La venere di urbino tiziano

manzoni 2,509 views 53 slides Jun 04, 2015
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La venere di Urbino

Tiziano Vecellio Artista dell’opera “Venere di Urbino”

…La vita: Tiziano Vecellio nasce a Pieve di Cadore intorno al 1488/1490 e muore di peste a Venezia il 27 Agosto del 1576. Secondo la Tradizione, l’artista inizia a manifestare il proprio talento ad appena dieci anni e così ancora bambino lascia la sua città natale stabilendosi a Venezia assieme al fratello maggiore Francesco.

Poco più che adolescente entra nella cerchia dei fratelli Gentile e Giovanni Bellini, approdando in seguito alla bottega di Giorgione, presso il quale approfondisce lo studio del Tonalismo.

…Tonalismo Il tonalismo, detto anche pittura tonale, è una tecnica artistica tipica della tradizione veneta del XVI secolo, legata ad una particolare sensibilità del colore. Infatti, con una graduale stesura tono su tono, in velature sovrapposte, si ottiene essenzialmente, un morbido effetto plastico e di fusione tra soggetti e ambiente circostante. Il colore inoltre, è l’elemento principale che determina il volume e la scansione dello spazio.

Di Giorgione, in particolare, assimila talmente bene la sensibilità artistica e la tecnica del colore da riuscire a realizzare opere così simili a quelle del maestro che per secoli si è continuato a ritenerle di mano giorgionesca.

… Durante il suo apprendistato, Tiziano comincia a maturare uno stile molto personale che prevede un nuovo uso dei colori stendendoli in modo rapido e a volte anche impreciso senza disegni preparatori e con poco scrupolo dei contorni. Tutto ciò conferisce alla pittura grande immediatezza e forte espressività. Scomparsi gli artisti Giorgione e Bellini, non ancora trentenne, diventa il primo pittore di Venezia, ottenendo varie commissioni importanti

come affreschi, teleri (dipinti su tela di grandi dimensioni) e ritratti per chiese ed edifici pubblici. Grazie all’amicizia con il letterario-umanista Pietro Aretino, l’artista entra in contatto anche con altre corti italiane ed europee. Nel 1533 diventa addirittura il pittore ufficiale dell’imperatore Carlo V per il quale realizzerà

numerosi ritratti di straordinaria profondità psicologica. Nel 1552 rientra definitivamente a Venezia aprendo una propria bottega e continuando a sperimentare tecniche pittoriche sempre più nuove e innovative arrivando, negli ultimi anni, a dipingere quasi senza pennelli, addensando o stendendo il colore anche con le dita.

“La Venere di Urbino”

Il concetto di colore che si fa luce e della luce che si fa volume, rendendo realisticamente percepibili le forme della fantasia della propria idea, è particolarmente evidente nella Venere di Urbino, realizzata nel 1538 da Tiziano su commissione di Guidobaldo II della Rovere, signore di Urbino e raffinato mecenate. Il dipinto, un olio su tela attualmente conservato alla Galleria degli Uffizzi a Firenze, rappresenta due allegorie.

Una è quella del matrimonio, intesa come “modello didattico” per Giulia Verano, la giovane sposa del duca al fine di ricordarle i doveri matrimoniali. L’altra invece è quella dell’erotismo resa più chiara nella rappresentazione di Venere, dea dell’amore, come una donna terrena e carnale che fissa in modo deciso l’osservatore, noncurante della sua nudità, con una posa ambigua, a metà tra il pudore e l’invito.

Il messaggio che la protagonista vuole lasciar trasparire, è quello di essere una donna avvenente e sensuale ma solo per il proprio sposo: “avvertimento” ribadito dall’angelo al dito mignolo indossato dalla dea. Quest’ultima è raffigurata distesa su un letto coperto da un candido lenzuolo bianco (che lascia intravedere un doppio materasso con un motivo tessuto a fiori) appoggiando il busto e un braccio su due cuscini e con lo sguardo rivolto verso

l’osservatore. La mano sinistra copre il pube mentre quella destra tiene alcune rose rosse (fiori sacri alla dea al pari del mirto che si intravede in un vaso sul davanzale). Il cagnolino addormentato ai piedi della donna simboleggia la fedeltà coniugale. Oltre all’anello, ella indossa un bracciale d’oro con pietre preziose e una perla a forma di goccia come orecchino, simbolo di purezza.

