CARLO V E SCOPERTE GEOGRAFICHE, storia moderna.pdf

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Spiegazione Carlo V


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CARLO V: IL SOGNO DI UNA MONARCHIA UNIVERSALE
Alla morte di Ferdinando il Cattolico nel 1516, il nipote Carlo d’Asburgo, nato da Giovanna la
pazza (figlio di Ferdinando) e Filippo d’Asburgo, ereditò la corona di Spagna, giacchè la madre non
era in condizione di regnare. Pochi anni dopo, nel 1519, scomparve anche l’imperatore
Massimiliano I. Alla candidatura di Carlo per la dignità imperiale si contrappose quella del re di
Francia Francesco I, appoggiato dal pontefice Leone X. L’ostilità degli elettori tedeschi nei
confronti della Francia e l’oro prestato dai banchieri di Augusta, Fugger e Welser per comprare i
voti degli elettori furono elementi determinanti per l’elezione di Carlo, avvenuta a Francoforte il 27
giugno 1519. Cresciuto a Bruxelles presso la corte della zia Margherita, Carlo assorbì da
quest’ultima l’orgoglioso senso dinastico, e dai nobili che la circondavano la cultura aristocratica e
cavalleresca franco borgognona. A completare la personalità del più prestigioso monarca dell’età
moderna si aggiunse poi l’idea imperiale, intesa come dovere di guidare la cristianità e di
mantenerla unita nella giustizia e nella fede. Nel suo triennale soggiorno in Spagna, dal 1517 al
1520, Carlo provocò i malcontenti della nobiltà locale distribuendo molte cariche ecclesiastiche e
laiche a gentiluomini fiamminghi e borgognoni; irritò, tra l’altro, le città della Castiglia con la
richiesta di nuove tasse per pagare le spese dell’incoronazione imperiale. Poco dopo la sua partenza
per la Germania, nell’estate del 1520 scoppiò una forte rivolta: nata come una coalizione di città che
rivendicavano le proprie autonomie, e per questo la rivolta fu definita comuneros, cioè cittadini, ben
presto essa assunse un carattere esplicitamente popolare. Tuttavia, i comuneros furono sconfitti a
Villalar il 23 aprile 1521 da un esercito nobiliare. Tale rivolta ebbe un notevole peso nell’operato di
sovrano spagnolo di Carlo V, che imparò ad avere maggiore rispetto per l’orgoglio dei sudditi
spagnoli, dove soggiornò dal 1522 al 1529 e poi di nuovo, una seconda volta per periodi più brevi
fino al 1543, per un totale di 16 anni (sui 40 del suo regno). Gli spagnoli furono i suoi capitani e
consiglieri; anche la moglie Isabella (infanta del Portogallo, alla quale era affidata la reggenza
quando il monarca non c’era) era spagnola.
ASBURGO CONTRO VALOIS: LA RIPRESA DELLA GUERRA IN ITALIA
In Germania, invece, Carlo V si trovò subito a fare i conti con il problema luterano, anche se dopo il
1520 la sua attenzione si rivolse prevalentemente alle questioni italiane. Nello specifico,
l’imperatore aveva l’intento di strappare alla Francia il Milanese e la Borgogna. I francesi furono
costretti ad abbandonare Milano già nella primavera del 1521. Nell’autunno del 1524, Francesco I
riuscì a formare e organizzare un esercito di 30.000 uomini per rientrare a Milano e per cingere
d’assedio Pavia, ma gli imperiali riuscirono nuovamente a sconfiggere i francesi, facendo tra l’altro
prigioniero lo stesso sovrano francese che, per riottenere la libertà, fu costretto a firmare l’oneroso
trattato di Madrid del 1526, con il quale rinunciava per sempre al Milanese e consegnava la
Borgogna all’imperatore. Naturalmente, tali promesse non vennero mantenute, tanto è vero che già
nel maggio 1526, fu stipulata a Cognac una lega difensiva tra la Francia, il pontefice Clemente VII,
Firenze e la repubblica di Venezia; intanto i turchi, alleati di Francesco I, avanzavano in Ungheria. I
francesi, però, tardarono ad intervenire in Italia, e nei primi mesi del 1527 gli uomini di Carlo V
discesero la penisola senza incontrare alcuna resistenza. Ai primi di maggio entrarono addirittura a
Roma e la sottoposero a un terribile saccheggio, durante il quale il pontefice preferì rifugiarsi a
Castel Sant’Angelo, dove rimase per diversi mesi in stato d’assedio. Immensa fu l’eco che ebbe
nella cristianità tale episodio, interpretato da molti come un giudizio di Dio sulla corruzione della
Chiesa.
