sostiene che “non ci
sarà alcuna generazione covid”
in un articolo de La Repubbli-
ca, ma ci sarà un “prima covid”
e un “dopo covid”, una linea di
demarcazione che dividerà ide-
almente due periodi storici.
A conferma di ciò in una gior-
nata estiva, al mare, infatti, due
bambini, un fratello e una so-
rella, parlando tra loro delle
esperienze marine dividevano
la loro vita con una naturalezza
che solo i bambini conoscono,
in un’era “prima del covid” e in
un’era “dopo il covid”: i bambini
ci guardano e ci insegnano.
La vita di tutti noi è segnata da
un prima e un dopo. Anche per
le ludoteche e il gioco ci sarà
un prima e un dopo. L’obietti-
vo, però, resta quello di creare
e difendere uno spazio ludico a
misura di bambini e bambine, di
ragazzi e ragazze.
di recupero. Luigi Nervo ci ha
trasmesso l’amore per la bellezza
delle macchine ludiche di legno.
Insomma il CIGI e in particolare
Amilcare Acerbi e Giorgio Bar-
tolucci hanno curato una forma-
zione fondamentale per le arte-
fici di un nuovo servizio ludico.
La formazione permanente, sia
di gruppo che individuale, è
sempre stata importante per la
qualità del lavoro e del servizio.
Formarsi significa anche rinno-
varsi nelle motivazioni e nelle
prospettive future.
Per questo motivo negli ultimi
anni ci siamo dedicate anche alla
formazione di nuovi/e ludote-
cari/rie, di personale educativo
che potesse “far prendere il volo”
a nuovi servizi similari e a cui
poter lasciare il testimone. Il ri-
chiamo al “volo” è legato al nome
scelto per la ludoteca: Drago Vo-
lante, un nome ispirato alla sua
posizione geografica, tra i due
fiumi principali di Torino, il Po
e la Dora Riparia, in un punto
particolare dove la tradizione
popolare narrava di un’isola. L’i-
dea di un animale fantastico che
abitava l’isola è frutto della fan-
tasia delle fondatrici. Il drago vo-
lante avrebbe dovuto far scoprire
ai bambini il suo tesoro affinché
essi potessero diventare final-
mente adulti, ma adulti ludici!
La sede della ludoteca era adagia-
ta in un verde giardino, abbrac-
Prima…
La storia della ludoteca dove ab-
biamo lavorato per 33 anni inizia
negli anni ’80, in un momento di
grande fermento pedagogico e
di rinascita nel mondo dell’edu-
cazione in Italia.
In particolare a Torino la ludo-
teca “Drago Volante” era inserita
nel progetto educativo della Città
che concepiva il territorio come
luogo di esperienza, di socializza-
zione, di educazione formale ed
informale: la scuola, la famiglia,
l’associazionismo agivano come
comunità educante. L’obiettivo
principale era la tutela del ben-es-
sere dei cittadini più giovani.
L’idea di una ludoteca come cen-
tro d’incontro ludico territoriale
nasceva dalla riflessione di un
gruppo di giovani insegnanti
comunali di scuola elementa-
re, piene di speranza e voglia di
mettersi in gioco, di entusiasmo
autentico sulla necessità di un
progetto che tutelasse il diritto
dei bambini al gioco.
Era un gruppo che veniva dall’e-
sperienza del doposcuola e della
Scuola Integrata che a Torino ha
significato molto per l’istituzione
scolastica ed il suo rinnovamen-
to. Non più il doposcuola come
opera assistenziale, ma momento
educativo e ricreativo di qualità a
sostegno delle famiglie e dei/delle
loro figli/e. Non ancora il Tempo
Pieno Statale, ma una sua profi-
cua sperimentazione che vedeva
la collaborazione di un insegnan-
te statale e uno comunale.

Il modello più diffuso di ludoteca
in Italia e all’estero in quel perio-
do era diverso da quello attuale:
“nata con la fisionomia di una
biblioteca che cataloga e allinea
nei suoi scaffali giochi e giocat-
toli, anziché libri (Toys Library è
il suo nome inglese), la ludoteca
si caratterizza inizialmente come
ciata da strade e palazzi, come un
nido fra gli alberi, “una fiaba che
era iniziata splendidamente e mi
auguro si concluderà felicemente,
altrimenti che fiaba è?...” scrisse
Giorgio Bartolucci in un articolo
de La Ludoteca del lontano gen-
naio-febbraio 1995 che ci piace
riproporvi. Allora, come oggi,
un servizio per il diritto al gioco
faticava a trovare una nuova stra-
da, una nuova ripartenza. E come
tutte le strade bisogna che porti-
no da qualche parte secondo ben
ponderate direzioni.

L’articolo che segue porta la
firma di Giorgio Bartolucci,
direttore della rivista La Ludo-
teca, con cui Amilcare Acerbi
ha stretto una lunga e proficua
collaborazione negli anni ’80,
gli anni della nascita del Centro
per la Cultura Ludica “Walter
Ferrarotti”, delle ludoteche tori-
nesi per cui il CIGI ha curato il
progetto formativo, gli anni della
prima biennale del Gioco e del
Giocattolo.
“Carissime amiche, la risposta
alla vostra lettera sarà l’Editoria-
le di questo inizio di ’95, perché
la vostra tristezza e la mia, che
ho seguito da vicino il vostro la-
voro iniziale, non sono un fatto
privato ma di tutti i ludotecari
che vi conoscono e apprezzano.
Considerate la vostra situazione
spazio di gioco e per il servizio
di prestito dei materiali ludici di
cui dispone” (Roberto Farnè, In-
troduzione alla Casa dei Giochi).
Il tipo di servizio che abbiamo
contribuito a far nascere alla fine
degli anni ’80 nei locali di una
ex-scuola torinese, già oltrepas-
sava questa visione di ludoteca
come “teca” dei giocattoli. Me-
glio sarebbe stato definirla Cen-
tro d’Incontro per la Promozio-
ne del Gioco rivolto a bambini/e,
ragazzi/e e alle loro famiglie.
La sua caratteristica principale,
che si è mantenuta nel tempo, è
stata la funzione di grande piaz-
za, dove per più di duemila bam-
bini è stato possibile l’incontro, il
confronto, lo scambio e lo scon-
tro nel gioco, attraverso la pre-
disposizione di un ambiente ac-
cogliente e di una progettazione
delle attività condivisa nel lungo
periodo e quotidianamente.
Un servizio che, visto con occhi
di oggi, aveva in sé parte dello
spirito e dei presupposti di quel-
lo che sarebbe diventato il pro-
getto ludoteca rivolto a tutte le
fasce d’età.
Il CIGI (Comitato Italiano Gio-
co Infantile), presieduto da
Amilcare Acerbi, ha contribui-
to alla nascita e allo sviluppo di
questa idea di ludoteca, curando
un percorso formativo ricco e
articolato, che con grande lun-
gimiranza valorizzava l’ambiente
naturale come spazio ludico fa-
vorevole alla scoperta, alla cono-
scenza, al rispetto della natura e
delle sue regole. La parte di for-
mazione prettamente ludica, di
animazione, di attività espressive
e di laboratorio di costruzione
dei giochi è stata curata dai CE-
MEA, secondo una metodologia
che muove dalla progettualità
del lavoro d’equipe. Inoltre Coca
Frigerio ha curato la formazione
intitolata “Da cosa nasce cosa”,
trasmettendo la passione e le
possibilità creative del materiale
come un’altra puntata della fiaba
che era iniziata splendidamente
e mi auguro si concluderà felice-
mente, altrimenti che fiaba è?. E
poi ho molta fiducia nel Drago
Volante per averlo visto all’opera.
Credo che l’omaggio più bello
che possiamo fare a questo stra-
ordinario personaggio sia quel-
lo di sollecitare la memoria dei
grandi che ne conservano anco-
ra il ricordo e farlo conoscere ai
più piccini riproponendo i tratti
salienti della prima puntata di
questa fiaba.
Il 23 agosto 1987 due astronau-
ti amici nostri, in orbita intorno
alla terra, avvistarono per primi
un enorme Drago Volante che
solcava con le sue ali immense
lo spazio nero e silenzioso. Le
stelle delle galassie più lontane
ammiccavano maliziose, quasi
complici dello strano passaggio:
strano davvero perché gli stru-
menti di bordo non registravano
alcun segnale. Ai nostri amici
non restò che annotare il fatto
sul diario di bordo e, sconcertati,
continuare a seguire dall’oblò il
viaggio del Drago.
Quest’ultimo si dirigeva veloce
e sicuro verso la terra. Non era
certo il suo primo viaggio sul
pianeta, ma dall’ultima volta era
passato molto tempo e ora aveva
un compito lungo e difficile: sve-
gliare i Grandi draghi dal Lungo
Sonno e restituire loro la capaci-

D 14 D 15
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
tà di volare, persa durante il Tre-
mendo Gelo.
Per primo cercò il Drago Blu che
era solito dimorare nelle profon-
dità delle acque marine, ma in
occasione del Lungo Sonno ave-
va scelto come letto il fiume Po,
all’altezza proprio della città di
Torino, in prossimità del Castel-
lo del Valentino; ed era ancora lì,
enorme, con la sua mole e tutta
la sua immensa forza. Il Drago
Volante lo svegliò lentamente
raccontandogli di antichi eroi, di
lunghe lotte tra i flutti del mare
in tempesta, di ricchi tesori con-
quistati con audacia e bravura da
bambini diventati, così, adulti:
gli ricordò l’Antro del Corsaro
e la storia del piccolo Gianni.
Le storie fluivano alla mente del
Drago Blu trasportate dalle onde
e dai mulinelli.
Si calò poi nella bocca del vulca-
no per svegliare il Drago Rosso
che dormiva beato, cullato dal
brontolio della lava. Il Drago Vo-
lante ricordò la storia del Tesoro
di Fuoco, il più nascosto, il più
difficile da trovare, il più gelo-
samente custodito dei tesori. Il
Drago Rosso si svegliò ruggen-
do, allegro, chiassoso, pronto alla
nuova sfida, alla nuova avventu-
ra: altri tesori avrebbe messo in
gioco, altri bambini e ragazzi si
sarebbero misurati con lui per
carpirgli il tesoro e diventare fi-
nalmente adulti.
Fu poi la volta del Drago verde
che sonnecchiava nel folto del-
la foresta amazzonica ricoperto
ormai da una lussureggiante ve-
getazione. A lungo l’agile Drago
U
n articolo per Amil-
care? Ci penso… No,
non può essere un
articolo, è un dialogo,
un colloquio come tanti avuti in
passato periodicamente, un ri-
sentirci al telefono per illustrare
le novità, i nuovi percorsi intra-
presi e riannodare ogni volta il
filo del discorso interrotto. Ecco
è questo che farò caro Amilcare,
parlarti direttamente come ab-
biamo fatto fino ad un anno fa,
prima che qualcosa di irreversi-
bile ponesse fine alle parole.
Devo tornare indietro negli anni,
un bel po’ di anni per ricostruire
le tracce di questo percorso che
ci ha accomunato e che abbiamo
professionalmente condiviso.
Vent’anni giusti sono trascorsi
da quando arrivasti in questa
Omegna piovosa che accoglieva
sempre te e Maria Teresa con i
rubinetti autunnali o primave-
rili aperti, quasi un omino sulle
nuvole di rodariana memoria ti
aspettasse ogni volta per darti il
benvenuto. Anche durante l’ul-
timo tuo arrivo portasti con te
l’ombrello ma, per ironia, questa
volta non piovve e lo dimenti-
casti qui quell’ombrello; lo con-
Verde volò con il Drago Volante,
a lungo parlarono nella strana
lingua dei draghi che, ahimè, a
noi adulti è dato parlare ma non
capire e ai bambini capire e non
parlare.

Volando su un’immensa prateria
i Draghi si salutarono forse ri-
cordando la storia della bambi-
na che chiudeva gli occhi perché
voleva restare piccina.
Il Drago Volante proseguì sve-
gliando il Drago Lilla che si era
avvolto tra le pieghe delle neb-
bie del Tonchino. Il Drago Lilla
comunicò al Drago Volante che,
prima del Lungo Sonno, aveva
compilato un “Decalogo per i
Draghi” da pubblicare in occa-
sione del loro prossimo raduno e
aveva, inoltre, svolto un’inchiesta
sul mondo degli adulti annotan-
dola sul suo quadernone. Pare
che su una pagina ci fosse scritto
quanto segue: “Quando i bambini
conquistano il Tesoro del Drago
diventano adulti. Gli adulti non
vedono più i Draghi a meno che
non viaggino nello spazio, ma ne
conservano il ricordo e il Tesoro.
Attenzione, chi ha raffreddori
ripetuti e poca voglia di giocare
forse ha perso il tesoro, nel qual
caso si consigliano cure termali e
gite prolungate ai Tropici…”
Il Drago Volante fece molti com-
plimenti al Drago Lilla e prose-
guì la sua missione. Egli impie-
gò tutto l’inverno per ritrovare i
Grandi Draghi e svegliarli uno
per uno, anche quello Giallo e
quello Nero, e poi sappiamo che
servo ancora e, naturalmente, lo
utilizzo in tuo ricordo.
Rodari fu il collante che consentì
di farci conoscere, tu, primo di-
rettore del nascente Parco della
Fantasia, io insegnante di scuola
Primaria innamorata di Rodari,
del suo essere poeta, scrittore ed
affabulatore, un genio indiscusso
che era sempre più necessario far
conoscere soprattutto agli inse-
gnanti, ai bambini e ai genitori. A
vent’anni dalla sua morte ancora
troppo pochi ne conoscevano il
nome, alcuni, una minoranza
per fortuna, nemmeno quello;
tanti ricordavano le filastrocche
usò più volte la nostra Ludoteca
per riposarsi.
Ora nuove avventure aspettano
Draghi e bambini.
Alla fine di ogni gioco, un bam-
bino il tesoro troverà e grande
diventerà. Buon’avventura!
Come dicevo, ci auguriamo di
cuore che la vicenda abbia un
lieto fine. Abbiamo pubblicato
il vostro accorato appello de-
nunciando il fatto: ci auguria-
mo che altri ci seguano affinché
un’esperienza significativa come
questa non finisca così. Sareb-
be un’ulteriore sconfitta di tutte
le ludoteche. Le informazioni
raccolte da persone autorevoli o
comunque “informate sui fatti”
parlano di spostamento tempo-
raneo ma non adeguamento di
piazza Chiaves. Bisognerà vigi-
lare perché tutto vada nel verso
giusto. I Draghi sono una razza
troppo importante per il futuro
dell’umanità e ci dispiacerebbe
se lasciassero il nostro paese ac-
cusandoci di scarsa ospitalità ...”

La storia del Drago Volante, da
cui è scaturita la scelta del nome
da dare alla ludoteca è stata ela-
borata dal gruppo originario
delle insegnanti fondatrici ed è
stata scritta da una di loro, Anna
Maria Battaglia.
Fortunatamente il Drago Vo-
lante ha trovato una nuova casa
nello stesso quartiere, nel 1998,
dotata di ampi spazi interni, ma
sfornita di area verde. Ha fatto
giocare ancora per ventun’anni
bambini e bambine, ragazzi e ra-
gazze di Torino e dintorni.
Purtroppo da settembre 2021 ac-
coglierà solo più bambini e bam-
bine da 1 a 3 anni al mattino:
speriamo che la prossima storia
non sia quella di un drago che
non riusciva più a volare. Anche
Amilcare Acerbi ne sarebbe mol-
to dispiaciuto.
composte per l’infanzia, ma ben
pochi avevano avuto modo di
apprezzarlo come scrittore per
adulti, giornalista e soprattutto
“pedagogista”. Tu, come primo
Direttore di questo Parco lettera-
rio che lo voleva ricordare e per-
petuare, ti assumesti il compito
di divulgare il pensiero rodaria-
no perché in te era profonda-
mente radicato lo spirito ludico
che ha caratterizzato tutta l’opera
di Rodari.

In quell’autunno del 2001 radu-
nasti attorno a te molti insegnan-
“CHI HA VOGLIA DI
GIOCARE CON ME?”
MARIA GABRIELLA STRINO *
* Insegnante in pensione,
studiosa di Rodari, presidente Auser
Cusio, vicepresidente Associazione
I Lamberti.

D 16 D 17
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
ti del territorio cusiano ma non
solo, alcuni arrivavano anche da
zone più distanti, accomunati
dalla volontà di conoscere per
affinare i propri strumenti pro-
fessionali e migliorare il modo di
condurre la scuola; l’obbiettivo
era renderla più viva, più parte-
cipata, per avere bambini svegli,
attivi e che sapessero in qualche
modo esprimere creativamente
il cambiamento di cui si parlava
ma che ancora rimaneva ai mar-
gini di una scuola ancora trop-
po chiusa. Una scuola che, tutto
sommato, continuava a perpe-
tuare se stessa, con piccoli guizzi
dovuti a menti particolarmente
illuminate, ma senza che si riu-
scisse a modificare la struttura di
base dell’insegnamento-appren-
dimento ancora troppo legata a
vecchi schemi e stereotipi.

Cominciasti a parlare quel gior-
no di ottobre e le tue proposte,
il tuo intercalare, mi fecero im-
mergere in quell’atmosfera che
da un po’ di anni era divenuta
un pensiero ricorrente e che per-
meava il mio modo di insegnare:
leggerezza, ilarità, divertimento,
motivazione, via via emergevano
e mi appassionavano, io che ero
già una “pasionaria”, cominciavo
sempre più a capire dove avreb-
be portato il percorso rodariano
che stavo iniziando. Quando fi-
nisti il tuo discorso e terminasti
di illustrare il progetto che avevi
ben chiaro in mente chiedesti:
“Chi ha voglia di giocare con
me?” Una mano e un braccio si
alzarono di scatto, senza atten-
dere che il pensiero venisse riela-
borato dal cervello, bastò l’input,
solo in un secondo momento ar-
rivò la voce: “Io!” dissi, più che
convinta di quello che stavo ac-
cettando in quel momento.
Fu così che iniziai a collaborare
con te e con il Parco della Fan-
bambini di far loro conoscere le
potenzialità degli strumenti in-
formatici se non attraverso l’uso
dei video-giochi? Uno scambio
importante avvenne in quel pe-
riodo tra le scuole di Napoli, di
Greve in Chianti e di Omegna.
Il risultato fu riportato sulla tri-
logia C’era tre volte il principe
Gianni; io scrissi il libro “Nomi
reali, storie virtuali” del 2002 che
sintetizzava i progetti messi in
atto tra i vari partners. Scrivesti
tu la prefazione; seguì poi la mia
collaborazione al tuo libro “Città
Creattiva. Laboratori tecnoludi-
ci” ed Tullio Pironti del 2004.
L’ottimismo e il pensiero di un
futuro migliore che stavi contri-
buendo a preparare, caro Amil-
care, sono stati costantemente i
tuoi compagni di viaggio. La rete
di conoscenze che hai saputo tes-
sere permise subito il formarsi di
un’associazione che raggruppava
i Comuni interessati al gioco e
che, in qualche modo condivi-
devano esperienze simili. Nac-
que così nei primi anni duemila
quella grande esperienza che fu
GioNa di cui tu eri il direttore.
Mi rattristò il fatto che Omegna,
sede del Parco della Fantasia
Gianni Rodari, uscì da questa
associazione in modo del tutto
inspiegabile per me. Ma tu allora
non eri più Direttore del Parco,
un cambio di amministrazione
segnò la fine della collaborazione
e, come spesso succede si dimen-
ticò anche l’esperienza pregressa.
Continuasti le tue plurime col-
laborazioni in giro per l’Italia,
in particolare si consolidò il rap-
porto intrapreso in precedenza
con le scuole e gli insegnanti del
Sud finché iniziò l’avventura con
Exposcuola di Salerno che rag-
gruppava ogni anno tutti gli or-
dini di scuola della Campania e
ne promuoveva le attività. Expo-
scuola diventò un’area di con-
fronto; tu, come direttore scien-
tasia. Allora, quelle che oggi
sono le veterane o ex veterane
del Parco, Nella e Roberta, era-
no alle prime armi e ti ricordano
ancora con emozione: quanto
hanno imparato dai tuoi inse-
gnamenti! Hanno sedimentato
una solida base rodariana che
emerge quando, a contatto con i
bambini, gestiscono i numerosi
laboratori che tu avevi avviato
nel Parco della Fantasia.
Ricordo innanzi tutto quei favo-
losi armadi gioco ideati da te e
da Daniela Martein, il tuo brac-
cio destro di allora. Armadi che
si aprivano e ciascuno presenta-
va all’interno i propri giochi, le
sedute e i piani di appoggio. Ri-
cordo soprattutto il tuo impegno
di collegamento con il territorio,
con le industrie della zona che ti
avevano offerto materiale di vari
tipo perché il gioco dei bam-
bini fosse quanto più possibile
collegato al reale: la cucina con
le pentole Lagostina, la collina
dei suoni ai Giardini della Torta
in cielo dove, all’aperto, pentole
e coperchi si trasformavano in
batterie da suonare seguendo
ritmi dati o inventati al momen-
to. Il rapporto con la fabbrica di
giocattoli Faro, le visite guidate
e altri giochi creativi inseriti nel
contesto della Ludoteca costitu-
irono attività importanti in quel
momento in cui il Parco si stava
affermando ed aprendo al so-
ciale, culturale e al mondo della
scuola, principale interlocutore.
Quegli armadi-gioco hanno
resistito a lungo, persino alle
frequenti inondazioni della lu-
doteca sempre prontamente re-
cuperate dal valido personale
interno di cui si è dotato sempre
il Parco. Ecco devo proprio dire
che la passione che hai saputo in-
fondere fin dai primi tempi, si è
mantenuta inalterata, è stata una
costante che ha aiutato il Parco a
resistere e a continuare a vivere
tifico, sapesti coinvolgere anche
le scuole che in precedenza ave-
vano collaborato con il Parco
della Fantasia, per continuare
nel segno di Rodari ciò che ave-
vamo appena iniziato a fare.
Nacquero esperienze indimenti-
cabili con le scuole di Capaccio
di Paestum, Agropoli, Mercato
San Severino che si incontraro-
no con le scuole del Nord e del
centro Italia: Omegna, Gavirate,
Greve in Chianti, Verbania. Il
gruppo, composto in un primo
tempo dalle sole scuole dell’In-
fanzia e Primarie, si allargò fino
a comprendere scuole Seconda-
rie di Primo e di Secondo gra-
do: il tema di fondo era sempre
la conoscenza e la diffusione del
pensiero rodariano, la condivi-
sione di esperienze e la ricerca di
percorsi comuni. Ricordo che si
aprirono anche nuove possibilità
per me che diventai coordinatri-
ce di questo gruppo, del tavolo
tematico sul gioco rodariano e
animatrice del Forum di con-
fronto che si aprì in quell’ambito.
Viaggi, incontri, stage tra inse-
gnanti segnarono quei tre anni
in cui portammo avanti il pro-
getto Exposcuola, ed ogni volta
che si tornava a casa, si riporta-
e prosperare anche in tempi più
bui. All’inizio i numeri di fre-
quenza stavano gradualmente
crescendo, l’opera di conoscenza
effettuata da te nei confronti dei
centri ludici nevralgici sparsi in
Italia, delle scuole e delle Ammi-
nistrazioni è stata determinante,
così come contributo dato da
noi, Direzione Didattica Ome-
gna 1° Circolo, con progetti che
allargavano il raggio di azione a
reti scolastiche di vari territori
italiani.

Ricordo che non eri tenero con
insegnanti che perpetuavano i
modi tradizionali di gestire la
classe, che limitavano la creati-
vità dei bambini che li riduceva-
no a piccoli automi, non amavi
le insegnanti che trasformavano
le classi in soldatini ubbidienti
senza suscitare e stimolare in-
teresse e motivazione. D’altra
parte la tua esperienza di peda-
gogista era basata sulle attività
ludico-ricreative che organizzavi
tra Pavia, Cremona e Torino, sui
Parchi Robinson, sulla consulen-
za esercitata a Torino all’interno
della rete delle ludoteche comu-
nali. Ti ricordo proprio come
persona instancabile, sempre
pronta ad appoggiare e rilancia-
re nuovi progetti, a cogliere op-
portunità e a mettere in contatto
tra loro esperienze significative,
per far nascere nuove situazioni
di lavoro.
La collaborazione con la nostra
scuola fu molto stretta in quegli
anni; Direzione Didattica Ome-
gna 1, Parco della Fantasia e Am-
ministrazione, seppero condurre
importanti progetti legati a Ro-
dari e alla multimedialità, sotto
l’egida costante dell’Università
Federico II e dell’Osservatorio
bambini e media. Si parlava allo-
ra dell’alfabetizzazione informa-
tica e quale modo migliore per i
va a scuola tanta voglia di fare,
conoscere, applicare, cambiare
e rinnovare. Furono anni impe-
gnativi ma molto coinvolgenti,
per me un trampolino di lancio
verso nuove attività professionali
nel mondo della formazione sco-
lastica.

Ne parlo ancora sentendo anco-
ra viva quella carica professiona-
le, umana ed emozionale che mi
ha accompagnato per gran parte
della mia vita da insegnante.
Ti trasferisti con Maria Teresa
a Monticelli, in quella bella fat-
toria in piena Pianura Padana:
ogni tanto venivo a trovarvi,
soprattutto quando organizzavi
manifestazioni ed avevi bisogno
di animatori per seguire i grup-
pi. Ricordo che, per un’occasione
simile, mi inventai Il cugino pa-
dano del Ragionier Pesce del Cu-
sio; in breve il Ragionier Pesce
del Cusio doveva istruire il cugi-
no affinché facesse qualcosa per
migliorare la condizione delle
acque del Po. Era per me un’oc-
casione per immergermi in una
situazione culturalmente stimo-
lante dove ci si ritrovava anche
in dodici a tavola e si parlava di

D 18 D 19
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
scrittura, di pittura, di eventi. In
una di queste occasioni conobbi
un Fuad Aziz che era agli albori
della sua attività, che raccontava
storie ai conviviali a partire dalle
sue tavole fatte ad acquarello.
Da questi incontri nacque anche
un’associazione che aveva come
simbolo un colibrì, animale mol-
to simbolico per il Sud America,
luogo in cui avevi vissuto parte
della tua vita.
Nel frattempo lunghi periodi di
stasi, qualche telefonata di corte-
sia, tu che continuavi le tue pluri
collaborazioni, io che mi impe-
gnavo come e-tutor dei neo-im-
messi in ruolo.

Era settembre 2009 ed arrivò la
tua telefonata; eri a Torino, colla-
boravi con la Direzione regionale
scolastica e con il Comitato per i
festeggiamenti del 150° dell’U-
nità d’Italia. Ti chiamarono per
predisporre un progetto sul gio-
co che coinvolgesse più scuole
possibili. Fui contenta di sentirti
e di ascoltare la nuova proposta.
Il progetto era davvero invitante
e, come al solito, i tuoi interven-
ti avevano uno scopo educativo
molto forte: mi proponesti di en-
trare a far parte di questa attività
di formazione sui giochi antichi.
Una bella inversione di tendenza
per me, le attività ludiche erano
una costante, ma questa volta
c’era un ritorno al movimento
completo dei bambini, quasi un
ritorno a quel progetto anni ’70
che fu A scuola con il corpo il li-
bro scritto da Fiorenzo Alfieri.
Un caposaldo, unitamente a quel
Professione Maestro che fu alla
base della formazione di ogni
insegnante MCE. Un imprinting
che resta, aldilà della tessera
dell’Associazione che puoi avere
o no ancora in tasca. Ironia della
sorte tu precedesti Fiorenzo Al-
fieri nel passaggio, due perdite
notevoli nel mondo della scuola.
Il progetto sui giochi antichi
aprì talmente tante opportunità
che, ancora una volta, seppur a
distanza e con grande profes-
sionalità unì i nostri percorsi. Il
Tocatì di Verona, festival inter-
nazionale dei giochi di strada, fu
il punto di partenza, tre giorni
di immersione totale nell’at-
mosfera del gioco; le riunioni a
Torino in Direzione Scolastica
chiarirono poi ruolo e attività da
svolgere all’interno della scuo-
la. La manifestazione centrale
del 2011 prevedeva l’incontro
di numerose classi piemontesi
riunite a Torino per festeggiare,
attraverso il gioco, quel proces-
so di Unità che iniziò proprio
qui a Torino 150 anni prima. Fu
un’occasione unica di scambio e
il regista fosti proprio tu, Amil-
care, ancora una volta, con la tua
lucidità e la tua intraprendenza
progettuale. La tua capacità di
allacciare esperienze e coin-
volgere persone, diede i propri
positivi frutti, ma di ciò non nu-
trivo ormai più dubbio alcuno.
Continuai a portare avanti ad
Omegna, con l’aiuto di partner
molto validi, una manifestazio-
ne sul gioco antico che compì 10
anni di vita nel 2019.

Arrivarono poi i momenti più
tristi per te; Maria Teresa si am-
malò, la incontrai per l’ultima
volta a casa vostra in occasione
del Convegno sul gioco del 2013
alla biblioteca di Cremona, orga-
nizzato sempre da te, instanca-
bile e apparentemente ottimista
anche nei momenti più duri.
Non ci furono poi molte altre
occasioni di incontro. Il telefono
servì in queste casi per conti-
nuare a mantenere il filo. Seguii
a distanza l’evolversi anche della
tua malattia, a pochi anni dalla
perdita di Maria Teresa, ti toccò
combattere una dura battaglia
personale. Non ti abbattevi, riu-
scivi sempre e comunque a tro-
vare nuove vie di lavoro, nuovi
sbocchi creativi, nuovi impegni
che ti davano la carica per poter
continuare. Io cambiai orizzonti,
la pensione mi condusse ad oc-
cuparmi di aggregazione e vo-
lontariato della terza età, senza
dimenticare il mio amore per la
ricerca e l’approfondimento di
Rodari.
Tu continuasti ad occuparti di
scuole dell’Infanzia e della rivi-
sta Zeroseiup senza mollare mai
fino all’ultimo. Poi il “colibrì” si
alzò in volo.

Ecco se penso al colibrì simbo-
lo della tua associazione, penso
che il tuo operato si possa rico-
noscere in quella leggenda suda-
mericana che vedeva il colibrì,
instancabile sognatore, portare
una goccia d’acqua alla volta per
spegnere un grande incendio
finché gli altri animali lo imita-
rono. La leggenda termina così:
“Sporchi e stanchi, ma salvi, tut-
ti gli animali si radunarono per
festeggiare insieme la vittoria sul
fuoco.
Il leone chiamò il piccolo colibrì e
gli disse: «Oggi abbiamo impara-
to che la cosa più importante non
è essere grandi e forti ma pieni di
coraggio e di generosità. Oggi tu ci
hai insegnato che anche una goc-
cia d’acqua può essere importante
e che insieme si può spegnere un
grande incendio. D’ora in poi tu
diventerai il simbolo del nostro
impegno a costruire un mondo
migliore, dove ci sia posto per tut-
ti, la violenza sia bandita, la pa-
rola guerra cancellata, la morte
per fame solo un brutto ricordo».
Ci stiamo lavorando tutti in-
sieme e chi si vuole unire potrà
continuare l’opera che è stata an-
che tua.
Q
uando ci è stato pro-
posto di scrivere un
ricordo di Amilcare
abbiamo accettato
subito! Nell’arco della decina di
giorni concordati per la conse-
gna del testo abbiamo iniziato,
con commozione, un’infinità
di volte a redigere un testo par-
tendo sempre da spunti diversi.
Quante cose ci sarebbero da dire
su Amilcare… Quanti ricordi…
Ora il tempo è scaduto, dobbia-
mo scrivere.
Di Amilcare pedagogista è me-
glio che lasciamo il racconto alle
migliaia di dirigenti scolastici,
insegnanti, educatrici ed educa-
tori, animatori che hanno avuto
la fortuna di incontrarlo per for-
mazione o per lavorare ai suoi
progetti.
Del professionista, fondatore e
responsabile della prima City
Farm italiana. Co-ideatore del
Centro per la cultura ludica del
Comune di Torino, presidente
per anni del Comitato italiano
per il gioco infantile (CIGI), di
GioNa... autore di importanti e
lungimiranti testi sull’importan-
za del gioco, tuttora attuali, non
ne abbiamo l’autorità nè la com-
petenza.
Per ricordare l’Acerbi ideatore
di manifestazioni dedicate alla
cultura ludica quali “Gradara
Ludens”, “Arte in gioco” ad Al-
bano di Lucania, “Il festival delle
fiabe”... bisognerebbe compilare
un lunghissimo elenco nel quale
si rischierebbe di perdersi.
Potremmo però provare a rac-
contare di Amilcare, lungimiran-
te sperimentatore, instancabile
giocatore, intrigante ammaliato-
re al quale non si riusciva a dire
di no, fantasioso giocoliere, pre-
zioso e generoso amico.

