LIBRO BIANCO - i 10 anni che hanno cambiato l'auto

FleetandMobility 205 views 144 slides Jan 23, 2025
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About This Presentation

Il libro racchiude la descrizione degli ultimi 10 anni del settore automorive sottoforma di eventi storici e dati statistici. Il volume contiene anche le opinioni di alcuni illustri rappresentanti del settore.


Slide Content

ISM LIBRO BIANCO copertina cartonata_Layout 1 13/11/24 18:06 Pagina 1

Nessuno sa come sarà
l’industria automobilistica
nei prossimi anni.
Però sappiamo per certo che
il dentifricio è uscito dal tubetto

Prima di tutto.........................................................................................................5
01 DIRE, FARE, CAMBIARE
1.1A parte l’auto.............................................................................................9
1.2Scandalo al sole.......................................................................................19
1.3I figli del Covid.........................................................................................27
1.4Elettroshock............................................................................................33
1.5A pagare c’è tempo................................................................................39
1.6È mia o non è mia? .................................................................................43
1.7Venditori di automobili...........................................................................47
1.8Ma papà ti manda sola?.........................................................................49
1.9Alla fiera dell’Est .....................................................................................53
1.10“in negozio vendiamo speranza”...........................................................57
02 DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO
2.1Parco circolante .......................................................................................61
2.2Mercato del nuovo .................................................................................69
2.3Mercato auto a valore ............................................................................73
2.4Mercato dell’usato..................................................................................85
2.5Noleggio a lungo termine.......................................................................91
2.6Noleggio a breve termine .....................................................................99
2.7Sharing Mobility ....................................................................................109
03 QUI LO DICO E QUI LO NEGO 113
04 143
Sommario

Negli ultimi dieci anni, il comparto au-
tomotive ha vissuto cambiamenti pro-
fondi e, a tratti, traumatici. Da un lato,
abbiamo assistito all’introduzione di
innovazioni destinate a ridisegnare
l’intero comparto; dall’altro, ci sono
stati arresti improvvisi, che hanno co-
stretto a rivedere l’intero concetto di
mobilità. Un esempio su tutti: l’acce-
lerazione verso la transizione elettrica,
motivata da nobili obiettivi come la
tutela ambientale e la lotta al cam-
biamento climatico. In alcuni casi, tut-
tavia, questa transizione è stata gestita
in maniera poco ponderata, generando
confusione e preoccupazione, sia nel-
l’industria sia nell’opinione pubblica.
Negli ultimi anni, abbiamo conosciuto
eventi di forte impatto che hanno la-
sciato segni profondi. Lo scandalo
delle emissioni truccate, partito dalla
Germania, la pandemia da Covid-19
- che ha destabilizzato molti settori,
compreso quello della mobilità - e la
crisi globale dei microchip, aggravata
dai rischi connessi all’egemonia cinese,
sono solo alcuni degli episodi più em-
blematici. Situazioni inedite, che hanno
sollevato problematiche nuove e tut-
t’altro che facili da affrontare.
In questo panorama, altri fenomeni
hanno contribuito a portare innova-
zioni, ma anche instabilità. Il car sharing
- con le sue implicazioni economiche,
sociali e industriali - e la decisione po-
litica dell’Unione Europea di fissare
un termine per la produzione di vetture
a combustione interna entro il 2035,
sono due esempi significativi. Una
decisione, quest’ultima, che potrebbe
costare miliardi all’industria automo-
bilistica e provocare gravi ricadute
occupazionali, specialmente in un Pae-
se come l’Italia, dove il settore è chia-
mato ad affrontare sfide sempre più
complesse. Anche la Germania, tra-
dizionalmente un colosso dell’auto-
motive, sta iniziando a confrontarsi
con una scelta di Bruxelles che appare
prematura e avventata, come sotto-
lineato dalla Premier Giorgia Meloni.
Già nel 2019, in occasione della Con-
ferenza Nazionale del Traffico dell’ACI,
avevamo lanciato un allarme su que-
ste problematiche. All’epoca, forse,
non siamo stati ascoltati a sufficienza.
Oggi, però, le condizioni politiche
sono cambiate, e c’è finalmente spa-
zio per riaprire il dibattito. Un con-
fronto che dovrebbe essere meno
radicale, e che prenda in considera-
zione anche le voci di chi, come noi,
opera quotidianamente nel settore
della mobilità.
Questo non significa opporsi all’elet-
trificazione. Significa, semmai, con-
siderare questa trasformazione come
uno strumento per migliorare la qualità
della vita e affrontare le sfide climati-
che. Tuttavia, riteniamo fondamentale
evitare eccessi ideologici e valutare
con attenzione i rischi che una transi-
zione forzata potrebbe comportare,
in particolare per l’occupazione.
In Italia, inoltre, il dibattito sulla mobilità
tocca il tema irrisolto del rinnovo del
parco circolante, che ha ripercussioni
non solo ambientali, ma anche pro-
duttive e sociali. Da anni, sosteniamo
che il nostro parco auto è troppo vec-
Prima di tutto, ...
ANGELO
STICCHI DAMIANI
Presidente ACI
5

chio, insicuro e inquinante. Tuttavia, il
passaggio verso una mobilità più so-
stenibile deve essere pianificato con
cura: non può essere imposto né gra-
vare economicamente sui cittadini,
altrimenti rischiamo di escludere fasce
significative della popolazione, finendo
con l’aumentare, ulteriormente, le di-
suguaglianze sociali. Senza dimenticare
l’annosa questione, tutt’altro che di
nicchia, della completa definizione
delle categorie per le auto storiche,
con la divisione tra quelle che meritano
effettivamente questo status e quelle
che sono semplicemente “vecchie”.
Ma le sfide per il settore automobili-
stico non finiscono qui. È cruciale, in-
fatti, considerare la crescente impor-
tanza della sicurezza stradale. L’ACI -
parte attiva di consorzi indipendenti
come Euro NCAP, che si occupa di
test sugli standard di sicurezza delle
auto - ha lavorato intensamente per
promuovere l’adozione degli ADAS
(sistemi avanzati di assistenza alla gui-
da) - strumenti che rappresentano
un’opportunità straordinaria per ridurre
drasticamente l’incidentalità stradale
- e sta facendo tutto il possibile af-
finché il loro utilizzo diventi una pratica
consolidata tra i consumatori.
Un lavoro come questo libro bianco -
ricco di dati e analisi sull’evoluzione
del settore automobilistico – è, dun-
que, essenziale per offrire una visione
chiara di ciò che è accaduto negli
ultimi anni. Questo, non per rivolgere
lo sguardo al passato, ma per proiet-
tarsi verso il futuro. Un futuro che,
sebbene incerto e carico di sfide, può
– e deve – rappresentare un’oppor-
tunità di cambiamento positivo e co-
struttivo. Un cambiamento che tocchi
tutti gli aspetti: economici, sociali, po-
litici e tecnici, con un’attenzione par-
ticolare alla sicurezza e all’ambiente,
per garantire che il mondo della mo-
bilità contribuisca al benessere col-
lettivo, accompagnando il pianeta ver-
so un futuro più sicuro, più pulito, più
sostenibile e più inclusivo per tutti.
6
PREFAZIONE

DIRE, FARE, CAMBIARE
01

L’automotive, come ogni settore in-
dustriale, è dipendente dall’intero
scenario inteso come ambiente so-
ciale, economico e geopolitico, ma
due fenomeni più di altri hanno in-
fluenzato l’auto nel corso dei dieci
anni oggetto di questo studio: la
transizione energetica connessa
alla sensibilità verso l’ambiente e,
più sullo sfondo, una certa critica
verso il sistema socioeconomico
occidentale.
Sul finire del ‘900 i cittadini dell’Oc-
cidente ricco del Mondo si trovarono
in una condizione mai vissuta da nes-
suna generazione umana prima di
essi. Nati in periodo di pace, avevano
conosciuto la guerra solo attraverso
le storie dei nonni e dei genitori. Ave-
vano un benessere mai nemmeno
sognato dalla generazione che l’aveva
preceduti, grazie ai mezzi economici
e soprattutto grazie all’accelerazione
della tecnologia. A causa del ciclo
tecnologico sempre più breve, per
la prima volta nella storia uomini e
donne sarebbero morti in un mondo
diverso da quello in cui erano nati.
Cresciuti in un mondo costruito sulla
sfida tra democrazia liberale e ditta-
tura comunista, hanno osservato in
diretta TV il crollo dell’antagonista,
che faceva venir meno anche la ragion
d’essere della postura occidentale di
sostegno e difesa dei valori capitali-
stici. A quel punto, non riconoscendo
impegni esterni, non restava che con-
centrare le proprie energie sul mi-
glioramento della propria condizione
umana; miglioramento non come ul-
teriore benessere ma piuttosto come
ricerca di un equilibrio con valori alti
e diversi da quelli del consumismo
capitalistico. Questa nuova visione
di se stessi non contemplava le di-
versità storiche, culturali e socioe-
conomiche degli altri popoli non oc-
cidentali: l’occidente si vedeva come
sintesi dell’umanità. Di conseguenza,
faticava a cogliere due aspetti del
resto del mondo.
Uno, che avevano ancora bisogni
A parte l’auto, ...
A causa del ciclo
tecnologico sempre
più breve, per la prima
volta nella storia
uomini e donne
sarebbero morti in un
mondo diverso da
quello in cui erano nati
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PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.1

materiali da soddisfare, prima di po-
tersi occupare di quelli ideali o spiri-
tuali. All’inizio del secolo, su una po-
polazione mondiale di 6,1 miliardi il
30% era in condizione di povertà as-
soluta, ossia 1,8 miliardi di persone
avevano in media meno di 2 dollari
al giorno per sopravvivere. Molti non
ce la facevano e gli altri comunque
non erano forti abbastanza da resi-
stere alle malattie e faticavano a ri-
prodursi anche per l’elevato tasso di
mortalità infantile. Ma la situazione
stava lentamente migliorando. Già
dal 1970 la curva della povertà asso-
luta aveva iniziato a diminuire, nono-
stante la popolazione assoluta au-
mentasse. Erano gli effetti della dif-
fusione su scala mondiale dell’eco-
nomia di mercato, che ricercando la
crescita trascinava fuori dalla povertà
sempre più persone. La Banca Mon-
diale stima che nel 2023 su una po-
polazione di 8 miliardi meno di 600
milioni fossero in povertà assoluta,
pari all’8%. In sostanza, quello che
negli anni ’70 ancora veniva citato
come sogno irrealizzabile (sconfiggere
la fame nel mondo) sta diventando
realtà. Al prezzo di una forte produ-
zione di energia da fossili.
Due, che non tutti i popoli avevano
la medesima cultura e di conseguenza
la stessa visione della realtà. Le so-
cietà nate da una radice giudaico-
cristiana avevano sviluppato una cul-
tura omo-centrica, fondata sulla rea-
lizzazione dell’individuo come tale
che avrebbe portato all’illuminismo
della ragione e da esso al persegui-
mento della felicità in Terra. Non tutti
oggi la vedono allo stesso modo.
Non solo. La trasformazione del-
l’economia da locale e agricola a in-
dustriale aveva sollevato la donna da
incombenze che la vedevano relegata
alla sfera domestica, facendola en-
trare a pieno titolo nel sistema pro-
duttivo sociale, consentendole di af-
fermare una serie di diritti alla parità.
Di nuovo, non tutte le culture sono a
questo stadio.
Le popolazioni occidentali si sforzano
ancora oggi di confrontarsi con que-
ste due enormi diversità. Ma sono
proprio i portatori di tali differenze
ad accusare la fatica maggiore e in
molti casi il rifiuto di confrontarsi con
la cultura occidentale, anche quando
scelgono di viverci per motivazioni
economiche.
Sia come sia, i cittadini occidentali si
sono molto focalizzati sul persegui-
mento dei loro superiori ideali post
guerra fredda e post capitalismo,
quando si arrivò a teorizzare che la
storia fosse giunta al capolinea. Non
gli ci volle molto per rendersi conto
che il sistema economico, che pure
gli garantiva il benessere a cui non
volevano rinunciare, non solo corri-
spondeva poco all’ideale di uomo e
di società ma pretendeva anche un
impegno e una disponibilità a piccoli
sacrifici a cui si era sempre meno di-
sponibili. Fu allora che si fece strada
l’idea della decrescita. Se continuare
il gioco di misurare le attività in termini
di crescita era troppo oneroso, perché
non rovesciare il tavolo e puntare
non più alla crescita ma ad altro, e
pazienza se questo dovesse com-
portare una decrescita. Il saldo, dun-
que, era di diventare meno opulenti
ma in cambio stare meglio e godersi
di più la vita. Perché fare ancora me-
glio e volere sempre di più? Perché
non fermarci, puntando a vivere in
pace, senza sbattersi troppo, che è
la segreta ambizione dei nati-ricchi?
La ricaduta concreta che all’auto in-
teressava e tanto fu la “mobilità dol-
ce”. L’idea che vivere spostandosi
meno non sarebbe una privazione o
un arretramento, ma solo un diverso
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PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.1
FIGURE 1.3 Number of Poor by Region, 1990 - 2030

