fiori, distribuendo il medesimo sorriso alle figure più delicate e alle
più impure, come un incantatore incantato egli stesso dalla forza del
proprio incantesimo. Se il suo cervello è pieno, la sua coscienza è
vuota: la nazione, cui appartiene, non ha nulla da dirgli, nè egli nulla
da risponderle. Così la vita diventa per lui una fantasmagoria, che
l'arte coglie senza dare alle proprie immagini maggior valore che non
ne abbiano gli oggetti; Dio è un fantasma come gli altri, la patria un
palcoscenico per dei personaggi immaginari, la virtù un costume di
cavaliere e di dama, il vizio il fondo bestiale necessario a tutti gli
animali anche umani. Le passioni, che sono sempre il fuoco di una
idea acceso entro un cuore o entro un cervello, non illuminano e non
bruciano mai le pagine del poeta: nulla è vero perchè tutto è
effimero, ma tutto è bello perchè apparente. E il poeta, che ride di
tutto, non sorride che alla bellezza di una parola o di un sentimento,
di un paesaggio o di una figura, di una voce o di un verso. La sua
sensibilità è così mobile e sincera, così pronta e fugace, che le
lagrime si mescolano al riso e l'entusiasmo all'ironia; spesso, anzi
troppo spesso, lo si vede sottrarsi alla commozione di una tenerezza
con un motto osceno, o ergersi da una situazione scabrosa con uno
scatto eroico. La sua anima di poeta non aspira a nulla, non
rimpiange nulla, trastullata, beata nel giuoco radiante e sonoro delle
apparenze, che confondono mitologia e storia, maghi e santi, epoche
e religioni in un ateismo inconsapevole della propria decadenza, in
un abbandono ignaro della propria abdicazione. Mentre Lutero,
trascinando l'umanità nella teologia, la spinge a morire per la verità
di certe interpretazioni dei libri santi coll'entusiasmo tragico di una
libera fede, che riprendendo il dialogo interrotto dell'uomo con Dio
rinsalda la catena del progresso storico spezzata in Italia; il grande
poeta italiano, ignaro della rivoluzione germanica, sogna, sorride,
ride, deride, e conoscendola seguiterebbe egualmente a sognare,
sorridere, ridere e deridere. Per la coscienza poetica dell'Ariosto non
vi sono che apparenze, delle quali l'unica verità è la bellezza; per la
coscienza politica di Machiavelli non vi sono che combinazioni, delle
quali l'unica verità è il successo.