Nel contempo, i fiorentini approfittarono della disgrazia del pontefice per sollevarsi contro la
signoria dei Medici e ristabilire il governo repubblicano. L’anno seguente, un esercito francese
mosse contro Napoli, occupando al passaggio Genova: qui l’armatore Andrea Doria, fino ad allora
alleato dei francesi, passò dalla parte dell’imperatore e impose ai suoi concittadini una riforma

costituzionale in senso oligarchico. L’esercito francese, rimasto senza appoggio navale e decimato
da una pestilenza, fu costretto a ritirarsi dal Mezzogiorno senza aver concluso nulla. Maturarono
così le condizioni per la sospensione delle ostilità e nel giugno 1529 Carlo V firmò con il pontefice
la pace di Barcellona e un mese dopo, a Cambrai, si riconciliò anche con Francesco I, che
rinunciava ai domini italiani conservando però la Borgogna.
L’inverno successivo ci fu poi l’incontro di Carlo V e Clemente VII a Bologna per regolare le
questioni italiane in sospeso. A Milano fu insediato Francesco II Sforza (col patto che alla sua
morte il ducato sarebbe stato riunito ai domini imperiali) Carlo V venne incoronato imperatore in
San Petronio e ottenne dal papa un impegno alla convocazione di un concilio che avrebbe dovuto
sanare lo scisma religioso e procedere alla riforma della Chiesa. In cambio, Clemente VII ebbe
l’appoggio delle armi imperiali per riportare i Medici a Firenze. Mentre l’imperatore era impegnato
contro i turchi nel Mediterraneo e in Germania contro i protestanti ne approfittò Francesco I per
accendere la guerra in Italia e nei Paesi Bassi, quando i Francesi occuparono la Savoia in risposta
alla presa di possesso di Milano.
I NUOVI ORIZZONTI GEOGRAFICI
LE CONOSCENZE GEOGRAFICHE ALLA FINE DEL MEDIOEVO: L’AFRICA NERA
Alla fine del Medioevo, i rapporti diretti degli europei con gli altri continenti erano sostanzialmente
limitati agli scambi economici e culturali tra le varie sponde del Mediterraneo. I viaggi verso
l’oriente si fecero sempre più difficili tra il XIII e il XIV secolo, per via dell’avvento della dinastia
Ming in Cina e dell’espansione ottomana nel Mediterraneo orientale e nei Balcani.
Le nozioni geografiche del primo Rinascimento, per quanto riguardava gli altri continenti, erano
assai vaghe e incerte, risalenti prevalentemente all’antichità classica. Si era comunque imposta da
tempo, grazie all’autorità di Tolomeo, vissuto nel II secolo D.C. , la concezione sferica della Terra,
ma il continente africano era creduto molto più corto di quanto non sia in realtà. Inoltre, il blocco
formato dai tre continenti noti, Europa, Asia e Africa, era collocato tutto nell’emisfero settentrionale
e dell’esistenza delle Americhe o dell’Oceania non si aveva alcuna idea. Paradossalmente, furono
proprio questi errori a incoraggiare i viaggi di esplorazione dei portoghesi e di Colombo. Un effetto
analogo ebbero le idee fantasiose circa le ricchezze delle Indie o l’esistenza in un luogo imprecisato
dell’Africa di un regno cristiano, il regno del mitico Prete Gianni, con il quale si sarebbe potuto
stabilire un’alleanza in funzione antimusulmana. Interrogandosi circa la realtà effettiva di questi
mondi, è ormai smentita, mediante studi recenti, la visione tradizionale dell’Africa Nera intesa
quale continente privo di storia. La popolazione, si aggirava alla fine del XV secolo, sui 40-50
milioni, distribuita molto irregolarmente tra zone ad alta densità, come il Bacino del Nilo e i territori
a sud del Sahara, e aree quasi disabitate, come i deserti del Sahara e del Sudafrica. Assai vario era
anche lo sviluppo dell’economia, giacché alcune popolazioni, quali pigmei, boscimani e ottentotti,
vivevano ancora di caccia e di raccolta dei frutti, mentre altrove si praticavano non solo
l’allevamento e l’agricoltura, ma anche la produzione di tessuti, quali il cotone, e la lavorazione di
metallo. Inoltre, la penetrazione araba portò con sé l’espansione dei traffici, tanto all’interno del
continente quanto con i paesi dell’Europa e dell’Asia.