modo di intendere la vita. Forte e
chiara sintonia con la decrescita verso
una società più sobria e frugale. Nel-
l’idea del filosofo ispiratore Serge
Latouche, francese, c’era la creazione
di una società eco-socialista, fondata
su valori ecologici, umani e sociali.
Una sfida al capitalismo di Adam
Smith fondato sull’egoismo.
Quello di tirare i remi in barca non
era un concetto nuovo. Tutte le ca-
tegorie sociali decadenti avevano la-
sciato che altre le sostituissero alla
guida, sfruttando le ricchezze accu-
mulate dalle generazioni precedenti.
Solo che era la prima volta, almeno
nella storia moderna, che un simile
avvicendamento avveniva non all’in-
terno della società, tra gruppi sociali
diversi, ma su scala complessiva, in-
teressando l’intera società. Proba-
bilmente anche questo era il segno
che quei conflitti sociali, definiti di
classe, erano ormai fuori contesto,
essendo tutta la società diventata
un unico gruppo, a prescindere dal
censo e dalle posizioni sociali. Anzi,
le posizioni venivano rifiutate e ca-
muffate da stili di consumo che ten-
devano a equiparare tutti, allargando
all’inverosimile il diritto fondamentale
della democrazia: la libertà di espres-
sione. Da questo sarebbero poi nati i
social media, lo strumento per eser-
citare tale diritto. Insieme al diritto di
parlare, non altrettanto bene si svi-
luppava e diffondeva la capacità di
ascoltare e comprendere. Quest’ul-
timo aspetto si scoprirà poi aver un
ruolo determinante nella formazione
delle opinioni e nell’orientamento
delle democrazie.
Questa revisione del modello so-
cioeconomico che aveva retto l’oc-
cidente per almeno due secoli av-
venne mentre la comunicazione e i
trasporti rendevano il mondo più pic-
colo e accostavano popolazioni fino
ad allora vissute in ambiti circoscritti.
Tralasciando l’impatto sui residenti
dei Paesi emergenti (migrazione e
terrorismo), nei cittadini occidentali
ha generato un disagio per il benes-
sere di cui godevano rispetto agli
altri. Un po’ per una strisciante con-
sapevolezza di non aver meritato tale
status superiore, effettivamente con-
segnato loro da chi li aveva preceduti
e che aveva dimenticato di spiegare
la procedura di creazione della ric-
chezza, e un po’ per quel rifiuto del
meccanismo di sviluppo basato sulla
competizione, fatto sta che il disagio
produsse presto un senso di colpa,
la cui soluzione non poteva che essere
l’espiazione. Questa sarebbe stata
la chiave di lettura delle criticità
climatiche e ambientali. Le risposte
sarebbero state orientate non tanto
al contrasto del fenomeno quanto
all’appagamento del senso di colpa.
Non c’era solo auto-flagellazione,
ma anche ammirazione per dei sistemi
che funzionavano apparentemente
meglio. Prima le “tigri asiatiche” e poi
la Cina e i BRICS si stavano propo-
nendo o imponendo come antago-
nisti alle economie occidentali. Con
la differenza che quelle economie
raramente erano espressione di de-
mocrazie liberali, che non veniva per-
cepito necessariamente come un
fatto negativo. Nelle democrazie li-
berali le forze del mercato vanno
dove gli pare, anche contro le ideo-
logie diffuse, e sono i cittadini a orien-
tare la politica, non il contrario, specie
da quando il marketing ha trasformato
le leadership in intercettori e esecutori
degli umori popolari. Queste forze
avevano cavalcato la globalizzazione
che forniva il carburante allo sviluppo
delle economie nuove, lasciando però
il conto da pagare ai lavoratori occi-
dentali, prima i colletti blu e poi anche
quelli bianchi, che ci misero poco a
fare due più due: gli emergenti ci
tolgono il lavoro perché lì costa meno.
Certo, ma non solo per quello. Sen-
tiamo dire ogni giorno che hanno
strategie di lungo periodo, che muo-
vono le economie in modo pianificato,
creando sinergie e dando sostegno.
Possono farlo perché non cambiano
direzione a ogni turno elettorale e
non devono costantemente accon-
tentare questo e quel gruppo di pres-
sione: in altre parole, chi governa ha
mano libera. Allora, se la libertà data
ai governi porta benessere ai lavo-
ratori, mentre quella data ai cittadini
ci consente di parlare ma non di la-
vorare, non sarebbe meglio optare
per quella forma di stato, democratico
fino a un certo punto? In pratica, la
sfida al capitalismo non veniva più
da un modello economico, come il
socialismo nel secolo scorso, ma dalla
politica illiberale, autoritaria e dirigista.
Un modello che, almeno a una lettura
superficiale e approssimativa, riesce
a coniugare la libertà di intraprendere
e mettersi in gioco con l’autorità di
dirigere il sistema secondo strategie
di lungo periodo.
Non è compito di questa analisi for-
mulare valutazioni, ma solo di riportare
che questi pensieri sono piuttosto
diffusi nelle società occidentali.
11
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.1

L’altro fenomeno, molto più diretta-
mente impattante sull’auto, è la tran-
sizione energetica immaginata e di
fatto imposta come soluzione al cam-
biamento climatico e relativo riscal-
damento del pianeta.
Nell’ultimo periodo del secolo scorso
prese vigore il movimento ambien-
talista la cui punta di diamante era Al
Gore, all’epoca vicepresidente degli
Stati Uniti con Bill Clinton, che poi
avrebbe passato il testimone a John
Kerry, già segretario di Stato con
Obama. L’altro grande sponsor era
addirittura il futuro Re Carlo III.
Diversi anni prima, nel 1968, era stata
la Svezia, che anni dopo avrebbe
dato i natali a Greta, a chiedere la
convocazione di una conferenza in-
ternazionale in materia di tutela del-
l’ambiente. Così, nel 1972 si tenne la
Conferenza di Stoccolma, a cui par-
teciparono gran parte dei membri
delle Nazioni Unite, le agenzie spe-
cializzate ONU ed altre organizzazioni
internazionali.  Si trattò di un primo
importante passo che portò il mondo
a prendere consapevolezza sull’im-
patto ambientale delle azioni umane
e che favorì la nascita del Panel In-
tergovernativo sui Cambiamenti Cli-
matici (IPCC, Intergovernmental Pa-
nel on Climate Change), un organi-
smo scientifico che approfondisce,
valuta e riassume gli studi più recenti
per comprendere le dinamiche rela-
tive alla crisi climatica e le migliori
strategie per adattarsi.
Nel 1992 a Rio de Janeiro venne sti-
pulata la Convenzione quadro delle
Nazioni Unite sui cambiamenti cli-
matici (in inglese United Nations Fra-
mework Convention on Climate
Change da cui l’acronimo UNFCCC
o FCCC), ovvero un trattato inter-
nazionale che puntava alla riduzione
delle emissioni dei gas serra, causa
principale del riscaldamento globale.
Da questa convenzione l’ONU ha av-
viato un ciclo di Conferenze delle
Parti (COP), la prima delle quali a
Berlino nel 1995. La prossima, COP
29, si terrà a novembre 2024 a Baku,
in Azerbaijan. Nessuno è in grado di
dire quando terminerà il ciclo, che
però nelle ultime edizioni ha iniziato
un proficuo confronto con la realtà.
Per António Guterres (ONU):“Gli
scienziati sono chiari sui fatti. Ora i
leader devono essere altrettanto chiari
nelle loro azioni”. Per la scienza ogni
problema ha una soluzione, nelle vi-
cende umane non sempre. Non c’è
stata soluzione nell’estate del 1914,
né a Monaco nel 1938. Sul riscalda-
mento, è dal 1995 che la conosciamo
ma non la perseguiamo. Anzi, l’Eu-
ropa, che però pesa poco, la adotta
ma gli altri meno, come gli Stati Uniti,
o per niente, come Cina, India, Russia,
Brasile e pesano tantissimo.
Per tanti però questi sarebbero alibi
per non agire, laddove ognuno do-
vrebbe fare ciò che può o vuole. So-
stengono che con l’esempio gli altri
seguiranno. La storia però indica che
gli altri non seguono, se ne approfit-
tano. Se la transizione qualcuno la
persegue e altri no, non serve un
genio per capire che il secondo si
avvantaggerà a spese del primo.
Alla base c’è la relazione tra gas
serra (GHG, soprattutto CO2) e au-
mento delle temperature, riportata
dal famoso grafico hockey-stick, che
porta direttamente all’obiettivo di li-
mitare il riscaldamento a 1,5 gradi at-
traverso la diminuzione delle emis-
sioni. La concentrazione di CO2 in
atmosfera è stata stabile fino al 1850
intorno a 280 parti-per-milione, salito
nel 2000 a 370, quasi un terzo in
più. Cos’è accaduto dalla metà del-
l’Ottocento in avanti? La rivoluzione
industriale in occidente, che ha spinto
a livelli mai raggiunti il benessere e
soprattutto la sua distribuzione tra
tutte le fasce della popolazione. Ap-
pena vent’anni dopo la concentra-
zione era a 420 ppm. Il 14% in più in
20 anni, in aggiunta al 33% di incre-
mento nei precedenti 150 anni. Cos’è
successo in questo primo scorcio di
12
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.1

secolo? La crescita delle economie
asiatiche e della Cina in particolare,
dopo il suo ingresso nel WTO.
Questa è la chiave del problema: la
crescita.
Abbiamo già visto la poderosa cre-
scita della popolazione mondiale de-
rivata dalla rivoluzione industriale e
dal capitalismo, che sta riducendo la
fame nel mondo. Vediamo adesso
la relazione con l’energia e di conse-
guenza con le emissioni.
Nel 1990 gli abitanti della Terra erano
5,3 miliardi ed emettevano 23 miliardi
di tonnellate (Gt) di CO2. Trent’anni
dopo sono diventati 8 miliardi ma al
costo di 38 Gt di CO2.
Le emissioni di gas serra aumentano
perché grandi popolazioni, Cina e In-
dia su tutte, tendono a vivere non
come noi ma appena dignitosamente.
Nell’ultimo quarto di secolo, mentre
la CO2 aumentava del 50%, circa un
miliardo di persone usciva dalla po-
vertà assoluta. Siamo di più ma mo-
riamo di meno di fame, prima volta
nella storia, perché produciamo più
ricchezza usando carbone e petrolio.
Non è difficile: preferisco vivere.
La realtà, dura da accettare, è che le
emissioni globali sono aumentate dal
1990 del 65%, in grandissima parte
in Cina e poi in altri Paesi in sviluppo,
mentre l’Occidente le riduceva del
13%. Tuttavia, addossare la croce alla
Cina e agli altri Paesi sarebbe ingiusto.
Questi Paesi hanno provveduto a
sfamare, tirandoli fuori dalla povertà
estrema, oltre un miliardo di esseri
umani. Quindi fa caldo sì, in massima
parte perché è estate. Fa un filo più
caldo, è vero, perché c’è gente che
vive e mangia. Allora scegliamo: su-
dare noi o affamare loro.
Il clima è un sistema di vasi comuni-
canti. Il Vecchio Mondo pesa circa il
7% delle emissioni totali di CO2 e le
sta diminuendo dal 1979 (2° oil-
shock). Nel 2023, ultimi dati dell’In-
ternational Energy Agency, le emis-
sioni dei Paesi avanzati sono diminuite
13
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.1
Emissioni globali di CO2 e popolazione mondiale
(Fonte: Elaborazione Fleet&Mobility su dati ufficiali)
Emissioni di CO2 per paese
(Fonte: Elaborazione Fleet&Mobility su dati ufficiali)
Valore dei brand
(Fonte: Elaborazione Fleet&Mobility su dati ufficiali)

del 4,5% scendendo al di sotto del
livello del 1973, con i consumi di car-
bone scesi al livello del 1900.
La Cina da sola ne emette quattro
volte tanto ed è in crescita senza al-
cuna intenzione di fermarle, visto che
ancora circa un miliardo di cinesi deve
passare da un’economia agricola di
sussistenza al benessere. Il discorso
non è diverso per India, Russia, Brasile
e altre economie in sviluppo. Dopo
sarà la volta dell’Africa. Insomma, ri-
durre le emissioni di gas serra in Eu-
ropa va bene, ma diventa inutile se
altri le aumentano.
Nel biennio 2020/2021 la Cina da
sola ha aumentato le sue emissioni
di CO2 di 750 milioni di tonnellate,
più che annullando gli sforzi del resto
del Mondo, che le ha abbattute di
570 milioni. Questi sono i dati del-
l’International Energy Agency, orga-
nizzazione intergovernativa dell’OC-
SE. In parole semplici, mentre tutti
svuotano l’acqua dalla barca c’è uno
che ne fa entrare ancora di più.
Secondo i dati dell’International Ener-
gy Agency, l’Unione Europea nel 2021
ha emesso meno di 3 miliardi di ton-
nellate (Gt) di CO2, più o meno quan-
te ne emetteva la Cina a inizio secolo.
Oggi il Dragone con 13 Gt, un terzo
di tutte le emissioni antropiche, è di
gran lunga il principale responsa-
bile, seguito dagli USA con meno
di 5 Gt ma in calo dal 2000. La
verità? Le economie emergenti non
possono diminuire le emissioni perché
devono offrire energia ai cittadini.
Nel 2021 la domanda di elettricità in
Cina è aumentata del 10%, aggiun-
gendo l’equivalente di tutta l’Africa.
Dopo aver mangiato, le persone vo-
gliono accendere la luce la sera.
Qui occorre ricordare che non tutte
le popolazioni del Mondo hanno il
benessere e la cultura per mettere
l’ambiente in cima ai loro pensieri.
Gli europei sì, ma illudersi di fare
qualcosa, qualunque cosa, solo per
lavarsi la coscienza è umiliante oltre
che inutile. Se anche noi europei eli-
minassimo le fonti fossili, portando
a zero le emissioni di CO2, una sorta
di decrescita infelice che riportasse
l’Europa al ‘700 tipo quella perseguita
dalla Commissione Ursula, il clima
continuerebbe ad aumentare. Chi
pensa il contrario desidera solo essere
una persona migliore per meritarsi il
suo biglietto per il Regno dei Cieli.
Noi europei ci riteniamo l’ombelico
del mondo e non accettiamo che
pesiamo troppo poco sul totale delle
emissioni, appena il 7% e in calo dal
1980, sia in valore assoluto sia in per-
14
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.1

centuale, visto che Cina e India au-
mentano le emissioni ogni anno e
poi sarà il turno dell’Africa.
Sarà per questo che durante 27
anni di COP le emissioni sono sem-
pre aumentate, al punto che il target
fissato è ormai irraggiungibile. Ora,
capita a tutti di fissare un obiettivo e
mancarlo. La tenacia spinge a ripro-
vare e poi ancora, per qualche anno.
Ma andare avanti dopo aver scavallato
il quarto di secolo non è tenacia, è
stolidità. Serve un tuffo nella realtà,
per quanto spiacevole.
Dire che il problema è di tutti significa
che stiamo tutti dalla stessa parte. Il
che è vero, ma solo sul clima. Ci sono
poi tutte le altre questioni geo-poli-
tiche, spinte dal fabbisogno energe-
tico, su cui non stiamo tutti dalla stes-
sa parte, anzi. Non ci stiamo sul gas
russo, sulla Libia, sul petrolio, sul
Medio Oriente, su Taiwan, sull’Africa,
sul debito della BCE. Lo scacchiere
dei Paesi è un risiko continuo e fluido,
dove si cede qualcosa per ottenere
qualcos’altro, si molla un alleato su
un dossier perché un altro ci aiuta
sull’altro dossier. Questa è la politica
internazionale e mira a garantire le
migliori risorse per il maggior benes-
sere economico dei cittadini. Già che
ci troviamo, vogliamo ricordare pure
che le risorse sono in genere scarse
e la regola è meglio-a-me-che-a-te?
Questo scenario non viene sospeso
per il clima, che anzi ne fa parte e vi
si incastra. Mitigare il riscaldamento
abbassando le emissioni, come noi
europei stiamo facendo dal 1980,
costa un sacco di soldi. Parliamo di
sistemi economici che producono e
distribuiscono meno ricchezza, di ri-
nunce, di prodotti e bollette che co-
stano il doppio, di merce che scar-
seggia, di viaggi e cene non così alla
portata. Le economie in crescita han-
no altre priorità, tipo nutrire gli abitanti
e sviluppare le industrie.
Il tema porta con sé due considera-
zioni, una sulle emissioni storiche e
l’altra sulle emissioni pro-capite, legate
alla qualità delle fonti energetiche
.
L’Occidente ha alimentato la sua ri-
voluzione industriale dal 1850 agli
anni ’70 del secolo scorso bruciando
carbone e petrolio. Dopo è passato
al nucleare e l’Europa anche al gas e
alle rinnovabili, ma solo per non sot-
tostare mai più ai ricatti dell’OPEC.
La ricostruzione storica vede gli Stati
Uniti al primo posto, col 20% delle
emissioni cumulate, ma la Cina ha
recuperato bene (11%) seguita da
Russia (7) Brasile (5) e Indonesia (4),
questi ultimi per lo sfruttamento del
15
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.1