Abbiamo conosciuto Amilcare
nella primavera del 1995 quan-
do, semplicemente dopo una
telefonata, ha accettato di parte-
cipare al nostro primo convegno
“Gioco Spazio Città” a Lodi. Il
convegno era la fase conclusiva
di una grande mostra che san-
civa la nascita formale di “Ani-
mum Ludendo Coles” associa-
zione artistica che ha lo scopo
di sviluppare la diffusione del
gioco della tradizione popolare e
valorizzare l’artigianato artistico
italiano.
Nella mostra, oltre alla serie di
acqueforti dedicata ai giochi da
tavolo, una rielaborazione di an-
tichi giochi da osteria da noi ide-
ati, incisi e stampati, presentava-
mo i primi prototipi dei giochi a
percorso in pietra e legno che ci
caratterizzano.
Il nostro interesse per i gio-
chi della tradizione era iniziato
nell’estate del 1991 quando, per
puro diletto, abbiamo dipinto
sul cemento, già molto ammalo-
rato, dell’aia di una cascina nella
campagna cremasca, un artistico
“Grande Gioco dell’Oca”... Una
performance ludico-artistica un
po’ goliardica che ci ha però per-
messo di scoprire le grandi po-
tenzialità di questo antico passa-
tempo e soprattutto, di scoprire
un gioco per tutti!
Il gioco dipinto riscosse un gran-
de successo tra gli amici, i figli
degli amici, gli amici degli amici
LUDENDO
FURIO FERRI e PAOLA MAESTRONI *
* Furio Ferri: artista e design,
Paola Maestroni: restauratrice e
incisore, fondatori dell’associazione
artistica, senza scopo di lucro,
Animum Ludendo Coles.
Gli autori ripercorrono il turbinio di progetti,
variegati nella forma, nel tempo e nello spazio
condotti insieme ad Amilcare Acerbi,
tutti accomunati dalla voglia di far cimentare
i bambini nel gioco spontaneo, vivere la
natura e il territorio.
Rimini 2008:
Acerbi con Paola Maestroni

D 20 D 21
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
che trovarono grande diletto e
ne apprezzarono le tante quali-
tà. Persino Giampaolo Dossena
lo descrisse in un suo articolo
come il “gioco dell’oca dipinto
più grande che ho visto”.
Tornando ora alla telefonata con
Amilcare, non ci sembrava vero
che un noto pedagogista con già
molte pubblicazioni alle spal-
le e un curriculum importante,
dedicasse il suo sapere e un’in-
tera giornata del suo prezioso
tempo a due artisti un po’ folli
che si erano inventati di voler
incastonare, ovunque nelle pa-
vimentazioni delle città, giochi
a percorso e della tradizione in
pietra o di dipingerli sull’asfalto
per rendere gli spazi pubblici sti-
molanti, aggreganti e vivibili da
cittadini di tutte le età, culture
e abilità. Elementi unici senza
ingombri verticali e barriere ar-
chitettoniche, durevoli, carrabili
e senza costi di manutenzione,
veri monumenti giocabili.
Arrivò da Cremona un paio d’ore
prima del convegno, visitò entu-
siasta la mostra e ci chiese se era-
vamo disponibili ad allestire uno
spazio al Castello di Belgioioso
nell’ambito della manifestazione
“Amico libro”, nel quale ripro-
porre tutto il materiale esposto.
E se, visto che eravamo lì, po-
come sempre! - E tutto veniva
benissimo, come sempre!

Anche noi però ogni tanto lo
chiamavamo per coinvolgerlo in
progetti didattici, spesso in con-
vegni e anche Amilcare non ci ha
mai lasciato soli, neanche in que-
sti ultimi anni, quando la malat-
tia aveva già molto intaccato la
sua forte corazza da Guerriero.
I principi sui quali si basavano
i suoi interventi erano lapidari,
declinati a seconda del contesto
e della tematica da affrontare:
“Come si fa a insegnare la cit-
tadinanza o il senso civico se,
quando usciti di casa, non si tro-
va una comunità accogliente?….
La prima regola è abituare le
persone a vivere bene e insieme
negli spazi della propria città, si-
ano piazze, giardini o altro. Pur-
troppo questo principio non è
uno dei punti di riferimento del-
le amministrazioni locali. Non
è una questione di soldi quanto
di volontà politica e di cultura.
Diceva: I comuni devono ga-
rantire ai bambini, come dice la
Convenzione internazionale sui
diritti dell’infanzia, il diritto al
gioco, alla comunicazione, alla
relazione, all’arte. Devono!
È una questione di cultura ovve-
ro di come far sì che la cultura
ludica, che consente la relazione
tra bambini e ragazzi, nonchè la
gestione autonoma del proprio
tempo libero, possa essere pro-
pagata e diffusa.”

E anche quando ci si ritrovava
davanti a un buon bicchiere di
vino non mancava mai di pun-
tualizzare sulla differenza tra
gioco libero e spontaneo e le
discipline sportive, sull’ecces-
siva preoccupazione per la “si-
curezza” che limita l’autonomia
dei bambini e partiva con le sue
tevamo anche organizzare un
laboratorio sul gioco a percorso
per i bambini delle scuole ele-
mentari e medie che venivano
in visita alla mostra. Come po-
tevamo dire di no?! E così sia-
mo diventati una presenza fissa
in tutte le successive edizioni di
“Amico libro” con i nostri labo-
ratori sull’utilizzo educativo-di-
dattico-creativo del gioco a per-
corso.
Credo che di noi lo abbia attirato
in primo luogo la nostra attitudi-
ne e formazione artistica: a tutti
ci presentava come Paola e Furio
“gli artisti”, un po’ visionari, di-
spensatori del gioco libero. Ha
sicuramente riconosciuto in noi
la passione per quello che propo-
nevamo e che tuttora portiamo
avanti, la stessa passione che gli
ha dato il potere carismatico di
uno sciamano che, a seconda dei
casi, sapeva dialogare alla pari
con bambini, adolescenti o con
assessori, dirigenti e politici; tra-
sformarsi in un grande folletto
delle favole che raccontava ne-
gli incontri all’aperto, progettare
ludoteche, aree gioco o mobili
educativi.
Ha cercato, soprattutto nei primi
anni di frequentazione, di tra-
smetterci tutto quello che, sapeva,
avrebbe potuto servirci per cre-
scere e portare avanti importan-
ti obiettivi: favorire nei bambini
esperienze concrete in autono-
mia, sperimentare e vivere il gio-
co come un importante elemen-
to di incontro e di aggregazione
spontanea capace di favorire la
conoscenza, l’integrazione e l’in-
clusione; contrastare l’isolamento
e le forme di disagio determinate
da un uso eccessivo e improprio
delle nuove tecnologie, riconqui-
stando e vivendo fin dai primi
anni l’ambiente esterno.
Ci ha fatto conoscere tante per-
sone meravigliose, riempito di
libri: sugli spazi di apprendi-
provocazioni: - a Venezia non ci
sono più bambini…tutti morti
annegati… -
Ad Animum Ludendo Coles at-
tribuiva un grande merito, quel-
lo di: “…. essere riusciti a filtrare
una parte della cultura ludica,
quella di strada, che bambini
e ragazzi gestivano autonoma-
mente, passandola dal più gran-
de al più piccolo, valorizzandola
con una grande attenzione all’a-
spetto estetico e attualizzando-
la tramite la condivisione e la
progettazione didattica con le
scuole. L’ultimo e innovativo
passaggio è l’utilizzo della rete, il
Ludicode, ovvero il modo, usan-
do strumenti moderni digitali,
di creare relazione tra i ragazzi”.
In ultimo, verso giugno/luglio
2019 ci telefona: - Sono a Mon-
ticelli vi aspetto, andiamo al Cir-
colo a mangiare un boccone che
vi devo parlare di un progetto.
- Abbiamo trascorso una bel-
lissima giornata! Amilcare era
in forze, da Monticelli ci siamo
trasferiti nel pomeriggio a Ca-
salmaggiore alla Cascina Sereni
dove abbiamo visto la collezione
di antiche canoe e poi passeggia-
to a lungo nel bosco sull’argine
del Po, quasi non riuscivamo
a stargli dietro… Ci ha parlato
dell’ambizioso progetto di recu-
pero dell’edificio e di tutta l’area
rurale. L’aia della cascina deve
diventare il centro simbolico e
vitale del nuovo complesso: nella
nuova pavimentazione vuole in-
serire un’installazione in pietra
mento, sull’importanza del gioco
nello sviluppo del bambino, sui
parchi gioco Robinson e l’auto-
nomia, sulla città possibile, sulla
partecipazione e l’inclusione, pa-
role queste che trent’anni fa era-
no rivoluzionarie.
Ci ha appoggiati e spronati nell’e-
laborazione di quello che, ormai
da oltre venticinque anni, è il
format che utilizziamo in tutti
i nostri progetti partecipati con
le scuole per la creazione delle
immagini che vengono scolpite
sulle caselle dei giochi in pietra
che realizziamo.

Ogni tanto ci telefonava: - Ci sa-
rebbe da andare a Bologna alla
Fiera Internazionale del libro
per ragazzi… C’è uno spazio in
esterno dove allestire il grande
gioco dell’oca (100 mq) avete
voglia e tempo? Volete venire a
Gradara Ludens con il labora-
torio sul gioco a percorso?… A
fine aprile sono ad Albano di Lu-
cania tre giorni di “Arte in gioco”
non potete mancare, facciamo
anche la mostra con le incisio-
ni di Paola sui giochi da tavolo.
Cosa portiamo quest’anno al
Tocatì? Dobbiamo allestire Piaz-
za Pescheria, dovete intervenire
anche a un convegno, potete pre-
sentare il Ludicode…
E così via, a Omegna, Verbania,
Udine, Siano…. non abbiamo
mai rifiutato alcuna proposta….
anche le più folli o faticose!
A volte tentavamo un: - Non
ce la possiamo fare… c’è poco
tempo, è la settimana prossima,
dobbiamo organizzarci, imbasti-
re un progetto, pensare a quello
che serve, trovarlo…- E lui ci
guardava con quei suoi occhi nei
quali si percepiva una costante
profonda curiosità, divertiti e un
po’ ironici e diceva: - Beh… che
cosa sarà mai per due bravi crea-
tivi come voi… verrà benissimo,
ispirata al tracciato del Terzo Pa-
radiso di Michelangelo Pistolet-
to, un grande gioco a percorso,
motorio e di confronto.
Ci chiede quindi una prima pro-
posta di massima per capire se
l’idea è fattibile.
Furio si mette al lavoro, l’idea è
entusiasmante. Ci confrontiamo
su diversi passaggi poi, a ottobre,
una giornata di incontro con in-
segnanti, formatori e professio-
nisti, condotto da Amilcare e da
Carlo Stassano, che si trasforma
in un percorso artistico senso-
riale nell’ampio territorio del
podere. Il progetto definitivo del
“Gioco a percorso Terzo Paradi-
so” è pronto nei primi mesi del
2020 giusto per essere allegato al
progetto generale e presentato a
un Bando di finanziamento Ca-
riplo e lo inviamo anche a Pisto-
letto per approvazione.
È ottobre, sappiamo che Amil-
care è duramente provato dalla
malattia, ma è anche molto im-
pegnato nella stesura finale del
suo libro; ci sentiamo spesso: -
Pistoletto è molto contento del
progetto di Casalmaggiore….
Andremo a trovarlo….-

Grazie Amilcare per averci so-
stenuto, aiutato a crescere e
spesso ”passata la palla”, faremo
il possibile per proseguire gli ul-
timi progetti, certi che anche da
un “terzo paradiso” continuerai,
se necessario, a non farci manca-
re il tuo consiglio.
La chiocciola
a Crema
La morra saltata

D 22 D 23
T
utto cominciò nel 1987.
Quando Giancarlo Pe-
renprunner con Paola
Catta mi invitarono a
partecipare ad una esposizione
presso il Centro per la Cultura
Ludica nella zona delle Vallette
di Torino. Rimasi sorpreso di es-
sere stato interpellato da un ente
comunale, Giancarlo aveva già
contattato altri modellisti trami-
te i negozi specializzati di Tori-
no, dove venne a sapere di me e
del Gruppo Modellisti Michelin.
Mi propose l’idea di realizzare
presso il Centro una sezione de-
dicata al modellismo, il C.C.L. fu
fondato dai pedagogisti Walter
Ferrarotti e Amilcare Acerbi, di-
rettore del Centro fu Giancarlo
Perenprunner.
Oltre ad altre esperienze molto
significative l’autore ne riporta
una che rispecchia in modo par-
ticolare il pensiero e il modo di
agire di Amilcare, l’ideazione e
l’allestimento della mostra inte-
rattiva e dei laboratori rodaria-
ni “Giovannino Perdigiorno nel
paese dei mostri: dai dinosauri
alle macchine inutili di Munari e
agli Ubu di Baj, ispirata a Gian-
ni Rodari, dove racconti e azioni
intrecciano realtà e fantasia”. L’i-
deazione è dello Studio Acerbi
& Martein, di Pavia, in collabo-
razione con Roberto Latini, mo-
dellista di Torino - De Agostini
Editrice, Novara - Apic, mostre,
Cremona.

Letture e giochi, per bambini
e ragazzi dai 5 ai 14 anni, qui
diventano piacevoli stimoli e
spunti per il lavoro scolastico,
per semplici o complessi esercizi
di fantasia, di educazione all’e-
spressività, di educazione alla
consumi e fantasie attraverso
narrazioni televisive e cartacee,
giocattoli, pupazzi, magliette,
berrettini, gadget vari.
Il tutto il più delle volte viene am-
bientato in contesti estremamen-
te lontani dalla realtà quotidiana
dei bambini, in vicende dove la
relazione giocosa e operativa tra
bambini non è necessaria (il con-
sumo delle storie avviene in soli-
tudine), tutt’al più preme la sug-
gestione e l’imitazione reciproca,
dove comunque prevale l’obietti-
vo collezionistico anziché quello
esplorativo ed esperienziale.
Ebbene, ci siamo chiesti se tale
fenomeno, tendenzialmente pas-
sivizzante e omologante, non
possa essere in qualche modo
contrastato e utilizzato.
Non è possibile negare l’esistenza
di questi immaginari “genera-
zionali” e tanto meno opporre
ad essi un immaginario teorica-
mente “migliore” che sia altret-
tanto coinvolgente.
Ma Gianni Rodari, con le sue
opere e con la sua Grammatica
della Fantasia, insegna come si
possano comporre narrazioni
che, senza trascurare la realtà (di
fatti, cose, persone, animali) ri-
sultino attraenti, piacevoli, diver-
tenti, così come possano risulta-
re altrettanto sollecitanti per la
riflessione e il pensiero; semplici
nella composizione, stimolanti
verso la creatività; promemoria
divergenti, positivi, sui problemi
del vivere e del convivere.

Abbiamo dunque pensato di
sperimentare un approccio cre-
ativo, operativo, ottimistico, in
uno dei mondi dell’immaginario
infantile più fortemente solleci-
tato negli ultimi anni dalle pro-
duzioni per l’infanzia, quello dei
dinosauri, dei mostri, delle paure
e ne è scaturita una mostra inte-
rattiva, nella quale un simpatico
personaggio rodariano accom-
pagna il visitatore, Giovannino
Perdigiorno.
Chi è Giovannino Perdigiorno
Giovannino Perdigiorno è un
personaggio inventato da Gian-
ni Rodari. Appartiene alla stirpe
dei grandi esploratori: ha curio-
sità e spirito d’avventura. I mon-
di che spesso incontra, però, non
lo soddisfano completamente e
così, dopo una breve sosta, ri-
parte per inseguire il sogno di un
“paese senza errore”, dove tutto
sia “perfetto” e “bello”.
Giovannino nel suo lungo pere-
grinare visita il pianeta di ciocco-
lato, il pianeta nuvoloso, il pianeta
malinconico, il pianeta fanciullo,
il paese senza sonno, il paese del
“ni”, il paese senza punta, il paese
con l’esse davanti, il pianeta bu-
giardo, il paese senza errore ….
Incontra gli uomini blu, gli uo-
mini pianta, gli uomini a motore,
gli uomini di carta, gli uomini di
zucchero, gli uomini a vento e
tanti altri che si possono scoprire
leggendo I viaggi di Giovannino
Perdigiorno, edizioni Einaudi, con
le illustrazioni di Altan.
creatività logica; sviluppano at-
tività emozionanti e simpatiche
che avvicinano alla conoscenza e
alla riflessione; tutto ciò pescan-
do tra gli idoli che l’industria
contemporanea costruisce e di-
strugge, freneticamente.
Compagno in questo viaggio
inusuale è Giovannino Perdi-
giorno, infaticabile esploratore
rodariano, di paesi e uomini
dell’immaginario infantile.
Intervista ad
Amilcare Acerbi
Perché Rodari con i Dinosauri?
Una possente macchina econo-
mica composta da editori, pro-
duttori e venditori di giocattoli,
creativi, pubblicitari, mass me-
dia oggi alimenta a ondate pe-
riodiche l’immaginario infantile
(Potter, Ninjia, Dinosauri, Puffi,
vi dicono qualcosa?) inducendo
35 ANNI
DI ATTIVITÀ LUDICHE
ROBERTO LATTINI*
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
* Responsabile APT sezione
Modellismo Volvera. Ricercatore
Nautico Laboratorio Italiano
Archeologia Sperimentale.
Consulente di Modellismo Centro
Cultura Ludica Istituto Italiano di
Archeologia e Etnologia Navale.
Fano: laboratorio costruzione di una zattera
Triceratops
Arco Romano Museo Diocesano

D 24 D 25
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
La canzone
di Giovannino
Giovannino Perdigiorno
È un grande viaggiatore,
viaggia in automobile,
in moto, in ascensore,
viaggia in monopattino,
a piedi, in aeroplano,
viaggia in dirigibile,
col carrettino a mano,
con il treno diretto
e con l’accelerato,
ma un paese perfetto
non l’ha ancora trovato …
Le sezioni disponibili
• Il paese dei dinosauri
Modelli e habitat del “c’era una
volt a …”
- Il paese degli animali di parole
• Animalario immaginario; in-
venzioni da bambini
- Il paese dei mostri notturni
Tra ombre e realtà con il popolo
della paura
- Il paese degli ecomostri
La discarica della creatività
• Il paese dei mostri meccanici
Ingegneria fantascientifica
• La Dino-biblioteca
Una raccolta di libri per ragazzi
e per adulti sui temi dei dino-
sauri, dei mostri e della paura; di
cataloghi delle case editrici che
stampano libri sui dinosauri; di
idee per attività didattiche sul
tema.
• La Sauro-pinacoteca
Un’esposizione di riproduzio-
ni di opere di vari artisti e illu-
stratori di libri per bambini, sul
tema; ma anche di opere di bam-
bini, inerenti dinosauri e paure.
• LA MOSTRA DEI MOSTRI
Giovannino P. ancora in viaggio
Le sezioni della mostra / labora-
torio
Scheda tecnica completa
• Il paese dei dinosauri
Modelli e habitat: c’era una volta?

Fu una esperienza favolosa pie-
na di gioco e avventura tra di-
nosauri e capanne da montare
su plance da un metro quadro
con fori per allestire la vege-
tazione con stecconi e carta
per realizzare gli alberi. Altre
plance di legno dovevano es-
sere composte come un puzzle
per costruire una capanna con
gli stecconi e spago o strutture,
sempre a sezioni, rappresen-
tanti antichi monumenti come
le piramidi precolombiane. I
ragazzi che sono passati attra-
verso questa esperienza si sono
divertiti nel mondo fantastico
di Rodari. Negli intervalli di
tempo tra una mostra e l’altra
io proseguivo la mia consulen-
za al Centro della Cultura Lu-
dica assieme a Giancarlo.

Devo dire che sia Giancarlo che
Amilcare furono ispirazione di
gioco continuo e voglia di rea-
lizzare eventi, soprattutto sono
stati due Amici oltre che colleghi
di avventure. Mettendo assieme
progetti e realizzando mostre
didattiche, lo stare con loro era
un continuo creare e divertirsi
come non mai con studenti ra-
gazzini e anche adulti. Ricordo
la mostra di chiodi, quella delle
zucche, dei laboratori di giochi
popolari che Giancarlo realizzò
e propose durante le attività del
Centro, sia quello di Torino che
quello di Grugliasco con Ivano
Ciravegna. La realizzazione del
giornale periodico Homo Lu-
dens: un insieme di racconti e di
idee per come realizzare modelli
ludici, con informazioni di ogni
tipo, anche passando attraverso
proposte per la costruzione con
materiali vari di strumenti musi-
cali, realizzando poi dei concerti
con i Santinbanchi.
Assieme a Loro ho passato veri
momenti di magia che mi ripor-
tavano ad essere ancora ragazzi-
no nonostante l’età, facendomi
capire che il gioco fatto come
lo realizzavamo noi era un forte
motivo per rimanere giovani a
qualsiasi età.
Dinosauri
Capanna
Capanne:
mostra su
Rodari con i
dinosauri
Dinosauro moderno

D 26 D 27
I
Cemea del Piemonte sono at-
tivi dal 1981.
In Piemonte si era compiuto
un processo che aveva, nel
settore socio-educativo degli
anni ’70, dato vita al movimento
“dell’animazione” dal quale pro-
venivano i fondatori stessi dei
Cemea del Piemonte.
L’originalità di questo gruppo
era che i Cemea nascevano per
superare quella fase e dare inizio
a nuove prospettive d’intervento,
anche perchè alla fine degli anni
’70 già appariva chiaro come la
spinta propulsiva del movimento
dell’animazione di fosse esaurita.
Il fatto che veniva contesta-
to era che accanto alle materie
classiche scolastiche si creavano
nuove isole d’attività gestite da
esperti capaci e ancora una vol-
ta si rischiava di intervenire per
obiettivi parziali che tendevano
a separare l’intervento educativo
dalla vita reale, dai bisogni com-
plessivi di cui erano portatori i
soggetti in causa.
Per i Cemea del Piemonte tutto
inizia nei primi anni ’70, quando
Lucia Airaudo Caneva e Enrico
Monteil (insegnante e direttore
della Colonia Marina della Città
di Torino a Loano) vanno a Gre-
noble per seguire le formazio-
ni per educatori BAFA e BAFD
(Brevetti istituiti e riconosciuti
dallo Stato Francese) coi Cemea
per poi lavorare nei centri di va-
canza in Francia.
Dopo alcune esperienze e una
breve interruzione, nel 1979 il
responsabile dei Cemea di Gre-
noble, Leon Jadeau, ricontatta
Lucia Airaudo Caneva, con la
quale aveva collaborato alla ge-
stione del centro di vacanza di Le
Percy en Trieves, soggiorno dove
Jean Planchon, medico e respon-
sabile dei Cemea, aveva condot-
to importanti studi sul sonno e
i ritmi di vita dei bambini dai 3
ai 6 anni.
Lucia Airaudo Caneva riunisce
un gruppo di animatori e giova-
ni con i quali collaborava alla ge-
stione dei Centri d’Incontro del
quartiere Mirafiori Nord a Tori-
no e con essi avvia un percorso
di formazione e di esperienze
nei centri di vacanza francesi
che porta alla costituzione, il 5
ottobre 1981, dei Cemea del Pie-
monte a Torino con l’aiuto degli
amici francesi delle Delegazioni
Cemea di Grenoble e Nizza.
Il centro di vacanza rappresenta
per noi, in quegli anni, un’istitu-
zione educativa originale che si
ispira ai principi dell’Education
Nouvelle e che pone al centro
delle sue preoccupazioni il bam-
bino, rappresentando soprattut-
to una rivoluzione in rapporto
alle esperienze delle vecchie co-
lonie italiane.
Però, per i Cemea del Piemonte,
l’urgenza è di superare la struttu-
ra del gruppo dedito principal-
mente all’esperienza dei centri di
vacanza per entrare in una con-
creta dinamica di confronto con
la realtà dei servizi socio-educa-
tivi, dei progetti didattici a più
vasto respiro e della sempre più
importante educazione ambien-
tale nella natura e nell’ambiente
urbano.

Si presenta, all’inizio del 1982,
l’occasione dell’esperienza della
gestione del Centro di Soggiorno
“Burlando”, per classi della scuo-
la dell’obbligo, a Levone Canave-
I CEMEA DEL PIEMONTE
E AMILCARE ACERBI
ALDO VOLPI *
* A cura del CeRGiS dei CEMEA del
Piemonte
Questa testimonianza evidenzia come Acerbi,
nel suo ruolo di amministratore di servizi
per l’infanzia, abbia appoggiato le iniziative
che valorizzano e mettono al centro il gioco
con le sue valenze educative.
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
se per il Comune di Torino, che
durerà fino al 1986.
In quel periodo, nel tentativo di
intraprendere una nuova ricer-
ca-azione che valorizzasse anche
le qualità dell’extrascuola, i Ce-
mea del Piemonte si incontraro-
no con alcuni movimenti come
il Movimento di Cooperazione
Educativa, il Comitato Italiano
del Gioco Infantile, i Centri Ri-
creativi Aziendali di ENEL, Oli-
vetti, SIP e gli Enti Locali pro-
gressisti come Torino, Genova,
Pavia ...

Alla fine degli anni ’80 grazie a
numerose esperienze nella for-
mazione e nella gestione di ser-
vizi educativi dentro e fuori le
scuole, i Cemea del Piemonte
vengono coinvolti in due impor-
tanti avvenimenti dal Comune
di Torino: la Biennale del Gioco
e Giocattolo e il Manifesto per
l’Educazione Ambientale: Am-
biente Educazione Sviluppo.
In entrambe le occasioni incon-
triamo Walter Ferrarotti, Re-
sponsabile dei Servizi Educativi
della Città di Torino, Amilcare
Acerbi e amministratori di enti
locali progressisti e rappresen-
tanti dei gruppi sopra citati, con i
quali avviamo collaborazioni per
numerosi progetti di formazione
e gestione di servizi educativi.
Successivamente negli anni ’90,
sempre su incarico del Comune
di Torino e in collaborazione con
Amilcare Acerbi, i Cemea del
Piemonte iniziano un percorso
formativo sul gioco per le/gli in-
segnanti delle ludoteche.
Parallelamente in quegli anni
iniziano anche una serie di col-
laborazioni per la gestione delle
ludoteche e del Centro per la
Cultura Ludica del Comune di
Torino, nato ad opera di Gian-
carlo Perempruner e del CIGI,
di cui Amilcare Acerbi era pre-
sidente e per volontà di Walter
Ferrarotti. I Cemea vengono
coinvolti nella gestione di labo-
ratori per “Crescere in Città” nel-
le scuole di Torino e Provincia,
elaborano percorsi di educazio-
ne ambientale rivolti alle classi in
collaborazione con i responsabili
del Parco della Mandria, Par-
co di Prà Catinat, Parco del Po,
Parco di Portofino, continuando
a organizzare e gestire centri di
vacanza su convenzione con AR-
CA-ENEL, CRE-SIP, DELTASI-
DER, FFSS, Circolo Ricreativo
Dipendenti Comunali e vari Enti
Locali.

Infine, per arrivare ai giorni no-
stri, le collaborazioni si allargano
a progetti rivolti alla prevenzio-
ne del disagio giovanile, ai ser-
vizi educativi di territorio per
minori, all’inserimento di por-
tatori di handicap, alla gestione
di comunità alloggio per mino-
ri, ai servizi socio-terapeutici e
di reinserimento professionale
e sociale per soggetti psichiatri-
Inaugurazione della Comunità Mamma-Bambino dei Cemea
Formazione per insegnanti comunali presso la ludoteca Serendipity

D 28 D 29
Gli ambienti aperti, più ampi delle aule
o delle camerette di casa, favoriscono
di per sé l’esplorazione, la relazione
spontanea tra bambini, la elaborazione
di strategie di intrattenimento, perché
i bambini, sin dall’inizio della loro vita,
sono esploratori del loro ambiente,
interessati e spinti a essere autonomi.
NATURA
E TERRITORIO
Pexels.com
Congresso della Federazione Internazionale dei Cemea 1997
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
ci, alle attività di riabilitazione e
socializzazione per anziani, agli
scambi internazionali di giovani,
ai servizi di educazione ambien-
tale, alla gestione di nidi per l’in-
fanzia, alle formazioni del perso-
nale educativo ispirate ai principi
dell’Educazione Nuova. I Cemea
continuano oggi a proporre un
percorso educativo e formati-
vo che associa l’agire alla rifles-
sione. Si tratta di una scelta che
corrisponde alla nostra determi-
nazione di agire nella realtà, di
trasformarla per promuovere lo
sviluppo di donne, uomini e cit-
tadini liberi e responsabili.
Il nostro scopo è lo sviluppo di
un’educazione e di una cultura
per tutti in cui l’autonomia, la
socializzazione, la libertà, la so-
lidarietà siano elementi fonda-
mentali.
Nel corso della nostra storia
Giselle de Faille, fondatrice dei
Cemea, è stata capace di sin-
tetizzare efficacemente i valori
fondamentali, a Caen nel 1957,
i principi direttivi che, riletti e
contestualizzati quotidianamen-
te esprimono e garantiscono la
modernità del nostro progetto:
• ogni essere umano può svilup-
parsi e trasformarsi nel corso
della sua vita, egli ne ha il desi-
derio e la possibilità
• non vi è che un’educazione, si
indirizza a tutti ed è di ogni mo-
mento
• la nostra azione è condotta in
stretto contatto con la realtà
• ogni essere umano, senza di-
stinzione di età, origine, convin-
zione, cultura, situazione sociale
ha diritto al nostro rispetto
• l’ambiente gioca un ruolo capi-
tale nello sviluppo della persona
• l’educazione si deve fondare
sull’attività, essenziale per la for-
mazione personale e l’acquisizio-
ne della cultura
• l’esperienza personale è un fat-
tore indispensabile per lo svilup-
po della persona
• la laicità come idea regolativa e
rifiuto del dogmatismo, integra-
lismo e ogni forma di autoritari-
smo.

Benché Amilcare Acerbi non
abbia mai fatto parte dei Cemea,
ogni volta che ci siamo incon-
trati hanno prevalso i fattori
comuni sulle diversità e siamo
certi che egli abbia condiviso la
bontà dei nostri principi ispira-
tori e delle nostre pratiche. Di lui
portiamo con noi il ricordo di un
amministratore e organizzatore
di servizi competente e determi-
nato e con un grande senso della
concretezza.
Un amministratore di servizi
per l’infanzia che ha promosso il
gioco come attività prioritaria e
da valorizzare. A lui va il nostro
sincero riconoscimento.