LE CIVILTA’ PRECOLOMBIANE IN AMERICA
Nel continente americano le civiltà più evolute si svilupparono, nel millennio precedente l’arrivo
degli spagnoli, negli altopiani dell’America centrale e lungo la Catena delle Ande nell’America
meridionale, zone nelle quali si praticava prevalentemente un’agricoltura sedentaria basata sul mais,
sui tuberi e su altre piante nutritive, quali pomodori, fagioli e cacao. Minore importanza aveva

l’allevamento, limitato al lama peruviano, usato come animale da soma. Varie erano anche le
attività artigianali, anche se ancora era sconosciuto l’uso del ferro e della ruota.
Quando gli spagnoli giunsero in America, era ormai da tempo in declino la grande civiltà dei Maya,
fiorita tra l’attuale Guatemala e la penisola dello Yucatan. La sua eredità spirituale era stata
ereditata da nuove popolazioni guerriere provenienti dal nord e insediatesi nel Messico centrale:
prima i toltechi, nel X-XII secolo, poi gli aztechi, che tra il XV secolo e gli inizi del XVI, estesero il
proprio potere da un oceano all’altro e da nord a sud, fino alle propaggini occidentali dello Yucatan.
Al tempo dell’invasione spagnola del 1519, l’impero azteco contava forse più di 25 milioni di
abitanti ed era ancora in espansione. La religione azteca era prevalentemente imperniata sull’idea
della precarietà dell’ordine cosmico, in continuo minacciato da catastrofi naturali e dalla collera
delle divinità. Tale concezione religiosa giocava un ruolo determinante in tutti gli aspetti della vita
degli aztechi e giustificava un ordine sociale caratterizzato da rigide divisioni di ceto: solo il
sovrano e la nobiltà potevano, infatti, possedere a titolo privato la terra, lavorata dai servi della
gleba; per il resto erano le comunità, costituite da clan a base parentale (calpulli) e procedere alla
redistribuzione periodica del suolo tra i propri membri.
Anche l’impero Inca, un’altra delle civiltà precolombiane importanti, si sviluppò nel millennio
precedente l’arrivo degli spagnoli, estendendosi per una lunghezza di circa 4000 km nell’America
meridionale, lungo la cordigliera delle Ande e la costa del Pacifico. Era rigidamente stratificata: al
suo vertice era l’Inca, il sovrano venerato come un semidio, circondato da un’aristocrazia costituita
sia dall’originaria nobiltà inca, sia dai figli dei capi delle tribù sottomesse (curaca), tenuti a corte
come ostaggi. Alla sua abse era l’ ayllu (la comunità contadina) che si occupava di amministrare la
giustizia, distribuire le terre, riservando una parte dei prodotti allo Stato e un’altra per i servizi del
culto.
Oltre alla divinità solare (Inti) essi adoravano Virocha (il creatore del mondo) di cui attendevano il
ritorno. Essi avevano una salda organizzazione statale, grazie all’invio di governatori in ogni
provincia e alle deportazioni delle popolazioni più indocili. Inoltre in ogni circoscrizione vi erano
dei grandi magazzini pubblici, composti da un certo numero di ayllu, dai quali venivano presi gli
alimenti per sfamare i lavoratori requisiti per la mita (una sorta di corvèe statale che serviva a
costruire le strade, gli edifici pubblici...)