suolo. Infatti mettendo a confronto i
due periodi, in pratica la rivoluzione
industriale in occidente e quella cinese
attuale, emerge che in un secolo e
mezzo (1850/2000) l’aumento annuo
medio delle emissioni è stato dello
0,2% mentre nei vent’anni cinesi
(2000/2020) è stato dello 0,7%.
Tuttavia, l’intera questione ha poca
ragion d’essere. Il dentifricio non si
può rimettere nel tubetto. Pur ac-
cettando la relazione emissioni-ugua-
le-riscaldamento, e ci sono scienziati
che la contestano, l’unico intervento
possibile è quello presente. Non c’è
un’aula di giustizia in cui assegnare
colpe e responsabilità, ma solo emis-
sioni da limitare, adesso.
Le soluzioni ci sono ma sono più
impegnative e forse più lunghe.
Una è l’economia circolare, ossia spo-
stare parte dell’attività industriale
dalla produzione ex novo al recupero
e rinnovamento dei prodotti per il
riutilizzo. Ad esempio, tra un’auto
termica e una elettrica, la scelta che
più abbatte le emissioni è: non fab-
bricare nessuna delle due e allungare
il ciclo di vita di quella che già c’è.
Un’altra è il modello di sviluppo eu-
ropeo, che produce circa 5 tonnellate
pro-capite di CO2 all’anno, contro le
oltre 14 degli Stati Uniti: due economie
simili con un impatto ambientale mol-
to diverso. Tali differenze di modello
produttivo e di consumo sono evi-
denti nell’analisi delle emissioni pro-
capite, che in genere viene posto su
un piano discutibile e poco utile: non
è giusto chiedere ai cinesi, che sono
1,4 miliardi, di limitarsi, quando noi
non lo facciamo. Un approccio che
al solito privilegia il perseguimento
dell’ideale di uomo civile e giusto,
che è l’obiettivo degli occidentali
opulenti. Piuttosto, l’indice andrebbe
usato per confrontare e valutare la
sostenibilità di modelli alternativi. I
dati dicono che il cittadino americano
emette più di tutti, 14 tonnellate/anno,
ma dopo di lui viene il russo, con 12.
Giapponese, cinese e tedesco stanno
a 8 tons, mentre italiani, inglesi e
francesi emettono meno di 5 tons a
testa. Questa fotografia è utile, ma
non conclusiva. Sì perché le emissioni
sono direttamente collegate a pro-
duzione e consumi, ossia al livello di
ricchezza prodotto da ogni Paese e
da ogni suo abitante: il PIL pro-capite.
Il cittadino medio americano emette
14 tonnellate/anno per generare un
reddito di 80.000 dollari. Il cinese
emette poco più della metà, 8
tons/anno, ma genera un reddito che
è un sesto. Quando i cinesi dovessero
arrivare a un reddito pro-capite pari
agli americani, le emissioni potrebbero
essere 49 tons/anno, non 14. Gli eu-
ropei emettono 6 tons/anno per un
reddito di 35.000 dollari: decisamente
il modello più sostenibile, grazie all’uso
di gas, rinnovabili e nucleare. È evi-
dente che la vera questione è come
i Paesi emergenti stiano progettando
il loro sviluppo economico, con quali
fonti energetiche. È lì e solo lì che si
gioca la partita delle emissioni globali.
Questa conclusione detta un’agenda
precisa alla politica internazionale:
stimolare le economie in sviluppo ad
adottare un modello energetico che
sia più sostenibile.
Illudersi di poter svuotare il mare col
secchiello è un’idea confortevole, ma
niente di più. Chi carica l’opinione
pubblica di sensi di colpa o è disin-
formato o è mosso da passione ideo-
logica, quando non da inconfessabili
interessi economici. C’è un filo rosso
che unisce molte parti di questa crisi
alle politiche energetiche scellerate
portate avanti per decenni, per com-
piacere quella popolazione convinta
che alle belle parole sarebbero seguiti
fatti altrettanto belli: energia prodotta
esclusivamente da fonti rinnovabili,
nessuna necessità di estrarre gas dal
nostro territorio e dalle nostre acque,
rifiuto anche di farlo arrivare in Puglia
dall’oriente, per tacere del nucleare.
Chiariamo subito che sfruttare il sole
e il vento e, a breve, le correnti marine,
è cosa buona e giusta, ma non sarà
sufficiente, purtroppo.
Fin qui i dati scientifici e le misurazioni
ufficiali, che ridimensionano il ruolo
dell’Occidente e soprattutto dell’Eu-
ropa nello sforzo di contenere il cam-
biamento climatico. Bisogna però
anche registrare che la natura antro-
pica del riscaldamento non è univer-
salmente accettata dalla comunità
scientifica. Nomi illustri dissentono,
affermando che il cambiamento
climatico sia un fenomeno naturale
e ciclico, non influenzato dalle at-
tività umane. Tra essi, Franco Prodi:
“dire che siamo noi i responsabili dei
cambiamenti climatici è scientifica-
mente infondato”; Carlo Rubia: “il
clima della Terra è sempre cambiato.
Oggi noi pensiamo (in un certo senso,
probabilmente, in maniera falsa) che
se non facciamo nulla e se teniamo
la CO2 sotto controllo, il clima della
Terra resterebbe invariato. Questo
non è assolutamente vero”; John
Clauser, Nobel per la Fisica 2022:
16
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.1

“non esiste nessuna crisi climatica,
ma una scienza del clima errata, una
pseudoscienza. Credo che il cambia-
mento climatico non sia una crisi. Se
stai facendo buona scienza, potrebbe
portarti in aree politicamente scor-
rette. E se sei un bravo scienziato, li
seguirai. E posso affermare con si-
curezza che non esiste una vera crisi
climatica e che il cambiamento cli-
matico non causa eventi meteorologici
estremi.”.
Eppure, la narrazione mainstream
non riserva alcuno spazio al dibattito
e al dissenso – e non solo sulle que-
stioni climatiche, a dirla tutta. Perché?
Perché quel movimento ambientalista
ha lavorato e lavora estremamente
bene, trasformando un progetto
scientifico in una fede, che per sua
natura si auto-eleva talmente sopra
ogni altra posizione da non consentire
una cultura che affermi e sostenga
le ragioni del diversamente green.
Che l’Europa non è il problema,
col suo 7% sul totale delle emissioni
climalteranti, e di conseguenza non
può essere la soluzione. Che il clima
è globale e se Cina, India e tanti altri
non fanno la loro parte allora sem-
plicemente non si può migliorare.
Che molte soluzioni green peggiorano
le emissioni, l’inquinamento e lo sfrut-
tamento di risorse; se non da noi, al-
trove. C’è infatti anche un costo am-
bientale legato alla stessa uscita dalle
fonti fossili. Secondo Giovanni Brus-
sato, ingegnere minerario tra i massimi
esperti dell’impatto ambientale del-
l’industria estrattiva, “Il pianeta non
può permettersi la transizione ener-
getica”. L’estrazione dei minerali ne-
cessari alla transizione ecologica
avrebbe un impatto sull’ambiente
peggiore del danno che si vuole ri-
parare: la toppa è peggio del buco.
Ad esempio, per un chilo di litio si
scavano tonnellate di roccia, detur-
pando il territorio e consumando
quantità di acqua che non abbiamo.
Lo stesso vale per il cobalto e ancor
più, ma tanto di più, per le terre rare,
dette così non per la scarsità ma per
la presenza molto rarefatta dentro
altri materiali.
Invece gli esperti che occupano la
scena sono tutti di una sola chiesa.
Spiegano che la Terra si sta riscal-
dando. Certo. Dicono che c’è una
relazione con l’aumento dei gas serra,
la CO2. Innegabile. Stop. Non dicono
che la Terra si è riscaldata moltissime
volte e altrettante si è raffreddata,
l’ultima volta nel secondo dopoguer-
ra, nel pieno della ripresa industriale
basata sui fossili, e poi ancora negli
anni ‘60 quando le copertine dei set-
timanali mostravano la glaciazione.
Non dicono che il riscaldamento negli
ultimi dieci/quindici anni ha rallentato,
e non perché siamo più virtuosi ma
per l’interazione di due grandi cicli
oceanici, l’Oscillazione multi-decen-
nale pacifica e l’Oscillazione multi-
decennale atlantica. Non dicono che
ci sono migliaia di studiosi e premi
Nobel che mettono in discussione
che siano solo le attività umane a
provocare il riscaldamento.
Per comprendere appieno l’opera-
zione compiuta bisogna allargare il
campo dalla scienza climatica alla
sociologia politica. Si cerca di far pas-
sare, sotto l’etichetta del green, un
generale dissenso per la vita di oggi
in occidente. Mentre il resto del
mondo ce la invidia e cerca di per-
seguirla, c’è chi vorrebbe la sua
fine, la decrescita. La transizione
energetica diventa allora la bandiera
dietro cui i ricchi rampolli europei di
ogni età sfilano per mettere in crisi il
sistema socioeconomico. Così, con-
trastare il cambiamento climatico do-
vrebbe essere la principale priorità
dell’Unione Europea, secondo quanto
hanno dichiarato i suoi abitanti tra 15
e 24 anni, in un’indagine condotta
da Eurobarometro, su input della
Commissione. Più precisamente, que-
sta è la priorità per i giovani di tutti i
Paesi, salvo Romania e Bulgaria, che
indicano il miglioramento della for-
mazione, Ungheria e Lettonia, il mi-
glioramento della salute e del be-
nessere, Grecia e Lituania, combat-
tere la povertà e la disuguaglianza,
Slovenia e Cipro, per cui è prioritario
aumentare l’occupazione. Sorvoliamo
sul dato che i giovani dei Paesi con
problemi seri guardano le cose in
maniera diversa. Cosa serve davvero
ai ragazzi europei? Stretti tra due
eserciti di giovani, quelli da sud, con
la forza delle braccia e della volontà,
e quelli da oriente, preparatissimi,
che puntano alle posizioni in alto nella
scala lavorativa, i nostri non si curano
di questa tenaglia e optano per sal-
vare il pianeta.
17
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.1

Negli ultimi giorni di settembre 2015
arrivò una bomba dall’America. Su
pressioni dell’EPA (Environmental
Protection Agency) che minacciava
di non autorizzare la commercializ-
zazione di modelli Volkswagen e Audi
dal gennaio 2016, la Volkswagen spie-
gava la discrepanza tra le emissioni
registrate in fase di omologazione e
quelle misurate in corso di marcia,
confessando di aver inserito nel soft-
ware un meccanismo che in fase di
test consentiva di abbattere i livelli
di ossidi di azoto (NOx): avevano
manomesso la centralina.
Gli accertamenti in questione erano
frutto di uno studio su strada iniziato
un anno prima dall’International
Council for Clean Transportation
(ICCT – un’organizzazione no-profit
indipendente) non in America, si badi
bene, ma in Europa. Sulla base delle
prime evidenze, provvidero a far ese-
guire il medesimo test negli USA, col
supporto tecnico del Center for Al-
ternative Fuels, Engines and Emis-
sions dell’Università della West Vir-
ginia, che disponeva dell’apparec-
chiatura PEMS (Portable Emission
Measurement System). Così, il pri-
mo/secondo costruttore al mondo
entrò in un ciclo di indagini, quantifi-
cazioni, richieste di danni sia in Ame-
rica che in Europa.
Tra i motori termici (ICE – internal
combustion engine) il diesel per auto
è quello più efficiente e con le minori
emissioni climalteranti (CO
2
). Per
questo la politica europea l’aveva
spinto con la leva fiscale fin dagli
anni ’70, creando una tale domanda
che aveva portato l’industria europea
a un livello di eccellenza mai egua-
gliato né dagli asiatici né dagli ame-
ricani.
Eccellenza non significa solo presta-
zioni equivalenti ai motori a benzina,
per spunto e piacevolezza di guida.
Eccellenza significa anche e mag-
giormente riduzione delle emissioni
inquinanti, tipicamente polveri sottili
(PM10 e PM 2,5) e ossidi di azoto
(NOx). I motori diesel del secolo
scorso si facevano notare per i fumi
Scandalo al sole
Rispetto a uno degli
anni ’90, un diesel di
oggi emette il 97%
in meno di PM e il 94%
in meno di NOx
19
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.2

che emettevano allo scarico. Pur-
troppo, grazie a una longevità media
delle auto superiore al quarto di se-
colo (che significa che molte vetture
in circolazione hanno ben più di 25 e
anche 30 anni) ancora oggi quei mo-
tori si fanno notare. Non sono tan-
tissimi, ma fanno la loro parte. Quale
parte? Oh, quella di supportare la
narrazione contro il diesel.
Quei motori e quei sistemi di scarico
non sono più in vendita dalla fine del
secolo scorso. Se quelli ancora in cir-
colazione venissero sostituiti con mo-
tori e scarichi di oggi, nessuno note-
rebbe alcun fumo e anche le misu-
razioni scientifiche lo confermano.
Rispetto a uno degli anni ’90, un
diesel di oggi emette il 97% (novan-
tasettepercento) in meno di PM e il
94% (novantaquattropercento) in
meno di NOx. Tanto che Audi solo
pochi anni fa, quando ancora era or-
gogliosa dei suoi motori diesel, diceva
in pubblicità che “il suo turbodiesel
3 litri puliva l’aria”. Com’era possibile
una simile affermazione? Innanzitutto,
occorre allargare il focus.
Le polveri sottili derivanti dalla marcia
di un’automobile provengono in mi-
nima parte dallo scarico, che secondo
studi accreditati incidono per meno
del 10%. Una percentuale ben mag-
giore, intorno al 25/35% deriva dal-
l’usura di freni e pneumatici. Oltre la
metà è polvere che viene sollevata
dal suolo, tanto che quando piove i
limiti non vengono mai nemmeno
sfiorati. Visto che è la circolazione
molto più che il motore e il suo scarico
a determinare la quantità di PM, la
soluzione sarebbe quella di lavare le
strade. Un esperimento condotto al-
cuni anni fa da Dekra a Stoccarda lo
ha confermato: lavando le strade i
giorni di sforamento dei limiti dimi-
nuiscono drasticamente. Torniamo
al motore che pulisce l’aria. La com-
bustione è fatta su una miscela di
carburante e aria, questa immessa
ovviamente dall’esterno e quindi pie-
na di PM. Dopo la combustione, i
filtri molto sofisticati del sistema di
scarico trattengono non solo le par-
ticelle provenienti dal gasolio ma an-
che quelle già presenti nell’aria. Inoltre,
nel processo di combustione si forma
un agglomerato di particelle, il co-
siddetto soot cake, che unisce in-
sieme sia quelle più grandi, PM10,
sia quelle molto piccole, PM2,5, in
modo che entrambe vengano trat-
tenute nel filtro.
Gli Stati Uniti, mai abbastanza sensibili
ai temi ambientali e tantomeno se in
chiave energetica, non avevano svi-
luppato una domanda significativa
per il diesel tale da indurre l’industria
a investire in R&S. Però da tempo
andava crescendo una domanda per
le vetture tedesche equipaggiate
20
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.2
Emissioni NOx benzina
(Fonte: Elaborazione Fleet&Mobility su dati ufficiali)
Emissioni NOx diesel
(Fonte: Elaborazione Fleet&Mobility su dati ufficiali)