I capelli biondi, invece, sono acconciati con una treccia che gira attorno alla nuca, e sciolti sulle spalle, in ricci dorati, la cui morbidezza è tipica delle opere dell’artista. Grazie al Tonalismo, si riesce a dare una perfetta consistenza volumetrica al corpo femminile, dolcemente composto lungo la diagonale del dipinto. Inoltre il colore ambrato del corpo e il biondo dorato dei capelli contrastano sia con il pesante tendaggio verde scuro dello sfondo sia

con i grandi materassi rossi. Da questi forti contrasti si evidenzia la forma dolce ma allo stesso tempo decisa del corpo, al quale la presenza del cagnolino addormentato aggiunge un’altra nota di serena intimità. La fisionomia della donna ricorda quella di altre figure femminili dipinte da Tiziano, e per questo motivo, molti sostengono che forse, questa modella sia stata anche una possibile amante del pittore.

La forte cesura (spezzettatura) della parete scura alle spalle della dea, che si interrompe a metà del dipinto, crea una linea decisa di forza che indirizza lo sguardo dello spettatore proprio verso l’inguine, per risalire poi lungo il ventre e il petto, fino allo sguardo della donna. La pesante tenda verde che separa l’alcova dal resto della stanza è scostata, e mostra un interno rinascimentale, con una stanza dal pavimento a riquadri in cui domestiche personali stanno

frugando in una cassapanca i vestiti da far indossare alla dea. Una è infatti inginocchiata a rovistare mentre l’altra, con un vestito rosso e un’elegante acconciatura, tiene già un ricco vestito sulla spalla. Ornamenti e fantasie dorate decorano le pareti e le cassapanche hanno girali sulle tonalità del verde, segno di un arredamento aggiornatissimo alle tendenze più recenti. La luce, oltre che da davanti, entra dalla finestra

sullo sfondo, dotata di una colonna al centro e dalla quale si vede, oltre al mirto in vaso, un cielo rischiarato dalla luce dorata e un alberello, che allude all’esistenza di un giardino. Inoltre l’illuminazione nella stanza proviene da sinistra e getta una netta ombra della fantesca in piedi sulla parete dietro di essa.

La soggettività della bellezza

Per rappresentare in chiave moderna la pubblicizzazione dell’ideale di bellezza abbiamo utilizzato la tecnica artistica della Pop-Art.

La pop-art La pop-art è un movimento artistico che si sviluppa a metà degli anni 50’ in Gran Bretagna e alla fine degli anni 50’ negli Stati Uniti, è una sfida alle tradizioni d’arte che include l’immaginario della cultura popolare come la pubblicità. Questa nuova forma d’arte popolare rivolge la propria attenzione agli oggetti, ai miti e ai linguaggi della società dei consumi. L’appellativo popolare deve essere inteso come arte di massa, cioè prodotta in serie.

In un mondo dominato dal consumo, la pop-art respinge la depressione dell’interiorità e dell’istintività, guarda al mondo esterno , al complesso di stimoli visivi che circondano l’uomo contemporaneo. Infatti è un arte aperta alle forme più popolari di comunicazione: la pubblicità, i quadri riprodotti in serie, i nuovi idoli creati dai mass media. Le origini della pop art vanno ricercate nella crisi attraversata dall’arte non figurativa , crisi che portò la più giovane generazione di artisti alla ricerca di una nuova espressione figurativa.

Gli artisti della pop art si interrogano sul problema della riproducibilità dell’arte nell’epoca industriale , sul come e se mantenere il carattere esclusivo dell’opera d’arte o se invece conciliare la realtà consumistica con il proprio linguaggio. I maggior rappresentanti furono: Segal, Oldenburg e Warhol famoso per la celebre serie dei barattoli di minestra Campbell.