D 30 D 31
Pexels.com
Il verde vive tutto
l’anno. Viverlo insieme
Insegnanti, genitori e bambini
che vivono in città elaborano
della natura e del verde un im-
maginario “bucolico”, gli aspet-
ti estetici sono prevalenti, così
come quelli emozionali e poetici.
Natura è un prato, qualche albe-
ro, fiori a cespuglio, passeri, pic-
cioni, cornacchie e gazze ladre:
un parco urbano o una porzione
ben curata in riva all’acqua.
La natura come ecosistema, in-
sieme di erbe, arbusti, alberi,
insetti, animali e animaletti, co-
stantemente in interazione per
la sopravvivenza, quindi caratte-
rizzate da elementi e azioni di di-
fesa o di sopraffazione, e ancora
radici, buche, pozzanghere, fos-
si, corsi d’acqua, si fatica a com-
prendere.
Altrettanto si riesce a fatica ad
annoverare nella natura l’agricol-
tura, dove la prevalenza dell’ope-
ra dell’uomo è tale da non far
pensare che quanto l’agricoltore
produce, di vegetale o animale, è
anch’esso elemento vivo, quindi
naturale.
Per evitare che l’una e l’altra vi-
sione si riducano a sequenze
staccate, come educatori è neces-
sario elaborare strategie che crei-
no confidenza con gli elementi
ve costantemente. Il rapporto
con essa insegna a sintonizzarsi
con le situazioni nuove. Acuisce
le capacità di osservazione. Il
rapporto sensoriale sedimenta
scoperte e conoscenze. Si genera
un processo di crescita espressi-
va. Diventare “amico della natu-
ra” è diventato un obiettivo so-
ciale strategico.
Gli ambienti aperti, più ampi
delle aule o delle camerette di
casa, favoriscono di per sé l’e-
splorazione, la relazione sponta-
nea tra bambini, la elaborazione
di strategie di intrattenimento,
perché i bambini, sin dall’inizio
della loro vita, sono esploratori
del loro ambiente, interessati e
spinti ad essere autonomi.
Non si dovrebbe ostacolare, o fru-
strare questa volontà di appren-
dere, di fare, di agire con tutto il
corpo, basandosi solo sul desi-
derio di far acquisire conoscenze
preconfezionate. Si tratta invece
di accogliere e sostenere i loro
processi di acquisizione in modo
che possano sperimentare e sfrut-
tare il serbatoio del nostro svi-
luppo culturale. Che dovremmo
però mettere a disposizione ac-
compagnandoli ad acquisire mo-
tivazioni di cura e di conoscenza,
ascoltando e rispondendo.
Agire nel verde,
una scelta strategica
Le ragioni e gli obiettivi
La città estrania dalla natura;
spesso natura è solo colore e
pubblicità.
I bambini assorbono e imparano
quanto gli si propone.
Il mondo sostenibile, la natura
incontaminata, il cibo bio sono
slogan per gli adulti in genere
e per una minoranza di loro un
obiettivo da perseguire, ma sfu-
mato nel futuro.
I bambini invece potrebbero an-
che viverli preparandosi a distin-
guerli e acquisendo comporta-
menti e conoscenze adeguate per
realizzarli.
Dei processi di nascita, sviluppo
e raccolta delle piante e delle erbe
e dei loro frutti i bambini sanno
ben poco; sono anche all’oscuro
di sapori e profumi originari,
nonché delle implicazioni di fare
l’agricoltore, l’allevatore o il fore-
stale. La stagionalità non esiste.
Tutto si trova facilmente sugli
scaffali dei supermercati, sem-
pre. (...)
Convincere che la natura è viva;
che va osservata, che si può an-
che ammalare, che ha bisogno
di cure e forse anche delle nostre
cure. (...)
Come adulti non sappiamo qua-
si più nulla di come funzionano
le coltivazioni e gli allevamenti.
Ne andrebbero scoperti i mec-
canismi di base per acquisire
conoscenza sulla qualità dei loro
prodotti ed essere competenti
nello sviluppare approcci non
episodici.
“La natura non è mai ferma, evolve
costantemente. Il rapporto con essa insegna a
sintonizzarsi con le situazioni nuove. Acuisce
le capacità di osservazione. Il rapporto
sensoriale sedimenta scoperte e conoscenze.
Si genera un processo di crescita espressiva.
Diventare “amico della natura” è diventato un
obiettivo sociale strategico” a partire da questa
concezione della natura e del nostro rapporto
con essa, Acerbi declina i criteri con i quali
proporre attività educative outdoor.
presenti in natura, acquisendo
comportamenti esplorativi sep-
pur guardinghi. Spesso le “dife-
se” degli elementi naturali sono
in grado di nuocere e di far male
con punture, irritazioni, graffi,
rotture improvvise di rami e poi
dove si appoggiano i piedi pos-
sono esserci buche sotto foglie
ed erbe o terre melmose dove si
scivola e affonda.
Ma perché lasciare gli ambienti
confortevoli?
I bambini hanno bisogno di co-
struire il rapporto con l’ambiente
naturale per far funzionare da
adulti una società equilibrata e
sostenibile.
La natura non è mai ferma, evol-
CHE NE PENSO
DELL’OUTDOOR
EDUCATION
AMILCARE ACERBI
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
Questo pensiero e questo titolo
hanno dato origine nel 2016 al
convegno internazionale annuale
Educazione Terra Natura che si
svolge a Bressanone, organizzato
dalla Facoltà di Scienze della
educazione della Libera
Università di Bolzano.
Ne è responsabile e promotrice,
con accuratezza e grande
passione, la Professoressa Liliana
Dozza, docente di Pedagogia
generale e sociale. Dozza dirige
anche la omonima collana
pubblicata da ZeroSeiUp, che
raccoglie tutti i contributi dei
convegni.

D 32 D 33
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
Educazione - Terra – Natura
Un nuovo orizzonte
esplorativo per la prima
infanzia e la scuola dell’obbligo
Vorrei fissare l’attenzione su due
temi che considero strategici,
da perseguire nell’educazione di
bambini e ragazzi: conoscere i
luoghi e i contesti di vita e di la-
voro; assumere comportamenti
adeguati ad una società ecologi-
camente sostenibile.
Nella scelta dell’Outdoor Edu-
cation educatori e insegnanti
dovrebbero intraprendere una
ricerca-azione per definire in-
tenti, individuare tappe, costru-
ire consapevolezze, esercitare
comportamenti, e con la quale
differenziare gli approcci se-
condo le età; allo stesso tempo
allestire spazi laboratoriali in
buona parte interni alla scuola,
in parte immersi nella natura o
comunque in esterno all’edificio
scolastico, per lavorazioni e per
osservazioni ricorrenti. (...)
Una necessaria premessa
per un (al mio) approccio
sistemico: Alimentazione,
Agricoltura, Ambiente naturale
E questo vale per ogni contesto
educativo e ogni ordine scolasti-
co. Si tratta di tre ambiti educati-
vi che spesso vengono presentati
e indagati separatamente, quasi
a rafforzare credenze, ideologie,
mode, quando non anche per
affrontare emergenze o avveni-
menti nazionali o planetari, da
denunciare o a cui contrapporsi.
Con bambini e ragazzi andreb-
bero invece affrontati come
ambiti correlati dentro un si-
stema di conoscenze, esigenze,
aspirazioni che denotano valori
connessi alla qualità del vivere e
del convivere, anzi consentono il
vivere stesso.
Tutti e tre questi ambiti hanno
l’uomo ha “toccato” nei secoli
di storia italiana. Così come essi
anche l’agricoltura è vita di vege-
tali e vita di animali.
L’identità italiana è intrisa di
queste storie ed evoluzioni.
La dieta mediterranea è stata
studiata ed indicata come prati-
ca raccomandabile per una esi-
stenza sana e prolungata. Non
si possono ignorare i risultati di
questi studi quando si fa educa-
zione all’alimentazione e ignora-
re i contesti da cui provengono le
materie prime.
Tutto ciò mi convince che l’ope-
razione educativa di sensibilizza-
zione e immersione nell’outdoor
deve tener presenti ognuno dei
tre ambiti, ovviamente calibran-
do gli approcci secondo le età.
Certo il rapporto con l’outdoor
può creare meraviglia ed emo-
zioni, che però hanno bisogno di
una cornice e di una lente di in-
grandimento, per accompagnare
i bambini a passare dalla sfera af-
fettiva a quella della conoscenza.
E l’autonomia il bambino la rag-
giunge attraverso il padroneg-
giare la conoscenza. L’emozione
lo renderà amico della natura; la
conoscenza lo renderà collabo-
rativo, la persistenza ne muterà e
arricchirà i comportamenti.
Nuovi approcci
e nuovi comportamenti
Per garantirsi il successo educati-
vo sarà necessario soddisfare due
condizioni, la prima che l’appren-
dimento perseguito sia ottenu-
to dentro una cornice di esempi
pratici, sperimentando, provan-
do. Ossia, per esempio nel bosco,
pulito o intricato, avventurando-
si, toccando, annusando, racco-
gliendo, esaminando, fotogra-
fando, osservando, ascoltando.
Nell’azienda agricola, per esem-
pio osservando i comportamenti
e gli atteggiamenti degli animali,
stretta connessione con la vita:
il cibo è necessario all’individuo
per continuare a vivere, l’agri-
coltura è necessaria per la pro-
duzione di alimenti e allo stesso
tempo garantisce la funzione e
l’esistenza degli agricoltori, l’am-
biente “naturale” è un contesto
il cui equilibrio è fondamentale
per la sua stessa esistenza e per
l’esistenza di ogni essere vivente.
Dunque, proporli interconnessi
farebbe meglio comprendere che
sono parte di un sistema e che
non si tratta di discipline separa-
te, da cui ci si può astrarre o aste-
nere. Poi, va ricordato, che per
ciascuno di essi le popolazioni
sono depositarie di culture, tal-
volta smisurate, da non ignorare,
anzi materie da indagare.
La scoperta e la conoscenza di
piccoli episodi di nascita, vita,
sviluppo, di animaletti e di pian-
tine, suscitano nei bambini stu-
pore, curiosità, interesse, passio-
ne e generano consapevolezza e
senso di responsabilità verso i
processi della vita.
Correlazioni da cui
non si può prescindere
Il buon cibo e il suo adeguato
confezionamento producono
benessere personale e inducono
positive relazioni tra individui
(caratteristiche nutrizionali, ri-
cette, diete, tecniche di conserva-
zione rappresentano un universo
di saperi); la buona agricoltura
garantisce qualità di prodotti e
quantità sempre più sufficienti,
se ben distribuite, a sfamare gli
individui che popolano la terra
(proprietà dei terreni, caratte-
ristiche dei climi, semi, specie
animali e tecniche coltivazione
e allevamento, sistemi di cura
alle malattie, tecniche di raccol-
ta e di trasporto rappresentano
un secondo immenso universo
di conoscenze), l’ambiente na-
i loro cibi, i gesti dell’allevatore,
toccando, annusando, ascoltan-
do, verificando strumenti e mac-
chinari, facendosi raccontare la
loro evoluzione e l’evoluzione
delle colture, difficoltà nelle col-
tivazioni, malattie, parassiti, cure,
modalità di raccolta, immagaz-
zinamento, conservazione. Per
l’alimentazione, per esempio cre-
ando correlazioni visive, olfattive
e tattili da prodotti e confeziona-
mento di cibi ottenuti con essi;
sperimentando preparazioni, mi-
scellanee, cotture.
La seconda condizione è che
ognuno di questi approcci non
può essere estemporaneo, va ri-
petuto nel tempo, va ampliato il
numero dei luoghi da esplorare,
le aziende da visitare, gli alimen-
ti da manipolare.
Nel corso dell’anno e ancor me-
glio, nello svolgersi degli anni,
l’incontro con la dimensione na-
tura/agricoltura/alimentazione
dovrebbe ripetersi maturando
così anche nuove curiosità, inte-
ressi, abilità da parte degli allievi.
Insegnanti e allievi andrebbero
incoraggiati ad uscire dalla visio-
ne artigianale e casalinga corren-
turale, grazie a complessità ed
interrelazioni garantisce per-
manenza, riproducibilità, biodi-
versità; interventi umani, ricer-
che mineralogiche e botaniche,
comparazioni di fenomeni na-
turali, saperi indigeni, tutto ciò
rappresenta un terzo universo di
conoscenze, per molti versi an-
cora inesplorato.
La natura non è benigna
La natura e le sue componenti
non sono benigne, automatica-
mente benigne, se non le si co-
nosce. Il rispetto per gli elementi
naturali nasce se si scopre che
ciascuno è vivo e se si osserva
la sua dinamica di sviluppo e
di correlazione col resto degli
elementi che lo circondano. L’i-
dentità dell’individuo è plasmata
anche dal contesto ambientale,
dunque esso va indagato e sco-
perto progressivamente. Il con-
testo italiano è composito, molte
delle sue pianure, colline, mon-
tagne, fiumi e laghi debbono la
loro attuale configurazione all’o-
pera secolare dei suoi abitanti.
Quasi tutti questi ambienti sono
stati coltivati e utilizzati per al-
levare animali e le abitudini ali-
mentari così come le modalità di
incontro e di socialità sono state
condizionate dalle stagionalità.
Un settore di successo
economico e di stima
internazionale
Se l’agricoltura e l’agroalimenta-
re italiano raccolgono successo
in tutto il mondo, curiosità cul-
turale e benefici economici, non
possiamo ignorare l’agricoltura
nel percorso di avvicinamento
all’ambiente. L’attenzione della
scuola non può essere orientata
solo ad ambienti reputati come
naturali, selvatici, spontanei.
Questi ambienti sono composti
di vegetali e animali, vivi, che
te e approcciare l’organizzazione
industriale di raccolta, conser-
vazione, lavorazione, manipo-
lazioni chimiche, commercio e
smercio dei prodotti, nonché le
attuali modalità di gestione dei
boschi, dei corsi d’acqua, dei la-
ghi e delle relative salvaguardie e
certificazioni.
Un rinnovato impegno
a favore dei bambini comporta
nuova formazione
professionale
Rispetto all’outdoor educatori
e insegnanti dovrebbero intra-
prendere una ricerca-azione
duratura, ovvero che si sviluppi
anno dopo anno e definire in-
tenti, individuare tappe, costru-
ire consapevolezze, esercitare
comportamenti, differenziare gli
approcci secondo le età, serven-
dosi dell’azione quotidiana coi
bambini e promuovendo la sen-
sibilizzazione e il coinvolgimen-
to delle avanguardie dei genitori
e con loro allestire ambiti labo-
ratoriali da “immergere” nella
natura, sfruttando ogni spazio
esterno dell’edificio scolastico.
unsplash.com

D 34 D 35
L
e parole di Franco
Battiato, tratte dalla
canzone “Il falco nel
cielo”, rappresentano
un contributo poe-
tico alla comprensione dell’av -
ventura, modalità di esperienza
formativa praticata da Amilcare
Acerbi, oggetto di gran parte del
suo pensiero pedagogico e delle
sue iniziative nel corso della col-
laborazione con il Comune di
Torino dagli anni Ottanta fino
agli ultimi mesi della sua vita.
In tali parole emerge un dinami-
smo esistenziale che attraversa
spazi senza limiti e tempi in cui
si verificano dei cambiamenti,
così come è avvenuto nella vita
dell’artista siciliano, che ha cor-
relato sonorità e stili musicali,
culture ed etnie, lo sperimenta-
bile con l’inverificabile, in una ri-
cerca incessante di proposte mu-
sicali e di significati esistenziali
lasciati come eredità da investire
per andare oltre.
Nell’ambito della scienza, in par-
ticolare quella fisica, A. Einstein
e L. Infeld sostengono che il mi-
stero dell’universo non è ancora
stato risolto e che “siamo ancora
lontani dalla soluzione comple-
ta, ammesso, beninteso, che ne
esista una… A ogni tappa ci sfor-
ziamo di trovare una spiegazione
che si accordi con le correlazioni
S. Givone, mettendo in dubbio
che la maggior parte dei turisti,
dei navigatori in rete e degli av-
venturieri per professione siano
consapevoli e capaci di tale stile
di pensiero e di esistenza.
L’etimologia viene anche in aiuto
alla comprensione in quanto il
termine “avventura” deriva dal
latino “adventura” che è il par-
ticipio futuro plurale neutro del
verbo “advenire”, ed indica un
avvenimento singolare, straordi-
nario, una situazione in cui ci si
viene a trovare con rischi impre-
visti. Il tempo in cui si realizza
l’avventura è soprattutto quello
futuro, tempo che, nonostante
tutte le congetture, potrà presen-
tare degli aspetti nuovi, spesso
impensabili.

L’avventura è uno stile che può
investire i diversi aspetti della
personalità del singolo, da quello
motorio a quelli cognitivo ed af-
fettivo, nonché le realtà associa-
tive ed istituzionali quali gruppi
di amici e società formali, oltre
ai molteplici saperi da quelli più
strettamente teoretici come la
cosmologia e la filosofia, a quelli
più pratici come un’attività ludi-
ca o la preparazione di un pasto.
Indubbiamente le ricerche dell’e-
pistemologia del secolo scorso
hanno contribuito a modificare
l’idea newtoniana di scienza so-
stituendo alla certezza la proba-
bilità, ma le ricerche quali gli stu-
di sulla teoria della mente e sulle
metodologie per apprendere in
modo da favorire il costante su-
peramento di quanto già acquisi-
to hanno fornito, a coloro che si
occupano di formazione, spunti
di riflessione per dare un’im-
pronta di interesse agli sforzi ne-
cessari per imparare.
Pensatori in ambito psicopeda-
gogico come J. Dewey e J.Bruner
hanno rispettivamente sottoline-
ato il valore dell’azione progettata
e dell’istruzione per lo sviluppo
della capacità di pensare, altri
come M. Lipman e C. Haywood
hanno sostenuto l’indispensabili-
tà di rendere consapevoli i bambi-
ni, fin da quando sono piccoli, del
modo in cui funziona la mente
per trovare una soluzione, ricor-
dare, comprendere, operare sia
praticamente che formalmente,
andando oltre la sola prestazione.
Sono stati tuttavia dei “maestri” a
definire una forma, quale l’avven-
tura, adatta ad un apprendimento
attivo e coinvolgente, in cui le co-
noscenze e le capacità si acquisi-
scono divertendosi, pur facendo
fatica. Essi, senza escluderne al-
tri, hanno influenzato l’esperien-
za a tutto tondo di Acerbi, con al-
cuni ha collaborato direttamente
condividendo pensieri e scelte
operative, elaborando la convin-
zione che l’avventura è uno stile
che non riguarda solo l’appren-
dimento infantile ma l’apprendi-
mento a tutte le età e nelle diverse
forme quali l’esplorazione di uno
spazio all’aperto, la soluzione di
un problema matematico, la re-
alizzazione di un’opera artistica,
la costruzione di una relazione
affettiva, la formazione dello spi-
rito di squadra. L’avventura è uno
stile di apprendimento che, pra-
ticato nel corso del tempo, può
diventare una cifra che connoti
la vita stessa, caratterizzandola
come unica, irripetibile, un vero
All’attuale riflessione sul valore formativo
delle esperienze nell’ambiente esterno agli
edifici scolastici, l’outdoor education, Acerbi ha
fornito entusiasticamente pensieri e proposte,
testimoniando uno spirito d’avventura
ininterrotto, con un patrimonio di esperienze
iniziate con la collaborazione con Perego nel
C.I.G.I. e proseguite con molte altre intese.
scoperte in precedenza… Ci oc-
cuperemo principalmente della
parte che, nell’avventuroso inse-
guimento della conoscenza del
mondo fisico, spetta al pensiero e
alle idee”.
1
I due autori presenta-
no, nel testo da cui è tratta la cita-
zione, la storia della fisica moder-
na come un’indagine giudiziaria
in cui, man mano che emergono
degli indizi nuovi, le ipotesi e le
spiegazioni relative all’evento
vengono ridefinite, in un proces-
so conoscitivo ininterrotto.
“Andare alla ventura significa
muoversi in uno spazio aper-
to, dirigendosi verso l’ignoto,
lasciarsi sorprendere dall’im-
previsto, interrogare ciò che ci
è estraneo”
2
sostiene il filosofo
1 A.Einstein – L.Infeld, L’evoluzione
della fisica, Bollati Boringhieri, Torino
2020, p.17
2 S.Givone, Avvenire Agorà 30/04/2006,
p.3
L’AVVENTURA
COME PALESTRA DI APPRENDIMENTO
PER ESSERE CIFRA DI VITA
MILVA CAPOIA*
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
Fiumi, boschi e mari
senza confine,
i chiari orizzonti, le verdi colline.
E un giorno partivo
per un lungo sentiero
partivo ragazzo
e tornavo guerriero.
F. Battiato
* Pedagogista con esperienze di
coordinamento di nidi, scuole
dell’infanzia e centri per bambini e
genitori presso il Comune di Torino,
di formazione alla pratica dei metodi
metacognitivi e cognitivi (PAS di
R. Feuerstein, Bright Start di C.
Haywood, P4C di M. Lipman), di
giudice onorario presso il Tribunale
Minorenni, di coordinamento delle
scuole FISM Provincia di Torino, di
educazione ambientale come GEV
(Guardia Ecologica Volontaria della
Regione Piemonte).
Terzo Paradiso

D 36 D 37
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
e proprio capolavoro.
Un maestro per Acerbi è stato
Dino Perego, fondatore negli
anni Settanta del C.I.G.I. all’in-
terno dell’Olivetti, che, dopo
aver lavorato a Nomadelfia, con
i detenuti, i disabili e i bambini
ricoverati in ospedale si era de-
dicato alla formazione di educa-
tori ed insegnanti promuovendo
la cultura del gioco come mezzo
di costruzione della comunità,
soprattutto del gioco all’aperto e
realizzato con materiali di rici-
clo: “Lo spirito del gioco (è) nel
giocare insieme, non nel lasciar
giocare o nel far giocare; spirito
che anima il lavorare insieme,
non il lasciar lavorare o il far la-
vorare. E ciò per costruire insie-
me una comunità strettamente
unita alle più ampie comunità
locali che scopra o riscopra, co-
struisca o ricostruisca la propria
cultura ludica”.
3
Perego era un
uomo di grande vitalità, capace
di innovazione ed attento ai temi
del recupero di coloro che ri-
schiavano di essere posti ai mar-
gini della società. Aveva pensato
ai Parchi Robinson attrezzati
con mezzi naturali sia per pro-
muovere spazi e tempi ludici alla
portata di tutti sia per educare al
riutilizzo, con la fantasia e l’inge-
gnosità, di oggetti scartati. Dopo
la morte improvvisa di Perego,
Acerbi che ne aveva condiviso
iniziative ed intenti sociali e pe-
dagogici portò avanti l’impegno
presso il C.I.G.I., ereditandone
soprattutto lo spirito rappresen-
tato dall’attenzione al valore del
gioco nelle sue molteplici forme,
in particolare quello all’aperto
realizzato nella modalità robin-
soniana, oggetto anche della
proposta scautistica elaborata
da R.Baden Powell, implicante
3 A cura di G. Aronica, Scopri ad ogni
passo l’avventura, Sinopia Milano 1987,
p.25
o un sentiero montuoso, purchè
motivato e sostenuto dall’adulto.
In una delle sue poesie, trovate
dopo la morte, affermava che “la
mia vita incomincia dove fini-
scono le strade battute”
6
, espri-
mendo quale fosse stato lo spiri-
to che l’aveva guidato nella vita e
nel lavoro, quello spirito dell’av-
ventura che sprona una ricerca
incessante di significati, risorse e
mete da conquistare.

A partire dall’estate del 1982 si
realizzarono a Torino con i bam-
bini le prime esperienze all’a-
perto condotte in una cornice
robinsoniana, articolate in sin-
gole giornate, diverse settimane
nell’anno scolastico, soggiorni,
inizialmente coinvolgendo le
scuole dell’infanzia e successi-
vamente estendendosi ai nidi e
alle scuole dell’obbligo. Avendo
partecipato all’esperienza di for-
mazione, realizzata attraverso
un percorso parallelo con i bam-
bini insieme ai loro insegnanti
e con tutti gli insegnanti delle
scuole coinvolte, con la scuola
“A.Cavaglià” nel corso dell’anno
1984/1985, ancora oggi custodi-
sco l’intensa gioia vissuta insie-
me sia al mattino, al momento
della partenza, sia nel corso delle
6 W.Ferrarotti, La mia vita incomincia
dove finiscono le strade battute, FISM
Piemonte 2010, p. 23
l’esplorazione dell’ambiente na-
turale, il superamento di osta-
coli di vario genere, il coraggio
per affrontare i rischi, le abilità
costruttive per realizzare campi
base, la formazione dello spirito
di squadra, la responsabilità per
portare a termine un’impresa
con la collaborazione di tutto il
gruppo sia che si tratti di bam-
bini sia che si tratti di adulti. Ba-
den Powell, nella elaborazione
dello scautismo, si era reso conto
della polivalenza dell’esperienza
all’aperto realizzata in forma av-
venturosa: “Occorreva far nasce-
re (nei giovani) svariate qualità
non enunciate dai manuali sco-
lastici come il coraggio persona-
le, l’intelligenza, lo spirito di ini-
ziativa, lo spirito d’avventura. E
lo facevamo… tramite il ritorno
alla natura e alla scienza dell’uo-
mo del bosco, riportandoli il più
possibile a condizioni di vita pri-
mitive, per far loro imparare a
seguire una traccia, a osservare il
terreno, di notte come di giorno,
ad appostarsi e nascondersi, a
improvvisare un riparo, a nutrir-
si e a cavarsela da soli”.
4
Un altro maestro per Acerbi è
stato Gianni Rodari, con il qua-
le ha condiviso l’importanza
che assume nella formazione
la creatività, o meglio la fanta-
sia, preziosa per avvicinare con
consapevolezza e protagonismo
qualsiasi percorso scolastico e
non, per saper vedere oltre o a
lato del sentiero principale, di
quello più battuto, per convin-
cersi che per ogni questione
possono esistere diverse risposte
tra le quali scegliere la propria:
“’Creatività’ è sinonimo di ‘pen-
siero’ divergente, cioè capace
di rompere continuamente gli
schemi dell’esperienza. È ‘creati-
4 R.Baden Powell, La mia vita come
avventura, edizioni scout nuova fiorda -
sliso, Roma 2003, p. 457
giornate per realizzare le storie
che erano state pensate per mo-
tivare le attività di ogni giornata,
dall’esplorazione dell’ambiente
alla celebrazione dell’evento con-
clusivo. Le esperienze al parco
“La Mandria” di Venaria Rea-
le, “Villa Ottolenghi di Torino,
greto del torrente Ceronda di La
Cassa, parco di Piossasco richie-
devano un’intensa attività fisica
in condizioni metereologiche
non sempre favorevoli ed in luo-
ghi anche impervi, si svolgevano
secondo una progettualità non
priva di imprevisti e di novità,
si realizzavano o come vicenda
fantastica o come ricognizione e
raccolta di informazioni e mate-
riali da esaminare o come com-
petizione con attività ludiche o
in altre forme; tale progettualità
era stata definita nella fase di
preparazione a scuola e veniva
valutata nella fase di rielabora-
zione a conclusione dell’espe-
rienza. Sia i bambini che gli in-
segnanti vivevano tali esperienze
con un vero spirito di avventu-
ra inteso come elaborazione di
progetti da ridefinire in itinere,
capacità di affrontare imprevisti
e novità, tolleranza della fatica,
intervento rapido in caso di in-
fortuni, valutazione e misura del
rischio, inclusione di tutti pur in
presenza di abilità differenziate,
condivisione entusiastica dei ri-
sultati raggiunti.
Il 18 dicembre 1984, durante uno
va’ una mente sempre al lavoro,
sempre a far domande, a scopri-
re problemi dove gli altri trovano
risposte soddisfacenti, a suo agio
nelle situazioni fluide nelle qua-
li gli altri fiutano solo pericoli,
capace di giudizi autonomi e in-
dipendenti (…), che rifiuta il co-
dificato, che rimanipola oggetti
e concetti senza lasciarsi inibire
dai conformismi”.
5

La collaborazione con Walter
Ferrarotti, iniziata prima degli
anni Ottanta, si è tradotta per
Acerbi, attraverso la condivisio-
ne della sensibilità educativa,
della passione per l’attività ludica
e, soprattutto, della riflessione sul
metodo più adatto per favorire
nel bambino interesse, impegno
anche faticoso, apprendimenti
duraturi, desiderio di imparare,
solidarietà e responsabilità, nella
possibilità di realizzare nel corso
di numerosi anni esperienze lu-
diche di formazione per i bambi-
ni e per educatori ed insegnanti.
Ferrarotti, dirigente dei servizi
educativi torinesi fino al 1998,
aveva sostenuto ininterrotta-
mente la necessità di un pro-
cesso di insegnamento/appren-
dimento basato sull’esperienza
diretta con il mondo, superando,
senza escludere la distinzione,
la separazione tra interno dell’e-
dificio scolastico ed esterno,
spontaneo e finalizzato, vita e
scuola, gioco e lavoro, simbolo
e realtà, convinto che il bambi-
no debba essere il protagonista
della propria crescita, mediante
l’attivazione delle sue diversifi-
cate potenzialità e senza essere
tenuto distante dagli aspetti del-
la cultura anche complessi come
l’arte e dai contesti naturali non
privi di ostacoli come un guado
5 G.Rodari, La grammatica della fanta -
sia, Einaudi 2013, p. 179
dei primi incontri di formazio-
ne, Acerbi esordì chiedendo ai
partecipanti quale fosse il senso
dell’avventura in generale, la dif-
ferenza della stessa tra i bambini
e gli adulti e la specificità di quel-
la robinsoniana, sollecitando sia
la precisazione dei significati sia
la possibile generalizzazione de-
gli stessi ad ambiti di apprendi-
mento diversi.
7
Nel corso di tut-
to l’anno scolastico gli incontri
con gli insegnanti si alternarono
con le settimane di esperienza
all’aperto con i bambini per cui
tale domanda veniva confronta-
ta con la pratica, approfondita
ed ampliata. C’è da considerare,
e non è di scarso rilievo, che il
corso prevedeva delle giornate
all’aperto anche per gli insegnan-
ti impostate come esplorazione,
raccolta di materiali, costruzione
di attrezzature ludiche e per la
vita all’aperto come portavivan-
de e panche, cerimonia conclusi-
va di collaudo e festa. Ad alcune
di tali giornate, tra cui quelle dal
21 al 25 maggio 1985, partecipò,
insieme ad Acerbi, Giancarlo
Perempruner, appassionato di
cultura popolare, in particola-
re di cultura ludica, capace di
congegnare giocattoli, strumenti
musicali e trappole con legnetti e
tanti altri materiali naturali, oltre
7 A.Acerbi, materiale grigio (appunti
relativi al corso di formazione “Scopri
ad ogni passo l’avventura”, 1984/1985)
Attività nei Parchi Robinson

D 38 D 39
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
all’immancabile coltellino mul-
tiusi. La presenza di ambedue i
formatori si trasformava sempre
in un’occasione irripetibile di
conoscenze, scoperte, ilarità e
divertimento, una vera e propria
esplosione e moltiplicazione di
energie ed idee.
Nel corso degli anni è emerso
che le esperienze realizzate con
spirito di avventura robinsoniana
costituivano delle vere e proprie
palestre di apprendimento per i
bambini e per gli insegnanti, in
cui tutti diventavano maestri in
prima persona, palestre di mo-
tricità per praticare senza troppi
rischi i diversi ambienti naturali,
di socialità per imparare a colla-
borare e a portare a termine in-
carichi e ruoli, di affettività per
consolidare amicizie e risolvere
conflittualità, di pensiero per
progettare formulando ipotesi e
traendo conclusioni, ampliare le
conoscenze, operare con i sim-
boli come il linguaggio e non
solo quello verbale, i numeri e le
mappe dei luoghi. Nel contem-
po si è compreso che tale spirito
poteva essere trasferito ad altre
situazioni costituite da problemi
da risolvere e diverse alternative
tra le quali scegliere. In partico-
lare si è riflettuto che procedere,
analogamente a quanto fatto da
Einstein per la fisica, con la stra-
tegia dell’inchiesta e la continua
ridefinizione dell’ipotesi può es-
sere una modalità interessante di
apprendimento per la maggior
parte dei saperi, dalla lingua, alla
storia, alla geometria, all’arte, alla
motricità. Non solo, ma l’avven-
tura può essere la cifra della stes-
sa vita allorchè la si investe in una
ricerca incessante di significati,
nell’apertura al dialogo, nello stu-
dio ininterrotto, nell’impegno per
rimuovere gli ostacoli alla solida-
rietà, alla malattia e alla giustizia,
nella pratica di una disciplina ar-
tistica o sportiva.