I VIAGGI DI ESPLORAZIONE E DI SCOPERTA
Il primo paese a intraprendere l’esplorazione dei nuovi mondi fu, nel XV secolo, il Portogallo,
grazie alla sua favorevole posizione geografica. Lo strumento ideale per la navigazione oceanica era
la caravella, un veliero di piccole dimensioni con scafo arrotondato, poppa quadra, timone
posteriore, tre alberi con vele sia triangolari che quadre e altri accorgimenti utili per aumentare la
velocità e manovrabilità. Inoltre nelle navigazioni era molto importante, oltre l’uso della bussola,
l’occhio e l’esperienza di capitani e marinai nel calcolare le distanze percorse e nello sfruttare il
regime dei venti. Mentre nel Mediterraneo era possibile orientarsi con una certa sicurezza anche con
l’aiuto di punti di riferimento visivi, molto più difficile era invece nell’oceano Atlantico.
L’espansione marittima portoghese ebbe inizio nel 1415, con la presa di Ceuta, a sud dello stretto di
Gibilterra, e proseguì nel XV secolo con l’occupazione delle Isole Azzorre e l’isola di Madera.
Addirittura, il sovrano portoghese Giovanni II (1481-1495) si pose il duplice obiettivo di
circumnavigare l’Africa in direzione dell’oriente e di ottenere informazioni più precise circa la
navigazione nell’Oceano Indiano. Un primo traguardo importante fu raggiunto dalla spedizione di
Bartolomeo Diaz, che alla fine del 1487 doppiò l’estremità meridionale del continente nero, da lui
ribattezzata Capo di Buona Speranza. Si propugnò anche l’allestimento di una spedizione in Asia,
ma una serie di problematiche interne, tra cui la morte dello stesso sovrano Giovanni II, ritardarono

l’impresa di qualche anno. Nel frattempo, si era rivolto ai sovrani del Portogallo, un navigatore
genovese, Cristoforo Colombo, il quale dichiarò di voler raggiungere l’oriente circumnavigando la
Terra verso occidente. Dinanzi a tale ardito intento, la corte portoghese si mostrò piuttosto scettica,
tanto è vero che Colombo preferì poi rivolgersi alla monarchia spagnola, che conferì al navigatore
genovese tutti i mezzi necessari per la sua spedizione. In tal modo, il 3 agosto 1492, tre velieri,
ovvero due caravelle e una nave più grande, la Santa Maria, presero il largo dal piccolo porto
atlantico di Palos. Dopo una sosta di un mese alle Canarie, la flotta puntò dritta verso ponente, e la
mattina del 12 ottobre 1492, una terra si delineò tra le brume dell’orizzonte. Era con ogni
probabilità l’attuale isola di Watling, nelle Bahamas battezzata da Colombo San Salvador. Il
navigatore genovese era convinto di essere giunto nelle propaggini dell’Asia e di aver così
dimostrato la validità della propria teoria. Il 14 marzo 1493 Colombo fece un trionfale ritorno a
Palos, portando con sé alcuni <<indiani>>, pappagalli e un po’ d’oro ottenuto dagli indigeni,
abbastanza per convincere la regina Isabella del valore della scoperta e per indurla a finanziare una
seconda spedizione, ma il secondo viaggio di Colombo produsse solo un carico di schiavi e accuse
di malgoverno contro l’ammiraglio. L’eco della scoperta di Colombo stimolò immediatamente
nuove iniziative, quali le due spedizioni del veneziano Giovanni Caboto, nel 1497-98, a Terranova
per conto della corona inglese, e la ricognizione di quasi tutta la costa atlantica dell’America
meridionale compiuta dal fiorentino Amerigo Vespucci, al servizio prima della Spagna, nel 1499-
1500, poi del Portogallo, nel 1501-02. Proprio Vespucci fu trai primi a comprendere che non si
trattava dell’Asia, ma di un nuovo continente, che in suo onore sarà chiamato America. Un’altra
importante conseguenza sorta dopo il primo viaggio di Colombo fu la disputa insorta tra Spagna e
Portogallo circa l’appartenenza dei territori scoperti. A tal proposito, Giovanni II stipulò con la
corte spagnola il trattato di Tordesillas, il 7 giugno 1494, in virtù del quale la linea divisoria tra
l’area portoghese e quella spagnola fu fissata 370 leghe a ovest dell’isola di Capo Verde, il che
renderà possibile al Portogallo rivendicare la proprietà del Brasile, scoperto da Cabral nel 1500.