Gli artisti pop attingono le loro motivazioni dalla sfrontata mercificazione dell’uomo moderno, l’ossessivo martellamento pubblicitario e il consumismo eletto a sistema di vita. La pop art infatti usa il linguaggio della pubblicità e risulta quindi perfettamente omogenea alla società dei consumi che l’ha prodotta.

Dell'opera "La Venere di Urbino" ci siamo soffermati in particolare sulla bellezza che questa figura mitologica trasmette e abbiamo deciso così di rappresentare e con l'uso della Pop-Art di pubblicizzare, gli ideali di bellezza al giorno d'oggi e farne una critica. Ma per farlo abbiamo creato quattro ambiti in cui vi sono bellezze soggettive e non solo quei canoni che la società contemporanea impone.

Utilizzando photoshop per creare la composizione delle scene e ispirandoci appunto alla tecnica della pop art, abbiamo voluto rappresentare contemporaneamente la soggettività della bellezza e dei canoni estetici della donna. Nella prima immagine in alto a sinistra, la scena è focalizzata all’interno di un salotto comunicante con una cucina e al centro di questo interno, i due protagonisti (la madre e il figlio) sono in primo piano.

Pur trattandosi di un ambiente chiuso, esso è accogliente, ordinario e aggiornato alle ultime tendenze dell’arredamento casalingo; tutto ciò rispecchia i gusti eleganti ma allo tempo casual della padrona di casa. La donna, abbigliata con abiti semplici e pratici per poter iniziare comodamente la sua routine quotidiana, si trova semisdraiata su un comodo e rilassante divano bianco intenta a dedicarsi completamente al suo amato svago (lo shopping on-line) tramite un

computer portatile (appoggiato tra il basso ventre e le coscia della protagonista) e una carta di credito impugnata tra le dita della sua mano destra, mentre con quella sinistra digita il tasto del pc con cui poter avviare l’acquisto dell’oggetto desiderato. Entrambi gli oggetti sono dello stesso colore e l’azione, oltre ad essere suggerita da quest’ultimi elementi, viene intuita sia dalla gestualità sia dal sorriso soddisfatto ed euforico accennati dalla donna.

Il bambino (avente circa l’età di tre o quattro anni) scalzo e abbigliato con abiti sportivi, è catturato con lo sguardo da una programmazione in tv invece di giocare con il suo orsetto di peluche che nel frattempo sembra riposare sulla sedia su cui è stato appoggiato. La televisione non è inquadrata nello scenario, al contrario del telecomando che è tenuto in mano dal bimbo. Gli spigoli delle pareti e della cucina e i contorni degli oggetti conferiscono prospettiva e profondità. Inoltre, i colori dell’arredamento (beige, panna, nero e bianco) esaltano l’oggettistica in porcellana.

In questa immagine abbiamo voluto rappresentare la bellezza della donna casalinga; un soggetto che pur essendo indaffarato con la cura della casa e del figlio, riesce comunque a ritagliare un po’ di tempo per il suo benessere fisico e psicologico a casa sua al punto da non ritener necessario chiamare una baby-sitter per accudire suo figlio anzi reputa la tv un valido sostituto di quest’ultima.

Nella seconda immagine in alto a destra, la scena è focalizzata all’interno di un set fotografico tinteggiato in bianco e incorniciato dalle apparecchiature fotografiche nere. Al centro dell’ambiente e dell’attenzione dell’osservatore c’è una giovane modella sdraiata in posa su un divano bianco ornato con dettagli meticolosi e sfarzosi in oro che peraltro ricordano quelli di un trono (stessa cosa la forma del divano).

L’ intensità dello sguardo della ragazza è accentuato dal trucco (uno smokey eyes scuro) e appare seducente mentre la sua posa fa trasparire tutta la sua sicurezza e autostima. La protagonista indossa un elegante abito corto color blu notte con al centro una grande rosa rossa stampata che allude in un certo senso alla bellezza e alla sensualità sia della modella sia delle donne; al polso sinistro indossa dei bracciali.