Nel vivere l’avventura con i bam-
bini, soprattutto quella all’aperto,
sono importanti alcune precau-
zioni, affinchè permanga il ca-
rattere ludico della stessa, come
proporre loro ciò che sono in
grado di realizzare, non imporre
conoscenze scientifiche o tecni-
che complesse ma soluzioni alla
loro portata, lasciare che la loro
fantasia veda anche ciò che non
c’è, non cimentarsi in grosse co-
struzioni se poi non c’è il tempo
per utilizzarle e di giocare con le
stesse. La misura per un’avventu-
ra che il bambino desideri rivi-
vere è che nella stessa egli si sia
sentito capace e si sia divertito,
pur avendo affrontato delle no-
vità e qualche rischio. A questo
riguardo c’è da considerare che
muoversi in un bosco, salire lun-
go un sentiero montano, attra-
versare un guado, costruire con
rami di legno usando la corda
e il fil di ferro, raccogliere delle
foglie o altro può causare qual-
che piccolo infortunio, come
un’escoriazione o un livido o una
puntura d’insetto pur in presen-
za della prudenza e della vigilan-
za dell’insegnante; è importante
che il bambino constati che una
buona medicazione rappresen-
ta un rimedio efficace e che l’e-
vento sia analizzato per preve-
nirne altri in condizioni simili.
L’infortunio rappresenta quella
disattenzione o quell’errore che
può capitare in altri ambiti del
sapere, non è motivo di timore o
di interruzione dell’iniziativa ma
stimolo a rivedere il processo di
azione o di pensiero.

Che l’avventura sia una palestra
di apprendimento, principal-
mente nell’età infantile, e possa
diventare cifra della vita l’ha te-
stimoniato Acerbi che nel corso
di tutte le sue attività e non solo
quelle lavorative, ha elaborato
progetti di carattere formativo
per i bambini e gli adolescenti,
gli educatori e gli insegnanti in
tutta Italia coinvolgendo profes-
sionisti, istituzioni ed ammini-
strazioni, seguendo le orme dei
maestri con i quali ha condiviso
sensibilità, ingegnosità, sfide, fa-
tiche e soluzioni. In molti nidi e
scuole dell’infanzia ha accom-
pagnato educatori ed insegnan-
ti a ripensare il giardino perché
diventasse, in ogni sua parte,
stimolo per attività ludiche o fi-
nalizzate, con opportune modifi-
che e riorganizzazioni. Da alcuni
anni sono state riprese le rifles-
sioni sul valore formativo delle
esperienze nell’ambiente esterno
agli edifici scolastici, riflessioni
convergenti nell’”outdoor edu-
cation”, ed Acerbi, con un patri-
monio di esperienze iniziate con
la collaborazione con Perego e
proseguite con molte altre inte-
se, ha fornito entusiasticamente
pensieri e proposte al riguardo,
testimoniando uno spirito d’av-
ventura ininterrotto; non posso
che serbare ammirazione e gra-
titudine per lui ed i suoi maestri,
ad iniziare dai bambini, protago-
nisti di ardimento, tenacia, fidu-
cia e creatività, se condivisi con i
loro formatori ancora più arditi,
fiduciosi e creativi.
“Ci sono esperienze che restano
per la vita, ci insegnano a
crescere e ci renderanno curiosi
per sempre” …, e ancora…”
l’avventura di crescere convive
con la paura e la temerarietà” …
E
vocazioni da libri sull’e-
ducazione? No, pensieri
condivisi in tanti anni
di collaborazione con
Amilcare, così veri e sentiti che
ancora sento e credo che valga la
pena restino oggetto di riflessio-
ne e possibile scelta di vita.
In questo nostro tempo digita-
le, tecnologico, dove per muo-
versi basta una app, forse è dif-
ficile perdersi in un bosco, ma
non ci sono app che ci aiutano a
non perderci nella mediocrità e
nell’omologazione.
Nel bosco, una varietà di elemen-
ti simili convivono con scelte
originali di adattamento. Hanno
voci, forme, colori, dimensioni,
respirano, si muovono, nascono,
germogliano, fioriscono, secca-
no e muoiono con un’armonica
sincronia fatta di tempi e stagio-
ni. I tempi della vita e del suo
scorrere, proprio come per gli
esseri umani, con a loro essenza
nei sogni e dei desideri, ma con
la paura e la curiosa voglia di an-
dare oltre.
Un bisogno di avventura che se
mortificata o trattenuta può ren-
derci pavidi, guardinghi e inca-
paci di metterci alla prova, ma
soprattutto ci rende tutti illuso-
riamente e pericolosamente si-
mili e tacitamente insoddisfatti:
degli anonimi.

Attraverso un video ci affascinia-
mo del coraggio altrui, ne am-
miriamo le gesta troppo spesso
dimentichi che ciascuno di noi
può mettersi alla prova, liberare
il proprio immaginario e osare.
Stiamo bloccando le potenzialità
di ciascuno di noi, dei bambi-
ni, limitandoci al divano e allo
schermo. L’avventura degli altri
è un documentario a cui assi-
stere in pantofole. Il virtuale che
ci priva dell’emozione vissuta,
di quella relazione con noi stes-
si e il nostro limite. Il mettersi
alla prova, spingersi mossi dalla
curiosità di scoprire le nostre
PERDERSI
NEL BOSCO
DANIELA VIROGLIO *
* Psicopedagogista Responsabile
pedagogico e formatore dal 1990
al 2017 del Progetto Ambiente
Educazione Sviluppo Servizi
Educativi e Centri di Cultura della
Città di Torino
Vivere l’avventura è un buon esercizio per
conquistare benessere e allenamento a
superare le difficoltà, agendo con la nostra
App fatta di personali risorse.
Lavarsi
le mani
all’aperto
Pexels.com

D 40 D 41
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
potenzialità e soddisfare così le
nostre fantasie. Abbiamo biso-
gno di avventure per conciliare
ragione e sentimento, capire il
senso e il significato delle rela-
zioni e della relazione.
Vivere l’avventura è un buon
esercizio per conquistare benes-
sere e allenamento a superare le
difficoltà, agendo con la nostra
App fatta di personali risorse.
Saper dominare le ansie, gestire
le paure, considerare il rischio
come opportunità allontana da
noi il bisogno di ansiolitici e let-
tini da psicoanalisti. Perché pos-
siamo farcela sempre, dobbiamo
solo essere preparati e convinti
a riconoscere le nostre risorse e
accettare i nostri limiti.
Far vivere avventure ai bambi-
ni di oggi significa dotarli di un
data-base a cui fare riferimento
per essere il più possibile se stessi
in ogni occasione, vuol dire re-
galare una bussola che li rende
capaci di orientarsi sulle scelte e
renderli consapevoli del proprio
protagonismo e non del mero es-
sere spettatori.

Avventurarsi in un bosco con
poche cose essenziali in com-
pagnia della propria curiosità,
legittimando l’istintivo senso di
esplorazione è un’esperienza di
alto valore educativo. Nel bosco
tutto è possibile anche incontra-
re i personaggi delle favole o gli
eroi dei fumetti e al tempo stesso
essere uno di loro. L’immagina-
zione e la fantasia ci trasforma-
no, lasciano emergere potenzia-
li sicurezze e creano scudi alle
paure, un gioco di ruoli in un
contesto magico e al contempo
vero e concreto. Gli incontri poi
con la materia, gli odori, le con-
sistenze affinano i nostri sensi.

Le asperità del terreno, gli osta-
coli sul cammino ci obbligano ad
essere attenti e capaci di trovare
adattamenti e soluzioni pratiche
alle difficoltà. La fatica e l’impe-
gno che si affrontano riducono
iperattività e ansie da prestazio-
ne. Non è necessario fare sur-
vival, esasperare l’esperienza,
spingersi forzatamente; … “vuol
dire prefigurare e predisporre tra-
guardi, vuol dire sapersi al di qua
e cercare di andare al di là di un
determinato limite” ….
Aiutare i bambini a sviluppare
il pensiero divergente significa
dare loro la possibilità di trova-
re possibili soluzioni ai propri
limiti con ragione e fantasia. Sti-
molare ad un pensare originale,
proprio, utile e condiviso. Chie-
de all’adulto che sia disposto a
mettere in discussione i propri
schemi rigidi di riferimento e
che non sia radicato sulle sue
convinzioni in modo indiscuti-
bile, chiede all’adulto di ascolta-
re il sentire dei bambini, chiede
all’adulto di mettere a lato la pro-
pria esperienza vissuta per dare
l’opportunità del fare e dell’agire
proprio dei bambini.

Dobbiamo abbandonare la
nostra confort zone di adulti
istruiti e dispensatori di sapere,
dobbiamo camminare a piedi
nudi sull’erba, saltare nelle poz-
zanghere, sporcarci le mani nel
fango, arrampicarci su un albe-
ro; abbiamo bisogno di rivivere
quelle esperienze bambine che
ci appartengono e si sono sopite
per poter offrire la felicità o il di-
sagio delle emozioni ai bambini,
così che siano le loro emozioni
di oggi a sviluppare le sensibilità
ai saperi futuri. Scopriremo che
in quelle naturali e istintive espe-
rienze si trovano il senso della
libertà e della scoperta, il sapere
scientifico e il bello della poesia
scritta nei libri.
Un adulto che non ha dimenti-
cato il piacere del gioco, dell’av-
ventura e del vivere in natura: un
adulto che ti aiuta a perderti nel
bosco, perché saprai ritrovare la
via del ritorno sempre.
Osare, quindi, per vivere e co-
noscere. Cogliere le opportunità
con entusiasmo nella quotidia-
nità dei nostri incontri per co-
struire la nostra storia, la nostra
individualità, per riempire uno
zaino di emozioni ed esperienze
pronte all’uso in ogni dove, per-
ché “…il rimpianto non prepara
alle avventure che ci spettano” …
ancora.
L
’idea progettuale che
il Dirigente Scolasti-
co Ester Andreola ha
condiviso con i docen-
ti dell’indirizzo di Architettura
e Ambiente, ha preso forma e
senso con il coinvolgimento atti-
vo ed il supporto del pedagogista
Amilcare Acerbi, che ha guidato
i docenti sia nella fase di pro-
grammazione degli interventi
che di attuazione del processo
metodologico – didattico, soste-
nendo, in un triennio, il lavoro
comune, fino alla stesura del
progetto definitivo, poi appro-
vato dalla Soprintendenza Ar-
cheologia, Belle Arti e Paesaggio
di Salerno e Avellino.
L’idea progettuale, collegata pro-
fondamente alla vision, ai prin-
cipi, all’impianto pedagogico
– culturale ed agli stessi ordina-
menti del liceo artistico, nasce
nell’a.s. 2014 / 2015 e viene di-
scussa e proposta al dott. Amil-
care Acerbi, in quanto pedagogi-
sta di ampia esperienza, docente
e maestro di vita, uomo capace
di entrare nei contesti di vita e
di coinvolgere l’altro, program-
mando azioni armoniose e co-
erenti con le finalità specifiche,
di mettersi in gioco in prima
persona, perché solo gli uomini
“ semplici “ sono e possono dirsi
“ maestri”.
Abbiamo condiviso con lui le
prime riflessioni sul senso edu-
cativo delle nostre scelte, abbia-
mo approfondito lo studio del
sito da riqualificare, abbiamo
reimpostato la programmazio-
ne delle classi, finalizzando gli
obiettivi e al tempo stesso am-
pliato i collegamenti tra i diversi
saperi, per stimolare nei ragazzi
e ragazze delle classi coinvolte a
progettare, comunicare, condivi-
dere idee, acquisire nuove cono-
IL GIARDINO
DELL’ARTE

ESTER ANDREOLA *
* Pedagogista, esperta di processi
educativi, culturali e artistici. È
componente del Comitato Tecnico
Scientifico della Rete Nazionale dei
Licei Artistici Italiani. Relatore e
formatore ed esperta dell’ambito
psico – pedagogico e comunicativo –
relazionale, collabora con numerosi
Enti ed Associazioni. At-tualmente è
Dirigente Scolastico del Liceo Artistico
Sabatini - Menna di Salerno. Ha scritto
numerosi saggi e articoli e due libri di
narrativa “L’Albero dormiente” (Ed. Il
Papavero), “Il sogno di Martins” (Ed.
Mediarte).
Progetto di riqualificazione ambientale
e funzionale dei giardini interni al Liceo
Artistico Sabatini – Menna di Salerno – sede
Via G. Grimaldi allo scopo di renderlo fruibile
sia dalla scuola che dagli utenti esterni è
un’esperienza di progettazione partecipata
con studenti di scuola superiore per
comprendere e valorizzare il verde urbano.
Il giardino
anni ‘50
Pexels.com

D 42 D 43
Il giardino oggi.
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
scenze. E i nostri alunni hanno
ampliato la propria visione per
imparare a co – progettare, con
le tecniche e le metodologie pro-
prie di un architetto che lavora
in team con altri architetti, uno
spazio giardino polifunzionale,
quale bene comune da fruire, va-
lorizzare, tutelare e proteggere.
Dobbiamo al nostro amico e
maestro Amilcare Acerbi i primi
confronti ed approfondimen-
ti pedagogici e la scelta di una
metodologia PARTECIPATA,
per avviare processi formativi e
educativi nuovi e motivanti per
i nostri giovani allievi e anco-
ra a lui dobbiamo la riflessione
condivisa sulla programmazione
degli interventi da attuare, per
coinvolgere, in modo paritario,
i diversi attori: alunni, docenti,
utenti esterni e referenti tecnici
e/o amministrativi delle Ammi-
nistrazioni Pubbliche (Provincia
e Comune).

Una azione pedagogica fondata
sulla “progettazione partecipata”
che ha visto due classi dell’Indi-
rizzo di Architettura e Ambiente
farsi carico di costruire, in grup-
pi diversi, diverse proposte pro-
gettuali da sottoporre al vaglio
degli altri studenti della scuola
e degli stessi docenti, per giun-
gere al progetto definitivo. Va-
lutazioni paritarie, che hanno
messo in gioco emozioni e visio-
ni diverse per giungere, infine,
ad una comune scelta. Un pro-
cesso inedito ed innovativo che
ha stimolato studio e riflessioni,
contribuendo attivamente a co-
struire azioni integrate tra ope-
razione architettonica e pedago-
gia applicata, entro cui i processi
innovativi hanno trovato spazio
e dato senso e significato ad una
azione di alto respiro educativo,
culturale e formativo.
Ma perché pensare al GIARDI-
proposto i loro diversi lavori e si
è giunti alla scelta del progetto
definitivo.
Essendo il giardino parte inte-
grante della struttura dell’edificio
scolastico il tema della riqualifi-
cazione degli spazi ha riguarda-
to: l’impatto degli stili di vita,
natura e bioarchitettura, il pae-
saggio urbano, cultura materiale
e design, riscoperta delle essenze
tipiche del giardino mediterra-
neo, le specificità dell’ambiente
naturale e antropico.
La stesura del progetto è stata
innanzi tutto l’occasione per af-
finare la capacità degli allievi di
percepire quanto li circonda - la
capacità di guardare, ma anche
di ascoltare, di sentire la natura
- e in secondo luogo, motivo per
esplorare ed arricchire il loro re-
pertorio iconografico rispetto al
paesaggio e ai luoghi della città.
L’esperienza di PROGETTAZIO-
NE PARTECIPATA è divenuta,
così, una importante occasione
per individuare gli elementi che
compongono lo spazio urba-
no, per analizzare la struttura
di quanto viene percepito e per
confrontare esperienze e sensi-
bilità diverse, ma anche per sti-
molare processi creativi tesi alla
salute delle persone e alla salva-
guarda del territorio “verde” in
ambito urbano.

Il Percorso progettuale ha avuto
il seguente iter:
• Ricognizione stato dei luoghi
• topografia, rilievo delle piante
esistenti e in genere tutti gli ele-
menti permanenti. Evidenzia-
zione delle criticità del giardino
esistente e quindi rimozione
delle piante e arbusti non uti-
lizzabili e pulizia complessiva
dell’area oggetto di intervento.
Trasferimento di alberi e arbu-
sti non adatti al progetto, in al-
tro giardino nelle disponibilità
NO DELL’ARTE? L’esigenza di
rinnovare e riqualificare uno dei
due giardini interni alla scuola
ed al tempo stesso di offrire a
studenti e docenti percorsi me-
todologico didattici innovativi,
a partire dallo studio storico –
artistico dell’edificio scolastico, è
nata dall’esigenza, sentita, di ren-
derlo fruibile sia alla scuola che
agli utenti esterni. Infatti, la sede
di via G. Grimaldi, interessata
all’attività, è situata in un edifi-
cio di alto valore storico artisti-
co e ambientale: l’ex Seminario
Pontificio di Salerno, complesso
architettonico realizzato in stile
razionalista nel 1932 dall’Arch.
Momo. La struttura è caratte-
rizzata da grandi padiglioni di-
stribuiti su più piani, con ampie
corti interne armonizzate con
l’ambito urbano.
La zona oggetto di interven-
to è proprio una corte interna
dell’edificio a forma rettango-
lare, con una superficie di ca.
900 mq a cielo aperto, collegata
agevolmente agli spazi didat-
tici e all’ingresso dell’Istituto.
È stato necessario, prima di tut-
dell’Istituto.
• Rilievo architettonico del giar-
dino oggetto d’intervento con
inserimento di tutti gli elementi
al contorno ivi compreso strut-
ture di sicurezza e protezione
dell’intercapedine esistente (con
coordinamento dei Docenti del-
le aree di indirizzo Architettura).
• Progettazione partecipata di
soluzioni sostenibili, atte alla ri-
funzionalizzazione di quello che
sarà IL GIARDINO DELL’ARTE.
• Il progetto esecutivo ha previ-
sto : zone dedicate a performan-
ce musicali, artistiche, teatrali e
aree per incontri letterari, indi-
viduate da opportune pavimen-
tazioni in materiali ceramici,
vialetti lastricati per percorsi;
gli spazi a verde delimitati da
cordonature e allestiti con essen-
ze particolari, alberature, siepi,
saranno caratterizzati anche da
aree dedicate alla coltivazione di
piante medicinali officinali e di
piante per alimentazione umana
(educazione all’alimentazione),
tipiche dell’area mediterranea
(orto urbano).

In sintesi, il progetto rappresenta
una inedita esperienza di proget-
tazione partecipata, che è stata
finalizzata, tra l’altro, all’affina-
mento delle capacità degli allievi
to, programmare con docenti ed
alunni del liceo, dell’Indirizzo
Architettura e Ambiente, una
azione didattica e metodologica
coerente con l’impianto currico-
lare, che motivasse gli alunni e
li rendesse partecipi e attori del
complesso processo finalizzato
a riqualificare e rifunzionaliz-
zare il sito, nel rispetto delle sue
specifiche connotazioni storico
– architettoniche, in una nuova
visione educativa e formativa.
Il “Giardino dell’Arte”, infatti, è
stato pensato come luogo d’in-
contro speciale e funzionale non
solo alle attività didattiche, pro-
prie delle discipline artistiche
dell’Istituzione scolastica, ma
anche come spazio polivalente,
sicuro ed attraente, aperto anche
all’utenza esterna, per una ido-
nea e coerente programmazione
di rappresentazioni teatrali, con-
certi, mostre, rassegne, eventi
culturali; in sintesi, come spazio “
educativo” da condividere con la
città ed i cittadini.

Costruire o riqualificare “un
giardino” equivale a creare un
paesaggio ambientale capace di
conservarne la struttura e l’in-
tento originari, poiché la bellez-
za, i colori, le forme, lo stile di un
giardino, coinvolgono in modo
completo e totale i luoghi del vi-
vere e quindi la qualità della vita
di coloro che ne fruiscono.
In tal senso, come già evidenzia-
to, l’attività dei docenti e degli
studenti coordinate, nelle fasi
di programmazione dell’azione
complessiva, dal pedagogista
Amilcare Acerbi, si sono fon-
date su una metodologia legata
alla progettazione partecipata.
Metodologia che ha visto il pie-
no coinvolgimento degli alunni,
del personale della scuola e degli
stessi Enti esterni, nel momento
in cui le classi coinvolte hanno
di percepire quanto li circonda,
di sentire la natura, di vivere il
giardino della scuola come luo-
go speciale da curare e migliora-
re nell’ottica di una educazione
finalizzata alla salvaguardia del
Patrimonio culturale e ambienta-
le ed alla Valorizzazione dell’Arte
e dei processi creativi, in sintesi
di “ vivere la scuola come Bene
Comune da difendere e garantire,
ma anche come luogo speciale di
incontro con il territorio”.

Dopo l’iter di approvazione del-
la Soprintendenza Archeologia,
Belle Arti e Paesaggio di Saler-
no e Avellino l’intervento rea-
lizzativo del progetto esecutivo
ha, avuto rallentamenti sia per
l ‘esiguità dei fondi della scuola,
sia per il difficile e lungo periodo
legato all’emergenza sanitaria.
Oggi, la comunità scolastica ri-
prende con maggiore forza e
motivazione l’azione di diffusio-
ne e conoscenza dell’importante
ed inedito progetto, perché pos-
sa essere sostenuto dai cittadini
e dal territorio e diventi realtà,
impegnandosi, fin d’ora a predi-
sporre una struttura grafica che
richiami i momenti salienti del
progetto e ne ricordi gli attori, in
primis il nostro amico e maestro
Amilcare Acerbi.
“Il giardino dell’arte”. Progetto esecutivo.

D 44 D 45
2
011. Erano già una de-
cina di anni che inter-
loquivamo, interagiva-
mo, ci confrontavamo
attorno a un’idea di
scuola che fosse più corrispon-
dente ai bisogni del tempo che
stavamo attraversando e di un
territorio, il Mezzogiorno, che
stava modificando la propria
identità non soltanto produttiva
ma anche culturale (un bisogno
indotto che scaturiva dall’esi-
genza di superare le arretratezze
ataviche che erano radice di certi
guasti a tenaglia che tra camor-
ra e mafia tenevano imbrigliato
questo straordinario pezzo di
mondo). L’unica volta che liti-
gammo di brutto fu in quell’an-
no, al Salone del Libro. Io avevo
preso una posizione netta rispet-
to a una dirigente del Ministero
dell’Istruzione che in quella sede,
nel corso di una relazione che si
tenne in ambito a una Conferen-
za sul valore degli assi di relazio-
ne verticali nel Paese, si sforzò
di rimarcare i ritardi del Mezzo-
giorno esprimendo giudizi del
tutto gratuiti e impropri sulla
scuola, sui ragazzi, sul sistema e
sin anche su un prodotto che era
stato assunto ufficialmente tra le
attività del centocinquantesimo
dello Stato Italiano – La Staffet-
ta di Scrittura di Cittadinanza
e di legalità - … Era la classica
invettiva trita e ritrita che i bu-
rocrati utilizzavano consuetudi-
nariamente per attribuire colpe
proprie ad altri…
Era chiara a me e a gran parte
dei presenti la vacuità e l’inutilità
di quel dire anche in ragione del
fatto che se pure fosse stato vero
ciò che stava affermando quella
dirigente, comunque si trattava
di un problema che riguardava
tutti… Che senso avrebbe altri-
per alcuni mesi non ci parlammo
anche se Amilcare aveva con Bi-
med un rapporto di consulenza
pedagogica. Scavallammo l’esta-
te, un comune e stimato amico –
Maurizio Parascandolo – ci fece
reincontrare, fu molto semplice
ritrovarsi, le ragioni erano tutte
dalla sua parte e capii in quell’in-
contro come e quanto Amilcare
fosse giustamente dalla parte
dell’Istituzione e mi fu semplice
sentire il valore della sua più vol-
te evocata necessità di mantene-
re sempre un organico confronto
tra quanti ritengono di operare
per il bene comune e le nuove
generazioni.

Il nostro cammino ricominciò
insieme partendo, se volete da
una elucubrazione sul mare che
nelle sue parole era una dichia-
razione di profondo amore verso
coloro i quali avrebbero potuto
intraprendere con noi un viaggio
organizzato attorno alle parole,
alla riflessione, al confronto ba-
sato sul valore del dialogo inteso
come determinante di evoluzio-
ne e cambiamento. Sentivamo
entrambi il mare come l’elemen-
to naturale unico attorno cui
recuperare l’unicità della vita e
dell’umanità. Del mare avevamo
entrambi così tanto bisogno che
a parole lo portavamo anche ove
non è…
Ricordo come fosse ieri il nostro
discorrere di Tito Stagno che fis-
sò l’allunaggio di Neil Amstrong
nel mare della tranquillità di una
luna senza mare com’è senza
mare tutto l’universo tranne che
la nostra terra. Su questo i nativi
dell’era industriale, condivideva-
mo con Amilcare, avrebbero do-
vuto riflettere di più, non lo han-
no fatto abbastanza, lo abbiamo
usato il mare, ne abbiamo abu-
sato sino al punto da riempire di
plastica lo stomaco di tanta vita
che è nel mare immaginando che
la parte acquea del globo terra-
queo potesse contenere ogni tipo
di maltrattamento senza subirne
gli effetti. Era il 2011 e Amilca-
re era già ben consapevole di ciò
che oggi connota il dibattito più
importante del nostro tempo.

Mi sovviene ora una cena del no-
vembre 2019 in cui recuperam-
mo quelle elucubrazioni condivi-
dendo che il Covid fosse l’effetto
dei nostri errori. Condividemmo
che il Covid possa essere l’em-
blema attorno cui strutturare
una nuova modalità di relazione
con il nostro attorno ma questa,
lo sapevamo, è una storia tutta
da scrivere partendo, forse, pro-
prio dalla nostra relazione con il
mare. Amilcare sapeva bene che
la questione è innanzitutto cultu-
rale, per questa ragione trovava
necessario strutturare un proget-
to dedicato ai più piccoli e alle
famiglie da realizzare sentendolo
come un’impresa di grande rilie-
vo etico, innanzitutto, da rende-
re condivisa in maniera ampia e
Il mare, il mezzogiorno, la scuola, i ragazzi
e i giovani: l’esperienza di Exposcuola apre
uno scenario di riflessioni che coinvolgono
tutti gli adulti (genitori e professionisti
dell’educazione) sui temi della scuola e del
lavoro, in sostanza sul futuro.
menti discorrere a Domodossola
di Cittadinanza se non si impe-
gna il contesto scuola perché
possa, nel proprio piccolissimo,
provare a rimuovere problemi
che magari si trovano a Mazara
del Vallo?
Giovanni De Luna, d’altronde,
aveva detto ben chiaro che le ce-
lebrazioni avevano un peso e un
senso se tutt’insieme ci fossimo
impegnati a fare gli italiani che,
poi, significava provare a condi-
videre nella sostanza i principi
costituzionali, innanzitutto quel-
li di sussidiarietà e uguaglianza
nei diritti, nei doveri, nelle op-
portunità. Definii quella dirigen-
te una sovrastruttura, non finì
bene lasciai il convegno. Amilca-
re restò, invece, con quella diri-
gente. Nelle sue intenzioni vi era
la volontà di mediare, recuperare
il rapporto personale (tra me e la
tizia) e istituzionale (tra Bimed e
la Direzione Scolastica Regiona-
le del Piemonte).
Capii tardi che aveva ragione lui,
TERRITORIO
COME NOSTALGIA O TERRITORIO
COME SPERANZA?
ANDREA IOVINO*
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
* Presidente BIMED Biennale delle
Arti e delle Scienze del Mediterraneo,
e ideatore e animatore, ideatore
della Staffetta di scrittura creativa,
un format che mira a sostenere e a
diffondere le attività di scrittura nelle
scuole, attraverso la realizzazione di un
racconto che parte da un’idea-guida,
incipit, di uno scrittore e che coinvolge
dieci squadre dello stesso ordine di
scuola e livello.
L’incontro
annuale alle
Isole Tremiti
dei vincitori
della Staffetta
creativa:
un’invasione
di oltre 2.000
studenti.

D 46 D 47
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
diffusa appunto perché possano
essere in tanti a contribuire per-
ché le politiche e le strategie di
tutela ambientale si stacchino
dalle mere enunciazioni e entri-
no pienamente nello stile di vita
delle nostre comunità.
Amilcare aveva una grande am-
bizione, immaginava che ac-
canto al vecchio e con il mare
possa esserci un bambino, tanti
bambini a condividere il valore
della sfida che abbiamo tutt’ora
davanti a noi. Una sfida contrad-
distinta da lealtà e rispetto che
finalmente unisce uomo e natu-
ra esaltando la forza e la tenacia
degli uomini, le entità deputate a
dare identità al futuro del piane-
ta che ci accoglie e che per ora
resta ancora l’unico luogo possi-
bile in cui vivere.
D’altronde era chiaro ad Amil-
care e a me che non c’è poeta,
artista, scrittore, storico, intel-
lettuale, filosofo che in qualche
modo non sia stato influenzato
dal mare, che l’abbia visto o no,
considerato, peraltro, che tanta
letteratura ci racconta di occhi
che, avendo avuto il bene di in-
contrare quella linea sottilissima
che lega nuvole e oceani, sono ri-
masti avvinti dall’orizzonte della
vita che il mare rende sconfinato
nelle opportunità e che le nuove
generazioni, i nostri bambini,
dovranno confinare nel bene che
su ogni battigia viene continua-
mente scritto dalle onde che atti-
mo dopo attimo muovono la vita
generando … VITA.

Amilcare, tutto sommato, è in
questo, Amilcare non era un
sognatore, piuttosto, una delle
poche entità in Italia in grado di
trasformare un’idea in progetto
per poi realizzarlo grazie alla sua
tenacia, alla sua autorevolezza e
alla sua capacità di tenere le fila
di un confronto rendendo la pa-
comporre una famiglia, di agire
in e per una comunità, di raf-
forzare la ricerca di uno stile di
vita diverso da quello dell’essere
cittadino, sapevamo che la frana
culturale italiana che lascia de-
serte colline, montagne, piccole
valli, ha bisogno di una strategia
sociale, non solo economica, per
essere fermata.
E direi anche di una strategia
educativa, che accolga i giova-
nissimi e accompagni i loro ge-
nitori. Che contribuisca a creare
comunità che si reggono su nuo-
ve consuetudini. In questo Amil-
care riteneva che le tecnologie di
comunicazione e di trasporto, la
responsabilità verso le ricchezze
e le interconnessioni dei terri-
tori, nonché le consapevolez-
ze crescenti della delicatezza e
complessità della vita del nostro
pianeta, consentono e inducono
un esercizio di progettazione che
esca da schemi consolidati, resi
lenti e impermeabili dalle prassi
burocratiche e contrattuali.