Proprio la rivalità con la Spagna indusse il Portogallo ad affrettare i preparativi per una spedizione
nelle Indie orientali, il cui comando venne affidato a Vasco da Gama, il quale risalì la costa
orientale dell’Africa fino a Malindi. Successivamente, nei primi anni del nuovo secolo, l’obiettivo
principale perseguito dai navigatori fu quello di trovare un passaggio che permettesse di andare
oltre l’America e di trovare finalmente la rotta marittima per l’Asia. A tal proposito, il 10 agosto
1519, salpò da Siviglia Ferdinando Magellano, un portoghese postosi al servizio della corona
spagnola, che il 21 ottobre dell’anno seguente trovò in fondo alla Patagonia uno stretto che porta
attualmente il suo nome. Magellano affrontò poi con sole tre navi la traversata
del Pacifico, e dopo oltre tre mesi di navigazione sbarcò nelle Filippine e ne prese possesso in nome
del re di Spagna. Perito Magellano in uno scontro con gli indigeni, il comando della spedizione fu
assunto da Sebastiano del Cano, il quale, con circa venti uomini, riuscì a raggiungere le coste
spagnole nel settembre 1522, dopo aver circumnavigato l’Africa.
SPEZIE E CANNONI: L’IMPERO MARITTIMO DEI PORTOGHESI
Tra le conquiste portoghesi, quella del Brasile rimase in un primo tempo priva di risultati
economici. Tutti gli sforzi del Portogallo furono concentrati nello sfruttamento a fini commerciali
della via marittima verso le Indie orientali scoperta alla fine del Quattrocento. Un tentativo di
bloccare l’espansione portoghese fu compiuto dal sovrano mamelucco dell’Egitto, la compagine
territoriale più danneggiata sul piano mercantile, che venne però stroncato con la grande vittoria
della flotta portoghese a Diu nel febbraio 1509. Nei decenni successivi, ai territori controllati dal
Portogallo si aggiunsero anche le nuove conquiste dell’isola di Ceylon e delle Molucche. Tuttavia, i
portoghesi non riuscirono mai a impadronirsi di Aden e a chiudere il Mar Rosso, la tradizionale via
marittima di approvvigionamento delle spezie per il Levante e l’Europa, cosicchè , le spezie e gli

altri prodotti orientali iniziarono ad affluire nel Mediterraneo e si creò una spartizione tra Venezia
da un lato e i portoghesi e i loro alleati dall’altro.

LE IMPRESE DEI CONQUISTADORES SPAGNOLI
Nei primi 25 anni dopo la scoperta di Colombo, la presenza europea nel Nuovo Mondo si limitò
sostanzialmente alle Isole Caraibiche e puntò soprattutto alla ricerca dell’oro; spietato fu, tra l’altro,
lo sfruttamento della popolazione indigena, in poco tempo ridotta ai minimi termini dagli stenti e
dalle malattie introdotte dagli europei. Solo a partire dal 1517 ebbe inizio l’esplorazione della
terraferma, mediante l’operato dei conquistadores, di origini spesso nobili ma povere, i quali
attraversarono l’oceano e mossero alla conquista di grani regni e immense estensioni di territorio.
Nel febbraio 1519, Hernan Cortès, partì dall’isola di Cuba e dalle coste messicane dello Yucatan
procedette verso il centro dell’Impero azteco senza incontrare grande resistenza. Giunto nelle
capitale, Cortès fu ben accolto dal sovrano azteco Montezuma II. Cortès però lo fece prigioniero e
lo obbligò a pagare un enorme riscatto; ma poco dopo gli spagnoli furono costretti a ritirarsi a causa
di una rivolta nel corso della quale rimase ucciso lo stesso Montezuma. Successivamente, Cortès
fece ritorno presso la capitale azteca nell’agosto 1521, occupandola, distruggendola e facendo degli
abitanti una spaventosa carneficina. Sulle rovine venne eretta una nuova città sul modello spagnolo,
Mexico, ovvero l’attuale città del Messico. Più stupefacente fu l’impresa di Francisco Pizarro e
Diego Almagro, che nel gennaio 1531 mossero verso sud da Panama, attratti dalla notizia
dell’esistenza di un regno di favolosa ricchezza, detto Perù. L’incontro tra l’esercito inca e il
piccolo corpo di spedizione spagnolo avvenne a Cajamarca nel novembre 1532, durante il quale gli
spagnoli ebbero la meglio. Ebbe così fine l’impero Inca, e al suo posto nacque il vicereame
spagnolo del Perù (1544), la cui capitale fu Lima, edificata nel 1535 da Pizzarro.