21
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.1
con questo motore, più come segno
distintivo di certe élite costiere e af-
fluenti che per reale apprezzamento.
La bilancia commerciale sulle auto
era enormemente sbilanciata a favore
della Germania. Le auto tedesche
che sbarcavano ogni anno in America
erano circa dieci volte quelle ameri-
cane che attraversavano l’oceano
sulla rotta inversa. Intendiamoci, non
erano cifre da guerra dei dazi né pro-
dotti strategici per la difesa, ma certo
se le importazioni tedesche fossero
state prese un po’ a calci nessuno al
Dipartimento del Commercio avreb-
be alzato un dito.
I media riportarono la notizia della
manomissione della centralina ope-
rata dai tecnici Volkswagen. Non era
il primo scandalo che interessava l’in-
dustria automobilistica. Due esempi.
Negli anni ‘70, la Ford Pinto divenne
tristemente famosa per i suoi pro-
blemi di sicurezza. Questa sub-com-
pact aveva un difetto di progettazione
che la rendeva vulnerabile agli incendi
in caso di tamponamento. Nel 2004
fu la volta delle Toyota, il cui pedale
dell’acceleratore non tornava su e
l’auto proseguiva la marcia in velocità,
causando incidenti. In entrambi i casi,
i media furono costretti a riportare
di vittime, che fortunatamente non
ci sono state per il caso delle cen-
traline Volkswagen. Eppure, non si
ricorda un “tank-gate” che abbia
messo in discussione la dotazione di
PM diesel
(Fonte: Elaborazione Fleet&Mobility su dati ufficiali)

serbatoio di tutte le auto e nemmeno
un “pedal-gate”, per vietare di equi-
paggiare le macchine con l’accele-
ratore. Furono archiviati come difetti
di progettazione o di produzione, ir-
rorate le pene e le sanzioni del caso
e poi basta: girata pagina si andò
avanti.
Nel caso delle centraline la stampa,
con poche eccezioni, si è regolata
diversamente. Innanzitutto, ha pun-
tato l’indice sul tipo di motore e non
sulla centralina manomessa. Era un
“centralina-gate” e invece fu etichet-
tato “diesel-gate”. L’alterazione era
stata compiuta da Volkswagen, dun-
que sarebbe stato un “Volkswagen-
gate”. Niente, fu “diesel-gate”. Questo
fatto dà la cifra della bassezza della
stampa. Non solo, indica pure la pre-
senza di un movente. Perché lasciare
stare un bersaglio grosso come
Volkswagen, nascondendolo dietro
un tipo di motore prodotto da tutti
e spalmando di fatto la responsa-
bilità sull’intera industria?Perché
c’erano già allora forti pressioni contro
il motore diesel, tali da rendere poco
succulento il boccone Volkswagen e
certamente non finalizzato alla causa.
Non è chiaro chi fossero i mandanti
finanziatori dei vari movimenti am-
bientalisti, ma il fatto è che il bersaglio
divenne la tecnologia e la supremazia
europea sul motore diesel.
In verità, nelle prime settimane, i me-
dia avevano puntato anche su Vol-
kswagen, riportando all’opinione pub-
blica che questo scandalo aveva di-
strutto la credibilità del Gruppo e la
fiducia che i clienti riponevano nei
suoi prodotti. Anche in questo caso,
si trattava più di un’aspirazione che
di un fatto. Quelle firme volevano
descrivere un mondo che ritenevano
corretto, ossia di clienti che avrebbero
bandito quei marchi dalla shopping
list automobilistica. Peccato che quel
mondo non esistesse. Sì, a caldo ci
fu un atteggiamento di condanna e
anche di forte disappunto da parte
dei clienti, ma questo si tradusse in
una flessione delle vendite tutto
sommato contenuta. Negli anni suc-
cessivi il valore dei marchi Volkswagen
presso i clienti rimase ben elevato e
solido, come anche le vendite.
Un’analisi condotta dal Centro Studi
Fleet&Mobility rivelò che a ridosso
dello scandalo, in autunno, le vendite
di Volkswagen e, in misura minore, di
Audi, subirono una flessione signifi-
cativa. Ma l’analisi disse anche che
chi non aveva acquistato Volkswagen
non aveva optato per altri brand, ma
era solo uscito dal mercato che infatti
era calato. Temporaneamente. Già
verso il finire dell’anno le vendite era-
no tornate ai livelli pre-scandalo e
con esse il mercato aveva ritrovato i
suoi volumi. Insomma, i fatti dicevano
che sì, i manager Volkswagen avevano
truccato una centralina e che no, non
si fa, però i prodotti erano comunque
ottimi e dunque valeva la pena ac-
quistarli. Il grafico riporta il valore del
brand, misurato da Interbrand, società
specializzata nella misurazione del
valore dei marchi, stimato in 13,7 mi-
liardi di dollari nel 2014 e svalutato
nei due anni successivi a 12,5 e poi a
11,4. Eppure, già nel 2018 veniva ri-
valutato a 12,2. Lo scorso anno il
brand era accreditato di un valore
mai toccato prima nella sua storia:
15,1 miliardi. Il valore di Audi non venne
neppure sfiorato dallo scandalo e
continuò a crescere anno su anno.
Nel 2018 aveva eguagliato Volkswa-
gen e nel 2023 valeva 16,4 miliardi.
22
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.2

Tradotto in termini di sociologia dei
consumi, suona più o meno così.
Quando compro una macchina voglio
quella che reputo la migliore che
posso avere con quei soldi. Poi posso
anche criticare il suo costruttore per
i suoi comportamenti, ma certo non
al punto di privarmi del suo prodotto:
non punisco me pensando di punire
lui. Questo grafico però dice anche
qualcosa di più. Dice che quella del
costruttore Volkswagen è una storia
di successo che viene da molto lon-
tano, che in un decennio ha raddop-
piato o triplicato il valore assoluto
dei suoi brand. Una storia così è fatta
di cultura, di fabbriche, di franchise
di clientela, di reti distributive e, so-
prattutto, di milioni di clienti che ogni
giorno salgono su una sua macchina,
la guidano con soddisfazione e ne
parlano bene ai conoscenti. Ma dav-
vero credevate – conclude il grafico
– che un errore avrebbe potuto can-
cellare tutto questo? Certo, hanno
sbagliato. Sono uomini e prendono
decisioni. A volte sbagliate. Come
tutti. Ma queste si incastrano su tutta
la storia e tutte le altre decisioni
giuste. Oggi è un tempo in cui molti
costruttori hanno creduto che dei
newcomer, raccontando una storiella
di ambiente o di gadget tipo smar-
tphone, potessero sottrarre loro la
clientela. Invece di attaccarli e smi-
nuirne le capacità di costruire ciò che
i clienti vogliono, una macchina, li
hanno seguiti sul loro terreno, sce-
gliendo di mettere in ombra il pro-
dotto essenziale: l’automobile.
Se i clienti furono piuttosto com-
prensivi verso il costruttore tedesco,
nonostante i media avessero fatto il
possibile per alienargli la loro fiducia,
il vertice del gruppo assunse un
atteggiamento molto severo e in-
flessibile – verso se stesso. Il nu-
mero uno, il CEO Martin Winterkorn,
apparve in TV per dire due cose:
che ammetteva la responsabilità e
chiedeva scusa: “utterly sorry”. Poi il
giorno dopo rassegnò le dimissioni:
“Volkswagen needs a fresh start –
also in terms of personnel. I am clea-
ring the way for this fresh start with
my resignation.” Negli anni a seguire,
il gruppo gli avrebbe chiesto anche i
danni, per aver partecipato nel luglio
2015 a una riunione interna, in cui
quei dispositivi di alterazione delle
misurazioni vennero discussi, e non
essere intervenuto per fermare tale
utilizzo. L’accordo fu che avrebbe ri-
sarcito con 11,2 milioni di euro di tasca
propria, in aggiunta a 270 milioni ri-
sarciti dall’assicurazione che copriva
l’operato dei suoi dirigenti. Questo
atteggiamento ha aumentato o at-
23
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.2
Valore dei brand
(Fonte: Elaborazione Fleet&Mobility su dati ufficiali)

tenuato il danno che ne è seguito?
Avrebbero potuto agire diversa-
mente?Ci sono opinioni contrastanti,
ma ovviamente nessuna possibile ri-
sposta certa, visto che la storia non
si scrive mai due volte.
Certo, anche altri costruttori furono
toccati dallo scandalo, ma non am-
misero alcuna colpa e preferirono
affidare la vicenda agli avvocati e
alle aule giudiziarie, dove se ne sono
perse le tracce – da un punto di vista
mediatico, che poi è l’unico che dav-
vero conta. Negli anni e a microfoni
spenti alcuni manager del gruppo si
sono espressi sulla vicenda. Innanzi-
tutto, facendo percepire la profonda
lealtà all’azienda e alla sua strategia
di gestione e di comunicazione della
crisi. Un segno di elevata e diffusa
professionalità. Circa le ragioni di una
simile politica, ragioni che essi stessi
hanno ricercato, sembra che siano
riconducibili alla particolare cultura
dei tedeschi, sempre innamorati del
super-uomo (lo immaginano teuto-
nico, manco a dirlo) e che di conse-
guenza ritengono insopportabile es-
sere colti “con le mani nella marmel-
lata” ancora risentiti dell’ultima volta
che la storia li ha processati e con-
dannati. Questo avrebbe reso im-
pellente la presa di distanza dal male
e la ricerca, se non del perdono, al-
meno dell’espiazione.
Molti riconducono al diesel-gate
quanto accaduto all’industria auto-
mobilistica europea negli anni suc-
cessivi, fino al disastro attuale di in-
vestimenti in una transizione che
molti, troppi clienti rifiutano. In realtà,
in assenza di una relazione diretta, è
possibile affermare piuttosto che
quello scandalo abbia manifestato
le debolezze dell’industria, imprepa-
rata a subire un attacco popolare e a
non avere il sostegno della politica,
che nei cento anni precedenti l’aveva
sempre corteggiata. L’attacco veniva
da quel “partito anti-auto”in cui si
ritrovavano ampie porzioni della so-
cietà civile occidentale, che identifi-
cavano l’auto come il simbolo di uno
stile di vita consumistico da cui pren-
dere le distanze. Sopraffatti dallo
stesso successo della civiltà occi-
dentale, hanno trovato nella salva-
guardia dell’ambiente la finalità del
loro impegno civile, anche slegato
da effettivi e tangibili risultati.
L’industria, poco avvezza a reagire
nei confronti dei suoi stessi clienti,
non riuscì a distinguere tra il cittadino,
portatore di istanze ambientaliste, e
l’automobilista interessato al prodotto
come soluzione di mobilità. Si trattava
24
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.2

della medesima persona, che però
esprimeva posizioni diverse, nell’im-
pegno civile e nella scelta di un’auto.
La mancata reazione dipese anche
dalla valutazione, rivelatasi errata,
che l’attacco fosse mirato a una tec-
nologia, quella diesel. Pertanto – fu
il pensiero – se non vorranno più
auto a gasolio compreranno quelle
a benzina: dov’è il problema?In re-
altà, il bersaglio non era un motore
ma l’auto. In ogni caso, ispirandosi
alla parabola della “pecorella smarrita”,
l’industria avrebbe dovuto e potuto
difendere quella tecnologia con tutte
le sue forze, poiché quando anche
una sola parte del tuo business è
sotto attacco, devi reagire come se
tutto fosse sotto attacco. Di nuovo,
questa industry non era abituata a
essere sotto attacco.
25
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.2

Il lockdown è stato un evento inim-
maginabile e improvviso le cui riper-
cussioni sul sistema auto non si sono
fatte attendere. La più immediata pre-
occupazione fu per la tenuta del si-
stema distributivo nel suo complesso,
non solo le concessionarie ufficiali,
che si reggeva su equilibri in molti casi
precari. Molte attività non riaprirono,
dando un’ulteriore spinta a quella se-
lezione che andava avanti ormai da
tempo, verso la formazione di poli di-
stributivi più solidi. Federauto si attivò
affinchè il Governo estendesse alle
concessionarie le misure di supporto
alla liquidità previste nel Decreto Cura
Italia per le imprese fino a 2 milioni di
fatturato. È vero che le concessionarie
erano ben sopra tale soglia, ma è al-
trettanto vero che il loro fatturato è
fatto dal valore del prodotto e solo in
minima parte dal valore aggiunto. In-
somma, si tenesse conto del MOL e
non solo dei ricavi.
Poi ci si preoccupò che alla ripresa gli
italiani, dopo aver lasciato per strada
oltre 150 miliardi di PIL, potessero ri-
tardare il cambio dell’auto anche per
il fatto che si trattava appunto di so-
stituire una cosa che avevano già. In
termini macroeconomici, il mercato
auto importava non tanto per la di-
mensione economica quanto per la
sua capacità di trasmettere fiducia nei
consumi e stimolare la ripresa della
domanda generale. Questo fine ge-
nerale rendeva giustificabili degli in-
centivi che in ogni altra circostanza si
I figli del Covid
Poi il lockdown finì e le
fabbriche riaprirono,
per poi richiudere
e riaprire un altro
paio di volte
27
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.3

28
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.3
erano rivelati più dannosi che utili. Pur-
troppo, il Governo non si mostrò di
manica larga nel sostegno al settore,
che fu molto inferiore a quelli erogati
in Francia e Germania. I lavoratori in-
teressavano, certo, ma incentivare il
prodotto dava più di qualche prurito
all’ineffabile partito “anti-auto”tra-
sversale agli schieramenti politici e
sotterraneo, espressione di un’ideo-
logia che vorrebbe meno automobili
e più trasporto collettivoo, se indi-
viduale, condiviso.
Dopo il panico e le misure emergenziali,
ma prima che la parola “chip” compa-
risse nel vocabolario nazionale, gli ad-
detti ai lavori e alcuni importanti con-
cessionari iniziarono a valutare se il
modello di business finora seguito
fosse ancora valido o non fosse giunto
il momento di una strategia nuova per
il settore: basta reggere l’industria sui
volumi e puntare piuttosto ai margini
e alla redditività. Secondo loro, oc-
correva prendere atto che l’eccesso
di capacità produttiva aveva imposto
una strategia push insostenibile eco-
nomicamente. La coda di tale pres-
sione, le vetture a km zero, avrebbe
messo in ginocchio la salute della di-
stribuzione, forzando un livello di prezzi
che lascia poco e nulla alla remunera-
zione del capitale proprio, che invece
dovrebbe essere la prima chiave di
misurazione del business.
Poi il lockdown finì e le fabbriche ria-
prirono, per poi richiudere e riaprire
un altro paio di volte. Alla riapertura,
le linee di produzione si trovarono nel-
l’impossibilità di finire il montaggio
delle vetture a causa della mancanza
di alcuni componenti, quelli che ave-
vano al loro interno dei chip. Questi
componenti non arrivavano perché
i fornitori di microchip non accet-
tavano commesse dalle case auto
e ritardavano quelle già piazzate. Come
reazione al lockdown, le direzioni pro-
curement dei gruppi automobilistici
avevano cancellato o sospeso le for-
niture, per evitare di gonfiare lo stock
di semilavorati e per evitare uscite di
cassa anticipate rispetto alla produ-
zione e commercializzazione dei pro-
dotti finiti. Questo stop non disturbò i
produttori di chip, quasi interamente
situati a Taiwan e in Corea del Sud,

