– 270 –
La ragazza annuì, con gli occhi bassi. – Sì… qualche volta la
vedo.
– Vai mai laggiù, Linda? – S’infilò la giacca.
– No – lei rispose, – ma ci ho provato. Dopo che arrivai qui,
ed ero annoiata. Comunque, avevo pensato che fosse una città,
così forse avrei potuto trovarci un po’ di droga merdosa… di
quelle pesanti, sai. – Fece una smorfia. – Non è che stessi male,
niente affatto: la volevo, e basta. Così, ho messo del cibo in un
barattolo, l’ho annaffiato ben bene d’acqua e l’ho mescolato a
fondo, giacché non avevo un altro barattolo per l’acqua. E ho
camminato tutto il giorno, e talvolta riuscivo a vederla, la città, e
neanche pareva troppo lontana. Ma non si è mai avvicinata. E
poi, finalmente, si è avvicinata, e ho visto cos’era. Quel giorno, a
un certo momento, mi è parso che fosse in rovina, e forse là non
c’era nessuno; in altri momenti, invece, mi era parso di vedere
delle luci che lampeggiavano da una macchina, un’automobile o
qualcosa del genere… – La sua voce si affievolì.
– Cos’è?
– Questa cosa. – Lei indicò con un gesto il focolare, le pareti
scure, la luce dell’alba che delineava la porta. – Questa cosa do-
ve viviamo noi. Diventa più piccola, Case, più piccola, più ti av-
vicini ad essa.
Si soffermò un’ultima volta accanto alla porta. – L’hai chiesto
al tuo ragazzo?
– Sì. Ha detto che non avrei capito, che sprecavo il mio tem-
po. Ha detto che era come… come un evento. E che quello era il
nostro orizzonte. L’orizzonte degli eventi, lo ha chiamato.
Le parole non significavano niente per lui. Lasciò il bunker e
si avventurò fuori alla cieca, dirigendosi, in qualche modo lo
sapeva, lontano dal mare. Adesso i geroglifici scorrevano veloci
sulla sabbia, gli scappavano via da sotto i piedi, si ritraevano da
lui a mano a mano che avanzava. – Ehi – disse, – si sta frantu-
mando. Scommetto che lo sai anche tu, che cos’è. Kuang.
L’icepenetratore cinese che sta aprendo un buco nel tuo cuore e
lo divora. Forse il Flatline di Dixie non è qualcosa che si lascia
menare per il naso, eh?