Insieme strutturammo un pro-
getto di “sostenibilità” in cui si
formulavano un’opportunità che
poi si sarebbero trasformate in
un progetto pedagogico-socia-
le-sanitario, sperimentale, di
medio termine, da mettere a di-
sposizione di quanti decidessero
di continuare a vivere nei paesi
e nelle case sparse tra colline,
montagne e valli. In parte questo
progetto è rientrato nell’azione
denominata Bimed We Care che
dal 2020 stiamo sperimentando
nelle aree interne del salernitano.
Lo stiamo facendo ben sapendo
che è necessario formare e garan-
tire una figura professionale che
abbia ruolo educativo e cultura-
le, di insegnante, con conoscen-
ze di puericultura e sanitarie, che
accolga e accompagni bambini e
ragazzi sino alla conclusione del
catezza una grande forza.
Amilcare ha dato un grande con-
tributo a Bimed e al nostro Mez-
zogiorno. Per lui una città o un
paese sono “sostenibili” per un
bambino quando l’aria è buona,
l’acqua e il cibo sufficienti e ben
coltivati, gli spazi e gli ambienti
facili da conoscere progressiva-
mente e di cui impadronirsi sen-
za avere paura.
E secondo Amilcare una città
sostenibile deve permettere a un
adolescente di avere compagni
di gioco, adulti da osservare e
da cui imparare. Genitori poco
ansiosi … Non dimenticava mai
che i neuroscienziati, studiando
il funzionamento del cervello,
spiegano che da piccoli mano e
cervello sono ben collegati e che
il cervello si sviluppa di più e
meglio se le mani agiscono, toc-
cano, muovono, sperimentano.
E che l’imitazione è fonte e ac-
celeratore di conoscenza. Ai ge-
nitori che incontravamo diceva
sempre che per svolgere il loro
ruolo in maniera “sostenibile”
hanno bisogno di non sentirsi
isolati, di avere aiuto nell’accudi-
re il figlio, avere un medico e una
farmacia accessibili.
Poi nel tempo di sapere che il
figlio/figlia sarà seguito in un
ambiente adeguato, da adul-
ti preparati, stimolanti, sereni.
Amilcare asseriva che i genitori
che capiscono passo passo e di-
ventano consapevoli e convinti
che nel tempo moderno si può
crescere bilanciando conoscenze
tratte tanto dal mondo reale che
da quello virtuale, da vicino e da
lontano; e che si può felicemen-
te vivere e diventare competenti
senza cedere acriticamente alla
pressione del mercato, ma certa-
mente non disdegnando ciò che
il mondo produce.
Da sempre Amilcare sapeva che
un adulto è sereno se sta realiz-
zando il suo ideale di lavoro e di
ciclo della scuola primaria; che
sappia porsi accanto ai genitori
e agli abitanti. Con motivazione
all’attività di bilanciamento tra
reale e virtuale e quindi che non
disdegni né l’esperienza manuale
né quella attraverso le tecnologie
di comunicazione, che sappia far
scoprire i contesti naturali ed
umani.
Ben sapendo, inoltre che occor-
re poi selezionare e formare un
gruppo di insegnanti che svolga
il ciclo della secondaria di primo
grado, che acquisisca una forte
vocazione socio-culturale e che
per qualche anno sia disposto a
operare in team, turnando, quin-
di anche alla domenica; anch’es-
so con motivazione all’attività
di bilanciamento tra reale e vir-
tuale e quindi che non disdegni
le esperienze manuali e quelle
attraverso le tecnologie di comu-
nicazione, che faccia scoprire e
apprezzare i contesti naturali ed
umani, che crei motivazione ver-
so il mantenimento e la crescita
della comunità.
Il progetto, per gran parte strut-
turato da Amilcare, prevedeva in
supporto dell’azione come coa-
vita, se è inserito in un mondo di
relazioni, se si sente in qualche
modo partecipe di una funzio-
ne sociale, di una missione. Per
il nostro Cilento asseriva che le
pianure hanno bisogno che le
acque dei fiumi non le invadano
e che i fuochi di montagna non
le raggiungano e sapeva che le
genti di pianura, ovvero molti di
quelli che sono emigrati da mon-
tagne e valli, o che sono figli di
emigrati, conservano nostalgie
del mondo da cui provengono.
In tanti si stanno accorgendo che
gli alimenti ricavati da prodotti
territoriali, confezionati secon-
do antiche consuetudini, offrono
appetibilità e sicurezze alimenta-
ri maggiori.
E possono avere un alto valore
economico. D’altronde, in molti
cercano, e non sempre con suc-
cesso, la serenità in una cerchia
di conoscenze di cui fidarsi e con
cui condividere tempo e scaden-
ze; condizioni più facili all’inter-
no di una piccola comunità di
contro alle ansie e alle insicurez-
ze che produce l’abitare numero-
si in spazi relativamente ristretti.
E Amilcare cercava anche attra-
verso Bimed di provare ad allar-
gare il cerchio, promuovere la
cultura dell’IN-SICUREZZA in-
tesa come viatico verso la ricerca
del buono e del bello che, poi, è
la mission fondamentale attorno
cui strutturiamo la nostra idea di
crescita che per mezzo del “dub-
bio” stimola il viaggio verso la
conoscenza. Amilcare era certo
del fatto che in tal modo anche la
coscienza ecologica si fa strada e
la biodiversità compare, non più
come un selvatico da bonificare,
ma come una risorsa.
Con il buon Acerbi (spesso lo
chiamavo così) si rifletteva su
come aiutare i giovani a non
abbandonare i paesi e le case
sparse, di montagna e di valle e
quindi di avere l’opportunità di
diuvanti e come autisti, andreb-
bero preparati giovani (maschie
e femmine) in servizio civile,
che condividano la tempora-
nea scommessa socioculturale.
Il modello didattico si sarebbe
basato sull’allestimento e il fun-
zionamento “a laboratori”, con
gruppi di allievi misti per età.
Nel caso dei ragazzi in età di
scuola secondaria di primo gra-
do il modello avrebbe anche una
caratteristica di semiresiden-
zialità, per accentuare le finalità
comunitarie e solidaristiche. Il
funzionamento “a laboratori”
dovrebbe portare a creare com-
penetrazione tra le attività attri-
buibili (tanto per esemplificare)
a ludoteca-scuola-biblioteca-pa-
lestra. Per bambini al di sotto dei
18 mesi Amilcare aveva pensato
poteva immaginarsi adiacente,
una “stanza delle meraviglie” fre-
quentabile a seconda delle scelte,
anche lavorative, da mamme, e
papà, da intendersi anche come
luogo della socialità/mutualità e
dell’accompagnamento/sostegno
educativo-sanitario.
Nella nostra idea, dunque ave-
vamo immaginato un proget-
Tema Maior: Il mondo cambia con le cose che cambiano il mondo

D 48 D 49
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
to educativo e culturale per far
crescere bambini e ragazzi au-
tonomi, sicuri di sé, plurilingue,
con sensibilità particolare verso
il proprio territorio e le persone
che vi vivono. Un modello peda-
gogico, educativo, culturale per
la ricostruzione delle comunità e
la composizione di identità figlie
del tempo contemporaneo (glo-
balizzato) ma ancorate a saperi
e storie territoriali, dentro una
conoscenza della complessità e
ricchezza della natura che le ac-
coglie.
I contenuti culturali e di cono-
scenza nella nostra idea avreb-
bero dovuto portare a fami-
liarizzare con le agricolture, la
biodiversità del luogo, le archi-
tetture e le pratiche artigiana-
li, le arti e la spiritualità, non
solo, ma a sapersi collocare in
contesti mediterranei similari;
a comprendere nessi coi mon-
di lontani, a rintracciare chi ha
compiuto percorsi di emancipa-
zione, avventurandosi lontano
dalle origini e meticciando co-
noscenze e abitudini.
Il progetto è di straordinaria
attualità e nel confronto atti-
vo che Bimed mantiene con le
istituzioni che da qualche anno
cominciano a comprendere ap-
pieno quanto sia necessario rie-
quilibrare il territorio nazionale
decompulsando le città e riap-
propriandoci delle aree interne
e marginali non facciamo altro
che appoggiarci sulle visioni di
Amilcare che tra le sue straordi-
narie qualità aveva quella di riu-
scire a comprendere prima degli
altri i tratti del divenire.

Il ricordo più forte che ho di
Amilcare è nel decennio di la-
voro che precede il 2011 in cui,
insieme, abbiamo organizzato
l’azione più ampia e articolata
che in Europa è stata strutturata
la televisione, prepotentemen-
te, che spesso provengono da
luoghi lontani, da condizioni e
situazioni difficilmente verifica-
bili. Talvolta questi modelli non
costituiscono certo uno sprone
a migliorare, perché non sono
sostenibili o perché si tratta di il-
lusioni, virtuali. Come mostrare
modelli di vita sostenibili? Come
aiutare i giovani a idealizzare
modelli? Il territorio contribui-
sce al benessere?
• La scuola è un obbligo o un
piacere?
Esiste il gusto di imparare? E l’u-
tilità del sapere, come si impara?
Si tratta di un’anticamera lun-
ghissima del futuro o il tem-
po-scuola è già vita? Conside-
riamo quanti anni, quante ore
quotidiane, l’alunno trascorrerà
a scuola: possiamo fargliele spre-
care? Come si può contribuire
concretamente alla sua felicità,
al suo benessere, al suo futuro?
I così detti “programmi” che
si svolgono quotidianamente,
rispondono adeguatamente?
Come renderli utili e positivi?
La scuola deve avere il coraggio
e la lucidità di mostrare modelli,
di mettere a nudo modelli diffu-
si, di far sperimentare modelli di
convivenza, di ricerca, di impe-
gno sociale, di competizione. Ad
ogni suo livello, graduando le
esperienze.
• Il lavoro è un diritto oppure
un obbligo, oppure una con-
quista?
Moltissimi sono gli impieghi ne-
cessari oggi per far funzionare
le nostre società. Difficilmente
li sappiamo raccogliere e descri-
vere. Altrettanto difficilmente i
ragazzi li scoprono. Forse è qui
il punto da cui partire per favo-
rire la scelta e le opportunità di
ognuno. È necessario istillare
curiosità, interesse; indicare il
attorno alla scuola che si presen-
ta al territorio nell’intento di far
sentire al contesto la centralità
dell’apprendimento nelle strate-
gie atte a liberare futuro. Il suo
faro concettuale nell’avventura
di Exposcuola a Salerno era, e
permane con grande forza ed
evidenza, lo schema delle tesi
“Nuove educazioni per nuovi
stili di vita”. Ogni ragionamento,
e ogni sua azione era legata con
coerenza verso quelle afferma-
zioni programmatiche.
Grazie ad Amilcare il tema della
relazione tra territorio e società
contemporanea proposto in
Exposcuola aveva una sua consi-
derevole vastità; d’altra parte, si
tratta di relazioni così vitali che
meritano uno sforzo di sintesi,
soprattutto perché Amilcare era
ben conscio del fatto che quando
ci si confronta con gli insegnanti
è essenziale la concretezza.
I docenti chiedono, giustamente,
di tener conto della “operatività”
da sviluppare accanto alle rifles-
sioni teoriche. Sapeva, Amilcare,
che non si tratta di superficialità
o scarsa attenzione ai concetti,
anzi, è un segnale che altro vuol
significare: i docenti vivono in
presa diretta coi giovani, sen-
tono molto la responsabilità di
questo rapporto.
I giovani crescono e mutano,
giorno per giorno; se non col-
gono il senso di ciò che il do-
cente propone, la relazione sva-
nisce. Gli parve, dunque, utile
comporre un miniglossario con
l’ambizione che ogni definizione
costituisse un campo di possibili
esperienze e pratiche educative e
didattiche.

Mi pare giusto riprendere quel
glossario per fare in modo che
quanti leggeranno questo artico-
lo possano desumerne l’attualità.
Dal miniglossario di Amilcare
metodo per raccogliere le in-
formazioni che maggiormente
stimolano. Le esemplificazioni
eccessive, o peggio, il silenzio
sulla realtà e l’astrattezza delle
materie e delle discipline, non
fanno onore alla complessità
della società. La complessità non
è forse il frutto della ricchezza di
impegno, ingegnosità, genialità
di chi è cresciuto e ha lavorato
prima di noi? Qui è l’altro nodo:
il passato è significativo e lo si
rispetta se si comprende il flusso
dell’impegno di uomini e donne
che ci hanno preceduto.
• Territorio due. Quante pos-
sibili declinazioni ha la parola
territorio?
Territorio non è solo storia, nar-
razione di fatti, di poteri o di so-
praffazioni.
Territorio è le persone che lo vi-
per Exposcuola:
• Territorio come nostalgia o
territorio come speranza?
Territorio come casa ove abitare
al meglio: dove costruire il senso
della comunità, la forza di essere
comunità. La forza di partecipa-
re ad una comunità democratica,
contro la debolezza di una co-
munità soggiogata ad autoritari-
smi e prepotenze. Le prepotenze
degli altri fanno meno paura se
fin da giovani si apprezza, at-
traverso l’esercizio, il gusto del
confronto e il meccanismo della
pratica democratica. Nelle de-
mocrazie gli individui non sono
soli. Il territorio non è un’isola,
entro cui rinchiudersi, ma una
base da cui partire.
• Tradizione è conservazione o
tradizione è memoria e relazio-
ni?
Se territorio significa tradizione
e storia, è bene che riusciamo a
far scoprire come l‘oggi sia frutto
di evoluzioni, come la così det-
ta identità sia frutto di scambi
di conoscenza, di come la qua-
lità della vita sia stata favorita
o condizionata negativamente,
comunque dall’intervento di
fatti e uomini, che andrebbero
conosciuti e spiegati. Di come
essa sia frutto di sedimentazioni
successive.
Infine, ma certo un aspetto non
secondario, è il caso di chiedersi
quali sono le conoscenze deriva-
bili dalla tradizione che possono
contribuire al miglioramento del-
la qualità della vita dei ragazzi.
• Il benessere è un miraggio, o
una conquista quotidiana?
L’ideale di vita è alimentato dai
modelli. I modelli di vita un
tempo si incontravano soprat-
tutto nel proprio contesto e ter-
ritorio, oggi ad essi si affiancano
modelli proposti per lo più dal-
vono. Il lavoro presente, il lavoro
passato. È natura. Territorio è
arte. Territorio è economia.
Le risorse naturali vanno cono-
sciute e usate con oculatezza;
gli eventi naturali talvolta sono
imprevedibili, tal altra creano
disastri perché l’uomo con le sue
opere altera equilibri. E ancora:
non esiste più un territorio che
non abbia rapporti con altri ter-
ritori.
Competizione, confronto, coo-
perazione oggi sono dinamiche
che pongono gli uni verso gli
altri, uomini, imprese, istituzio-
ni; ma sono anche competenze,
ancor più incidenti d’un tempo
sulla vita dei territori e delle per-
sone. La scoperta di questi flussi
di relazione, l’esercizio prolunga-
to su queste abilità possono fra
acquisire consapevolezza, auto-
nomia, sicurezza.
Illustrazione tema Medie: L’arca di Kòe

D 50 D 51
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
• Mondo contemporaneo signi-
fica staticità o è collegabile al
concetto di futuro?
Ma da chi dipende il futuro? Co-
noscere come i padri hanno co-
struito il loro futuro può aiutare
a capire come impostare il pro-
prio. Il futuro non può non avere
radici. Ma dove si sviluppa il fu-
turo di ciascuno? Nel contesto in
cui si è nati, oppure avventuran-
dosi lontano, avendo amici e soci
di lavoro, e moglie o marito, nel
luogo di nascita; ma altrettanto
è possibile coltivando amicizie
e parentele lontano, pressoché
nuove. Le vicende degli italiani,
in Italia e nel mondo lo insegna-
no. Conosciamo e analizziamo
queste vicende in modo suffi-
ciente?
L’avventura verso il nuovo, nuo-
ve conoscenze o nuovi luoghi, è
sempre stata motore di progres-
so, nella storia della società.
La conoscenza può svilupparsi
e alimentarsi studiando i propri
contesti ma forse anche le ten-
che sono sintesi (molto umane)
di programmi, obiettivi e aspira-
zioni degli alunni, dei genitori e
degli insegnanti stessi.
Ma alla tappa di ogni edizione di
Exposcuola si è giunti attraverso
confronti intermedi, esercita-
ti a più livelli. Qui sta l’indica-
zione per il futuro: si deve dare
continuità, tanto al desiderio di
emancipazione e di aiuto da par-
te delle scuole, quanto alla volon-
tà delle amministrazioni locali di
emanciparsi dalla stagnazione o,
peggio, dal sottosviluppo e dall’e-
migrazione. La scuola guarda ha
grande aspettativa verso gli enti
locali. L’ente locale è l’espressione
del territorio, ne ha la rappresen-
tanza; i suoi attori, politici e di-
pendenti, hanno in carico scelte
e speranze di sviluppo.
L’ente locale va assumendo sem-
pre più anche un ruolo educati-
vo riconosciuto e regolamentato;
ma per svolgerlo deve servirsi e
disporre di strumenti stabili.
• Come può essere il futuro di
Exposcuola?
Per garantire la relazione tra
territorio e scuola, i luoghi più
significativi del territorio, le isti-
tuzioni che lo governano e gesti-
scono, i soggetti imprenditoriali
e di ricerca, ci vogliono strumen-
ti permanenti di supporto. Che
entrino nel costo economico di
funzionamento delle comunità.
L’insegnante ha bisogno di riferi-
menti permanenti che lo aiutino
a relazionarsi col mondo (vicino
e lontano), che lo pongano in
contatto collaborativo con altre
scuole e altri colleghi parimen-
ti impegnati. Non si tratta di
“call-center”, ma certamente de-
vono essere luoghi accessibili in
qualsiasi momento.
Non si possono preparare le
nuove generazioni a diventare
“europee” (e agire di conseguen-
za) senza uscire dagli schemi
denze e le situazioni lontane.
Occorrono strategie culturali e
didattiche in consonanza con la
società reale. Andando oltre il
libro di testo.
• Società contemporanea due.
I giovani per i quali lavoriamo,
gli adulti che fanno scelte che
possono condizionare il futuro
dei giovani, quanto sta avvenen-
do nel mondo e che in qualche
modo condizionerà la qualità del
futuro: questa è la mia società
contemporanea di riferimento.
Le distanze paiono non esistere.
Il successo, ovvero notorietà e
ricchezza, sembrano a portata di
mano di chiunque.
Propaganda e realtà: l’informa-
zione è sempre più anch’essa un
prodotto.
Al giovane il proprio territorio
appare essere il luogo dei limiti,
della povertà, dei difetti. Ciò che
è lontano viene presentato come
un paradiso di delizie oppure,
spesso, in modo cinico come un
inferno di guerra e distruzione.
Eppure, il progresso materiale
è strettamente collegato alle co-
noscenze: le scoperte scientifi-
che, le tecnologie sono opera di
uomini e donne che studiano,
inventano, si sacrificano. Anche
gli spettacoli televisivi o calcisti-
ci non vivrebbero senza il sup-
porto di conoscenze e tecnologie
sofisticate.
Anche la convivenza sociale ha
bisogno di saperi: relazioni, at-
tenzioni, conoscenza dell’altro,
regole, norme.
Come rendere avvertiti i ragaz-
zi che il facile e il semplice che
appare e viene pubblicizzato ha
bisogno di un contesto di cono-
scenze per essere realizzato, di
energie, di capacità di autocon-
trollo e di sacrificio?
Che cosa possiamo fare noi, per
la scuola, e che cosa può aggiun-
gere la scuola a quanto i media
organizzativi scolastici sino ad
oggi utilizzati. IRSAE, IRRE,
Scuole polo; si tratta di tentativi
che hanno dimostrato energia
insufficiente, ma che sono sor-
ti sulla base di un’analisi giusta:
la scuola non può svilupparsi in
solitudine. La scuola dell’autono-
mia è zoppa se non si collega con
il territorio, ma il territorio deve
dotarsi di strumenti in grado di
interagire con lo stesso linguag-
gio della scuola e con essa indi-
viduare obiettivi ed elaborare
azioni.
Exposcuola ha fatto emerge-
re prepotentemente l’energia e
l’aspettativa di migliaia di inse-
gnanti; ha reso tangibile il gu-
sto della scoperta e del sapere
che decine di migliaia di alunni
possiedono: bisogno di massa di
confrontarsi, di essere valorizzati
e ascoltati.
Nelle riflessioni del Comita-
to scientifico di Exposcuola è
entrata da tempo l’espressione
“Parco Pedagogico”, ossia l’ipo-
tesi di rendere stabili l’offerta di
confronto e il sostegno pedago-
gico-culturale-strumentale. Par-
co come luogo che accoglie le
offrono ai giovani, per far sì che
essi abbiano saperi ed energia
per contribuire alla buona qua-
lità del proprio futuro e forza
sufficiente per contrastare gli
ostacoli?
La scuola non può che diventare
sempre più laboratorio di rifles-
sione e rielaborazione di quanto
si va a scoprire fuori di essa. E
chi opera nella scuola deve abi-
tuarsi a lavorare in collaborazio-
ne, acquisire la consapevolezza
che deve far parte di un’equipe e
che solo in questo modo può af-
frontare la complessità del mon-
do cui deve preparare gli allievi.
• Exposcuola è una fiera delle
vanità, un mercato o una tappa?
Exposcuola è il luogo dove spec-
chiare il proprio fare scuola, è il
luogo delle domande, è il luogo
degli incontri con tutti coloro
che ci sono prossimi, che opera-
no a portata di mano, che scom-
mettono anch’essi per un futuro
collettivo più felice.
Exposcuola è l’occasione per
ragionare in gruppo di come si
possa rendere stabile la relazio-
ne tra territorio e scuola e tra
scuola e mondo. Di come l’inse-
gnante non resta schiacciato tra
gli alunni (con le loro attese) e la
complessità del mondo a cui pre-
pararli; non resta solo di fronte
ai genitori che premono, confu-
samente, il più delle volte, o di
fronte alle altre istituzioni che
rimandano alla scuola, sempre
più frequentemente, perché si
educhino i ragazzi a superare le
disfunzioni che emergono nella
convivenza urbana.
Exposcuola è frequentata e uti-
lizzata dalla parte più sensibile
della società educante, ma è una
tappa: il confronto tra scuole va
esercitato non solo sulle grandi
tendenze e dentro quadri teorici
di riforma, ma attraverso le pra-
tiche educative degli insegnanti
esperienze più innovative e utili,
le fa conoscere, le diffonde; par-
co come centro documentale e
laboratoriale, cerniera tra scuola
e territorio, ponte tra passato e
futuro.
Parco “regionale”, ossia rete di
centri realizzati nelle comunità
locali più sensibili e innovative,
ma a disposizione, con le loro
specificità, di qualsiasi scuola in-
teressata.
Poli in grado di far scoprire alle
genti (e alle scuole) del nord e
del centro Europa il Mediterra-
neo, la storia, i potenziali, le gen-
ti del Mediterraneo.
Parco pedagogico, incubatore di
progresso e di positività.
Ho utilizzato, in parte, le paro-
le di Amilcare per raccontare il
“mio” Amilcare che non è dif-
ferente dall’Amilcare di ITER,
piuttosto che del Museo di Arte
Contemporanea di Rivoli o di
Omegna. Un uomo di straordi-
naria intelligenza che a me ha
mostrato il significato Kantiano
delle stelle sopra e della legge
morale dentro… Ciao Amilcare,
per me resti un esempio irrinun-
ciabile.
Illustrazione tema Minor: Di cognome
faccio Sauro! E di nome son… Dino
Illustrazione
tema Junior:
Terre rare.
Le illustrazioni
sono state
realizzate da
Andrea Tabacco

D 52 D 53
N
el 2013 a Cre-
mona, grazie ad
Amilcare Acerbi,
nasce un proget-
to straordinario
Zero/18 territorio e futuro. Un
percorso che ha permesso a par-
tire dai piccoli del nido e della
scuola dell’infanzia di creare un
dialogo tra le famiglie, le scuole
e il territorio (inteso non solo in
senso morfologico ma anche nel-
la dimensione socio-economica),
di far conoscere alle scuole, a par-
tire dal nido, il proprio territorio
dal punto di vista socio-economi-
co e le aziende che lo caratteriz-
zano, per orientare le loro scelte
future e tenerci i nostri talenti .
Partire dai piccoli dai loro sogni,
dal modo che hanno di vedere il
mondo, di rappresentarlo nei loro
giochi, nei loro racconti per ac-
compagnarli, mentre crescono, a
capirlo e a scegliere il loro futuro,
partendo dalle tante storie appas-
sionanti che hanno caratterizzato
la nostra città, il nostro territorio.
Scoprire con loro chi siamo stati e
come immaginiamo il nostro e il
loro futuro insieme.
Ogni scuola della città è diventata
un cantiere in cui ognuno ha por-
tato un proprio pezzo, un’imma-
gine, un ricordo, una parola, un
racconto che formano la trama e
l’ordito delle tante esperienze che
si snodavano tra casa e scuola, in
un continuo dialogo e rimandi in
un continuo divenire.
Visionari, questo ci ha permesso
di essere Amilcare con la sua ge-
nialità. Un faro nella fitta nebbia
della pianura padana in cui aveva
scelto di vivere. Un maestro per
tutti noi che ci ha aiutato a “allar-
gare lo sguardo”.
Zero/18, territorio e futuro con
tutti i suoi eventi, è nato dalla sua
testa geniale permettendo di in-
trodurre all’interno di ogni grado
scolastico il contesto quotidiano
come campo esperienziale, og-
getto di scoperte e riflessioni che
gli insegnanti alcune volte, non
sanno più raccontare.
L’ambiente rappresenta infatti per
ciascuno un contenitore inesau-
ribile che aiuta a capire e a dare
senso alle esperienze, accompa-
gna i percorsi di crescita di ognu-
no e fornisce a ciascuno le chiavi
di lettura per interrogarsi e argo-
mentare in autonomia.
In questo senso, educare al terri-
torio per lui era, in primo luogo,
Il progetto Zero/18 Territorio e Futuro
si è proposto di introdurre all’interno di ogni
grado scolastico il contesto quotidiano come
campo esperienziale, oggetto di scoperte e
riflessioni che gli insegnanti alcune volte, non
sanno più raccontare.
conoscerlo attivamente nelle sue
espressioni e nei suoi problemi, in
una parola nella sua complessità.
Ci ha ricordato sempre che l’ap-
prendimento di nuove conoscen-
ze può essere un’estensione delle
conoscenze già acquisite oppure
una rottura rispetto alle prece-
denti; a non essere trasmettitori
di idee astratte e lontane dai pro-
pri luoghi, ma mediatori nel pro-
cesso di apprendimento che deve
sempre partire da esperienze vi-
cine al bambino/ragazzo, al suo
ambiente fisico e relazionale e per
lui, significativo; a non dare spie-
gazioni astratte, ma ad incorag-
giarli a porsi delle domande, alla
scoperta, esponendoli al contat-
to con i diversi ambienti che per
loro natura sollecitano curiosità
e conoscenze; a non forzarlo mai,
ma a perseguire sistematicamen-
te gli aspetti che lo interessano.
Un sogno, il suo, per riportare le
nuove generazioni a ripensare ai
nostri luoghi del quotidiano va-
lorizzandoli e rispettandoli come
risorsa infinita: una scommessa
molto importante che può realiz-
zarsi solo attraverso un preciso e
convinto mandato pedagogico.
EDUCATORI
VISIONARI
LINA STEFANINI*
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
* Pedagogista presso il Settore Politiche
Educative, Comune di Cremona.

D 54 D 55
Premesse generali
Mettere lo sport al servizio del
sociale, in cui i rapporti umani
mantengono un valore prima-
rio e fondamentale, rappresen-
ta la missione quotidiana del
team dell’Associazione Atletica
Interflumina, società sportiva
costituita nel 1975 a Casalmag-
giore (Cremona) per diffondere
i valori dell’educazione motoria
e dello sport nel Comprensorio
Oglio Po.
Dopo SPORT (impianto di atle-
tica outdoor e indoor) e SALUTE
(Centro di medicina dello sport)
il sogno ora è quello di trasfor-
mare la dismessa Cascina Sereni
in Santa Maria dell’Argine ed i
campi annessi in un AgriEcoO-
stello quale luogo di accoglienza,
di incontro, di amicizia, di stu-
dio e formazione: “La Casa dello
Sport di Tutti” all’insegna dello
slogan “Natura e Sport chiama-
no Scuola”. Un luogo aperto agli
studenti e agli sportivi da tutta
Italia ed Europa e dai Paesi del
Comprensorio Oglio Po, dislo-
cato tra le Province di Cremona,
Mantova e Parma.
Interflumina crede molto nel
valore dell’amicizia, dello sta-
re insieme, della cooperazione:
nell’ambito dell’atletica leggera
e dell’orienteering ha realizzato
una rete di coinvolgimento, ac-
compagnamento, valorizzazio-
ne che raggiunge quasi tutte le
comunità del casalasco-viada-
Tutto nasce da un atto di gene-
rosità del signor Sergio Sereni,
proprietario del podere. È da
atti di generosità autentici, da
quel naturale senso filantropi-
co che sa aprire gli occhi verso
persone, ambienti e radici, che
possono nascere progetti me-
ravigliosi che si allargano, si
dispiegano, si donano all’inte-
ra Comunità. Senza domande,
senza aspettarsi ritorni.

Non vi sono limiti alle passioni
disinteressate, non esistono osta-
coli alle visioni che sanno coniu-
gare generosi slanci di altruismo
alle esigenze reali di un Territo-
rio, di una Comunità allargata,
che sa guardare oltre, che supe-
ra i confini dei Campanili, il cui
orizzonte è il Mondo.
Questi gli ingredienti ispirato-
ri di straordinari sentimenti ed
emozioni che hanno spinto a
sognare, di un luogo destinato
all’abbandono, al naturale di-
sfacimento, all’oblio, un’Oasi di
Valori per un Turismo respon-
sabile e sostenibile, fruibile da
tutti, aperto a tutti, con il cuore
rivolto all’Educazione Motoria e
allo Sport.
Ambiente, Natura
e Territorio
La Cascina Sereni, futuro Agri-
EcoOstello, è situata ai margini
dei boschi golenali del fiume Po,
tra campi coltivati e pioppeti;
a poco meno di un chilometro
dal fiume, in riva destra dell’ar-
gine maestro ; argine pedonale e
ciclabile chiuso al traffico veico-
lare a motore riconosciuto come
Via VENTO, a 500 metri dagli
impianti di atletica leggera di
Interflumina con ampi parcheg-
gi; a 700 metri dall’Associazio-
ne Polisportiva Amici del Po, a
1000 metri dal Centro Storico di
Casalmaggiore, posta di fronte
all’antica chiesetta gotico roma-
nica di Santa Maria dell’Argine .
È previsto l’utilizzo sperimen-
tale dei campi con coltivazioni
mirate tanto alla produzione di
alimenti per la cucina, quanto
all’informazione e acculturazio-
ne dei visitatori.
Sono già state messe a dimora
90 piante da frutta di moltissi-
me varietà, fra le quali melogra-
ni, giuggioli, fichi e due filari di
Al progetto di Interflumina per la costruzione
e la successiva gestione di un EcoAgriOstello,
Amilcare era molto legato e a questo progetto
ha dedicato anche molto tempo e molte
energie negli ultimi anni. Era un po’ la sintesi
del suo pensiero: terra, natura, educazione.
Soprattutto, forse, perché era la sua terra
lungo le sponde del Po.
nese, garantendo un rapporto
almeno trisettimanale, per tut-
to l’anno, con bambini, ragazzi,
adolescenti.

Interflumina ha lavorato non
solo per raggiungere risultati po-
sitivi nella pratica sportiva, ma
per creare con iniziative periodi-
che occasioni di “stare insieme”
(ovvero di amicizia e di condivi-
sione) e di relazione con i genito-
ri. Con ciò sperimentando quan-
to sia importante la socialità e
il benessere che si crea stando
insieme, anche con soggiorni via
da casa, con i propri compagni e
con gli adulti accompagnatori,
oppure incontrando e scambian-
do esperienze con altri gruppi
sportivi.
SPORT&INCLUSION
CASCINA SERENI
IN SANTA MARIA DELL’ARGINE
CARLO STASSANO*
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
* Carlo Stassano è presidente
dell’ASD ATLETICA
INTERFLUMINA e attuale
portavoce del Movimento
nazionale “INSIEME per
l’ATLETICA … oltre la passione”
della FIDAL. È stato insegnante di
educazione fisica per diversi anni
e assessore comunale allo sport e
giovani negli anni Ottanta.

D 56 D 57
piedi, in bicicletta, con moun-
tain bike, a cavallo, e dove si pos-
sono osservare raggruppamenti
di salici bianchi, olmi e pioppi.
Si raggiunge un’ampia lanca (ex
cava di argilla e sabbia) di acqua
sorgiva posta in prossimità di
una “torretta di avvistamento”
che porta a lambire la sponda
sinistra del fiume Po. Da lì, pas-
sando dal “Tunnel degli olmi”,
l’alzaia prosegue per chilometri
e chilometri interessando i Co-
muni di Martignana di Po, di
Gussola (con il suo bellissimo
“lancone”), Torricella del Pizzo
(con i suoi musei degli Strumen-
ti Musicali Meccanici e Storia
Naturale), con la possibilità di
proseguire sino a Cremona ((cit-
tà d’arte e musica per eccellenza,
e non solo) sempre sull’argine
maestro arricchito da costanti
indicazioni di itinerari e percorsi
ciclabili da scoprire.

L’Argine Maestro con cui confina
il podere Cascina Sereni è indi-
cato come tratto della dorsale
cicloturistica interregionale di
lunga percorrenza denominata
viti da tavolo che costituiscono
un pergolato che dalla Cascina
conduce all’arginello verso il
Bosco. Tutta l’area coltivata è già
perimetrata da cespugli multi-
fiori che consentiranno alle api
di produrre miele nelle apposi-
te arnie collocate a sud-est del
campo.