29
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.3
perché proprio i lockdown avevano
fatto esplodere la domanda di elet-
tronica domestica con relativo fabbi-
sogno di microprocessori. Inoltre, questi
chip impiegati in computer e cellulari
erano molto più recenti e sofisticati,
dunque con margini più succulenti, di
quelli richiesti dall’industria automo-
bilistica, i cui ordini venivano sistemati
in coda alla fila.
Alla crisi dei chip si aggiunsero quella
dei trasporti marittimi internazionali e
quella dell’alluminio. La Cina, origine
della pandemia, adottò una strategia
non di contenimento ma di azzera-
mento del virus, che prolungò le chiu-
sure ben oltre i periodi del resto del
Mondo. Questo provocò una conge-
stione dei principali porti commerciali
cinesi, con ritardi enormi nei traffici e
un’impennata del costo dei noli. Nel
frattempo, la domanda di alluminio
aumentò mentre un importantissimo
sito produttivo cinese fu fermato da
un incendio. Queste difficoltà di pro-
duzione si manifestarono nel corso
del 2021. A febbraio dell’anno suc-
cessivo la Russia invase l’Ucraina,
che si scoprì essere un importante
produttore di cavi elettrici usati nel-
l’industria automobilistica.
Insomma i grandi gruppi, abituati a un
potere negoziale importante verso
l’intera catena dei fornitori e usi a per-
seguire il costo più basso, si trovarono
a dover lottare per riceverla una for-
nitura in tempi certi e accettabili, met-
tendo il costo in secondo piano. Anche
la politica del just-in-time, sorta per
soddisfare l’esigenza finanziaria di te-
nere basso lo stock di semilavorati,
veniva sfidata dalle nuove esigenze di
produzione. Poter contare su una for-
nitura garantita era diventato prioritario
rispetto a pagare il prezzo più basso e
avere un magazzino leggero, col rischio
però di non poter finire la produzione.
Ad ogni buon conto, la difficoltà di
star dietro alla domanda si protrasse
fino all’inizio del ’23, costringendo le
fabbriche al gioco della torre: quale
auto non produrre. Non fu difficile:
quelle coi margini più bassi. Dopotutto,
se hai un solo chip dove lo usi, su
un’auto da 30.000 euro o su una da
70.000? Così nei saloni era, se non
facile, meno difficile acquistare un’auto

30
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.2
prezzo concordato, ma questo era un
problema relativo a cui risposero al-
lungando la durata dei contratti in es-
sere. Ci furono poi incrementi sul
prezzo delle auto e sui tassi d’interesse,
ma niente che non potesse essere
gestito con i clienti, quando non ribal-
tato in tutto o in parte.
Focus su auto di valore elevato, sconti
prossimi allo zero, scomparsa dei km0,
aumento dei listini, rallentamento delle
forniture e forte riduzione degli sconti
al noleggio. La congiunzione di questi
fenomeni fece schizzare in alto il prezzo
medio netto delle auto. Se nel 2019
un’auto veniva immatricolata in Italia
a un valore medio di 21.000 euro, nel
2022 aveva sfondato i 28mila e l’anno
dopo avrebbe sfiorato i 29mila. Ov-
viamente, non si trattava solo di au-
mento dei prezzi, ma anche di un di-
verso mix prodotti, precedenza a alto-
di-gamma, e canali, stop rent-a-car e
poco NLT.
La conseguenza di queste politiche
produttive e commerciali fu l’uscita
di gran parte dell’offerta dalla fascia
bassa del mercato. Prima del Covid,
rizzare eccedenze di produzione at-
traverso sconti molto elevati. Quando
la strategia spostò il focus dai volumi
ai margini, a causa della scarsità di
prodotto, le forniture al rent-a-car di-
vennero insostenibili. Ciò comportò
per gli operatori due cambiamenti. Sul
fronte commerciale, terminarono le
politiche di noleggiare a qualsiasi prezzo
pur di aumentare l’utilizzo delle vetture,
la cui disponibilità era ridotta. Sul fronte
operativo, venne allungato il cosid-
detto holding period, ossia il ciclo
di sostituzione della flotta. Questo,
se da un lato consentiva di assorbire
meglio l’ammortamento dell’asset, il
cui valore era aumentato, dall’altro
esponeva alla necessità di interventi
di manutenzione ordinaria che erano
ormai da anni fuori dalla pratica dei
noleggiatori.
Il NLT, che non vende un prodotto
transazionale ma un servizio conti-
nuativo, fu toccato relativamente poco
dalla pandemia. Era difficile ricevere
dai costruttori le auto ordinate e al
alto di gamma che non un’utilitaria.
Le citycar, su cui da anni i costruttori
perdevano soldi, nemmeno venivano
prese in considerazione. Diretta con-
seguenza di questo mercato dell’of-
ferta, mai conosciuto da nessuno degli
operatori nella loro vita professionale,
fu la quasi cancellazione degli sconti
e l’aumento dei listini più volte nell’anno
e non simbolico. Ovviamente, cessa-
rono i km0 di fine mese.
A parte la distribuzione classica, cosa
accadde nel canale noleggio?
Il rent-a-car fermò la sua attività ben
oltre i periodi di lockdown. Essendo la
sua fonte di business il turismo leisure
e d’affari, non riprese davvero l’attività
fino a quando non ripartirono i viaggi,
anche internazionali. Quando ci fu la
ripresa, gli operatori si trovarono davanti
a un’offerta dell’industria automobili-
stica profondamente mutata. Il rent-
a-car era stato per decenni un canale
tattico per i costruttori, verso cui indi-

31
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.2
su 1,9 milioni di immatricolazioni, il 7%
era su auto sotto i 14.000 euro di
listino. Nel 2022 questa fetta di mer-
cato era scomparsa. Quella sopra i
35.000 euro era passata invece dal
15 al 31% e anche i volumi erano cre-
sciuti del 45%, da 281 a 408mila unità.
Il mercato era sì crollato di 600.000
pezzi, ma tutto nei segmenti me-
dio-bassi mentre la fascia alta cre-
sceva. In sostanza, secondo le leggi
dell’economia classica, l’aumento del
prezzo aveva fatto uscire dal mercato
una fetta di domanda, pronta a rien-
trare non appena un’offerta avesse
intercettato di nuovo le sue esigenze
di prezzo. In questo contesto, tutto
interno all’industria e perfettamente
lecito, strideva l’incessante richiesta
dei costruttori di un aiuto da parte
dello Stato per rendere più accessibili
quei prodotti che essi stessi avevano
provveduto a mettere fuori portata
dei clienti. In sostanza, chiedevano di
indirizzare soldi dei contribuenti alle
loro casse private all’estero, visto che
oltre 4 vetture su cinque venivano
prodotte fuori dal territorio nazionale.
La penuria di auto nuove ebbe riper-
cussioni ovvie sul mercato dell’usato.
Chi non riusciva a mettere le mani su
un’auto nuova ripiegava sull’usato au-
mentando la domanda, mentre invece
l’offerta si riduceva, poiché chi aspet-
tava oltre un anno che la fabbrica gli
consegnasse la macchina ordinata
non scendeva dalla vecchia, che dun-
que non alimentava l’offerta di usato.
Sempre per le solite leggi dell’eco-
nomia, una domanda superiore al-
l’offerta portò i prezzi dell’usato a
livelli mai visti e francamente anche
senza senso: auto usate che si avvi-
cinavano e a volte eguagliavano il
prezzo del nuovo. Questo sposta-
mento verso l’alto dei prezzi delle
macchine consentì alla distribuzione
di generare dei margini sul venduto
mai neanche immaginati e soprattutto
di gestire lo stock con una velocità e
un’efficienza mai vista. In sostanza,
le concessionarie e la sottorete furono
ampiamente ripagate delle perdite
sopportate durante i mesi bui del
lockdown, sebbene chi non ce l’aveva
fatta non era lì a godersi la festa e la
torta venne divisa tra quelli che ave-
vano resistito alla buriana. Ma è così
che gira il mondo.
Anche i costruttori chiusero bilanci
stellari, grazie a tre fattori. Dei prezzi
elevati abbiamo detto. Poi ci fu l’usato.
Chi più chi meno, avevano accumulato
uno stock che per i generalisti era di
svariate centinaia di milioni di euro.
L’esplosione della domanda di usa-
to consentì di metterlo sul mercato
e anche a prezzi superiori a quelli
contabilizzati. Poi ci fu la gestione
dei fornitori. Studi molto accurati han-
no dimostrato che le Case, mentre
trasferivano al mercato aumenti di
prezzo anche superiori all’inflazione,
riuscivano a tenere sotto controllo i
costi verso i fornitori di componenti-
stica, che si trovarono ad assorbire
molta parte dei maggiori costi legati
alle materie prime e all’inflazione.

Prima di tutto, occorre non assimilare
la propulsione elettrica a quella ibrida.
Quest’ultima sta nel solco della con-
tinua ricerca di efficienza dell’industria
motoristica, accelerata dopo le crisi
petrolifere degli anni ’70. Toyota ha
sviluppato il motore ibrido prima e
più delle altre. La filosofia è di non
sprecare nelle decelerazioni e in fre-
nata l’energia prodotta dalla com-
bustione.
L’idea di usare una batteria per muo-
vere l’auto ha invece l’obiettivo di
eliminare i carburanti fossili dalle stra-
de. Eventualmente, possono rima-
nere nelle centrali di produzione del-
l’energia elettrica ma non bruciare
carburante nel motore dell’auto in
marcia.
Dal sito del Parlamento Europeo, “il
settore dei trasporti è responsabile
di circa un quarto delle emissioni totali
di CO
2
in Europa, il 71,7% delle quali
viene prodotto dal trasporto stradale,
e le auto sono tra i mezzi più inqui-
nanti, considerato che generano il
60,7% del totale delle emissioni di
CO
2
”. Due errori. Primo: la CO
2
non
è un inquinante ma un climalterante.
Secondo: il 60,7% si riferisce al 71,7
e non al totale, come un’infografica
nella stessa pagina chiarisce bene.
Secondo l’International Energy Agen-
cy, le emissioni di CO
2
della UE nel
2021 sono state 2,8 miliardi di ton-
nellate (Gt). 2,8 per 1/4 (trasporti)
per 71,7% (strada) per 60,7% (auto)
fa 0,3 Gt (300 milioni di tonnellate)
che rappresenta meno dell’1% della
CO
2
antropica che ammonta a circa
38 Gt.
Ciò significa che se anche tutte le
auto circolanti (non vendute, circo-
lanti) in Europa fossero elettriche, il
beneficio per il pianeta sarebbe lo
0,9%. Nel biennio 2020/21 la sola
Cina ha aumentato le sue emissioni
di 750 milioni di tonnellate, due volte
Elettroshock
La CO
2
non è un
inquinante ma un
climalterante.
Se anche tutte
le auto circolanti (non
vendute, circolanti) in
Europa fossero
elettriche, il beneficio
per il pianeta
sarebbe lo 0,9%
33
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.4

e mezzo quello che sarebbe il sogno
degli ambientalisti europei cancel-
lando le auto termiche.
Questi sono i fatti, sono di fonte Eu-
roparlamento e dicono una cosa e
una sola: l’auto elettrica è inutile.
Non assolve la sua missione di ab-
bassare le emissioni in misura per-
cepibile.
Nel primo decennio del secolo furono
i francesi a lanciare la proposta e nel
2008 fu Citroen a presentare e com-
mercializzare in Italia la prima auto a
pile, a cui seguirono Renault e Nissan
e poi altri costruttori.
Fino al 2015 il successo del nuovo
prodotto consisteva in 4.383 vetture
immatricolate negli anni, con un picco
di 1.460 in quell’anno, pari a nove
ogni 10.000, nonostante le Case de-
stinassero già cospicui investimenti
pubblicitari e la stampa l’avesse già
battezzata auto-del-futuro.
Al 2018, sempre più persone erano
consapevoli che questo miraggio
dell’auto elettrica non stesse in piedi.
I consumatori l’avevano capito dal-
l’inizio e, infatti, se ne tenevano ben
distanti. Tra gli addetti ai lavori, alcuni
l’avevano sempre saputo (o almeno
sospettato) ma ovviamente non po-
tevano e non possono dirlo. Gli altri
presunti esperti diffondevano acri-
ticamente la buona novella.
Ma in quell’anno l’Unione Europea,
nella scia degli Accordi di Parigi sul
clima del 2015 e dopo lunghi negoziati
con i costruttori, stabilì che a partire
dal 2020 ogni gruppo automobilistico
avrebbe dovuto contenere le emis-
sioni di CO
2
della media delle auto
vendute entro il tetto di 116 gr/km,
che si sarebbe poi ulteriormente ab-
bassato nel 2025 e ancora nel 2030.
Per ogni grammo in eccesso la
Commissione avrebbe comminato
una multa di 95 euro moltiplicati
per il numero delle vetture imma-
tricolate. Secondo accreditati ana-
listi, ogni gruppo avrebbe dovuto
immatricolare almeno 4 auto full
34
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.4

electric ogni cento per stare nei pa-
rametri. Fu questo a cambiare le
strategie di prodotto delle Case e
non il divieto al 2035 che sarebbe
arrivato solo tre anni dopo.
Le Case accettarono questi limiti
senza reagire, confidenti che i clienti
li avrebbero seguiti su un target che
sembrava abbordabile. Così Michele
Crisci, presidente di Unrae: “In realtà,
devo dire che la verità scientifica,
stabilita dal Cnr su richiesta di Unrae,
l’abbiamo rappresentata ai ministeri
e ai ministri interessati e a molte am-
ministrazioni locali importanti. Però
ammetto che avremmo potuto co-
municarla di più al pubblico, ai nostri
clienti». In effetti furono anni con-
troversi dentro le Case.
I costi per rispettare le norme e ri-
durre le emissioni di CO
2
avevano
già prodotto un crollo dei margini,
tanto che il territorio verso cui l’in-
dustria automotive si stava adden-
trando venne definito “deserto del
profitto”. C’era la diffusa consape-
volezza, denunciata anche da top
manager delle Case, che i “cittadini
europei fossero indisponibili ad ac-
quistare auto solo elettriche”.
Sempre Crisci descrisse bene quel
periodo: “Noi costruttori ci stiamo
muovendo contemporaneamente su
due piani. Da un lato, la direzione che
abbiamo intrapreso è quella dell’elet-
trificazione, su cui siamo costretti ad
accelerare da alcuni fattori esterni.
A cominciare dall’obbligo che ci viene
dal regolatore di stare entro parametri
di emissioni molto stretti, raggiungibili
solo con un certo numero di auto
elettriche immesse sul mercato, per
niente facile da ottenere a causa di
una risposta ancora molto flebile da
parte degli automobilisti. Ma non è
solo questo, ci sono anche le pressioni
che arrivano dagli analisti finanziari,
che premiano le politiche ambientali
delle aziende, a prescindere dal loro
impatto effettivo. Dall’altro lato, dob-
biamo anche spingere sulle auto tra-
dizionali, che hanno un impatto am-
bientale minimo, trascurabile, favo-
rendo il ricambio del parco circolante,
con vetture nuove e pure con quelle
usate di ultima generazione, che ma-
gari non ci aiutano a stare dentro i
limiti imposti dall’Ue, ma portano un
reale beneficio all’ambiente». E ma-
gari pagavano pure gli stipendi, visto
che erano quelle che i clienti acqui-
stavano.
Insomma, il ragionamento era più o
meno questo: la prospettiva è
l’elettrico ma nel frattempo ven-
diamo motori termici il cui impatto
è trascurabile. Sempre confidando
sulla loro capacità di convincere i
clienti, prima o poi. Del resto, tutte
le grandi firme della consulenza mo-
stravano grafici che prevedevano
un graduale passaggio all’elettrico
del 100% dei clienti. Ma “spingere
sulle auto tradizionali” non funzio-
nava agli occhi dei clienti, perché
se il motore termico è sostenibile
viene meno la ragione di passare
all’elettrico. Infatti, la spinta non c’è
mai stata.
Su queste premesse, le Case deci-
sero investimenti su auto elettriche
e anche sulla produzione di batterie,
nell’ordine di decine di miliardi per
singolo costruttore.
Le vendite di auto elettriche aumen-
tavano ma non al ritmo atteso, tanto
che nel 2021, ancora in pieno Covid
e crisi varie, la ONG Transport&En-
vironment pubblicò uno studio se-
condo cui per vendere solo auto
elettriche nel 2035 l’unica era vietare
la vendita delle altre. T&E aveva visto
giusto: senza un’imposizione mai e
poi mai i cittadini avrebbero scelto
le auto elettriche, almeno non in ma-
niera maggioritaria e men che meno
totalitaria.
35
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.4

