8 Gubbio per il crimine di baratteria, Dante (considerato reo confesso in quanto contumace) venne condannato dal podestà Gabrielli dapprima, il 27 gennaio 1302, alla confisca delle proprietà, e successivamente, il 10 marzo, al rogo[91]. Da quel momento, Dante non rivide più la sua patria. «Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia”» (Libro del chiodo - Archivio di Stato di Firenze - 10 marzo 1302[92]) I tentativi di rientro e la battaglia di Lastra (1304) Dopo i falliti tentati colpi di mano del 1302, Dante, in qualità di capitano dell'esercito degli esuli, organizzò insieme a Scarpetta Ordelaffi, capo del partito ghibellino e signore di Forlì (presso il quale Dante si era rifugiato)[93][N 4], un nuovo tentativo di rientrare a Firenze. L'impresa fu però sfortunata: il podestà di Firenze, Fulcieri da Calboli (un altro forlivese, nemico degli Ordelaffi), riuscì ad avere la meglio nella battaglia nei pressi del castello di Pulicciano, nei pressi di Arezzo[94]. Fallita anche l'azione diplomatica, nell'estate del 1304, del cardinale Niccolò da Prato[95], legato pontificio di papa Benedetto XI (sul quale Dante aveva riposto molte speranze)[96][97], il 20 luglio dello stesso anno i bianchi, riuniti alla Lastra, una località a pochi chilometri da Firenze, decisero di intraprendere un nuovo attacco militare contro i neri[98]. Dante, ritenendo corretto aspettare un momento politicamente più favorevole, si schierò contro l'ennesima lotta armata, trovandosi in minoranza al punto che i più intransigenti formularono su di lui dei sospetti di tradimento; pertanto decise di non partecipare alla battaglia e di prendere le distanze dal gruppo. Come preventivato dallo stesso, la battaglia di Lastra fu un vero e proprio fallimento con la morte di quattrocento uomini fra ghibellini e bianchi[98]. Il messaggio profetico ci arriva da Cacciaguida: «Di sua bestialitate il suo processo farà la prova; sì ch'a te fia bello averti fatta parte per te stesso.» (Paradiso XVII, vv. 67- 69) La prima fase dell'esilio (1304-1310) Tra Forlì e la Lunigiana dei Malaspina Il castello- palazzo vescovile di Castelnuovo dove Dante nel 1306 pacificò i rapporti tra i Marchesi Malaspina e i Vescovi- Conti di Luni Dante fu, dopo la battaglia della Lastra, ospite di diverse corti e famiglie della Romagna, fra cui gli stessi Ordelaffi. Il soggiorno forlivese non durò a lungo, in quanto l'esule si spostò prima a Bologna (1305), poi a Padova nel 1306 e infine nella Marca Trevigiana[57] presso Gherardo III da Camino[99]. Da qui, Dante fu chiamato in Lunigiana da Moroello Malaspina (quello di Giovagallo, visto che più membri della famiglia portavano questo nome)[100], col quale il poeta entrò forse in contatto grazie a un amico comune, il poeta Cino da Pistoia[101]. In Lunigiana (regione in cui giunse nella primavera del 1306), Dante ebbe l'occasione di negoziare la missione diplomatica per un'ipotesi di pace tra i Malaspina, «potenti in un'ampia zona di passaggio fra la Riviera di Levante, l'Appennino e la pianura padana, da Bocca di Magra su per la Lunigiana e