La modalità di coltivazione di
verdure, cereali, frutta serviran-
no per offrire ai visitatori con-
sapevolezza di che cosa significa
“coltivare Bio” e con “permacol-
tura”; si mostreranno anche va-
rietà rare e antiche, si illustreran-
no le modifiche delle tecniche di
coltivazione avvenute negli ulti-
mi cento anni. Ci si avvarrà an-
che della visita ad alcune aziende
agricole che utilizzano varie tec-
niche nonché ad alcune imprese
agroalimentari che trasformano
i prodotti dell’agricoltura e degli
alimenti locali.
È previsto l’utilizzo dei boschi
e della lanca, di proprietà del
Comune di Casalmaggiore, e la
manutenzione dei sentieri e delle
radure, con forme di esplorazio-
ne e collaborazione degli ospiti
che inducano comportamenti
corretti, creino interesse, cura e
amore per la natura, nuove co-
noscenze sugli ambienti di pia-
nura e fluviali.

La vicinanza al fiume verrà
sfruttata come espediente per
raccontare vicende e fatti storici
(la famosa piena del 1951), non-
ché per approfondire le proble-
matiche della qualità delle acque
e della gestione di piene e siccità.
Gli ospiti appassionati di pas-
seggiate, marce e corse nonché i
cicloamatori verranno invitati a
inoltrarsi nel “Bosco Golena del
Po”, Parco Comunale dal 1992,
dove sono possibili escursioni a
VENTO, ossia la ciclovia lungo
gli argini del Po che congiungerà
Venezia a Torino, attraversando
le Regioni Piemonte, Lombardia,
Emilia-Romagna e Veneto.
L’AgriEcoOstello Cascina Santa
Maria si proporrà come tappa
intermedia per “favolose espe-
rienze”.
In tutto questo l’intero Territo-
rio denominato Comprensorio
Oglio Po, costituito da nume-
rosi Comuni dell’area cremone-
se, mantovana e parmense con
una popolazione superiore agli
80.000 abitanti, è pienamente
coinvolto essendo Sindaci, Am-
ministratori, Imprenditori, As-
sociazioni di vario tipo, Istituti
scolastici, Pro loco, consapevoli
della straordinaria opportunità
di sviluppo che una tale iniziati-
va può apportare all’intero siste-
ma anche economico e culturale
della zona.
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
Cascina Sereni a lavori ultimati.
Amilcare Acerbi e Carlo Stassano
Scheda dal progetto di lavoro di Acerbi per Cascina Serena.
Stato attuale della Cascina ed arginello che guarda al Bosco Golena del Po.

D 58 D 59
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
Un insegnamento-apprendimen-
to esperienziale basato su un pro-
getto educativo co-partecipato:
• ha cura dei contesti e crea le
condizioni affinché ogni bam-
bino/adolescente/giovane possa
sperimentarsi in ambienti ricchi
di sollecitazioni/sfide che attivi-
no la curiosità e il piacere della
scoperta del mondo “intorno” e
di sé nel mondo, e insieme il ri-
spetto/cura della vita in tutte le
sue forme, delle regole, ragioni,
sensibilità/emozioni degli altri e
le proprie;
• crea fili di connessione che
aggancino curiosità-cura e in-
teresse mobilitando la motiva-
zione attraverso l’ascolto, il dia-
logo, l’osservazione dei singoli
e del gruppo. Tra le attività che
“allargano” lo spazio di libero
movimento in senso fisico e co-
gnitivo-emotivo, al primo po-
sto stanno il gioco e le attività
ludiformi, ossia le attività pro-
poste come se fossero un gioco
(...). È anche possibile imparare
a conoscere-comprendere-pa-
droneggiare lo stesso oggetto di
conoscenza attraverso gli “oc-
chiali” osservativo-interpretativi
di discipline differenti: guardarlo
“con gli occhi” di un esplorato-
re, di un “ricercatore dei fili della
vita”, di un pittore, di uno scritto-
re, di un fotografo che documen-
ta, di un nonno che fa l’agricolto-
re e sa dove e come coltivare, del
biologo e così via. Nello scambio
con l’ambiente naturale, sociale,
culturale, i saperi scolastici ritro-
vano vita e anima e restituiscono
significato e senso ai preziosi sa-
peri cristallizzati nei libri, negli
oggetti, nel mondo agricolo e
culturale;
• pone attenzione ai modi,
tempi, qualità dell’esperienza:
propone esperienze che siano in
continuità con le esperienze pre-
cedenti e che preparino quelle
future. Perché è vero che l’espe-
rienza si associa alla vita concre-
ta ed è situata nel contesto di vita
(Dewey, 1961, ed. or. 1916), ma
è anche vero che l’esperienza da
sola non basta: “La sola attivi-
tà non costituisce esperienza. È
dispersiva, centrifuga, dissipan-
te.” (Dewey, 1968, p. 147). Tra il
fare un’esperienza e l’apprendere
dall’esperienza passa una grande
differenza. È un salto determina-
to dalla motivazione e dalla cu-
riosità che attribuiscono colore
affettivo-emotivo e spessore co-
gnitivo all’esperienza, perché la
motivazione è “spinta interiore”,
desiderio/piacere di conoscere
e la curiosità è cura, premura,
sollecitudine, interesse. Il signi-
ficato che il soggetto attribuisce
all’esperienza determina la pos-
sibilità di farla propria e di ap-
prendere. La capacità e la possi-
bilità di riconoscere relazioni e di
creare connessioni, di descrivere e
analizzare, di problematizzare e
comparare, di formulare ipotesi
e generalizzare e di “incubare”
esperienze creerà “materiali” per
immaginare/pensare e per agire/
esprimersi in maniera originale
e creativa. (...) Non esiste, in tal
modo, un primato tra esperienza
e pensiero, vi è piuttosto connes-
sione e interdipendenza.

Per questi motivi, la scelta o la
“messa a punto” di un progetto
e di un coerente contesto educa-
tivo, fuori o dentro le mura della
scuola, diventano determinan-
ti. Lo diventano soprattutto se
sono co-partecipati e condivisi
tra adulti di riferimento e bam-
bini/studenti. Creano il campo
dinamico dove relazioni, regole,
narrazioni, significati si contes-
sono e s’intrecciano costruendo
rapporti di interdi-pendenza
tra i soggetti e con l’ambiente
all’interno di un progetto e di un
processo educativo in co-evolu-
zione (Bateson, 1976, 1984) che
coinvolge educatori/insegnanti,
bambini/studenti e genitori. (...)
Per far fare ai bambini e ai ragaz-
zi grandi passi verso un pensiero
sistemico, occorre quindi grande
cura nella “messa a punto” dei
contesti e in una coerente pro-
gettazione educativa e occorre
anche una cultura organizzativa
della scuola intesa come comu -
nità di pratica basata sul lavoro
cooperativo, dove idee, materia-
L
a crisi ambientale,
economica, sociale,
sanitaria che investe il
XXI secolo ci costrin-
ge a riconoscere che il
mondo sta cambiando con una
velocità incommensurabile ri-
spetto al nostro stesso modo di
pensare, di leggere gli eventi e di
“comprendere” il cambiamento.
Di fronte a criticità ambientali
e sociali quali povertà estrema,
emarginazione, disuguaglian-
ze socioeconomiche e culturali,
degrado ambientale e inquina-
mento, è urgente investire – con
progetti a breve, medio e lungo
termine – per una scuola e un si-
stema formativo in senso ampio
che, dopo il COVID -19, è quasi
fermo o in grande affanno. Si av-
verte l’impegno e la responsabi-
lità di garantire la scuola e anche
di ripensarla per offrire maggiori
opportunità di uguaglianza cul-
turale e sociale e una più profon-
da comprensione della comples-
sità che ci sfida.
Un’educazione per la sosteni-
bilità deve formare la sensibi-
lità e la capacità di affrontare il
mondo nella sua crescente com-
plessità, per potere co-costruire
modi ecologici (in senso sociale
e ambientale) di abitare la terra.
Ciò richiede pensiero sistemico
e immaginazione: un modo di
guardare la realtà che scopra/
comprenda da differenti punti di
vista i fili visibili e invisibili che
connettono alla vita il più picco-
lo insetto o filo d’erba o foglia. È
un cambio di paradigma che, da
riduzionista-analitico e antro-
Oggi il pericolo più grande che corriamo
è quello di disertare il mondo degli altri,
di vivere sulla superficie della vita. Ci
ritroveremo più ricchi se ripartiremo da
ciò che ci definisce come esseri umani,
se adotteremo, nei contesti educativi,
approcci relazionali pro-sociali, cooperativi
e solidali e se modificheremo gli stili di
vita che ci portano ad essere i consumatori
inconsapevoli e colpevoli di prima.
pocentrico, si fa ecocentrico e
riconosce che la frenesia preda-
toria degli uomini e il degrado
del pianeta si sono spinti oltre
le possibilità che la natura ha di
rigenerarsi.
Si può cambiare
l’educazione “
dal di dentro”
Per cambiare l’educazione dal di
dentro serve un approccio all’ap-
prendimento-insegnamento che
sia esperienziale e co-partecipato,
dove le dimensioni cognitiva e
affettivo-emotiva – interconnes-
se l’una nell’altra e l’una per l’al-
tra – creino gli ancoraggi su cui
co-costruire, a livello individuale
e di gruppo, pensiero sistemico,
storie con valore di legame e ap -
prendimento profondo: dei veri
e propri clusters di lingua e lin-
guaggi, abilità-emozioni-signif-
icati-valori che si caratterizzino
come sistemi aperti.
VIVERE E IMPARARE
LA TERRA E LA NATURA
LILIANA DOZZA*
* Professore ordinario di Pedagogia
presso la Facoltà di Scienze della
Formazione della Libera Uni-versità
di Bolzano, è presidente del corso
di laurea magistrale di Scienze della
formazione primaria. Tra le sue
pubblicazioni: Maestra Natura. Per
una pedagogia esperienziale e co-
partecipata. (2018 Ed.); Per tutta
la vita: crescere e fare riserva di
esperienze e di storie, in M.L. Iavarone,
P. Malavasi, P. Orefice, F. Pinto
Minerva (2017 Eds.); Educazione
permanente nelle prime età della
vita, in L. Dozza e S. Ulivieri (2016
Eds.); Lo sguardo dei nonni. Ritratti
generazionali (2012); Vivere e cre-
scere nella comunicazione (2012);
Pianeta Anziani (2010); Contesti
educativi per il sociale (2007);
Relazioni cooperative a scuola (2006);
Il lavoro di gruppo tra relazione e
conoscenza (2003).
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D 60 D 61
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
cere di conoscere qualcosa che
appare strano, singolare, bizzar-
ro o anche meraviglioso ed è, al
contempo, premura, sollecitudi-
ne, interesse, apertura al mondo;
• a cogliere i fili visibili e invi-
sibili che legano natura, vite ed
eventi; a porre attenzione a ciò
che ci sfuggiva e ci sfugge nella
realtà più vicina: apprezzando il
significato e il valore profondo
della condivisione di narrazio-
ni-emozioni-desideri e dei lega-
mi visibili e invisibili che connet-
tono la vita, le vite, gli eventi;
• a narrare le esperienze fatte, a
darci il tempo per ripensarle, per
“incubarle, perché solo così pos-
siamo coltivare quella creatività e
quella leggerezza pensosa (Calvi-
no, 2016) che allarga lo spazio di
movimento e di “gioco” tra “me”
e il “mondo” attraverso il gioco,
la corporeità, la musica, l’arte, le
religioni (Winnicott, 19751) im-
parando a rappresentare e a col-
tivare i sogni – quelli degli altri
e i propri – per trasformarli in
progetti creativi;
• a dare vita e ossigeno all’empa -
tia, quella degli adulti che hanno
responsabilità educative e quella
dei bambini e dei giovani: empa-
tia con gli esseri umani e con la
natura, con le forme d’arte e di
comunicazione che aggregano le
persone e allenano il sentimento.

Ma, ribadiamo: per fare un balzo
in avanti con resilienza trasfor-
mativa servono adulti – inse-
gnanti, genitori, educatori – che
sappiano prendersi cura delle
generazioni future e che sappia-
no stare accanto a bambini, ado-
lescenti, giovani con un ascolto
che accolga e faccia risuonare e
vibrare le voci, i silenzi, le richie-
ste di attenzione e di aiuto, e an-
che le sfumature degli affetti.
A quali riferimenti teorico-me-
todologici si è ispirato Acerbi
nella sua vita professionale, che
è stata soprattutto orientata all’a-
zione-ricerca-formazione per un
apprendimento trasformativo?
In uno dei suoi ultimi scritti,
Acerbi scrive:
«A parte Francesco De Barto-
lomeis, il maggior riferimento
pedagogico nella gestione delle
attività parascolastiche cittadine,
propugnatore della scuola impo-
stata sui laboratori, due pubbli-
cazioni mi furono di ispirazione
in quell’avvio, Walden, Vita nei
boschi, in cui Henry David Tho-
reau descriveva la sua esperienza
di vita tra il 1845 e il 1847 …” An-
dai nei boschi perché desideravo
vivere con saggezza, affrontando
solo i fatti essenziali della vita,
in una capanna sulla sponda del
lago Walden”. Uno dei primi ro-
manzi ecologici. L’altra lettura fu
I limiti dello sviluppo, uscito nel
1972 a cura del Club di Roma,
fondato da alcuni studiosi e im-
prenditori, tra cui Aurelio Peccei,
in cui si richiamava l’attenzione
sulle conseguenze ambientali ne-
gative future, dovute a un certo
procedere dell’economia.»
1
Ebbene, il riferimento alla scuola
dei laboratori di De Bartolomeis
(De Bartolomeis, 1978, 1999)
così come all’idea-limite di siste-
ma formativo allargato (De Bar-
tolomeis 1983, 2004) è ancora
attuale, così come il lucido grido
d’allarme di Aurelio Peccei e del
Club di Roma.
1 Francesco De Bartolomeis, nato a
Salerno nel 1918, è uno dei principali
protagonisti della pedagogia e, più in
generale, della cultura italiana del No-
vecento. Realizzò a Torino a partire dal
1972 una sperimentazione di laboratori
a livello universitario con l’obiettivo di
mettere a punto “strategie per avviare
e sviluppare innovazioni nella scuola
ordinaria”. Il sistema dei laboratori non
venne proposto come semplice accom-
pagnamento delle attività scolastiche
ma puntò a diventare l’ossatura della
scuola stessa. La proposta del sistema
dei laboratori contribuì a dare contenu-
to metodologico alla nascente scuola a
tempo pieno mentre fuori della scuola
De Bartolomeis indicava, con il proget-
to di un sistema formativo allargato, vie
nuove ai servizi educativi territoriali.
La pratica dell’arte ha costituito un
riferimento importante della sua attività
formativa: conduzione, spesso con la
collaborazione di artisti, di laboratori
di educazione artistica produttiva,
spaziando dai bambini e dalle bambine
agli adulti, insegnanti e non.
li, ricerche, problemi da risolvere
vengano messi a disposizione di
colleghe e colleghi, elevando a
potenza le risorse di ciascuno e
della scuola tutta. È un approc-
cio che rovescia il paradigma
basato su concezioni e setting
educativi di tipo individualistico
e trasmissivo in favore di un ap-
proccio interattivo-costruttivista
e contestualista che privilegi l’e-
sperienza mediata dalla riflessi-
vità in situazioni laboratoriali sia
scolastiche sia extrascolastiche.
Serve anche integrare nei cur-
ricoli e nelle scelte metodologi-
co-didattiche dei team di classe
sia le life e soft skills sia la pro-
gettazione/realizzazione di per-
corsi didattici che permettano la
visione d’insieme (interdiscipli-
narità) mettendo a frutto lo spe-
cifico sguardo di ogni “materia”
(disciplinarità).
[...]
Si può fare
un salto in avanti
con un apprendimento
trasformativo
[...] Possiamo porre al centro dei
progetti e dell’agire educativo il
“fattore umano” e creare fin dal
nido e dalle prime scuole i con-
testi – spazi, tempi, regole/rela-
zioni, progetti condivisi – che
permettano di vivere in maniera
empatica nell’ambiente naturale
e culturale. L’opportunità di fare
esperienze in natura, attraverso
l’azione e il gioco, mette alla pro-
va e sviluppa confidenza con il
mondo ed esercita personali pic-
coli e/o grandi talenti, restituen-
do all’apprendimento formale
senso, valore profondo a livello
cognitivo-emotivo.
Il termine resilienza deriva dal
latino re-salire, che significa sal -
tare indietro, rimbalzare. Il futu-
ro, sfidato da una crisi sanitaria,
sociale, economica, ambientale,
richiederà una trasformazione
fatta di cambiamenti radicali.
“La strada maestra che l’Unio-
ne Europea indica per far fronte
alla crisi è quella della ‘resilienza
trasformativa’ come capacità che
sfrutta la spinta data dallo shock
per fare un balzo in avanti, inve-
ce di tornare indietro” (ASVIS,
2020). È il progetto di una resi-
lienza trasformativa.
Amilcare Acerbi invita a inne-
scare un apprendimento tra-
sformativo, ossia “quel processo
attraverso cui trasformiamo le
cornici di riferimento che perce-
piamo come problematiche (at-
teggiamenti e abitudini mentali,
prospettive di significato) per
renderle più inclusive, aperte, ri-
flessive e capaci di discriminare
e cambiare” (Mezirow, 2016, p.
101). Propone di stare nella re-
lazione “con il mondo” per cam-
biare sguardo o paradigma.
Inoltre, ci propone tre livelli al-
meno di lettura e di riflessioni.
1 L’esperienza, in particolare
l’outdoor education, è parte di un
processo spiraliforme in cui l’a-
zione e la percezione delle rispo-
ste dell’ambiente creano spazio
al segno, al simbolo, al linguag-
gio e al pensiero.
2 Alimentazione, Agricoltura,
Ambiente naturale sono tre am-
biti educativi che hanno stret-
ta connessione con la vita ma
che spesso vengono presentati
e indagati separatamente. Do-
vrebbero essere proposti con
approccio interdisciplinare e in-
terculturale. Nella percezione di
un bambino/adolescente consu-
matore, la prevalenza dell’opera
dell’uomo sembra togliere vita e
anima ai prodotti dell’agricoltu-
ra, non si conoscono i processi di
nascita, crescita e raccolta delle
piante e dei loro frutti, i sapori e
i profumi originari e nemmeno
la stagionalità, poiché tutto si
trova facilmente sugli scaffali dei
supermercati. Altrettanto, poco
si sa sul lavoro dell’agricoltore,
dell’allevatore o del forestale.
Anche questo forma al pensiero
sistemico.
3 Puoi entrare in contatto pro-
fondo con la natura della natura
se cambi atteggiamento, sguar-
do, paradigma. Puoi riconosce-
re che il paesaggio della mente
“contiene” il paesaggio esterno,
in quanto lo esplora e si muove
in esso, e muovendosi in esso
viene a sua volta confermato
(Morelli, 2018, p. 62). E puoi ri-
scoprire e riconoscere la natura
anche attraverso l’arte e ciò che
gli artisti hanno percepito, com-
preso, immaginato.
In conclusione
Oggi il pericolo più grande che
corriamo è quello di disertare il
mondo degli altri, di vivere sulla
superficie della vita e di soccom-
bere alla pigrizia empatica che
ci porta a chiuderci in maniera
egoistica.
Ci ritroveremo più ricchi se ri-
partiremo da ciò che ci defini-
sce come esseri umani, se adot-
teremo, nei contesti educativi,
approcci relazionali pro-sociali,
cooperativi e solidali e se modi-
ficheremo gli stili di vita che ci
portano ad essere i consumatori
inconsapevoli e colpevoli di pri-
ma.
Ripartiremo in modo trasforma-
tivo se – bambini, giovani, adulti
– impariamo:
• a prendere fra le mani il corag-
gio di riscoprire il contatto con
l’autenticità della vita, ad assapo-
rare la vita con tutti i sensi: con
l’olfatto, il gusto e il tatto, apprez-
zando l’emozione di tenere per
mano, abbracciare, accarezzare
la vita intorno a noi;
• a coltivare la curiosità, che è
motivazione e cura: è desiderio,
entusiasmo della scoperta e pia-
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D 62 D 63
.. è in Italia e nel Mediterraneo, che si
sono incontrate e mischiate nei secoli
culture, saperi, aspirazioni, le più varie…
Questo è un invito alle insegnanti del Sud,
alle giovani del Sud, che per vocazione o
per sopravvivere, inventano servizi per i
bambini (studiano, desiderano emanciparsi,
non vogliono abbandonare le loro terre,
sognano di essere connesse col mondo) …
MEDITERRANEO
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Bibliografia
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER

D 64 D 65
In premessa
Curricolo è un termine forte,
impegnativo. Soprattutto se vie-
ne declinato minuziosamente
secondo ruoli, interlocutori,
tempi. Agli educatori e agli in-
segnanti più attenti e preparati
potrebbe sembrare un vincolo,
una gabbia, proprio perché essi
sanno e conoscono bene quante
siano le variabili quotidiane che
incontrano e che debbono af-
frontare (regolamenti, disponi-
bilità economiche, atteggiamen-
ti delle famiglie, diversità dei
bambini, relazioni tra colleghi, le
proprie vicende familiari).
Ma la complessità della società
e la velocità dei cambiamenti
impongono che si rifletta e che
si preparino esperienze utili
per tutti i bambini nati in Italia.
Credo però anche che gli appa-
rati preposti alla direzione deb-
bano, e noi che ragioniamo sui
sistemi dobbiamo farci carico
di difendere le scuole e gli inse-
gnanti dagli assalti costanti che
tendono ad attribuire loro ogni
responsabilità.
La mia visione
Una ludo-scuola dove si cerca,
si scopre, si impara. Da riempi-
re di immagini, racconti, forme,
materiali, vegetazioni. Una scuo-
la ove si prende confidenza un
poco per volta con i due mondi,
che animano e circondano la vita
di ognuno, quello reale e quello
virtuale e si impara a gestirli e
a gestirsi dentro di loro. Questa
scuola dei bambini è uno spazio
composto da centri di interesse a
loro misura, condotta da adulti
preparati ad ascoltare e ad ac-
compagnare i bambini nelle re-
lazioni tra loro e in relazione con
cose e avvenimenti.
pure insistere troppo, tutt’al più
agendo anche lui da solo e diven-
tando così “modello”.
1
I contesti. I contesti sono coerenti
con i potenziali di apprendimento
di ciascun bambino, prevedono
implementazione parallela allo
sviluppo degli interessi dei bam-
bini e alla lettura che ne fa l’adulto
referente. Ma i contesti non posso
essere avulsi dal mondo in cui vi-
viamo e verso cui presumiamo di
andare. I contesti tematici in cui
sviluppare curiosità e interessi, in
interno come angoli di gioco, in
esterno come poli di interesse, a
mio parere dovrebbero essere:
a. ambiente naturale/agricoltu-
ra/alimentazione con attenzione
ai contesti locali e di provenien-
za delle famiglie, sviluppati attra-
verso angoli gioco e poli di inte-
resse dove si coltiva, confeziona,
1 Vedi sul sito www.zeroseiup.eu in “Chi
siamo” Il manifesto/sentiero pedagogico
di ZeroSeiUp ….
alleva e si fingono ruoli e gesti di
varie professioni.
b. Arte contemporanea e comu-
nicazione visiva. Ove si osserva,
imita, scoprendo e sperimentan-
do gesti, combinazioni, materiali.
c. Finzione/comunicazione/sim-
bolizzazione con un’attenzione
particolare ai modi di racconta-
re, anche con la musica. Ove ci
si relaziona, si progetta comu-
nicazione, si sperimentano for-
me, si provano linguaggi diversi,
mimico, mimico-verbale, video,
grafico.
d. Logica e fisica, rapportate ai
diversi contesti urbani in cui vi-
vono i bambini. Ove si prova, si
fanno ipotesi, si sperimenta, si
codifica.
e. Sicurezza e gestione del ri-
schio. La dimensione ludico/
esplorativa caratterizza ogni ap-
proccio; l’attività motoria è inco-
raggiata e praticata quotidiana-
mente. Angoli gioco in interno e
poli di interesse in esterno ove si
prova e ci si misura con le pro-
prie abilità psicofisiche e i pro-
pri limiti, si utilizzano regole, si
compete.
f. Riposo, ozio, meditazione, resi
possibili in spazi in interno con
risorse per leggere, ascoltare rac-
conti, dormire e angoli in esterno
ove riposare, ascoltare, chiacchie-
rare. Ove ci si dà del tempo.
Ruoli degli adulti. Ciascun adul-
to dovrà sovrintendere a due o
tre centri in interno e due o tre in
esterno, quindi interpretarne l’u-
so da parte dei bambini e imple-
mentarne la consapevolezza e la
dotazione. Il rapporto tra centri
e numero di iscritti sarà in me-
dia di 1 a 4 in interno e da 1 a 6
in esterno. La giornata dei bam-
bini trascorrerà nel rispetto dei
loro tempi individuali, attraverso
scoperte e riflessioni; verranno
accompagnati in azioni di coo-
perazione; verranno incoraggiati
in gesti e impegni di solidarietà;
avranno facoltà di scegliere edu-
L’autore prefigura, attraverso dei precisi
contesti (ambientale - naturale, dell’arte
contemporanea e comunicazione visiva, della
finzione - comunicazione - simbolizzazione, della
logica e della fisica, della sicurezza e gestione
del rischio, del riposo - ozio e meditazione) una
ludo-scuola, dove il bambino viva con intensità
e rispondenza ai due mondi “reale e virtuale”
la sua esperienza di apprendimento. Ritiene,
inoltre, che il confine culturale della scuola si
debba allargare, ora, più che alla mitteleuropa,
al Mediterraneo per rispecchiare e comprendere
il passato e preparare il futuro del nostro paese.
Bambini e adulti. Per bambi-
ni al di sotto degli otto anni mi
piace pensare, piuttosto che ad
un percorso, o a una successione
di unità didattiche, ad un insie-
me di contesti, dentro cui ogni
bambino/bambina possa prova-
re ad entrare, assaggiare, creare
interazioni e modifiche, uscire;
ed eventualmente rientrare un
altro giorno. E dove ogni volta
possa stare solo, oppure incon-
trare un compagno, con cui fare,
o più semplicemente osservarlo
e carpirgli qualche idea, oppure
passargliela. Altrettanto potreb-
be incontrare un adulto che lo
ascolta, lo osserva, chiede, sug-
gerisce: senza prevaricare e nep-
PER UNA SCUOLA
“MEDITERRANEA”
DEI BAMBINI IN ETÀ UNO-SEI ANNI
AMILCARE ACERBI
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D 66 D 67
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
leuropea sia in grado di sostene-
re l’impatto coi nuovi bambini
e coi nuovi genitori. La penso
invece sviluppabile dalle inse-
gnanti e dagli operatori culturali
che più si sentono legati al Sud,
ai luoghi di provenienza fami-
liare, alle terre al di qua e al di
là del mare. Perché è in Italia e
nel Mediterraneo, che si sono
incontrate e mischiate nei secoli
culture, saperi, aspirazioni, le più
varie. Così come non sono man-
cati gli arabi, nelle nostre terre,
non sono mancati gli spagnoli
o i francesi o ancora prima gli
influssi mitteleuropei di Federi-
co II. E qui, così, si sono forgiate
le capacità di sopravvivenza, il
coraggio dell’emigrazione, l’in-
dividualismo o la solidarietà di
gruppo, corazze contro soprusi
e violenze del potere. Caratteri
distintivi di un popolo che non
ama chi comanda ma è pur di-
sposto ai sacrifici più grandi ed
a ricercare soluzioni, anche in
modo individuale o di gruppo
ristretto. I segni sono ritrovabili
nei caratteri e negli edifici, nel-
le sensibilità delle persone, nelle
coltivazioni, nell’artigianato.
Il nuovo uscirà dal Sud. Que-
sto è un invito alle insegnanti del
Sud, alle giovani del Sud, che per
vocazione o per sopravvivere,
inventano servizi per i bambini
(studiano, desiderano emanci-
parsi, non vogliono abbandonare
le loro terre, sognano di essere
connesse col mondo): saranno
loro a inventare e realizzare il ser-
vizio unico zero-sei per prime, e
con loro le giovani figlie di im-
migrati che si dedicheranno alla
mediazione culturale o, spero,
all’insegnamento. Certo, pescan-
do aiuto nelle tante maestre salite
al nord per necessità, per alimen-
tare la propria emancipazione,
emigranti per gli emigrati, così
ricche di umanità e socialità.
2

Conclusione temporanea. La
riflessione è volutamente sinte-
tica e schematica; sottende un’e-
laborazione più articolata; ma
soprattutto è un invito ad avviare
un confronto. Aspirare a un nuo-
vo modello e con un approccio
diverso non suona come disco-
noscimento degli influssi mitte-
leuropei, ma i “cento linguaggi di
Loris Malaguzzi” devono spin-
gerci anche a pensare alle cento
culture e alle cento sensibilità,
da accogliere e da intrecciare, da
oggi in poi. Il Dna degli italiani
lo consente e le genti del Medi-
terraneo lo attendono.
2 E negli anni ho avuto la fortuna di
conoscerne molte in diverse città del
Piemonte e della Lombardia.
catori e spazi ove stare e agire.
L’appartenenza alla comunità
sarà trasmessa attraverso collo-
qui con i bambini, assembleari
e quotidiani (a gruppi per anno
di iscrizione e generale), che
consentiranno di raccogliere
riflessioni, scambiare idee, in-
dividuare e monitorare progetti
collettivi, valutare e indirizzare
comportamenti.
Meravigliosa risorsa. Alle edu-
catrici di nido italiane va rico-
nosciuta una energia pedagogica
e un amore per la cura verso i
bambini, straordinaria, che dura
nel tempo, si alimenta e si evolve
da anni e che non sarebbe diffici-
le trasmettere alle insegnanti di
scuola d’infanzia. Però ...
La scuola dell’infanzia è stata
agganciata alla scuola prima-
ria quando essa aveva già perso
tutta la forza innovatrice della
scuola a tempo pieno. Lo svilup-
po delle scuole dell’infanzia non
sta nell’imitazione di quei mo-
delli di trasmissione delle abilità
e delle conoscenze.
Le insegnanti delle scuole
dell’infanzia sono state protago-
niste di una prima rivoluzione
ben più difficile e utile, passando
dall’assistenza “materna” all’edu-
cazione, inserendo la pratica di
nuovi linguaggi, accompagnan-
do i bambini verso l’autonomia
anche affettiva, sollevando le
mamme nel loro inserirsi nel
lavoro e consentendo il raggiun-
gimento della parità in famiglia.
Ora le une e le altre sono di fron-
te ad una nuova fase rivoluziona-
ria, propriamente culturale, non
solo di nuove pratiche, ovvero
accompagnare i genitori lungo il
loro piacere di educare e allevare
(pur nelle contraddizioni delle
frequenti separazioni), accom-
pagnare i bambini nel doppio
mondo del virtuale e del reale,
forgiarli per la convivenza e nella
capacità di affrontare i cambia-
menti, materiali e affettivi.
E se non loro, educatrici e inse-
gnanti, chi??
Tradimenti e opportunismi.
Non saranno certo i comuni,
che purtroppo hanno dovu-
to svendere e svendono le loro
scuole dell’infanzia, che affidano
a macrocooperative la gestione
dei servizi nido, che pur sono in
capo a loro (per mero risparmio
e incapacità di elaborare contratti
in proprio, eludendo i sindaca-
ti malati. Ma dove sta l’ANCI?),
tradendo così la fiducia e le aspet-
tative dei nuovi genitori che pur
sentono la consapevolezza che il
figlio è tanto loro così come della
comunità in cui sono nati.
E neppure gli istituti compren-
sivi statali, schiacciati dalla in-
terpretazione burocratica della
didattica, dell’efficienza e della
democrazia, fertile terreno del-
le contrapposizioni sindacali (e
come risultato delle loro strate-
gie oggi vantiamo gli insegnanti
più frastornati e meno pagati in
Europa. Sigh!).
Nuove educazione
per il progresso sociale
ed economico
Le educatrici e le insegnanti,
unite dalla stessa scommessa
professionale, sociale, culturale,
possono veramente dare un for-
midabile contributo al progresso
economico, culturale e sociale
dell’Italia. Perché sono loro che
forgiano l’identità dei nuovi nati
in Italia, di cui un buon quarto
appare essere figlio di immigrati
(possiamo dimenticare che nelle
nostre scuole entrano ben 140
nazionalità?).
Meravigliosa scommessa quel-
la di coltivare l’identità italiana
e creare cittadini del mondo,
contribuire a crescere “creativi”
i bambini figli del mondo e pas-
sare loro il talento italiano!
La diversità. La creatività. La
diversità è ricchezza? La creativi-
tà è dote italica naturale? Bisogna
studiare e sperimentare come la
diversità diviene ricchezza; bi-
sogna alimentare la creatività di
ciascuno e sfatare che sia frutto
genetico.
L’accoglienza. L’accoglienza non
riguarda solo i figli degli immi-
grati: tutti i bambini hanno bi-
sogno di una nuova accoglienza,
l’accoglienza non è solo un fatto
di disponibilità economica, l’ac-
coglienza è un fare e uno stare
insieme in maniera diversa.
La mission. Questa scuola deve
essere capace, in questa società
che muta con accelerazioni im-
provvise, di offrire ai bambini,
tutti, una nuova accoglienza e un
ascolto profondo, che sa decli-
nare le diversità trasformandole
in vera ricchezza, che insegna la
creatività, che accompagna cia-
scuno nel formarsi l’identità, con
educatori in dialogo costante coi
genitori, che sanno che cosa è la
povertà, che gestiscono le con-
traddizioni identitarie, che si
dedicano al tema della pace, che
non temono di sviluppare le po-
tenzialità di ciascuno. L’ambiente
e le culture locali dovranno po-
ter modellare le nuove azioni a
favore dei bambini.
Le religioni pesano nelle moda-
lità di convivenza, spesso deter-
minando storture nelle relazio-
ni e rispetto all’evoluzione dei
diritti e dei doveri del vivere in
comunità. Il processo di laicizza-
zione sembra liberare le menti,
ma spesso fa perdere valori pro-
fondi di solidarietà e di rispetto
reciproco. Bisogna tenerne con-
to, ascoltando e studiando.
Perché una scuola
“mediterranea”?
Perché non credo che una scuola
di ispirazione solamente mitte-

D 68 D 69
L
a visione pedagogica
di Acerbi è stata multi-
forme e lungimirante,
a volte anche troppo
in anticipo sui tempi,
come lui stesso riconosceva.
In questo dossier si scriverà mol-
to dell’attenzione per il gioco e
l’ambiente, suoi interessi portanti.
Ma nell’ambito del mio lavoro
di Responsabile del nido e della
scuola d’infanzia comunali del
quartiere San Salvario di Torino,
abbiamo condiviso soprattutto,
io e le insegnanti, il suo appas-
sionato sguardo su una nuova
sfida incombente sul mondo
dell’educazione, l’impatto con la
società globale, l’inclusione di
bambini e adulti provenienti da
tutto il mondo.
Acerbi ha riconosciuto con ra-
pido e fattivo intervento le po-
tenzialità di crescita civile che
i due microcosmi scolastici di
San Salvario potevano esercita-
re sul territorio, caratterizzato
dall’insediamento crescente di
stranieri e descritto allora dai
media come una sorta di Bronx
ingovernabile. Mi riferisco alla
fine degli anni Novanta e all’ini-
zio del Duemila.
Acerbi era appena subentrato a
Walter Ferrarotti nella direzione
pedagogica dei servizi torine-
si, un incarico da far tremare le
vene e i polsi, come si suol dire,
per la difficoltà di succedere,
dopo decenni di autorevole con-
tinuità, allo storico fondatore del
sistema educativo torinese, fiore
all’occhiello delle prime giunte di
sinistra degli anni Settanta.
Per quel che ho potuto conosce-
re direttamente di Ferrarotti, nei
due anni in cui ho lavorato nei
servizi da new entry prima che
andasse in pensione - le mie pre-
gradualmente consapevolezza
che l’inclusione dei nuovi bam-
bini e genitori avrebbe costituito
una delle sfide più difficili del fu-
turo della scuola.
Acerbi ha colto la crucialità di
questo passaggio e si è interes-
sato ai nidi e alle scuole che per
primi erano stati travolti dall’ar-
rivo delle famiglie straniere, con
il loro bagaglio di aspettative e
diversità.
Si è immerso nella realtà di que-
ste scuole e, soprattutto, ha colto
i tentativi che le più reattive ave-
vano intrapreso per far fronte ai
complessi problemi della globa-
lizzazione scolastica.