LA COLONIZZAZIONE SPAGNOLA DEL NUOVO MONDO
Nel corso del Cinquecento la colonizzazione spagnola si estese sia verso nord sia nel continente
sudamericano. Grande sviluppo ebbe sin da subito il fenomeno del meticciato, determinato
dall’unione di uomini e donne di razza diversa: erano meticci i nati dagli accoppiamenti di uomini
bianchi con donne indie, mulatti i nati dall’incrocio tra bianchi e neri, e infine erano zambos i nati
dall’unione di indiani e neri. Tra gli strumenti della colonizzazione , grande importanza ebbero la
fondazione di città e la cosiddetta encomienda (commenda), che consisteva nell’assegnazione a un
conquistador o a un colono spagnolo di una circoscrizione territoriale al cui interno, egli aveva il
diritto di esigere tributi e prestazioni di lavoro dagli indigeni, fornendo loro in cambio protezione.
Spesso però la realtà era ben diversa, infatti, l’encomienda divenne lo strumento di uno sfruttamento
del lavoro indigeno. Sotto il profilo amministrativo, i territori soggetti al dominio era suddivisi in
province. Nel complesso si può dire
che la corona spagnola riuscì a svolgere una certa azione di controllo della società coloniale e di
moderazione dei molteplici soprusi che la caratterizzavano. Contribuì a tale sforzo l’azione degli
ordini regolari, che si preoccuparono non solo dell’evangelizzazione degli indios, ma anche di
combattere e denunciare le forme di maltrattamento e sfruttamento cui essi erano soggetti. Per
quanto riguarda invece gli aspetti economici della colonizzazione, bisogna distinguere fra diverse
zone e fasi di sviluppo. Nelle isole caraibiche grande importanza ebbe la coltivazione della canna da
zucchero. Nel Messico vennero scoperte nel 1546 le miniere di argento di Zacatecas. La produzione
d’argento, grazie anche alla tecnica dell’amalgama col mercurio per separare il metallo dalle scorie,
ottenne un rapido incremento. Queste ricchezze minerarie cambiarono faccia all’economia dei due
vicereami e ai loro rapporti con l’Europa. La manodopera per l’estrazione dei minerali e lo scavo

delle gallerie e dei pozzi fu fornita dagli indios. Attorno ai giacimenti sorsero grandi agglomerati
umani, la cui domanda di alimentari ed altri generi fu un importante stimolo per l’economia agricola
e manifatturiera delle colonie.
LE RIPERCUSSIONI IN EUROPA
L’afflusso di metalli preziosi dalle Americhe era considerato un tempo la causa principale della
cosiddetta “rivoluzione dei prezzi”, ovvero la tendenza inflazionistica che portò nel corso del XVI
secolo a un aumento spropositato dei prezzi dei cereali. Oggi si ritiene che il fattore determinante
sia stato piuttosto l’aumento demografico e che l’argento americano abbia accentuato un rialzo dei
prezzi. Inoltre, buona parte di questi metalli sono stati utilizzati per pagare l’importazione di spezie
e altre merci dall’oriente. Ma non fu solo la vita economica ad essere influenzata dalle scoperte
geografiche e dall’avvio della colonizzazione. In effetti, anche le abitudini alimentari e la vita
sociale degli europei si trasformeranno progressivamente grazie ai prodotti importati dai nuovi
mondi: basti pensare all’importanza centrale che nei consumi popolari assumeranno il mais o la
patata, il pomodoro e la diffusione dello zucchero (disponibile fino al 500 solo in piccolissime
quantità).
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