Come calzatura invece, calza dei sandali alla schiava bianchi e neri. La sua carnagione è leggermente abbronzata ma non troppo e la disposizione degli oggetti dà prospettiva all’ambiente. In questa immagine abbiamo voluto rappresentare la bellezza della donna modella, la quale sfrutta la propria estetica per pubblicizzare e vendere un prodotto consigliato ad un’ampia fascia di età femminile (dai 20 ai 50 anni) e per incrementare un determinato stereotipo fisico.

Nella terza immagine in basso a sinistra, la scena si focalizza in ambiente esterno situato ad Agra (nell’india settentrionale). Alle spalle della protagonista si erge un imponente edificio in marmo bianco e i suoi quattro minareti (il Taj Mahal). Quest’ultimi sono delle torri presenti in quasi tutte le moschee e in questo mausoleo dalle quali un uomo (il muezzin) chiama cinque volte al giorno i fedeli alla preghiera.

Questa architettura fu fatta costruire nel 1632 dall’imperatore Shah Jahan per celebrare l’amore e la bellezza della donna tanto amata da questi (la sua consorte imperiale Mumtaz Mahal). La struttura quindi, riprende il nome di questa, il quale significa “luce del palazzo”. Il Taj Mahal, “accerchiato” dai fedeli e dai suoi giardini verdi e la donna seduta sulla panchina sono separati da un immenso specchio d’acqua artificiale che riflette in parte l’edificio.

Il personaggio principale della composizione scenica, è abbigliato con un semplice ma elegante sari rosso ornato con decorazioni intricate in oro, inoltre indossa anelli, bracciali, orecchini, una collana e al centro della fronte e vicino alle sopracciglia il bindi. In origine questo piccolo elemento decorativo veniva utilizzato per indicare l’età e lo stato civile-religioso- etnico della donna, attualmente però viene usato esclusivamente per questioni estetiche, indifferentemente dal suo originale significato.

Questa rappresentazione suggerisce tre fasce prospettiche congiunte da un elemento in comune (la donna). In questo caso l’insieme compositivo della scena (tra cui i fedeli vicini alla specchio d’acqua) sembrano lodare e venerare in lontananza la bellezza etnica della protagonista che peraltro in questo contesto viene paragonata ad un sole che primeggia su un cielo sereno, illumina l’ambiente e irradia se stessa. Abbiamo voluto rappresentare la bellezza della donna etnica legata alle sue tradizioni e alla sua cultura anche in chiave moderna.

Nella quarta immagine in basso a destra, la scena si focalizza all’interno di una piccola sala tatuatrice con delle pareti grigie arredate da due quadri che si rifanno alla mitologia e alla scrittura orientale. Al centro convergono due figure principali (quella del tatuatore intento a svolgere il proprio mestiere e quella di una donna sdraiata sul fianco su un lettino bianco che si sta facendo tatuare completamente la schiena).

Entrambe le figure hanno il corpo quasi interamente ornato da tatuaggi e condividono gli stessi gusti estetici. Alle spalle dell’uomo c’è un tavolino su cui sono appoggiati tutti i prodotti e gli strumenti per poter tatuare; di fianco a questi invece c’è una lampada, la cui luce illumina la protagonista che peraltro ha un taglio di capelli molto moderno; in questo caso, il corpo viene paragonato ad una tela bianca che viene dipinta con immagini, simboli o

scritte indelebili che racchiudono il carattere, i pensieri e i gusti personali di una persona. Nella rappresentazione abbiamo rappresentato la bellezza della donna tatuata e di come certe usanze antiche di alcuni popoli (come appunto lo è il tatuaggio) siano riprese nella moda e nei canoni estetici attuali della società occidentale.

La bellezza oggi

Canone di bellezza Il canone di bellezza è l'ideale estetico riguardante il corpo che viene riconosciuto dalla società, strettamente legato all'epoca e alla situazione culturale, economica e sociale di un popolo. Raccoglie le migliori e più desiderabili caratteristiche di bellezza fisica. Tale canone si è espresso in varie forme nella storia e tramandato attraverso le espressioni artistiche.