Nel caso di San Salvario ha ri-
conosciuto le potenzialità di un
progetto basato sull’arte contem-
poranea che la Scuola dell’infan-
zia Bay aveva richiesto al Dipar-
timento Educazione del Castello
di Rivoli, il più importante mu-
seo di arte contemporanea in
Italia, per dare uno sbocco alla
crisi sia degli insegnanti sia dei
genitori.
Era iniziato infatti un proces-
so di fuga delle famiglie italiane
verso altre scuole, fuga motiva-
ta non tanto da pulsioni più o
meno consapevoli di razzismo,
quanto dalla paura di far vive-
re ai figli una scuola scadente.
Le insegnanti avevano cercato
nell’incontro con Rivoli una ri-
sposta innovativa e di alto livello
culturale per frenare questo eso-
do e rilanciare la qualità pedago-
gica della scuola.
L’idea consisteva nel superare la
tentazione di coltivare in modo
un po’ meccanico le differenze
delle famiglie, come si è spesso
fatto in quegli anni, in buona
fede. Si sceglieva invece di pun-
tare sui linguaggi artistici visti
come terreno fertile di conta-
minazione culturale. Ogni con-
tributo espressivo, ogni filo del
tappeto, si mescolava con gli altri
per formare un’opera collettiva,
una tessitura armonica, senza
perdere la propria unicità. Un
terreno in cui potevano espri-
mersi sia i bambini sia gli adul-
ti, non ostacolati dalle difficoltà
linguistiche o dai diversi livelli
sociali e gradi di acculturazione.
Nel progetto cosiddetto del Tap -
peto Volante, che tanta fortuna
ha avuto presso i genitori del-
la Scuola Bay e nel quartiere,
si sono verificate coincidenze
fortunate: la passione delle in-
segnanti, la creatività progettua-
le e la capacità organizzativa di
uno staff museale generoso nello
spendersi fuori dalle mura privi-
legiate della propria istituzione, il
sostegno della figura dirigenziale
e della parte politica di allora.

In quell’incontro tra educazione
e alta cultura, e nell’attenzione
sincera alle storie ed aspettative
delle famiglie, Acerbi ha indivi-
duato una linea di lavoro adatta
a dare risposte agli insegnanti, ri-
Una parte significativa della visione pedagogica
di Acerbi emerge dal racconto dell’esperienza
torinese, in questo caso dal progetto Tappeto
volante, nel quale si è scelto di puntare sui
linguaggi artistici visti come terreno fertile di
contaminazione culturale; l’attività educativa
è stata intrapresa a partire dall’ascolto
profondo di bambini e genitori, utilizzando
la creatività come strumento per superare
il vecchio e costruire il nuovo, la formazione
libera dell’identità, con gli insegnanti come
catalizzatori fondamentali di questi processi.
cedenti esperienze di lavoro si
erano svolte tutte nel settore cul-
turale della città - ho intravisto
una continuità tra lui e Acerbi in
molte linee di fondo teoriche e
organizzative.

Nel periodo ferrarottiano era già
stato avviato, con la mediazione
del Progetto Ambiente di allora,
un progetto di formazione degli
insegnanti sull’educazione inter-
culturale. Si era agli inizi di un
cambiamento epocale della po-
polazione cittadina e, di riflesso,
della composizione delle fami-
glie, soprattutto in alcune aree
della città. Il mondo dell’educa-
zione, o perlomeno la sua parte
più sensibile, stava prendendo
I BAMBINI
DEL MEDITERRANEO
NELL’UMANESIMO PEDAGOGICO DI ACERBI
MARICA MARCELLINO*
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
* Già Responsabile del Nido e della
Scuola dell’Infanzia Bay di Torino
unsplash.com

D 70 D 71
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
intitola “Dal Sud al Nord”.
Oggi constatiamo quanto l’inclu-
sione degli immigrati stranieri
sia tanto più difficile e complessa
di quella tra italiani del nord e
del sud. Ma la posta in gioco è
altrettanto, se non più, alta. Se la
scuola ha successo in questa sfi-
da, può condizionare la costru-
zione di comunità positive, dove
le nuove generazioni potranno
avere un ruolo decisivo a favore
della tolleranza e della pace.

Dagli anni Novanta in poi le
scuole italiane hanno fatto molti
progressi in tal senso.
Per Torino l’esperienza di San Sal-
vario e di Porta Palazzo o della
periferia nord, che col tempo sono
diventate le aree di maggior con-
centrazione dei migranti, hanno
provato ad aprire una breccia e a
ritrovare un senso alla loro identi-
tà e missione educativa.
Acerbi ha utilizzato il suo ruo-
lo istituzionale di dirigente dei
servizi educativi per stimolare
e sostenere questi processi. La
continuità con gli anni Settanta,
l’incontro tra nord e sud sono
stati un quadro di riferimento
più o meno esplicito ma sempre
presente nelle sue meditazioni
interculturali.
Non stupisce che questo lavorio
intellettuale e emotivo abbia ge-
nerato il progetto, purtroppo in-
compiuto, di una “scuola dell’in-
fanzia mediterranea per bambini
in età 1-6 anni”, una sorta di ma-
nifesto per un umanesimo dei e
per i piccoli che vivono nei paesi
di quell’area del mondo.
Nella sua breve introduzione a
questo progetto emergono idee
forti che erano già presenti nel-
le analisi sul Tappeto Volante :
l’ascolto profondo di bambini e
genitori, la creatività come stru-
mento per superare il vecchio e
costruire il nuovo, la formazione
libera dell’identità, gli insegnanti
come catalizzatori fondamentali
di questi processi: “Vorremmo
studiare, comporre, sperimen-
tare le caratteristiche di questa
scuola dell’infanzia “mediterra-
nea” con educatori e insegnanti
che già si sono misurati con la
povertà, la diversità, le contrad-
dizioni identitarie, il tema della
pace. Si tratterebbe di un percor-
so di scambio, formazione, pro-
gettazione (...) che porterebbe ad
introdurre nei servizi per l’in-
fanzia coinvolti nuove pratiche,
vecchie pratiche rivisitate, spazi
e situazioni educative rinnova-
te, che potrebbero costituire un
modello di confronto con chi,
conoscimento all’istituzione cul-
turale, segnali forti di vicinanza
dell’ente comunale ai genitori.
Per Acerbi i genitori non erano
solo i destinatari del progetto,
ma gli attori fondamentali, come
scrive in un suo articolo: “Qui
incombeva la sfida: il confronto
degli insegnanti con un mondo
esterno ostile, in un quartiere che
sembrava impegnato a respinge-
re ogni straniero, regolarmente
citato nella cronaca dei quoti-
diani come teatro di malefatte.
Con i genitori italiani impauriti
e tesi a proteggere ancor di più
e, appena possibile, a trasferire
i propri figli nelle scuole di altre
zone della città; ma altrettanto
spauriti i genitori stranieri, dif-
fidenti, umiliati, tacitati da tanta
ostilità e fragili nel loro bisogno
di assicurarsi la sopravvivenza
quotidiana. (…) Fondamenta-
le che un’istituzione culturale,
quale il Castello di Rivoli, rico-
nosciuta a livello internazionale,
superi la generica disposizione a
lavorare con le scuole di un ter-
ritorio e condivida la scelta di
aprirsi ai bambini e alle famiglie
di quel territorio. I genitori sen-
tiranno subito il peso di questa
disponibilità, ne saranno onora-
ti, saranno orgogliosi che i loro
figli la frequentino. E questa sod-
disfazione contagerà tutti, dalle
famiglie più acculturate a quelle
meno.”

Nella riflessione di Acerbi una
scuola per reggere l’impatto con
la globalizzazione deve poter
contare su aiuti esterni, coltivare
l’alleanza con partner qualificati,
aprirsi ad altre competenze, ac-
cettare di sperimentare; solo così
può restituire ai genitori l’imma-
gine di una scuola che non inse-
gue la difficoltà ma trasforma le
diversità in risorsa e mette a di-
sposizione dei bambini un patri-
monio di esperienze molto più
ricche dell’ordinario, soprattutto
in vista del passaggio a un futu-
ro da adulti che si presenta a dir
poco complesso e imprevedibile.
Di qui la teorizzazione di un co-
siddetto “metodo sansalvario” da
proporre anche alle scuole statali
di ogni ordine e grado del quar-
tiere. Il tentativo di istituziona-
lizzare quell’esperienza, con la
creazione di un Patto Territoria-
le e il coinvolgimento finanziario
di una grande fondazione ban-
caria, ha funzionato per pochi
anni, disperdendosi come spes-
so succede quando cambiano le
persone e le scelte politiche. Ma
il cuore del progetto ha conti-
nuato a ispirare il modo di lavo-
rare delle scuole.
Per dare un’idea dell’impatto che
il Tappeto Volante ha avuto negli
anni intorno al Duemila, per la
prima volta stampa e televisio-
ne hanno associato San Salvario
a immagini festose di bambini
e adulti chini a dipingere gran-
di tappeti di carta nelle strade e
piazze, o a realizzare wall pain-
ting sui muri di edifici, cortili e
aule. Nei reportage fotografici
gli spacciatori e i ladri extraco-
munitari sono stati rimpiazzati
da bambini, ragazzi, genitori,
insegnanti, abitanti, artisti. La
scuola è diventata così un pun-
to di riferimento del territorio,
ha contribuito a consolidare una
comunità complessa.

Come non pensare ad un altro
periodo storico, in cui le scuole
torinesi hanno accolto un nu-
mero inesauribile di bambini
provenienti da lontane regioni
italiane, le cui tradizioni e dif-
ferenze sembravano allora mar-
catissime? Come non ricorda-
re, per chi vive a Torino, quello
sforzo incredibile che i servizi
educativi hanno affrontato negli
anni della grande immigrazione
dal sud? La costruzione a ritmi
serrati di nuovi plessi - quattro/
cinque nidi e scuole dell’infan-
zia ogni anno - ha contribuito in
modo determinante a integrare
bambini siciliani, pugliesi, cala-
bresi, campani, in una città che
fino ad allora non si era attrez-
zata adeguatamente a gestire le
grandi ondate di lavoratori ri-
chiamati dalle fabbriche. Si può
ritrovare il clima di quell’epopea
scolastica, con i suoi slanci e i
suoi aspetti anche datati, nella
bella inchiesta televisiva che Lui-
gi Comencini ha realizzato negli
anni Settanta, I bambini e noi, in
particolare nella puntata che si
Pexels.com

D 72 D 73
Chi era Amilcare, prima di tutto un grande amico.
Un amico a cui piaceva giocare a tutto tondo, con il quale
ho passato ben trentacinque anni a realizzare progetti
e mostre di qualsiasi genere, tra Musei, centri culturali,
ristoranti, enti per la diffusione del gioco e del giocattolo,
viaggiando nelle meraviglie dell’immaginazione
di Emilio Salgari, Gianni Rodari, Jules Verne.
Abbiamo condiviso avventure tra preistoria delle
imbarcazioni, la vita sui fiumi con piroghe, zattere e
battelli vari, mostre fotografiche e didattiche sul gioco,
la vita tra le giostre, le collezioni di bambole, i laboratori
con gli studenti, i giochi tra l’immaginario delle foreste
e dei boschi nostrani in riva a laghi e fiumi, la voglia
di progettare le O di Po, tra ponti
e Comuni lungo il grande fiume.
Attraverso il desiderio, un giorno …. di realizzare una
zattera che potesse viaggiare lungo questa riva del Po
di favole in Festa, giocare con Pinocchio e la sua balena
costruendo per i bambini una semplice imbarcazione
di rami legati da lasciar scivolare sull’acqua di un ruscello,
di un laghetto o tra le onde del mare.
Era un grande sognatore di giochi.
Roberto Lattini
ESPERIENZE
E TESTIMONIANZE
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
nel Mediterraneo meridionale
volesse attivare nuovi servizi e
con chi nel Mediterraneo set-
tentrionale volesse aiutare i gio-
vanissimi a diventare cittadini
sicuri, proiettati ad un futuro di
convivenza pacifica.
E ancora: “Si dice: gli italiani
sono un popolo di creativi. La
creatività è una dote innata ita-
liana o è stata il frutto di un lun-
go e travagliato cammino fatto
di esercizi di adattamento e solu-
zioni per la sopravvivenza?

E se nel processo di adattamen-
to ci fossero stati “frutti” portati
da altri, che mischiati ai nostri
semi, avessero prodotto sensibi-
lità e intelligenze divergenti? Ora
che siamo una società abbastan-
za sazia e un poco pigra non sarà
forse necessario insegnare ed
esercitare la capacità creativa ai
nostri bambini?”
Ogni paragrafo di questa intro-
duzione può suggerire elemen-
ti di pensiero e lavoro. E molto
suggestiva appare quest’idea di
un rilancio della cultura medi-
terranea in senso alto, a parti-
re dai bambini, che in qualche
modo possa riattivare quel patri-
monio di civiltà che gli scambi e
le fusioni tra le genti del medi-
terraneo hanno prodotto, civiltà
che si stenta oggi a riconoscere
nelle vicende spesso terribili che
affliggono le popolazioni intor-
no al mare nostrum.
Auguriamoci che le visioni me-
diterranee di Acerbi non restino
inoperose, e che qualcuno accet-
ti il passaggio del testimone, in
omaggio a quel saper vedere lon-
tano che è stata una caratteristica
del suo umanesimo pedagogico.
Il gioco dell’oca a Lodi
Bergamo
Il gioco della campana

D 74 D 75
H
o conosciuto
Acerbi in un tar-
do pomeriggio
di estate, a Tori-
no. Lui era stato
appena nominato Direttore pe-
dagogico dei Servizi educativi
della Città in sostituzione del
dott. Ferrarotti. L’avevo già visto
altre volte negli anni precedenti
a diversi Convegni, a incontri sui
Parchi Robinson e sul gioco, ma
non lo conoscevo.
Ci siamo incontrati, lui ed io,
nell’ufficio che era stato del dott.
Ferrarotti. La prima cosa che ho
pensato quando l’ho visto, sedu-
to alla sua scrivania, è stata che
Acerbi aveva avuto un grande
coraggio ad accettare quella sfi-
da. Ferrarotti è stato per molti
anni il nostro Dirigente peda-
gogico, ha fondato nuovi servizi
per le Scuole dell’infanzia, aper-
to i Centri di Documentazione e
i Laboratori, individuato nuove
figure professionali specializzate
nell’educazione dei bambini con
problemi. Molto amato dal per-
sonale, Walter Ferrarotti è stato
un pedagogista visionario, con
un grande carisma e una profon-
da cultura pedagogica.
Quel giorno avevo davanti a me
chi lo aveva sostituito: una per-
sona coraggiosa, sicura di sé,
forse non del tutto consapevole
riguardo a tutte le problematiche
dei nostri Servizi.
Mi aspettavo che quel primo
incontro, programmato per co-
noscermi, per conoscere meglio
i Laboratori dell’infanzia che co-
ordinavo da qualche anno, si sa-
rebbe svolto con molte domande
da parte sua e molte risposte da
parte mia.

Non è andata così. Dopo i sa-
luti e poche frasi di circostanza,
Acerbi ha iniziato a parlarmi del
figlio, ricoverato in ospedale a
Pavia dopo un grave incidente in
moto. Lui era a Torino e il figlio
a Pavia.
E ho colto tutta la sua preoccu-
pazione, ma anche la consape-
volezza di quello strano destino
che lo aveva portato a Torino, di
essere lì in quel momento invece
di essere accanto a suo figlio. Era
visibilmente angosciato, si sen-
tiva in colpa e non faceva nulla
per nasconderlo. Ne parlava fa-
cendosi forza: sicuramente il fi-
esperienze importanti: la mostra
“Per finta” itinerante a Roma, a
Reggio Emilia, a Piacenza, ad
Alba, il Convegno sull’educa-
zione al Lingotto, l’apertura del
Centro Remida con il Museo
d’arte contemporanea di Rivoli.
la partecipazione al progetto eu-
ropeo Connect con la Francia e
la Finlandia ...
Acerbi dava fiducia, senza però
regalare nulla. La sua critica era
sempre puntuale e circonstan-
ziata, non faceva sconti. Ricordo
lunghe discussioni prima di tro-
vare un punto d’incontro.
Abbiamo fatto un pezzo di stra-
da assieme, a volte in salita, a
volte tortuosa, dove l’orizzonte
sembrava lontano.
Forse l’aspetto più singolare è
che Acerbi ha sempre difeso il
nostro lavoro, anche all’interno
dei Servizi educativi, costruendo
contatti con altre realtà italiane,
per farci conoscere.
Sono state esperienze intense, a
volte faticose, perché non era-
vamo abituate ad un confron-
to serrato. La caratteristica che
più ricordo è la sua capacità di
ascolto nel rispetto delle opinio-
ni diverse, ma cercando sempre
di esporre il proprio pensiero, le
proprie ragioni.

Acerbi era una persona compe-
tente e appassionata, tesseva fili
e s’interessava del lavoro di tutte
le persone che, con ruoli diversi,
operavano nel campo educativo,
per il benessere dei bambini e
delle bambine.
È venuto a trovarci con Silvana,
dopo diversi anni che non ci
vedevamo, nella nostra casa in
mezzo ai boschi. A lui è piaciu-
ta la nostra nuova casa, vecchia
cascina valdese, fatta di pietra e
malta, come una volta. Ci siamo
ripromessi di rivederci presto.
Nessuno immaginava che non
sarebbe più stato possibile.
In suo ricordo ho piantato nella
radura del bosco, vicino ai ca-
stagni e ai noccioli, un gingko. Il
gingko biloba è un albero mol-
to antico, è robusto, molto re-
sistente al freddo e d’autunno il
suo fogliame diventa d’oro. Ora
è piccolo il gingko, ma crescerà,
diventerà una grande pianta, farà
ombra, darà frescura e in prima-
vera si riempirà di nidi, il gingko
Amilcare.
glio era in buone mani, era in un
buon ospedale con bravi medici.
Sono uscita da lì carica della sua
preoccupazione. Pensando che
era ben strano per un uomo, per
un padre, avere avuto un incari-
co prestigioso e importante per
la sua vita lavorativa, che non
gli permetteva però di essere là
dove avrebbe voluto essere in
quel momento.
Acerbi era una persona curiosa,
molto attenta anche ai partico-
lari, rispettosa delle persone. Ha
sempre cercato si valorizzare il
lavoro delle insegnanti dei Labo-
ratori dell’infanzia, che apprez-
zava e stimava. Ha sempre difeso
il nostro lavoro anche scontran-
dosi in più di un’occasione con
l’Assessora di allora, Paola Pozzi
e con i nostri colleghi.
Acerbi ha sempre cercato di ca-
pire e di conoscere, facendo do-
mande, venendo di persona a
guardare e a incontrare le classi
e se aveva dei dubbi chiedeva il
perché delle scelte fatte e di al-
cuni obiettivi che ci eravamo
dati. Era convinto che la strada
che avevamo intrapreso fino ad
allora fosse un pezzo rilevante
dei servizi educativi della nostra
Città, da far conoscere e valoriz-
zare anche fuori da Torino. In-
sieme a lui abbiamo fatto tante
IL GINGKO
AMILCARE
VALERIA ANFOSSI *
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
* responsabile di circolo didattico dal
1984 al 1991 al Comune di Torino. Dal
1991 al 2015 coordinatrice del Centro
di cultura per l’arte e la creatività del
Comune di Torino.

D 76 D 77
H
o conosciuto
Amilcare Acer-
bi credo più di
trent’anni fa a un
corso su Gioco e
giocattolo organizzato da Regio-
ne Lombardia in collaborazione
con il CIGI Comitato Italiano
Gioco Infantile, di cui Amilcare
era il responsabile, e l’ANEP As-
sociazione Nazionale Educatori
Prescolastici.
Allora frequentavo insieme alla
scuola di psicomotricità, un cor-
so regionale di animazione ludi-
ca dove Amilcare era docente del
laboratorio di gioco e costruzio-
ne del giocattolo con materiali
poveri. Dal cartone ci insegnava
a recuperare scafi per le barche
a vela in miniatura da realizzare
con i bambini e con entusiasmo
e competenza riusciva a propor-
ci come giocare e rimetterci in
gioco, attraverso giochi psico-
motori di contatto e movimento
e attività costruttive. Il sorriso
e lo sguardo accogliente erano
il suo lasciapassare per iniziare
comunicando allegria a giocare
insieme.
Vent’anni dopo credevo di aver
bisogno di lui per avviare qui
in Puglia il Museo dei Ragazzi e
della Creatività, uno splendido
spazio espositivo, con un am-
pio foyer, sala circolare cinema
e teatro, un padiglione suddiviso
in 5 spazi-aule laboratoriali con
pareti mobili per i laboratori.
Amilcare aveva individuato nel
MU.R.A. un luogo di incon-
tro, elaborazione e scoperta per
proiettare e ragazzi e le ragazze
di Noci verso il futuro, in modo
inclusivo e solidale, l’aveva poi
definita “bella” ma nei suoi sug-
gerimenti scritti faceva intrave-
dere “limiti e difetti sui quali era
possibile intervenire”. Di questo
ulteriore incontro ha lasciato
traccia evidenziandone le po-
tenzialità umane e dei contesti
e lo ha vissuto come occasione
per mettere a punto un modello
trainante e per alcuni versi inno-
vativo.
Diceva di essere soddisfatto de-
gli esiti e di avere in corpo ab-
bondante endorfina tanto quan-
riempirla di contenuti ma non i
soliti. Accettò di buon grado che
l’idea progettuale fosse intitolata
MU.RA.CREA ossia il Museo dei
RAgazzi e della CREatività, i con-
tenuti dell’elaborato erano impre-
gnati della sua lunga esperienza a
cui si aggiungeva quella del grup-
po di cui continuo a farne parte.
Un uomo e un professionista che
destava curiosità e ammirazio-
ne; infatti, era anche un grande
esperto nella costruzione di pro-
totipi di arredi per minori e nella
predisposizione di spazi.

Alla stesura di questo entusia-
smante progetto, presentato poi
in una manifestazione di interes-
se, collaborava anche l’Universi-
tà degli Studi di Bari, con il prof.
Giancarlo Tanucci del diparti-
mento di Formazione, Psicolo-
gia e Comunicazione, la Società
Italiana Disability Manager con
Nicola Marzano suo vicepresi-
dente, la UISP Puglia, con l’allora
presidente Fabio Mariani e ZOE
associazione di famiglie di bimbi
disabili di Noci, presidente An-
gela Gentile.
Prima di questo nuovo incontro
con Amilcare c’era stata la Con-
ferenza internazionale del gioco
e del giocattolo a Torino, e l’i-
naugurazione della Ludoteca per
tutte le stagioni a Locate Triulzi a
cui avevo collaborato come pro-
gettista.
Lui c’era sempre, disponibile a
ragionare insieme su come ren-
dere possibile un progetto, che
fosse un evento, una formazione,
una realizzazione di spazi ludici.
Nel suo libro, Musei, non musei,
territorio, e nelle tante pagine di
progettazione per il Museo dei
ragazzi ci spiegava come l’utilità
culturale, economica e sociale
del gioco, non fosse solo un’op-
zione, ma una necessità per la
crescita della comunità educante.
Ancora nel ricordo di Pina Di
Cesare:
Amilcare era una persona con
abitudini sobrie, capace di met-
tere a disposizione del gruppo e
della comunità di Noci gratuita-
mente il suo background; gli am-
ministratori locali che negli anni
abbiamo incontrato svariate vol-
te non hanno compreso appieno
quale fosse lo spessore di tale pre-
senza e che la spinta convincente
di Stefano aveva condotto al Sud
questa grande figura. Era una
persona attenta, con uno sguardo
particolare alle disabilità e all’in-
clusione utilizzando un antico
strumento quale il gioco. Amava
spazi anche all’aperto “ludoteche
verdi o scuole a cielo aperto come
le City FARM o agri civismo” e
allestimenti che fossero interattivi
e flessibili in grado di fornire sti-
moli a minori per prepararli per
il futuro.
La sua attenzione era rivolta
anche ai processi formativi da
contenuti e modalità attuative
totalmente alternativi a quelli
tradizionali da rivolgersi ad ope-
ratori, amministratori, famiglie,
ecc. Sottolineava l’importanza
di: 1) lavorare sulle questioni che
premono e non sull’astratto par-
tendo dalle esperienze di ciascuno
2) fare formazione ovunque e in
modo inusuale, in luoghi ameni e
con cucina popolare.

Ma al di là e soprattutto al di qua
di questo suo prolifico entusia-
smo c’era l’amico.
Bambini in Gioco, seminario
universitario con il Dipartimen-
to di Scienze della Formazione,
Psicologia e Comunicazione,
che avevamo pensato insieme, fu
l’occasione per creare un clima di
amicizia, collaborazione e stima
reciproca con Nicola, Pina, Gian-
ta ne aveva trasmesso al gruppo,
nonostante fosse l’ennesimo
incontro con amministratori,
non lungimiranti ed incapaci di
cogliere la sfida posta dal grup-
po sotto la magistrale guida di
Amilcare, sembrava quello ri-
solutivo; in realtà quanta ama-
rezza allorché non fu compresa
la genuinità della proposta che
prevedeva una seria gestione dei
luoghi autofinanziata.
In quell’occasione, per il sopra-
luogo alla struttura lo presentai
ai colleghi con i quali si lavorava
al progetto, e fra questi Pina Di
Cesare, sociologa, formatrice e
progettista, con alle spalle una
solida esperienza politica ma-
turata in un’amministrazione
locale e nel Consiglio Regionale
pugliese.

Ecco Amilcare nel suo ricordo.
Si presentò come uomo semplice
quale era, distinto, gentile, educa-
to che lasciava trasparire passio-
ne, umanità e tanta creatività e
non potevi che farti trascinare nel
suo sogno “creare a Noci un Mu-
seo dei Ragazzi”, la cui struttura
era già pronta, bisognava solo
IL FRATELLO
DI MELQART,
DIO FENICIO
STEFANO COSTA e GIUSEPPINA DI CESARE *
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
* di Stefano Costa, psicomotricista,
ludeotecario, operatore sviluppo
progettuale NPIA, ASL (Ba).
e Giuseppina Di Cesare, sociologa
esperta in Agricoltura locale

D 78 D 79
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
carlo, Fabio e gli amici di Uisp
Puglia, partecipanti all’evento e
al successivo workshop. Sembra-
va quasi che scendendo dal treno
quella sera a Bari, dove ero an-
dato ad accoglierlo, proveniente
da Cremona, per rivederlo dopo
tanti anni, fosse già pronto a in-
vestire oltre che me, un insieme
di persone, docenti universitari,
sindaci e assessori, esponenti del
privato sociale, sociologi e arti-
sti, di una responsabilità urgen-
te: cambiare, cambiare attraverso
il gioco la traiettoria insensibile
della politica, della povertà edu-
cativa, della nostra scarsa fiducia
in noi stessi ad agire per miglio-
rare lo stato delle cose.
Mi ha lasciato, come ha lascia-
to tutti noi, consegnandomi un
messaggio di forza, determina-
zione, ottimismo, sai - mi dice-
va commentando l’immagine di
allora del mio profilo whatsapp,
un Don Chisciotte stilizzato - era
il mio personaggio preferito da
bambino.

