attendono la consacrazione, tutto ciò troverete alle matinées del
Cercle de la Mediterranée.
Non era la prima volta ch'io andava al Cercle. Avevo dei ciceroni
cortesi ed informati, conoscevo ormai, anche di persona, buona
parte delle celebrità che passavano, come meteore, in quel neutro
ambiente. Non mi stancavo di quello spettacolo, perchè n'eran
sempre mutati i personaggi, e perchè vi trovavo ogni volta qualcosa
che colpiva facilmente la mia fantasia. Quel giorno la pazza di casa
teneva dietro a due apparizioni che si contendevano gli sguardi del
pubblico. Un'africana, nera come la fuliggine, con due vampe di
occhi e un pariginismo incensurabile di toilette moderna. Poi, una
bellezza di Bordeaux, la figlia d'un ricco armatore, una signorina:
très bien. Certo; era bella, idealmente bella, bella in modo
trascendentale! Vestita, atteggiata squisitamente, nell'intonazione
perfetta di un quadro di Van Dyck. Ne possedeva in tutto i requisiti
tradizionali, la posa, il colorito, la forma, le stoffe, i gioielli. Era
bianchissima, un po' pallida, come se la poesia del tempo avesse
illanguidite le tinte, sulla tela del suo volto. Parlava pochissimo,
senza muover le labbra, senza sorridere oltre i limiti del suo vago
sorriso permanente, nella coscienza serena, forse annoiata, della sua
perpetua rappresentazione artistica. Non arrossiva sotto l'insistenza
e la universalità degli sguardi, più curiosi che altro, danzava con
perfetta arte di posa, serbando tutto il suo idealismo di splendida
immagine anche nella grottesca assurdità di gruppo ch'ella formava
col suo ballerino, un giovinotto volgare e brutto. Poco lungi stavano i
parenti di lei, grossi, bonari, plateali anch'essi. Solleciti, ma sicuri del
trionfo, guardiani amorosi del tesoro, pazienti direttori di quella sacra
passeggiata del capo d'arte della famiglia, nella placida attesa
dell'amatore intelligente che ne vorrebbe adornare il proprio museo,
mentre ella danzava serenissima, sorridendo esclusivamente a sè
stessa!
Ero così immersa nella contemplazione del Van Dyck, che non mi
accorsi dei ripetuti cenni fattimi da Fedor Zarenine, il quale
farfalleggiava poco lungi da me. Tanto che egli mi venne accanto e
mi diede un poderoso shake hand, uno dei suoi soliti.