La Commissione Europea non rac-
colse subito il suggerimento di T&E
ma lasciò passare alcune settimane
prima di passare a vie di fatto, fis-
sando il 2035 come ultimo anno per
immatricolare auto termiche nei Paesi
dell’Unione.
Da quel momento, il quadro si rove-
sciò. Non si guardava più a quanti
clienti scegliessero l’auto a pile,
ma al suo reciproco: quanti non lo
fanno?Invece di far emergere i van-
taggi dell’auto elettrica si passò a
misurare quanto fosse simile a una
termica come esperienza di guida.
Si cominciò poi a osservare se la pe-
netrazione delle elettriche, indub-
biamente in crescita, avesse un’in-
clinazione tale da arrivare al 100%
entro il 2035. La grande domanda
diventò: perché i clienti non vanno
in massa a comprare un’elettrica?
Di fronte a questo editto, i costruttori
commisero un errore che negli anni
successivi sarebbe stato evidente.
Pensarono che la norma fosse defi-
nitiva, non comprendendo che da lì
al 2035 ci sarebbero state altre tre
diverse Commissioni, ciascuna
espressione politica del sentiment
degli elettori, e che nel frattempo
gli impatti sull’economia e sull’indu-
stria avrebbero potuto modificare le
posizioni di quegli stessi partiti che
sostenevano o non contrastavano
una simile decisione.
Inoltre, continuavano a sentirsi sicuri
che, se avessero deciso per la via
dell’elettrificazione dell’offerta, i loro
clienti avrebbero accettato. La frase
che sintetizzava questa convinzione
era: “Perché discutere ancora, se or-
mai le Case hanno deciso che l’auto
sarà elettrica?”.
Questa affermazione, oltre a evi-
denziare una modesta sensibilità ver-
so le leggi del mercato e del marke-
ting (non sorprendente in un’industria
non marketing- ma product-oriented)
lasciava anche trasparire un bisogno
di trovare conforto e poter credere
che tale strategia fosse giusta. Sì
perché molti dei top manager erano
pienamente consapevoli che le in-
dicazioni in arrivo dal mercato non
la confermavano affatto. Nel mar-
keting, quando si propone un pro-
dotto nuovo che comporta un cam-
bio di abitudini, la prima domanda
da porsi è: qual è il bisogno che sod-
36
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.4

disfa? Ossia, questo nuovo prodotto
cosa offre in più o in meglio rispetto
a quello esistente?
Nel 2021, anno in cui l’industria non
è stata capace di gestire le forniture
di microchip, la spesa degli italiani
per le full electric è più che triplicata
da 620 milioni a 2,1 miliardi di euro.
Tuttavia, divenne chiaro che al-
l’orizzonte non c’era il 100% delle
vendite.
Nei due anni successivi abbiamo as-
sistito a continue esternazioni dei
capi delle Case, tutte allineate nel
dire che pensare a una mobilità 100%
elettrica fosse fuori dalla realtà e
non perseguibile. Poiché le avevano
propagandate come la grande in-
novazione, era difficile ammettere
una valutazione errata. Però questa
è una motivazione minore, al limite
risolvibile con un cambio di vertice.
Sono altre le ragioni per cui i co-
struttori non possono abbandonare
pubblicamente la narrazione del-
l’elettrico e riguardano la necessità
di venderle adesso, non nel 2035
quando nessuno degli attori di oggi
sarà in servizio. Da un lato, ci sono le
multe da evitare e dal 2025 sarà par-
ticolarmente difficile se non impos-
sibile, a meno di non ridurre e di
tanto la vendita di auto termiche.
Dall’altro, e sempre per schivare le
multe, servono gli incentivi pubblici,
che nessun governo darebbe se
l’industria dovesse dichiarare che
no, abbiamo scherzato, non ci sarà
nessun 100% elettrico né nel 2035
né mai.
Non potendo ammettere l’indispo-
nibilità di molti automobilisti, il gioco
divenne: indovina perché non le com-
prano. Le auto elettriche costano
abbastanza più del corrispondente
modello termico/ibrido. Certo, quan-
do i Governi intervenivano con in-
centivi le vendite aumentavano, ma
questo non poteva continuare all’in-
finito.
L’altra motivazione è la scarsa pre-
senza di colonnine per la ricarica.
Ma le colonnine ci sono. Allora è il
fatto che molte non siano funzionanti.
E questo è vero, com’è vero che
l’industria dell’energia, che pure ha
promosso e promuove questa tec-
nologia – e ci mancherebbe pure –
ha prodotto un’offerta non omoge-
nea di punti di ricarica, per cui non
tutte le colonnine ricaricano tutte
le auto e con lo stesso sistema di
pagamento.
Nel frattempo,le aziende cercavano
di introdurre nelle flotte quante
più auto elettriche possibile, ma
incontravano la resistenza dei driver,
i quali non erano disponibili a rinun-
ciare alla comodità del termico, me-
glio se diesel.
Così, plafonata la quota destinabile
a vetture jolly non assegnate e spesso
ferme alle colonnine, hanno perse-
guito il compromesso delle ibride
plug-in, cominciando dall’alto della
gerarchia, da quei top manager che
difficilmente potevano opporsi al-
l’immagine ambientalista che le im-
prese cercavano di darsi (greenwa-
shing) per compiacere gli analisti fi-
nanziari che dovevano poi assegnare
il rating.
Insomma, dopo un decennio di con-
fronto teorico con l’idea della mobilità
elettrica e sostenibile, si era giunti
alla prova del pudding: la ricetta che
diventa realtà e viene assaggiata e
valutata nella vita vera. Funziona?
Sì, ma non sempre e non per tutti. I
costruttori, che raccontano teorie
ma teorici non sono, iniziarono a
prenderne coscienza. Con una sen-
sibilità di marketing, che non hanno,
e con meno autoreferenzialità, di cui
abbondano, avrebbero potuto co-
glierla prima, ma tant’è. L’auto elet-
trica non avrebbe cambiato il mondo,
ma avrebbe trovato il suo posto, nel
mondo.
37
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.4

Nel periodo 2014/19 l’industria del-
l’auto perseguiva una strategia push
molto aggressiva verso i mercati e
verso le reti, che traeva origine dalla
necessità di puntare a un utilizzo delle
capacità produttive superiore al
65/70%. Il problema nasceva dalla
oggettiva difficoltà di chiudere im-
pianti in Europa Occidentale dove il
costo del lavoro era poco competitivo,
com’era invece avvenuto negli Stati
Uniti dopo la crisi Lehman, mentre
venivano avviati impianti nell’Est che
servivano almeno a bilanciare il costo
medio industriale.
Tale strategia prevedeva, oltre a una
gestione finanziaria oculatissima, delle
politiche di approvvigionamento che
ricercavano il minor costo, a loro volta
fondate sul rispetto di piani industriali
anche ambiziosi. La domanda contava
fino a un certo punto, poiché a fine
mese le auto dovevano uscire dalle
linee ed essere immatricolate. Per
riuscire, si ricorreva ai km0 e alle for-
niture al rent-a-car, che chiedevano
sconti importanti. Per non perdere, il
costo industriale doveva scendere.
Come? Aumentando i volumi per as-
sorbire meglio gli investimenti. Tanti
volumi, pressione sui mercati, sconti,
basso costo industriale, ancora volumi.
Insomma, un gatto che si mordeva
la coda.
Un sollievo venne dal cambio dei
gusti dei clienti. Dopo le station wa-
gon, che oggettivamente non giu-
stificavano un premium, e le mono-
volume, forse comode ma decisa-
mente poco sexy, le persone comin-
ciarono a desiderare certi macchinoni
alti che erano comparsi a inizio secolo
nelle fasce alte dei marchi premium.
Pur di guidare un SUV erano disposti
a pagare prezzi più alti.
L’altro fenomeno positivo fu la
scomparsa del prezzo. Nessuna
macchina veniva proposta a un prezzo
complessivo, ma solo e sempre con
un prezzo mensile, frutto di un piano
finanziario. Rata, leasing o noleggio,
questo sistema consentiva di giocare
A pagare c’è tempo
Fenomeno positivo
fu la scomparsa del
prezzo. Nessuna
macchina veniva
proposta a un prezzo
complessivo, ma solo
e sempre con un
prezzo mensile, frutto
di un piano finanziario
39
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.5

con l’anticipo iniziale, in genere co-
perto dalla permuta, e col valore
finale, da riscattare o da lasciare e
usare per rinnovare il contratto su
una nuova macchina. Sì, perché
l’obiettivo era comunque quello di
immatricolarne il più possibile. Erano
variazioni sul tema della “mezza-mac-
china”, lanciato da Ford sul finire del
secolo scorso da un’iniziativa avviata
da un loro importante dealer in Ame-
rica un decennio prima. Va detto che
queste formule ci misero un po’ a
farsi strada, perché frenate dalla vi-
sione a dir poco tattica delle Case e
anche dei concessionari. I costruttori
volevano produrre e immatricolare e
pertanto costruirono le offerte su un
ciclo che poco si adattava a quello
dei clienti. Due anni, poi con fatica
diventati tre, quando il primo pas-
saggio di proprietà era in media a
sette anni (media che includeva pure
i noleggi e i km0). A spingere per
questo ciclo erano pure i concessio-
nari, che già non concepivano la ven-
dita come fornitura e appuntamento
dopo qualche anno, ma come tran-
sazione istantanea e poi ognuno per
la sua strada. Se proprio dovevano
ritirare, che fossero macchine non
più vecchie e con qualche chilometro
in più. I dealer, con qualche eccezione
e fino a tempi recenti, non hanno
mai amato le auto usate, che ogget-
tivamente sono meno belle e meno
cool delle nuove. Non che ciò facesse
differenza, visto che i finanziamenti
erano talmente sofisticati da con-
sentire al concessionario di offrire al
cliente una rata mensile e un valore
finale.
Non è solo aver spostato il prezzo
dal prodotto, intero e senza fronzoli,
alla rata mensile comprensiva di ser-
vizi, che ci può stare come evoluzione
della soddisfazione del bisogno. In
sostanza, non voglio più solo un pezzo
di ferro ma anche tutte quelle cose
che mi permettono di usarlo, dal bollo
ai tagliandi, dall’assicurazione ai soldi
per pagarlo senza rompere il salva-
danaio. Giocando con anticipi, ri-
scatti, sconti e agevolazioni finan-
ziarie il prezzo mensile è diventato
fluido, nel senso che tutto sommato
per guidare la stessa auto si può
spendere 100 ma pure 87 o 117. Dov’è
il problema? Il problema è che i pro-
dotti non sono tutti uguali. Non lo
sono le auto e non lo sono quegli
accessori che vengono inclusi nel
pacchetto. Ogni prodotto cerca di
comunicare un suo posizionamento
distintivo, ossia quell’idea che il cliente
si forma come sintesi delle caratteri-
stiche, dall’estetica alla qualità, dal-
l’affidabilità del produttore all’acces-
sibilità del post-vendita. Ci sono scale
diverse per segmentare i prodotti,
ma poi quello ritenuto migliore, per
un aspetto più che per un altro, tende
a far valere questa superiorità chie-
dendo, e ottenendo, un prezzo più
alto. Che non è solo una contropartita,
il “danno”, ma proprio un mezzo di
comunicazione, specie per tutti gli
aspetti non immediatamente perce-
pibili dal cliente, che da un premium
price deriva un’aspettativa di supe-
riorità. Insomma, il prezzo è impor-
tante e va maneggiato con sapienza
e prudenza.
Dal lato dei costruttori, questa pos-
sibilità di muovere la rata è stata
vista come un’opportunità, in par-
ticolare da parte dei costruttori pre-
mium, a cui parve di aver trovato il
modo di fissare un prezzo alto per il
prodotto e ottenere invece che una
volta trasformato in una rata risultasse
accessibile a una fascia di clienti per i
quali quei prodotti erano stati sempre
fuori portata. La quadratura del cer-
chio, fantastico! In un’epoca in cui la
competizione era sui volumi, a pro-
durre sempre di più, per i costruttori
premium che avevano concentrato
l’offerta dai segmenti medio-alti a
salire era imperativo riuscire a scen-
dere verso segmenti medi, dove sta-
vano le quantità significative. Questa
corsa verso il basso non risparmiò
nemmeno i marchi più blasonati.
Il quadro non sarebbe completo se
non riportasse anche che nel frat-
tempo era sorta una domanda nuova,
che chiedeva un prodotto particolare.
Ad eccezione delle sportive, fino al
secolo scorso un’auto premium era
un’auto grande, pensata per una fa-
miglia e per i viaggi. Ma ora c’era sulla
scena un cliente nuovo, che voleva
spostarsi in città o appena fuori porta,
che non doveva portare con sé una
famiglia e che voleva comunque un
prodotto di alto livello. Questo generò
l’offerta di prodotti medio-piccoli di
prezzo elevato, a volte sotto un brand
appositamente dedicato.
Passando dal ferro al ferro-più-servizi,
sarebbe stato lecito attendersi che il
posizionamento premium restasse,
coniugando esclusività del ferro con
quella dei servizi accessori. Peccato
che il comparto servizi non avesse
mai utilizzato, salvo poche e non du-
rature eccezioni, altra leva che il costo
per competere. Questi servizi, venduti
40
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.5

