Cristo nostra forza, scindere davvero anche visibilmente, dal
cielo fino ai nostri umani limiti.
I pittori Zappettini avevano poi, con tratti sacrali, raffiguranti
il sacramento dell'ordine, orientato però a celebrazione del
mistero salvifico del Cri- sto Trasfigurato.
Straordinario, invero, si dilatava dal mosaico dell'aspide il
fascino del Salvatore, stillate divinità.
C'erano, però, ai due altari laterali lo Madonna, in un more di
gigli, e 5. Giuseppe con Gesù adolescente e ai loro piedi
propiziante il titolare del Seminario, il Beato Barbarigo;
macera- no anche amboni e leggii, tagliati nel marmo; e altri
dettagli che costituiva- no aggetto di ammirazione e, per alcuni,
anche polemica.
Il Pontefice delle accurate liturgie, manco a dirlo, era don
Marco Farina, erede sotto certi aspetti, dei gusti di don
Francesco Bonomi, inspirato poeta mancato troppo presto per
noi seminaristi di non molti anni prima. Per la scuola, c'era il
gruppo degli insegnanti tra i quali alcuni erano incaricati della
teologia, ai prefetti.
È facile ricordare don Luigi Morstabilini, oggi Vescovo. A quei
giorni, però, il rispetto per il futuro preside non costituiva
sempre tutti i confini della ortodossia.
Voglio dire che il prof. Alessandro Bolis il prof. Ottavio Salvetti
e credo anche il prof. Ezio Butta, che ci manca da diversi anzi,
usavano talvolta nello spazio del mio studio, che trovava al
piano superiore di quello del Morstabilini, ma proprio sopra a
filo e piombo, ne usavano, dicevo, per esercitarvi delle «marce
forzate» di tipo militare (un due, un due) avanti e indietro per
tutta la stanza, equipaggiati di certi scarponi adatti per
escursioni di alta montagna che essi prediligevano e
eserciteranno. Tanto che, dal disotto, a un certo punto, il
Morstabilini, tra il brusco e il faceto, gridava: <<Oh, oh, oh!,
Galatòm! El mia ura de finila?!» e altre simili frasi che
naturalmente facevano scoppiare di giubilo i due o tre
granatieri!...
Si era proprio il tempo della bella, vigorosa e (anche un po,
diciamolo pure) spensierata gioventù. La quale aveva creato in
noi una felice quotidiana armonia, che certo veniva a
tempestare quel tanto di solitudine, che forse poteva
inesorabilmente scaturire delle lunghe settimane, specie
invernali, trascorrere in un ambiente davvero affascinante, ma
un po' chiuso.
Cosicché, tra oltre iniziative, trovammo quella dello studio
dell'astronomia, ma diciamo così, esercitato sul vino della
natura: la torretta divenne ad un certo punto il luogo di
convegno di non poche nostre notti, soprattutto di febbraio,
quando lo stellato è più nitido e arguto.
Si aprivano gli atlanti astronomi- ci, si confrontano testi e
fotografie (sempre però nel lume di mozziconi di candela,
perché sulla torre non c'era impianto elettrico).
Furono quelli, tra scoperte di costellazioni e simpatiche risate,
tempi indimenticabili. Ma anche la scuola, che rappresentava
per noi il dovere principale e il lavoro quotidiano, non
mancava di sinceri e appassionati interessi. Erano gli anni di
Nosengo e di altri ardenti fautori della cosiddetta
«Scuola attiva» e noi, giovani insegnanti del Nuovo Seminario
di Clusone, non potevamo certo, essere da meno, di fonte alle
novità.
Don Piccardi (che era il Direttore Spirituale) don
Morstabilini (Il doctor «Universalis» della comunità),
don Bolis, don Salvetti, don Butta e qualche altro,
avevano, tuttavia, per il sabato sera e per la domenica,
notevoli impegni di apostolato a Rovetta, a Songavazzo,
a Clusone... Anch'io, all'inizio della mia fatica di
predicatore, lasciavo certe notti il Seminario per
intervenire a ricorrenze e a feste liturgiche nei dintorni
di Clusone, e talora anche un po' più in su per le valli o
più in giù per le pianure.
Al Sem
inario di Clusone mons. Bernareggi che lo aveva
ideato, vagheggiato, e seguito nel suo nascere e crescere
veniva spesso, con nostra gradita gioia.
In certo senso, pur presentissimo al Seminario di
Bergamo, in quell'epoca degli inizi, si capiva che ere
molto pro- teso a creare quella nuova comunità, sotto
molti aspetti di natura inedite e perfino sorprendente, che
in tutta la diocesi aveva reso domestico e simpatico nome
di Clusone.
Quanto a me, rimasi impegnato nell'insegnamento a quel
Seminario
per due anni (1934-35 e 1935-36}; poi la bontà del
Vescovo, con mia sorpresa, mi trasferì al Seminario di
Bergamo, nel quale dovevo esercitare le fatiche
scolastiche per un notevole numero di anni.
A Clusone, tuttavia, tornai per tra- scorrere i periodi
delle vacanze estive.
Anzi, fu proprio nel 1937, tra un'an- data e un ritorno da
Clusone, che cominciai ad accorgermi dello spazio che
mi abitava intorno, e dei prati e dei boschi, e delle acque
cangianti del Serio, dentro le quali sprofondavo i miei
sguardi quasi a cogliere le scintille di un traboccante
mistero.
Stavo, allora, per compiere i ventisette anni di età. L'età -
dicono - che segna la nascita di un poeta. lo però, allora,
lo ignoravo.
Me ne accorsi molto più tardi: nell'irresistibile intessersi
del mio destino.
Per lunghi avvolgimenti avrei compiuto un viaggio che
mi avrebbe condotto al mondo delle creature, poi al
Creatore del mondo, al Redentore, all'Ispiratore e
Fiamma, e da ultimo a Dio Uno e Trino, con accadimenti
talvolta anche incredibili e inenarrabili, e per
camminamenti «sulle creste» con l'abisso dalle due parti,
e con perenne sorpresa (Dio è il Dio che sorprende) fino
ad attimi di preludio (l'estremo nostro destino terrestre è
attingere a tempi di preludio). Anche per questa mia
sorte, dopo cinquant'anni circa, mi è impossibile
dimenticare i dolci declivi, le molli colline e i vigorosi
monti che cingono l'ampio altipiano di lassù; e quel
Seminario, un insieme semplice ed elegante, poderoso e
agile, che pareva adagiarsi in una mistica serenità, ricca
di tante promesse per il futuro.
Né dimenticare potrei tanta bontà provvidente di tanti
miei Superiori; né tanta sincera spontanea amicizia di
colleghi e condiscepoli: né omettere, nella preghiera, il
momento modesto, ma fervido per tutti coloro che ormai
da anni, abbandonato lo scenario di allora, sono entrati
nel golfo senza sponde dell'eternità. E arcanamente ci
sostengono con la loro celeste protezione (dopo aver
costatato anche questo è di conforto che, in complesso,
non li abbiamo mai traditi).
DON PIETRO BERTOCCHI11