BuzzFeed, un sito di informazione, ha provato esplorare com'è cambiato nel corso della storia il concetto di bellezza delle forme femminili. Ha descritto come erano le donne dell’antico Egitto, dell’antica Grecia, durante la dinastia Han, il Rinascimento italiano, l’Inghilterra vittoriana, i ruggenti anni ‘20, l’epoca d’oro di Hollywood, i “dondolanti “ anni ‘60, l’epoca delle super modelle, tossica ma chic e infine dalla bellezza postmoderna fino ad oggi.

E’ dagli anni Duemila che bellezza diventa sinonimo di magrezza e le donne aspirano ad essere sempre più longilinee. In questo periodo è il corpo al centro dell’interesse e non la persona; l’essere, l’essenza e la spontaneità vengono sostituite dall’apparenza e dal controllo: snellezza, altezza e magrezza eccessiva sono gli stereotipi irraggiungibili di bellezza attuale. Anche se indiretti, i messaggi sono abbastanza chiari: se sei magra puoi avere successo

in amore e in lavoro, puoi essere felice e popolare quindi, l’ideale della magrezza, è associato a valori molto profondi come all’apprezzamento e all’accettazione sociale e non assume più un insulso significato estetico. Le nuove dive sono le top-model, esili e sottili, adatte ad indossare qualsiasi vestito. L’ideale di bellezza che esalta la perfezione e scredita il grasso, costringe le donne ad un continuo automonitoraggio del proprio fisico attraverso diete varie e un’eccessiva attività fisica.

La “dismorfofobia”, ovvero la sbagliata reputazione della propria immagine e l’incapacità di valutare in modo oggettivo la propria fisicità, spinge le donne a ricercare soluzioni drastiche a problemi spesso inesistenti, ma reali per il loro modo di pensare e percepire il proprio corpo. La dieta sembra essere così la promessa di felicità e successo, che però si rivela poco efficace, poiché i livelli di peso desiderati sono irrealistici e perché i veri problemi sono altri.

Le bambine fin da piccole vengono loro proposte immagini femminili con proporzioni irrealistiche, presentate come ideali di bellezza. A cominciare dalle bambole più famose come le Winx o la celebre Barbie. Il vedersi sempre sfilare sotto gli occhi veline, show girls, attrici dal fisico perfetto può produrre profonde reazioni nell’animo di una ragazzina in età adolescenziale, spesso insicura: si potrebbe sentire inferiore, pensare di non essere all’altezza e di non poterlo essere mai.

Cresce così la sua insicurezza e pur di sentirsi altrettanto bella, desiderabile, apprezzata, inizierà a sottoporsi a diete sempre più drastiche, fino a non mangiare per trasformare il proprio corpo nel canone di bellezza stabilito ed ottenere così: riconoscimento, apprezzamento, attenzione, affetto e amore.

Siamo arrivati al punto che si ha la convinzione che essere così come si è non vada bene e che si debba correggere ciò che non corrisponde a ciò che dice la società. La mercificazione della bellezza femminile, pubblicato negli anni Novanta, da Naomi Wolf, ha confermato la realtà dei fatti attuale: l’ideale della bellezza non è qualcosa di naturale ed innato nelle donne, non è scaturito dai loro bisogni, ma è un canone costruito dal mercato per farle sentire inadeguate ed in difetto, sfruttandone così le loro insicurezze per scopi commerciali.

Secondo la scrittrice, il mito della bellezza è una menzogna costruita per necessità economiche. Le donne così sprecano preziose energie che potrebbero utilizzare per altri obiettivi, piuttosto che sprecarle in inutili sensi di colpa e vergogna per i loro difetti fisici. Perciò bisogna capire che i canoni di bellezza stabiliti dalla società non danno felicità perché essere felici significa stare bene con ciò che si è e che la bellezza è molteplice.

Lavori di: Alessia Manfredini Giulia Canepari Sara Cangiano
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