Pina Di Cesare conclude così il
suo ricordo di Amilcare:
La sua attenzione era rivolta
anche ai processi formativi da
contenuti e modalità attuative
totalmente alternativi a quelli
tradizionali da rivolgersi ad ope-
ratori, amministratori, famiglie,
ecc. Sottolineava l’importanza
di: 1) lavorare sulle questioni che
premono e non sull’astratto par-
tendo dalle esperienze di ciascuno
2) fare formazione ovunque e in
modo inusuale, in luoghi ameni e
con cucina popolare.
Il modello didattico - pedagogico
che lui diffondeva, sotto forma di
Atelier e che andava adattato agli
specifici contesti, si rifaceva a cre-
are luoghi rodariani dove era pos-
sibile esercitare creatività e im-
maginazione, dove temi scottanti
come il bullismo non potevano es-
sere affrontati con autoritarismo,
dove è possibile conoscere passato
e presente delle genti e del lavoro...
La sera in quel tipico angolo di
strada in quel piccolo paese ba-
rese, attorno ad un tavolo a de-
gustare i prodotti locali, eravamo
ancora fiduciosi. Lo era Amilcare
nonostante i segni della sua ma-
lattia che non ha fatto per nulla
pesare, non avrei immaginato che
sarebbe stato il nostro ultimo in-
contro.
Grazie Amilcare per la fiducia e
la stima che ci hai dato, per la pa-
zienza mostrata e la costanza nel-
la tua presenza, per la forza e la
speranza che ci hai trasmesso e di
cui te ne saremo grati sperando,
come te, di poter trasmettere que-
ste doti alle future generazioni…

Mi ha infine inviato una mail,
recapitata alla vigilia di un inizio
di progettazione per campi estivi
sportivi, con le sue intuizioni, lo
sguardo accogliente, che imma-
ginavo nel leggere le sue parole
e ancora intravedo insieme al
sorriso determinato a far bene, a
metterti nelle condizioni di dare
il meglio che puoi.
Grazie Amilcare, fratello di Mel-
quart dio fenicio e di noi tutti e
tutte che crediamo nel gioco e
nell’amicizia. Ora probabilmente
sarai tornato là nella casa sugli
alberi al limitare della foresta in
Venezuela dove da bambino in-
sieme ai tuoi piccoli amici indio
vivevi fantastiche avventure fra
mangrovie e serpenti corallo dai
colori sgargianti e il morso vele-
noso.
Stefano e Giuseppina,
insieme a Fabio, Nicola,
Angela e Giancarlo
P
arlare di Amilcare
non è facile, non sarà
facile. Riassumere il
suo profilo professio-
nale è impresa titani-
ca. Raccontare l’uomo rischia di
essere limitativo.
Ricordarlo al passato, quasi im-
possibile.
Confesso di essere stato lusinga-
to quando Ferruccio Cremaschi
mi ha chiesto di tracciare un ri-
cordo di Amilcare ma col passa-
re del tempo ho spostato sempre
più avanti l’impegno preso.
Per paura. Paura di svilirne la
memoria, paura di non essere
capace di restituire l’uomo dei
sogni concreti.
Non una voce dissonante si tro-
va leggendo i commenti su di
lui, tutti indirizzati a celebrarne
la statura, la straordinaria uma-
nità.
Un costruttore di ponti, un te-
nace cercatore di sguardi, un
pescatore di bellezza, un connet-
tore di relazioni. Amilcare im-
menso, nella sua fragilità terrena
come nell’extrafantastico.
E allora, come procedere? Pro-
verò a raccontare di un cammino
fatto di carezze (in Analisi Tran-
sazionale sono riconoscimenti),
e di esperienze che Amilcare ha
largamente dispensato. Tenterò
di restituire il dono di quest’in-
contro continuo.
La prima metà degli anni novan-
ta presi a girovagare per l’Italia
con sottobraccio, spesso in vali-
gia, copie di un mensile al quale
avevamo dato vita, io i miei col-
leghi, desiderosi di raccontare e
costruire ipotesi e progetti che
sondassero e realizzassero av-
venture intorno al pianeta infan-
zia. Fu grazie a “Orecchie d’Asi-
no” che incontrai Amilcare sulle
tante strade che intrecciarono
un’amicizia trasversale allo spa-
zio, al tempo.
E fu magia.
La prima volta a Bologna, alla
Fiera del Libro, esattamente al
Kid’s corner. Lo spazio, che si
trovava in un padiglione atti-
guo alla Fiera, proponeva per i
minorenni (che non potevano
accedere alla kermesse interna-
zionale e che paradossalmente
ospitava l’editoria mondiale per
l’infanzia e l’adolescenza) atelier
creativi. Amilcare era là con il
suo cappello di carta da murAt-
tore, lo stesso che indossavano i
tanti bambini presenti: ognuno
con un proprio ruolo, un proprio
mestiere (ingegneri, progetti-
sti, pittori, ludotecari, operai...).
Tutti murAttori, tutti protagoni-
sti impegnati all’edificazione di
Cartunia, luogo del possibile e
officina del Fare. La città di car-
toon (un bell’articolo a sua firma
si trova su Zeroseiup – Maggio
2019) mi si presentò come un
cantiere, fertile, giocoso, creati-
vo. Uno spazio di coprogettazio-
ne e cogestione dove un adulto,
senza vergogna del suo bambino,
ha accolto e ascoltati i tanti bam-
ETERNO
AMILCARE
MARIO GIUFFRIDA*
* Animatore culturale e counsellor,
responsabile delle Città invisibili
– Ricerca e Produzione di Attività
espressive (Catania).
Pexels.com
unsplash.com

D 80 D 81
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
critica da parte delle giovanissi-
me generazioni; non credo infat-
ti che la creatività sia nel DNA
ITALICO!!)”.

Al progetto era assicurata l’e-
sperienza del Movimento di
Cooperazione Educativa, dello
stesso Amilcare che in provin-
cia di Piacenza stava utilizzando
tecniche rodariane per far cono-
scere la Bassa piacentina, e quel-
la de “Le città invisibili di Cata-
nia condotta magistralmente da
Mario Giuffrida (scriveva) che si
sta relazionando con il dirigen-
te di un circolo didattico, molto
interessato a diventare punto di
riferimento in Sicilia”.
Tutte le volte che mi coinvolge-
va lo raggiungevo in aereo, ma
nell’Aprile 2012 presi la mac-
china e mi avventurai alla volta
di Albano di Lucania, un paese
sperduto tra i monti della Basi-
licata, reso per tre giorni capitale
dell’Arte e del Gioco.
Chi aveva ideato il progetto? Ne-
anche a dirlo, Amilcare!
Da Albano, speravamo con lui,
sarebbe partita una rivoluzione
il cui presupposto era la nasci-
ta di un’alleanza tra bambini e
artisti che si sarebbero trovati a
preparare il terreno di un’avven-
tura e di un’esplorazione, di sé e
del mondo, dentro cui mettere
se stessi: un terreno dove anche
se si perde o si sbaglia, si può ri-
provare.
Si sarebbe partiti da Albano che
ospita un Museo: una ricchissima
collezione del giocattolo povero
che promiscuamente viveva nello
stesso piano mansardato (che at-
traversava in tutta la sua lunghez-
za e larghezza il piano sottostante
ospitante la locale Scuola), dove
erano esposte decine di opere
d’arte di artisti che nel corso degli
anni avevano donato (e donava-
no), con la loro arte, straordinarie
visioni sul gioco.
Tre giorni di colori, giochi e pa-
role: decine di artisti chiamati
alle arti, per trasformare il paese
in un museo diffuso, insieme ai
ragazzi/e proveniente dalla Re-
gione e dintorni.
Tre giorni indimenticabili, pri-
ma tappa di quello che secondo
le più alte aspettative avrebbe
dovuto portare avanti la rivolu-
zione avviata, e farla dilagare per
tutta la Regione.

Ma non tutti i sogni continuano:
non perché ci sono uomini che
smettono di crederci ma perché
ce ne sono altri che non hanno
mai iniziato a farlo.
Ho apprezzato il godibilissimo
uso esagerato degli aggettivi e/o
avverbi rivolto agli amici per
cantarne le lodi, ma ho anche ap-
preso la modestia e la mediazio-
ne: ho imparato a non essere né
avanti né dietro, ma accanto.
Per questo, ogni sua chiamata
non ha mai avuto carattere pe-
rentorio, è sempre stato un in-
vito a esserci, per vivere insieme
desideri comuni. Ovunque, in
giro, sia che fosse la grande cit-
tà sia che fosse il piccolo paese,
con Amilcare l’aria dei luoghi
si riempiva di creatività. Si sta-
va bene, sempre. Anche sotto a
un lampione a Torino, a turno
appoggiati ad esso e parlando
piano per non disturbare nella
notte primaverile gli ospiti del
collegio dove avevo una stanza,
oppure a casa sua seduti sul di-
vano a chiacchierare sulle cose
del mondo.
E dal mondo sono arrivati i pun-
ti e gli spunti per elaborare un
progetto pedagogico, urbano
o territoriale, coerente con gli
assunti della Carta della Città
educativa di Barcellona e con
le teorizzazioni sulla Città dei
bambini e delle bambine. Ha
tracciato le coordinate dei Centri
per e sulla cultura per l’infanzia
e l’adolescenza (si veda l’esem-
pio dell’esperienza della città di
Torino), finalizzati all’approccio
con le arti, la comunicazione,
l’agricoltura, la natura, il gioco,
le identità, con l’ottica di predi-
sporre strumenti adeguati alle
nuove forme di apprendimento,
e strategie per una buona edu-
cazione informale, e con l’idea
di superare (o almeno provarci)
interventi episodici per renderli
risorse stabili.
C’è chi ha scritto “Amilcare eter-
no”. Solo questo, tutto in questo.
Comunemente, si dice eterno ciò
che ha o ha avuto principio ma
non avrà fine. Ecco, Amilcare
non avrà fine.
bini che ha incontrato. Anche il
mio, grato (ancora a distanza di
quasi trent’anni) al grande respi-
ro di Cartunia!
Già mi occupavo di animazione
culturale ma non ci volle molto
per rendermi conto che stavo,
appena, iniziando a gattonare.
Quell’incontro valse più della vi-
sita alla Fiera e ripagò la fatica di
trasportare decine di “Orecchie
d’Asino”, appoggiate sul tavolo di
un Editore che, generosamente,
diede ospitalità al mensile.
Con “Orecchie d’Asino” lo rag-
giunsi, anche, a Gradara e a
Belgioioso, e sarà un caso ma
in entrambi i posti c’erano ca-
stelli (luoghi del fantastico per
antonomasia) pronti a ospitare
Gradara Ludens e Amico Libro,
due manifestazioni di successo
targate A.A.
Mi si aprirono porte impensa-
te e il loro attraversamento mi
condusse per strade che mi nu-
trirono con esperienze nuove,
concrete, dirette.

A Gradara, dove Amilcare ave-
va promosso il primo incontro
interregionale sull’animazione,
le sere diventavano notti che ci
trovavano seduti intorno ai ta-
volini all’aperto. E mentre noi
ci perdevamo in fiumi di parole
loro, i tavolini, aspettavano l’im-
minente arrivo dei vacanzieri.
Parlare con Amilcare è sempre
stato facile: passeggiate frivole e
profonde, sconfinanti e imperti-
nenti, curiose e ludiche. Parole
ricche, pesanti e pensanti, impe-
gnative, inclusive, partecipative:
diverse da quelle vuote e piene
di retorica che capita spesso di
ascoltare, simili a quelle cianfru-
saglie (chiamate souvenir) tutte
uguali e inutili che, mentre, si
pavoneggiano nella loro vanità
sulle bancarelle dei negozi del
borgo sembrano voler accompa-
gnare chi si accinge ad affrontare
la salita al castello.
Per lui progettare, confrontarsi,
condividere credo significasse
essere “al servizio”, investendosi
per disegnare, e spesso, realiz-
zare mondi nuovi. Sogni utopi-
ci con solide basi, fatte di espe-
rienze e osservazioni: i sogni di
Amilcare sono grandi, anche
quelli piccoli. Amilcare fa vola-
re: non mi sono avvicinato alla
maestria degli uccelli (e il suo
volo ha quelle caratteristiche - è
di quel tipo) ma sono in grado
di planare (come gli scoiatto-
li, le lucertole, i serpenti e i pe-
sci!). Lui, invece, specializzato
nelle manovre acrobatiche per
veleggiare, formidabile e versa-
tile: ora albatros che ha bisogno
di grandi spazi per prendere
velocità e decollare, mettendo-
si controvento per salire in alto
impiegando l’energia accumulata
con la quota per planare altrove,
ora fringuello che alterna al volo
battuto brevi planate, dando vita
a un caratteristico percorso on-
dulato. Ali diverse per differenti
usi e percorsi.

Da lui ho imparato a guardare
dall’alto, usando le ali, ma anche
a manovrare per impostare una
virata e frenare bruscamente,
usando la coda. Testa e cuore.
Nessun libro, nessun esame, ap-
prendimento libero: per imita-
zione. Impronte, segni, da racco-
gliere o seguire se si vuole.
Amilcare più che dire, faceva. Fa.
Come ieri, ancora oggi, l’ener-
gia fluisce: potente, come l’en-
tusiasmo realistico e concreto
che illumina i suoi progetti,
tutti anche quelli pensati e ri-
masti sospesi in aria, e dall’alto
coglievano l’insieme aspettando
il momento giusto per tornare
sulla terraferma, radicandosi.
Amilcare ponte, scala, raccordo,
accordo. Qualche anno fa, pre-
ceduta da una telefonata, arrivò
una mail a diversi indirizzi nel-
la quale scriveva: “Carissimi, mi
piacerebbe coinvolgervi in una
riflessione-progettazione, ora a
respiro puramente accademico
perchè nessuno sceicco ancora
me l’ha commissionata e nep-
pure un Faraone, sottosegretario
(non male, eh ?!)...”
Il tema? La scuola dell’infan-
zia mediterranea, per bambini
in età 1/6 anni. Un tema caro
quello del Mediterraneo, un im-
pegno costante quello per l’in-
fanzia, una visione completa/
ssa che, tenendo conto di am-
biente, comunità, culture, meto-
dologie, tecnologie..., ha gettato
le basi per quella che Amilcare
ha chiamato servizio mediter -
raneo per la prima infanzia. Le
reti di Amilcare, le sue connes-
sioni sono raccontate da tutti i
suoi progetti, come quello con
il quale ha tentato di raccordare
due realtà che ha contribuito a
creare, il Parco della Fantasia in
Omegna, dedicato a Gianni Ro-
dari, e Fantasilandia – Città dei
ragazzi, in Siano, dedicata a Ro-
dari e a Gianbattista Basile, per
dare non solo maggiore visibilità
nazionale al loro agire, ma anche
perché da qui sarebbe partita
“una campagna per informare e
coinvolgere tutti i servizi (nidi,
scuole dell’infanzia, primarie,
biblioteche, ludoteche) intitolati
a Rodari in Italia, inducendoli
a dedicargli un’azione annuale e
l’allestimento di un laboratorio
stabile di educazione alla fanta-
sia e alla creatività.
Con l’obiettivo anche di far leg-
gere Rodari a bambini e ragazzi,
affinare e diffondere tecniche pe-
dagogiche rodariane; valorizzare
insegnanti; far conoscere Rodari
ai nuovi genitori. (Di fatto con-
trastare il progressivo depaupe-
ramento di capacità creativa e
Pexels.com

D 82 D 83
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
H
o incontrato
Amilcare quan-
do avevo 26 anni,
avevo appena
pubblicato il mio
libro sulla scatola e la bacchetta
magica, della “Collana giocare
com l’arte” di Bruno Munari.
In quei anni vivevo a Torino an-
che se per tutta la mia vita ero
vissuta in Brasile, dove ebbi mol-
te esperienze con i bambini delle
favelas di Rio.
Conobbi Amilcare a palazzo
Vela a Torino, durante una mo-
stra del CiGi (Comitato italiano
Gioco Infantile) di cui era il Pre-
sidente.
Vedevo questo uomo entusiasta
di qua e di là tra gli stand, fa-
cendo anche giocare i bambini
e passando da uma conferenza
all’altra.
Sapevo e sentivo che gli dovevo
parlare ...
Ho aspettato per ore finché sono
riuscita a prendermi un caffè con
lui.
Ero una 26 enne piena di sogni,
entusiasta e amavo i bambini.
Gli feci vedere il mio libro, ap-
pena pubblicato e molte foto del
mio archivio su come giocavano
i bambini delle favelas.
Cominciarono le domande da
parte di Amilcare e la curiosità
Mi diede carta bianca! Non mi
sembrava vero... cominciai a cre-
are uma scenografia delle favelas
smontabile, in modo che potesse
essere itinerante.
Cercai, come i favelados, nell’im-
mondizia i materiale per costru-
ire le baracche; incontrai un car-
nevalesco brasiliano che mi aiutò
a crearla e trasformare il mio so-
gno in realtà.
Le mie foto presero forma, di-
ventatarono bambini dietro uma
finestra, uomini e donne dietro
una porta, per la strada... panni
stesi, radio, TV, profumi e odori
tipici dellla favela.
Una scenografia dove i bambi-
ni entravano e potevano capire
come vivevano, cosa mangiava-
no e come giocavano, usando i
loro giocattoli fatti artigianal-
mente dai bambini di Rio.
E la scatola e la bacchetta magica
fecero giocare e sognare miglia
di bambini di tutta Italia e di Eu-
ropa fino alla Slovenia e alla Ger-
mania...
Amilcare aveva il dono di valo-
rizzare ogni persona, ogni bam-
bino, conservando la freschezza
e la curiosità del bambino.
Mi ascoltava e ha valorizzato la
mia parte sognatrice più bella!
Amilcare ci reincontreremo di
sicuro, per Giocare ancora in-
sieme!
di come giocavano ancora quei
bambini poverissimi.
Mi raccontò della sua infanzia in
Venezuela, montando a cavallo...
si intusiamò per il mio progetto
della scatola magica! E così inco-
minciò la magia!
Mi invitò a far parte del Progetto
educativo per le scuole “Vivere
e Giocare nel Mondo!” Dovevo
occuparmi di Vivere e Giocare in
Brasile, i bambini delle favelas!
“VIVERE E GIOCARE
NEL MONDO”
CON AMICARE ACERBI
LIDIA URANI *
* Lidia Urani è Presidente dell’Ong
Para ti, vive tra italia e Brasile, con
Amilcare ha creato il progetto ‘Vivere
e Giocare bel Mondo”, realizzato
mostre in tutta Italia e all’estero,
corsi di formazione per insegnanti e
formatori,fatto fotografare i bambini
in barca navigando lungo il Po e
molto altro...

D 84 D 85
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER
H
o conosciuto
Amilcare tanti
anni fa nel Sa-
lento, durante un
festival nel quale
anch’io ero invitato per lavorare
con i bambini insieme ad alcuni
colleghi.
In albergo, la sera, nel giardino,
mentre ero a parlare con questi
miei amici, c’erano due uomini
un po’ distante da noi che, con
attenzione ascoltavano la nostra
conversazione spesso scherzosa.
Uno dei due, ad un certo punto,
si è avvicinato a noi e ci ha salu-
tato con la dolcezza che poi avrei
conosciuto come una sua carat-
teristica speciale.
Era Amilcare.
All’inizio io non ero a conoscenza
della sua importanza nel campo
dell’educazione pedagogica che
avrei imparato a conoscere poi.
La mattina dopo, durante il fe-
stival, in un convegno, l’ho visto
che ne era il principale relatore.
Poi, improvvisamente è capitato
che nel ritorno io ero nello stesso
suo vagone del treno.
Ne è nata una chiacchierata lun-
C
onobbi Amilcare
una dozzina di anni
fa grazie a Lidia.
Rimasi subito im-
pressionato dalla sua
presenza e dalla sua apertura,
ma il bello sarebbe venuto poco
dopo. Era un uomo entusiasta
come un bambino. Entusiasta
come i bambini di cui aveva
scelto di prendersi cura per tutta
la vita. Nel giro di poco tempo
diventammo come vecchi amici
o forse parenti. Conobbe il la-
voro fotografico che avevo fatto
insieme a Lidia con i bambini
delle favelas e scrisse la prefa-
zione del libro che avremmo
poi realizzato. Cominciai così a
illustrargli progetti folli di didat-
tica coi bambini e lui rincarava
la dose introducendo dettagli
ancora più folli. Si entusiasmava
per tutto.
Avevamo progettato di tutto in-
sieme, e non sarebbe bastata una
vita per realizzarlo. Ma riuscim-
mo comunque a fare molte cose,
come per esempio un reporta-
ge fotografico con bambini di
ga e profonda, una conoscenza
di quel momento che sembrava,
però, essere esistita da sempre.
Da allora lui ha iniziato ad invi-
tarmi nei laboratori nelle scuole
ed in altre occasioni, da cui sono
nati vari progetti comuni.
Mi ricordo che una sera ha or-
ganizzato a casa sua con tanti
amici, una serata sul Kurdistan,
la sua cultura, le sue poesie e la
sua situazione politica.
Un vero regalo per me.
Amilcare sapeva essere un bam-
scuole elementari, imbarcati su
una chiatta che percorreva il Po
dalle sue parti. Lo vedevo come
un Mago, metà professore e
metà stregone, ma anche padre,
capace di creare situazioni im-
probabili e profondamente effi-
caci nella formazione di giovani
menti. Le persone così, per qual-
che misteriosa legge della vita,
bino, sapeva giocare con i bam-
bini e sapeva inventare giochi.
Lavorando insieme, con tanta
semplicità, ho imparato cosa si-
gnifica il mondo dei bambini, il
non dimenticare quella parte di
noi che è stata così importante.
Ci vedevamo spesso, avevamo
anche nel cassetto, tanti progetti
insieme.
Amilcare sapeva volare.
Io vorrei imparare da lui.
Mi manca il mio maestro.
Mi manca il mio amico.
finiscono per fermarsi meno di
altre su questo pianeta. Probabil-
mente hanno da fare altrove, in
dimensioni più sublimi, dove la
loro creatività manifesta un più
alto potenziale.
Ed è proprio lì che ci rivedremo
Amilcare.
Buon viaggio.
IL MIO AMICO
AMILCAREMETÀ PROFESSORE
E METÀ STREGONE
FUAD AZIZ*MAURO VILLONE*
* Fuad Aziz è nato ad Arbil, nel Kurdistan Iracheno. Diplomato all’Accademia di Belle Arti di
Baghdad nel 1974, in seguito si diploma all’Accademia di Belle Arti di Firenze, città dove vive da
oltre trenta anni. Scultore e pittore, ha scritto e illustrato molti libri per l’infanzia. Impegnato in vari
progetti interculturali, è formatore per insegnanti e operatori culturali di educazione all’immagine.
* Mauro Villone, fotografo professionista, giornalista pubblicista, scrittore e organizzatore di eventi
e progetti culturali, vive e lavora a Rio de Janeiro, a Torino e in viaggio per il mondo. Dal 1974 si
occupa di fotografia, etnologia, antropologia visuale, scienze sociali e della comunicazione. Tiene
regolarmente un blog su ilFattoQuotidiano.it. Dirige la ONG Para Ti di Rio de Janeiro, impegnata nel
sostegno di centinaia di bambini delle favelas e delle loro famiglie.

D 86 D 87
Coordinatore di servizi educativi comunali a Pavia (1975-1995) per doposcuola, scuole
dell’infanzia, asili nido, laboratori creativi, centri estivi e Campi Robinson. Ha progettato
e diretto la prima City Farm Italiana (1977-97) con un programma cittadino di educazione
all’agricoltura e all’ambiente (Bosco Grande; il Centro documentazione e sperimentazione,
con laboratori d’arte, teatro, musica, video, biblioteca pedagogica e ricerche d’ambiente per
tutte le scuole cittadine (19811995); il sistema delle biblioteche scolastiche per le scuole ele-
mentari (1982-1995).
A Cremona è stato consulente pedagogico, per scuole infanzia, asili nidi e il programma La
Città bambina per scuole elementari e genitori (1991/93); per il programma Cremona dei
bambini (2000-02); per il “Progetto Zero/18 – Territorio e futuro” e il Programma “Cremona
Gustosa”, entrambi condotti in collaborazione con le associazioni imprenditoriali della città
(2010/14).
A Torino come direttore del Sistema educativo comunale; ha inoltre organizzato otto Centri
di cultura per l’infanzia e l’adolescenza: agricoltura, ambiente naturale, arte e teatro, comuni-
cazione e design, altre culture, gioco, musica/arte/teatro per i piccoli e il Centro di documen-
tazione pedagogica (1997/2002).
Presidente del Comitato italiano Gioco Infantile CIGI dal 1984 al 1995, fondato a Ivrea
dalla Olivetti nel 1965 e direttore dei periodici “Gioco tempo dell’uomo” e “Bambini in ospe-
dale”; responsabile delle tre edizioni della Biennale del gioco e del giocattolo a Torino (1988
Giocare in Italia - 1990 Giocare in Europa - 1992 Il gioco della tradizione popolare)
Con il Comune di Milano ha realizzato il Progetto Walden, per l’educazione ambientale
(1990/92) e avviato e gestito il Centro per la cultura del gioco (1992/’95;
Nel 1992 partecipato alla costituzione dell’associazione Gradara Ludens e relativa manife-
stazione, da cui è derivata Gio.Na. Associazione nazionale delle città in gioco, di cui è stato
direttore dal 2007 al 2015
Presidente del comitato tecnico scientifico di Exposcuola e Parco scolastico del Mezzogior -
no, per BiMed , Biennale delle arti e scienze del Mediterraneo, Salerno (2002/10)
Titolare dello Studio pedagogico Acerbi & Martein in Pavia (1995/2007) e Studio Acerbi
/ Atelier pedagogico, in Monticelli, PC (dal 2008). Nel 2014 ha attivatone nell’Atelier di pe-
dagogia creativa la progettazione di arredi-gioco per ambienti interni e per cortili scolastici,
con sperimentazione di prototipi nei Servizi educativi di Torino: nidi e scuole dell’infanzia.
Nel gennaio 2015 ha partecipato alla fondazione di ZeroSeiUp, società editoriale e di con-
sulenza pedagogica, per cui ha scritto e fatto formazione.
Si è in ultimo occupato della parte pedagogica del progetto di un Agri-Eco-Ostello a Cascina
Sereni di Casalmaggiore, che la Società di Atletica Interflumina ha presentato per un ban-
do della Fondazione Cariplo. Il progetto ha vinto il concorso e sarà in un futuro prossimo
realizzato.
Ha pubblicato i seguenti manuali:
• Spazi ludici, 30 progetti per spazi di gioco in interno e all’aperto – Manuale per progettisti
e pedagogisti. ed. Maggioli.
• L’Europa delle differenze, percorsi di lettura per alimentare un immaginario europeo- ed.
Unicef.
• Segni e disegni, espressività e arte infantile. Ed. Junior. Confronto tra servizi per l’infanzia
di Cremona, Pistoia, Torino, Reggio Emilia, Rezzato.
• Città creaTTiva, come creare laboratori e attività “rodariane” in scuole e ludoteche, dove
esercitare immaginazione e creatività – ed. Pironti.
• Il gioco è di più, manuale per l’organizzazione e gestione di ludoteche, centri di gioco, luo-
ghi di incontro per bambini, ragazzi, genitori. Ed. Junior.
• Musei, non musei, territorio, modelli per una pedagogia urbana e rurale – Esperienze
italiane ed europee -Franco Angeli editore.
Ha scritto articoli per riviste del settore pedagogico, artistico e sociale e saggi in libri di altri
autori.
AMILCARE ACERBI
Ha ideato e preparato pubblicazioni interattive sui temi dell’arte, per scuole e famiglie:
• tre per la Fondazione- Museo Il Vittoriale degli italiani, Gardone (architettura, storia, let-
teratura);
• tre per la Provincia di Pavia (sui beni mobili e immobili del territorio);
• tre per la Fondazione del Museo diocesano di Milano (collezione Pozzo Bonelli, collezione
Fondi Oro, Le basiliche);
• un libretto su identità-arte-alimentazione per l’INRAN di Roma; - un gioco da tavolo per
Barilla su ambiente e arte
Ha fornito consulenze e formazione a:
• Enti locali e scuole: Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Cittadella, Correggio, Empoli, Fano,
Forlì, Gorizia, Gradara, Ivrea, Milano, Napoli, Oristano, Pavia, Pesaro, Piacenza, Reggio
Emilia, Roma, Salerno, Taranto, Varese.
• Istituzioni: Fiera del libro di Bologna, per il “Kids Corner” (1993-2001); Castello di Belgio-
ioso a Pavia, per i laboratori di Amicolibro (1994-99);
• Istituto italiano Sicurezza giocattoli, per il Manuale sulla sicurezza di campi gioco e cortili
scolastici (1995);
• Triennale di architettura di Milano, con percorsi e laboratori per i giovani visitatori sul
tema “Identità e differenze”, tra cui il format “Cartunia, il grande gioco dell’architetto” (1995);
• Amministrazione provinciale di Varese, per il programma gioco, ex legge 285 (1995-97).
• Fondazione Martinit per il Castello dei bambini con i laboratori “munariani”, Milano
(1996-2000);
• Castello di Rivoli, Museo d’arte contemporanea, per il programma interculturale “Sul Tap-
peto volante” (1997/2002);
• Comunità montana e Comune di Omegna per la progettazione e gestione del Parco della
Fantasia Gianni Rodari (1999-2003);
• Fondazione “Il Vittoriale degli italiani” di Gardone per la sezione didattica (2000/02);
• Comune di Santa Giuletta, Pavia, per la progettazione del Museo della bambola (2002/03);
• Fondazione Banco Napoli per l’infanzia per l’Osservatorio Bambini & Media (2003/04);
• Museo diocesano di Milano, per la sezione didattica (2005-07);
• La Città dei ragazzi di Cosenza, per l’impostazione e la formazione (2004/05);
• Comune di Siano per il progetto della Città dei ragazzi (2004/08);
• Museo delle Alpi-di Bard, Aosta, per la sezione Alpi ragazzi (2007/08);
• Fondazione Pianura Brescia per la progettazione della sezione gioco del Museo Rais di
Cigole, Brescia (2008-09);
Comitato Italia 150 di Torino, per lo spazio scuole alle OGR di Torino (2009-2011);
• Comuni di Seveso e Varedo per il progetto dell’Ecocittà dei ragazzi (2009).
• a Salerno con Scuola media Quasimodo, Istituto d’arte Menna, Liceo artistico Sabatini ha
condotto esperienze di progettazione partecipata dal 2009.
Mostre interattive:
• per l’educazione alla sicurezza e la prevenzione agli incidenti: “Scherzare col fuoco” e “A
scuola d’avventura” per Coop Italia, Roma
• per l’educazione interculturale: “Vivere e giocare nel mondo”, Torino; “Un mondo per gio-
care”, Torino/Monaco di Baviera
• per l’educazione alla lettura: “100 titoli, mostra e laboratori” per Pavia, Cremona, Siano.
Format pedagogici:
• educazione all’ambiente e la riprogettazione degli spazi, “Cartunia, il grande gioco dell’ar-
chitetto”, “Naturalia”, per riallestire i cortili scolastici;
• educazione interculturale e integrazione sociale: “Vivere e giocare nel mondo; “Colori e
parole del Mediterraneo”; “100 parole, 100 colori, 100 suoni”;
• recupero sociale, contrasto al bullismo, cittadinanza “La scuola che vorrei”;
• educazione all’agricoltura e all’agro-alimentare: impostazione e organizzazione di fattorie
didattiche; laboratori; percorsi di conoscenza delle moderne tecniche di produzione.
Collaborazioni con:
• BCG Studio di architettura di Pavia (e altri) per la progettazione di edifici scolastici, biblio-
teche ragazzi, aree gioco, cortili scolastici (Pavia, Crema, Broni, Gropello Cairoli, Certosa di
Pavia, Ivrea, Correggio, Forlì, Cremona, Verbania, Piacenza) dal 1977;
• AGA, Associazione giochi antichi, organizzatrice del Tocatì, Festival internazionale dei
giochi in strada, a Verona.

D 88
Terra e natura lungo le sponde del Po
dove più che altrove
fluì il pensiero educativo
di Amilcare.
IN VIAGGIO CON AMILCAREDOSSIER