solo in base a un prezzo allineato alla
concorrenza, non si erano mai sforzati
di aggiungere e valorizzare aspetti e
componenti che potessero fare la
differenza. Eppure, si trattava in molti
casi di servizi da erogare all’occor-
renza, on demand, dove l’elemento
umano sarebbe molto apprezzato:
tempo di risposta, efficacia delle so-
luzioni, empatia nel calarsi nel caso
specifico del singolo cliente. Invece,
nella più classica tradizione dei servizi,
questi furono progettati sulla cultura
dell’industria, la cui eccellenza sta
nello sfornare prodotti tutti uguali,
senza sbavature. I servizi sarebbero
esattamente l’opposto: non ce ne
sono due uguali perchè ogni caso è
un caso a sé. A titolo di esempio,
basti ricordare come l’opzione di so-
spendere o modificare una rata sia
apparsa in anni recenti, anche se già
a inizio secolo si era a conoscenza di
questo bisogno a cui dare risposta.
La congiunzione di tutti questi fe-
nomeni portò a un prezzo medio
delle auto che passò da 18.000 euro
del 2013 a 21.000 del 2019, con un
apprezzamento annuo medio (CAGR)
del 2,5%.
Col Covid tutto cambiò. Come ab-
biamo visto, le strategie fecero una
virata di 180°, tralasciando quei volumi
che le fabbriche non potevano pro-
durre nemmeno volendo e puntando
sul margine. La produzione si con-
centrava sui modelli di fascia alta,
medio-alta e poi media, abbando-
nando il resto. Il prezzo medio superò
i 28.000 euro nel 2022 e l’anno suc-
cessivo non è arrivato ai 29.000 solo
grazie al ritorno alla normalità pro-
duttiva, che ha subito fatto risorgere
le buone pratiche, a cominciare dai
km0. Tra il 2019 e il 2023 il CAGR è
stato dell’8,3%.
In conclusione, il prezzo di listino si
può conoscere o non conoscere, ma
non è su quello che si fa la trattativa
e si decide l’acquisto o il noleggio.
41
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.5

43
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.6
Nel decennio la filosofia dell’auto
come servizio disponibile si è diffusa
molto tra i clienti e ormai non c’è
Casa e concessionario che non offra
al cliente un contratto di noleggio.
Cominciato a fine anni ‘80 come ser-
vizio adatto alle flotte, nel primo de-
cennio del secolo aveva ormai pla-
fonato la domanda delle aziende.
Molte lo avevano scelto e chi non
l’aveva fatto aveva sviluppato un suo
sistema di procurement e gestione.
L’unico modo di crescere era di ag-
gredire un segmento nuovo, quello
dei piccoli clienti: ditte, società per-
sonali, professionisti con partita IVA
e, alla fine, anche privati con codice
fiscale. Cosa che gli operatori hanno
fatto, attivando una rete distributiva
multiforme per intercettare i nuovi
clienti. Un esercito di broker, anche
provenienti dal leasing che ormai in-
contrava sempre meno le esigenze
di questi clienti, insieme a reparti di
venditori telefonici che gestivano so-
prattutto le call in arrivo. Ma poi anche
alleanze con i distributori del prodotto
principale, i concessionari, sia diret-
tamente e singolarmente sia con la
benedizione della Casa, che chiedeva
e otteneva che il NLT venisse eti-
chettato col suo brand, ancorché of-
ferto, venduto e operato dal noleg-
giatore. Queste reti chiesero e ot-
tennero piccoli aggiustamenti per far
combaciare il processo del noleg-
giatore con le loro rispettive specifi-
che di funzionamento, ma nulla o
quasi che modificasse il prodotto in
sé, che rimaneva uguale a se stesso:
tempo, chilometri e canone.
In effetti, questi commerciali esterni
erano abituati a vendere il ferro e
quello continuarono a fare, senza pe-
È mia o non è mia?
Il cliente non ordinava
una company car
ma la “sua” macchina
e si aspettava di poter
fare assistenza presso
il “suo” concessionario
a cui si era sempre
appoggiato

ritarsi di cosa servisse a questi nuovi
e piccoli clienti dopo la fornitura del-
l’auto. I contratti garantivano un ser-
vizio che per quasi un milione di clienti
flotte andava più che bene da de-
cenni. Non c’era da dubitare che sa-
rebbe andato bene anche per i loro
clienti. Non andò esattamente così.
Il cliente non ordinava una company
car ma la “sua” macchina e si aspet-
tava di poter fare assistenza presso
il “suo” concessionario a cui si era
sempre appoggiato. Quando sorgeva
l’esigenza di un intervento, chiedeva
di spiegare il suo caso e poter ricevere
una soluzione personalizzata. Al ter-
mine del noleggio, restava sorpreso
per i danni legati all’uso e scopriva di
non avere quella forza contrattuale
di cui godevano le flotte. Per tacere
degli equivoci sull’auto sostitutiva in
caso di furto.
Non è stato facile e c’è ancora strada
da fare per avere un prodotto di
noleggio che sia pensato e realiz-
zato per una clientela piccola, pol-
verizzata e con priorità diverse dalle
flotte, a cominciare dal totem del
costo certo e stabile. Come concetto
va bene, ci mancherebbe, ma poi la
realtà può variare: se l’uso dell’auto
cambia, forse è logico che anche il
suo costo lo faccia.
Il noleggio a lungo termine si è diffuso
nelle flotte offrendo la garanzia del
costo certo e stabile, a fronte di tem-
po, chilometri e servizi. Su certi nu-
meri, le variazioni tra un driver e l’altro
si compensano e il sistema funziona.
Quando il noleggio viene proposto
a un singolo, privato o professionista,
entra in gioco quella componente
che si è affermata nel corso degli ul-
timi tempi: la variabilità nell’uso del-
44
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.6

l’auto. Periodi di uso intenso possono
essere seguiti da mesi di utilizzo scar-
so o nullo: perché pagare quando
non circolo? Così, si arriva al pay-
per-use e il contratto di noleggio
viene scisso. Una parte rimane fissa
e stabile, a coprire la disponibilità
esclusiva dell’auto, mentre l’altra si
sgonfia in corrispondenza dello scar-
so uso.
Fin qui si tratta di adattamenti del
prodotto/servizio auto, che sta nella
disponibilità esclusiva del cliente –
solo lui ha le chiavi e guai a chi le
tocca. Ma negli anni si è fatta strada
un’idea nuova: la mobilità. Inten-
diamoci, tutti si sono sempre mossi
e usando uno o più mezzi, secondo
la bisogna. Adesso c’era l’ambizione
di non fornire più i mezzi ma l’intero
spostamento. Questa nuova frontiera,
chiamata mobility-as-a-service, sa-
rebbe dovuta finire scritta su delle
fatture commerciali come oggetto
della prestazione. Per ora, ha dato
da vivere e molto a consulenti e con-
ferenzieri, mentre nel mercato si è
visto poco o nulla. La mobilità è an-
cora un prodotto del cliente, come
il Lego: lo assembla come meglio
crede. Magari in futuro cambierà,
ma davanti ci sono integrazioni ope-
rative e incastri commerciali per nulla
semplici.
C’è poi un’evoluzione: la sottoscri-
zione della disponibilità di un servizio,
a cui accedere secondo necessità,
scegliendo il periodo, il luogo e il tipo
di auto. Il prezzo si forma in modo
anch’esso variabile. Il concetto non
è nuovo. Il sistema del noleggio già
dal secolo scorso parla di questo
servizio da un’ora a 48 mesi. Tentativi
sono stati fatti, il servizio è stato
anche messo a terra, ma non ha cam-
minato – non tanto, almeno. Il punto
è che dirlo è facile, ma le implicazioni
operative e finanziarie sono enormi,
per tacere delle aspettative dei clienti.
Ancora oggi, sono pochi quelli che
scelgono di vivere alla newyorkese,
senza un’auto esclusiva e contando
sui mezzi pubblici, collettivi e indivi-
duali. Sarà perché da noi non li ab-
biamo, i mezzi pubblici, né collettivi
né individuali? Sarà perché non vi-
viamo a New York? Fatto è che mol-
tissimi pretendono di avere in tasca
le chiavi di un’auto, che tuttavia non
soddisfa tutte esigenze di mobilità.
A volte serve muoversi in una ZTL,
altre scendere da un treno/aereo,
altre ancora spazio per persone e
bagagli, altre infine un po’ di diverti-
mento in più. Trovare la disponibilità
di un veicolo è certamente il desiderio
di molti. A questo punto, anche un
buon vecchio taxi andrebbe bene,
ad avercelo. Negli ultimi anni di questo
periodo in esame, sono apparsi sulla
scena operatori che propongono un
noleggio più flessibile. È il segno che
45
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.6

presto i vecchi schemi non saranno
più i soli a definire l’industria dell’auto
come servizio a tempo e non come
prodotto.
Sullo sfondo di questi tentativi c’è il
rent-a-carcon la sua secolare espe-
rienza nel servire un veicolo on the
spot a chi ne abbia necessità. Pur-
troppo, è rimasto sullo sfondo, po-
chissimo toccato dalle evoluzioni im-
maginate o tentate nel campo della
mobilità. Il servizio di autonoleggio
è rimasto praticamente uguale a se
stesso, confinato negli aeroporti,
dove c’è business, con qualche pre-
senza nelle principali stazioni ferro-
viarie. Le stazioni di città sono più un
dovere che una fonte di utili, dato il
giro d’affari medio molto basso in-
sufficiente a coprire i costi, che gli
operatori hanno cercato di contenere
limitando al minimo gli orari di aper-
tura, purtroppo rendendo ancor
meno accessibile il servizio. Sul fronte
commerciale, c’è stata l’esplosione
degli intermediari, i broker, che ac-
quistano volumi importanti di giorni
e poi li rivendono alla clientela turistica.
Questo ha sottratto agli operatori il
rapporto col cliente in fase di nego-
ziazione, salvo lasciarglielo per la ge-
stione del servizio e anche dei dis-
servizi, tenendo molto basso il ricavo
medio. Col Covid c’è stata una finestra
per riprendere in mano la relazione
col cliente, ma gli operatori non l’-
hanno colta appieno e non hanno
mostrato di volerla mantenere.
Infine, un cenno al car sharing. Un
servizio non nuovo, che data verso
la fine del ‘900. Nasce dalla consi-
derazione che l’auto personale è mol-
to poco utilizzata, anche meno di
un’ora al giorno di media. Per il resto
del tempo occupa suolo pubblico
che potrebbe essere destinato alla
circolazione, fluidificando il traffico.
Allora, meglio offrire un’auto on de-
mand disponibile per più persone,
così da averne una spesso in giro in
sostituzione di quattro/cinque spesso
in sosta, inducendo i proprietari a
non avere più una seconda auto per
la città.
Proposto in due versioni, quella “station
based” – in cui il veicolo viene preso
e riconsegnato nello stesso stallo – e
quella “free floating” – in cui invece il
veicolo viene preso e riconsegnato
ovunque entro una certa area. La pri-
ma formula è stata preferita dalle or-
ganizzazioni sostenute dalle ammini-
strazioni locali mentre la seconda è
stata scelta da alcuni operatori privati.
Il servizio è quanto mai vicino al rent-
a-car, che infatti era stato presente
in almeno una start-up senza però
né far mai confluire le esperienze ope-
rative nel nuovo business né usare
questo per evolvere il servizio classico
di autonoleggio, svincolandolo dalla
stazione (unmanned).
Per un quarto di secolo il servizio
non è stato mai in grado di produrre
utili ma è comunque sopravvissuto
grazie a fattori diversi. Innanzitutto,
la volontà di alcune amministrazioni
di grandi città di mantenerlo in vita.
Non tanto per il beneficio che porta
alla mobilità cittadina, visto che è un
servizio usato poco e da una sparuta
quantità di persone, quanto per l’im-
patto che una sua cessazione avrebbe
su tutta la narrazione del nuovo modo
di immaginare la mobilità cittadina.
Per motivi simili legati all’immagine,
anche i privati preferiscono restare
nel business e sopportarne il costo,
che è marginale per le loro dimensioni
economiche. Infine, le case auto, che
sono entrate in questa attività negli
anni in cui dovevano produrre a più
non posso e anche immatricolare
qualche migliaio di auto ogni tanto
aiutava, magari con l’idea di farle pro-
vare ai clienti. Poi la strategia è cam-
biata, come sappiamo, e infatti c’è
stato qualche rimescolamento, con
case che vendevano e altre che rile-
vavano le attività. Fatto sta che ad
oggi il grande obiettivo del car sharing,
spingere un numero importante di
persone a dismettere la propria auto,
è ben lontano dall’essere perseguito.
46
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.6

La distribuzione auto è entrata nel
nuovo millennio con un modello “cap-
tive” nel senso che i rivenditori, seb-
bene imprese formalmente indipen-
denti, siglavano contratti di conces-
sione coi quali consentivano al for-
nitore di controllare e orientare molti
aspetti della gestione. Il capitale ne-
cessario e il risultato economico ri-
manevano sull’imprenditore, tanto
che uno di essi li ha definiti “impren-
ditori conto terzi”.
Questo modello, che potrebbe anche
apparire anomalo, era in realtà ab-
bastanza accettato dai distributori,
che ricevevano dal costruttore input
gestionali utili sia al governo dell’im-
presa sia al miglioramento della qualità
dei servizi. C’era ovviamente una
contropartita, per entrambi. Il dealer
non sviluppava delle competenze
gestionali sue proprie, contando ap-
punto su quelle che riceveva dalla
casa. Il costruttore, grazie alla coo-
perazione essenziale del concessio-
nario, poteva forzare la vendita di
modelli e versioni che il mercato ri-
fiutava e che invece in un sistema di
libera vendita avrebbe deciso di riti-
rare. Più in generale, il costruttore
poteva filtrare i messaggi che arri-
vavano dal mercato, scegliendo quali
ricevere e quali rifiutare: detta di-
versamente, se la poteva cantare e
suonare come voleva, certo che il
dealer avrebbe mugugnato ma non
rigettato le sue proposte. Questa si-
tuazione, che sicuramente appariva
di confort, era in realtà un costo, quello
della distanza dal cliente finale.
Era poi in atto un passaggio dalla
formula mono-brand (un concessio-
nario = un brand) a quella multi-
brand, ma con l’impegno a tenere
comunque i saloni e i venditori se-
parati e spesso anche le società, in
modo che le gestioni eco-fin dei di-
versi brand fossero agevolmente in-
dividuabili dalla casa che poteva do-
sare gli interventi, sia in pressione
che in sostegno quando ricorrevano
difficoltà.
L’altro processo in atto era la con-
centrazione degli operatori, agevo-
lata dal multi-brand e finalizzata a
recuperare efficienza soprattutto
nel back office.
Nel decennio in esame i conces-
sionari sono entrati con una situa-
zione eco-fin di particolare stress a
causa della contrazione del mercato
seguita alla stretta economica del
Governo Monti. Nel 2014 l’Osser-
vatorio Bilanci Dekra contava circa
1.200 imprese concessionarie con
circa 2.000 mandati, in media 1,7
mandati ciascuna. Il 61% erano im-
prese mono-brand. Il giro d’affari
medio era di 23 milioni di euro e
l’EBT medio era appena risalito allo
0,4% dopo i meno 0,4 e meno 0,7%
del 2013 e 2012.
Nel 2023 i mandati erano 1.100,
ripartiti metà e metà tra mono e
multi-brand. In dieci anni una con-
trazione della presenza sul territorio
dei brand, che preferivano lasciare
scoperte delle aree pur di non con-
Venditori di automobili
La selezione aveva
lasciato in piedi le
imprese più solide e
robuste. Il giro d’affari
medio nel 2023 è
raddoppiato in 10 anni
47
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.7

dividere spazi e imprese con altri
brand concorrenti.
La selezione aveva lasciato in piedi
imprese più solide e robuste. Il giro
d’affari medio nel 2023 è arrivato a
48 milioni, il doppio in dieci anni,
con un EBT che dopo essere stato
stabilmente sopra l’1% nel post-Co-
vid ha toccato il 3% e lo scorso anno
è stato del 2,7%.
Nel periodo, i dealer hanno svilup-
pato una invidiabile capacità di ge-
nerare ritorno da servizi accessori,
in primis quelli finanziari e assicurativi,
con cui hanno colmato i bassi margini
sul “ferro”.
Nel 2023 il 95% dei dealer ha chiuso
il bilancio in utile: era il 68% nel 2014.
Il R.O.E. del 15% del 2023 era appena
sopra lo zero nel 2014. Il processo
ha dato vita a dei gruppi molto gran-
di e molto ben gestiti. Lo scorso
anno si contavano 109 gruppi sopra
i 100 milioni di fatturato e 30 sopra
i 200, con E.B.T. al 3,2 e 3,8%. Questi
gruppi hanno sviluppato capacità
gestionali di tutto rispetto e auto-
nome rispetto alle Case. Molti tra
essi hanno già un rapporto diretto
con i centri decisionali europei e
non è fuori dalla realtà immaginare
che una loro ulteriore crescita po-
trebbe portare a un ruolo delle na-
tional sales company diverso da
quello sin qui osservato.
48
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.7

Ma papà ti manda sola?
49
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.8
All’inizio del periodo in esame il pro-
dotto auto era ormai molto valido in
termini di meccanica, consumi e si-
curezza. A partire dal 2015 le imma-
tricolazioni dovevano rispettare lo
standard Euro6. Ma c’era chi pro-
gettava di alzare ancora di più l’asti-
cella in materia di emissioni, con lo
standard Euro7. Nella forma inizial-
mente proposta dalla Commissione,
avrebbe comportato dei costi indu-
striali talmente elevati che avrebbero
messo le auto fuori mercato. I co-
struttori, consapevoli del fatto che i
prodotti sarebbero stati invendibili,
frenarono gli investimenti. Previsto
per il 2025, pochi mesi fa è uscito
abbastanza ridimensionato dal com-
promesso raggiunto tra Consiglio
d’Europa, Europarlamento e Com-
missione e anche slittato al 2027. Pur
introducendo altri limiti, tra cui il PM
prodotto da freni e pneumatici, quelli
allo scarico di PM e NOx sono in linea
con gli attuali Euro6d. Aver trovato il
punto di accordo è stato un bene,
ma nel frattempo un ritardo alla R&S
era stato procurato.
Emissioni a parte, il prodotto si è
confrontato con altre due innovazioni:
la connettività e l’autonomia – in re-
altà, assistenza alla guida.
L’auto che si muove da sola, senza
nessuno alla guida, esiste. Da più di
dieci anni sono in corso sperimenta-
zioni. Le due più famose, quella di
Waymo (Google) e la Apple Car,
sono la dimostrazione di quanta im-
portanza questi giganti della tecno-
logia attribuiscano alla mobilità – e
non della loro presunta smania di di-
ventare metalmeccanici. Tuttavia,
ancora oggi nessuno è in grado di
dire se e quando vedremo auto senza
conducente girare per le strade. Ci
sono implicazioni di tipo giuridico e
assicurativo, ma soprattutto ci si in-
terroga se una mobilità computeriz-
zata possa coesistere in un ambiente
urbano dove si muovono gli umani,
L’auto che si muove
da sola, senza nessuno
alla guida, esiste.
Tuttavia, ancora oggi
nessuno è in grado
di dire se e quando
vedremo auto senza
conducente girare
per le strade

in auto, a piedi e con tutti gli altri
mezzi. Senza entrare nelle consuete
dispute, limitiamoci a elencare cosa
entra in gioco. Sicuramente la rapidità
di reazione del computer. Ma anche
la capacità umana di immaginare e
prevedere. Poi la scelta se la reazione
migliore possa mai essere quella che
però impone di violare la norma, o
anche quella di infliggere un danno
a sé per evitarne un altro superiore a
terzi. Sullo sfondo, ci sono le valuta-
zioni etiche sul bene sacrificabile.
Nel frattempo che queste domande
trovino risposta, l’industria è andata
avanti equipaggiando le macchine
con molti dispositivi, gli ADAS, che
aiutano il guidatore. Tutti aggeggi
carini, che frenano al tuo posto, ti
mostrano la segnaletica direttamente
sul parabrezza, ti avvisano se non ne
rispetti qualcuna, ti impediscono di
oltrepassare la linea continua, ove
mai volessi farlo, tanto per citarne
qualcuno. Questa guida viene definita
non autonoma ma assistita: l’auto
prende alcune decisioni, ma il con-
trollo resta sempre nelle mani del pi-
lota.
Presi tutti insieme, contengono già
gli elementi per due questioni: la re-
sponsabilità degli eventi e l’abilità alla
guida. Il quadro normativo, sia eu-
ropeo che italiano, al momento non
consente di aumentare l’automa-
zione oltre il cosiddetto livello 2,
ma è solo questione di tempo. Senza
dubbio la responsabilità del guidatore
e del proprietario è oggetto di ri-
flessione, visto che determinate azioni
della macchina possono aver luogo
senza intervento umano. In senso
meno tecnico, la diffusione dei sistemi
di assistenza e automazione porterà
a diminuire gradualmente l’abilità di
guida delle persone.
Grazie ai furti d’auto l’Italia ha avuto
una penetrazione delle black box ele-
vata e precoce, tanto che all’inizio
del periodo già si contavano 7/8 mi-
lioni di dispositivi installati in after-
market su input delle compagnie di
assicurazione. Ma era arrivato il tempo
di connettere la vettura non solo per
evitare il furto o agevolare il recupero.
È intervenuto l’obbligo di avere a
bordo un dispositivo che in caso di
incidente grave lancia una richiesta
di soccorso, per cui l’auto doveva
uscire da fabbrica equipaggiata e in
50
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.8

grado di connettersi. Di più, in caso
di incidente le assicurazioni volevano
vederci chiaro e sapere dalla scatola
nera quale fosse stata la dinamica.
Nel frattempo, i costruttori puntavano
a monitorare quante più funzioni e
parti della macchina, in modo da age-
volarne la manutenzione ed evitare
sia malfunzionamenti sia riparazioni
di emergenza più impegnative e co-
stose.
Dentro questo scenario in rapida
evoluzione, le flotte avvertivano la
necessità di connettere le auto e po-
terle controllare nelle percorrenze e
altro, con dispositivi e applicazioni
dedicate. Insomma, le macchine han-
no aumentato lo scambio continuo
di dati con centrali remote.
Peccato che questi dati dicevano
della macchina ma raccontavano pure
del suo guidatore: dov’era, in che
giorno, a che ora, per andare dove.
Ce n’era abbastanza per i guardiani
della privacy. Il caso ha voluto che nel
2016 l’Unione Europea introducesse
il GDPR(regolamento generale sulla
protezione dei dati) che divenne
operativo nel maggio del 2018.
Come è facilmente intuibile, oggi
un’auto emette una quantità di se-
gnali/minuto elevata e crescente, che
sono anche diversi tra loro, visto che
le black box non sono tutte uguali e i
costruttori non usano tutti uno stesso
standard. Così, per essere trasformati
in informazioni questi dati devono
essere trasmessi a un server dove
vengono uniformati. A questo punto,
possono diventare merce utile per
costruire offerte di servizi dedicati
agli automobilisti, legati o meno alla
mobilità. Vale la pena ribadire che la
titolarità/proprietà del dato è un fatto
di cui tener conto lungo l’intero pro-
cesso.
Se un’auto emette segnali può anche
riceverli. Con l’aumento delle funzioni
regolate da software aumentano pure
gli interventi di manutenzione, ripa-
razione e aggiornamento che consi-
stono nel trasferire uno/più informa-
zioni al sistema operativo di bordo.
Questo trasformerà pian piano molta
parte dell’obsolescenza dei veicoli,
non quella legata all’hardware mec-
canico ma sicuramente le funzioni
attivate dal software delle centraline
di bordo. Se ciò allungherà o accor-
cerà la vita utile dei veicoli è tutto da
51
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.8

stabilire e magari dipenderà dalla
strategia del costruttore.
Questo punto conduce all’altro tema,
se le auto stiano diventando smar-
tphone su ruote. Idea affascinante,
specie per i molti tifosi del futuro
unici ad aver ben chiaro che niente-
sarà-più-come-adesso, e non priva
di qualche fondamento. Che nella
scatola ci sia più di pistoni e iniettori
è pacifico. Sia il funzionamento del-
l’auto che i suoi spostamenti nello
spazio e nel tempo (la cosiddetta
mobilità) ormai possono e debbono
beneficiare di informazioni (dati)
scambiati in tempo reale. Poi c’è lui
(o lei), il guidatore con i suoi pas-
seggeri, portatori di bisogni e ne-
cessità prima, durante e dopo il per-
corso, dentro e fuori dall’abitacolo,
la cui soddisfazione dipende dall’in-
formazione. Pertanto no, non bastano
i pistoni. Restano da vedere due cose.
Una, se i pistoni, pur non sufficienti,
siano ancora necessari. Parrebbe di
sì. Alla fine, l’auto deve muoversi.
Sarà pure una cosa banale, ma deve
accadere. Non solo, in caso di curve,
che su un tragitto potrebbero esserci,
dovrebbe essere in grado di girare
senza uscire di strada, a velocità pure
elevata e magari col fondo scivoloso.
Sia inteso, l’esempio, per tutte le fun-
zioni di spostamento e sicurezza che
l’oggetto deve continuare a garantire.
Tutte cose alla portata, certo, grazie
agli eserciti di ingegneri meccanici,
non informatici, che le sanno realiz-
zare. Forse sarà bene che continuino
a farlo.
Due, se l’extra-pistoni sia competenza
dei metalmeccanici o presunti ex.
Chi più chi meno, alcuni molto più,
hanno immaginato che l’industria
metalmeccanica dovesse diven-
tare una tech company, seguendo
la frontiera di sviluppo indicata. Una
visione che ha fatto presa su tanti
manager e consiglieri d’amministra-
zione, preoccupati che la propria
azienda potesse fare la fine di Kodak
o di Nokia, giganti di successo, in
comparti anche più avanzati dell’au-
tomobile, eppure finiti sotto il treno
di un cambiamento non visto e non
colto. Non è facile dire non-ti-pre-
occupare-a-voi-non-accadrà. Eppu-
re, potrebbe andare proprio così.
Il perno della vicenda è quel famoso
core business, concetto abbastanza
noto fino a qualche anno fa. L’indu-
stria automobilistica l’ha utilizzato e
molto. Fino a non troppi anni fa, pro-
duceva tante parti e componenti del
veicolo: la fanaleria, il cruscotto, gli
interni, giusto per fare degli esempi.
Poi man mano se ne è alleggerita,
tenendo per sé il body con motore e
cambio. Li ha terziarizzati a fornitori
capaci di farli meglio e a un costo
competitivo, specializzati in un solo
componente a cui dedicavano i ne-
cessari investimenti in R&S.
Pensare che un software di ultima
generazione sia più nelle corde di un
metalmeccanico di un sistema fre-
nante è complicato. Va bene che
l’auto diventi un po’ smartphone, ma
non è che lo debba costruire un me-
talmeccanico – per quanto ex, d’ac-
cordo. Sì, ma Nokia? E Kodak? Giusto.
Ma Nokia e Kodak erano esattamente
quello su cui sono stati superati: im-
magini e comunicazione. Una volta
trovato il modo di mostrare una foto
senza stamparla, rimaneva ben poco
che potesse proporre. Quando lo
smartphone offrì schermo grande e
scambio dati, mantenendo la comu-
nicazione vocale, non c’era molto
altro da offrire.
Prendiamo il caso del rent-a-car:
vende mobilità alle persone, in forma
di tempo e chilometri. A parte le di-
mensioni in senso generico, nessuno
sceglie il modello di auto, perché non
fa parte del core business. Il modello
no, ma l’auto come tale sì. Senza di
essa, non c’è alcun noleggio. I no-
leggiatori fanno altro, non macchine.
Però delle macchine non possono
fare a meno. Allo stesso modo, l’in-
dustria automobilistica deve chiedersi
se, una volta che altri avranno messo
a punto il più sofisticato e avanzato
software di mobilità, le persone si
troveranno in un posto diverso grazie
ad esse, ovvero avranno comunque
bisogno di un veicolo che bruciando
benzina dentro i cilindri faccia girare
le ruote.
52
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.8

Nel decennio in esame la Cina si è
inizialmente affermata per essere il
primo mercato mondiale e anche
con tassi di crescita importanti. Per
un’industria che usciva dalla crisi fi-
nanziaria 2007/2008 e poi – in Europa
– dalla crisi dei debiti sovrani, appariva
come una terra promessa verso cui
dirigere le proprie aziende. Alcune,
le tedesche, furono più brave di altre
ad affermarsi su quel succulento mer-
cato, dove ogni anno decine di milioni
di giovani affluenti entravano nella
disponibilità e nel desiderio di guidare
un’auto occidentale. Da un lato, i
nuovi clienti chiedevano questi brand
sinonimo di massima qualità, dall’altro
i tedeschi continuavano a girarsi a
oriente, verso la Russia per l’import
di energia e verso la Cina per l’export
di manufatti. Erano gli anni in cui i
partner occidentali, Stati Uniti e Unio-
ne Europea, avanzavano critiche e
mal di pancia verso questa Germania
che esportava molto più di quanto
importasse.
Per i marchi e i segmenti più di volume
sorse l’opportunità di aprire fabbriche
locali, alle condizioni imposte. Si trat-
tava di dar vita a delle joint venture
dove la maggioranza era sempre
nelle mani dell’azienda cinese, fina-
lizzate tutte a rendere disponibile alle
imprese locali il know-how dei co-
struttori occidentali. Un fenomeno
fu quello dei cloni, vere e proprie co-
pie di modelli di successo dei co-
struttori europei e americani che ve-
nivano offerti con brand locali.
Sul piano della bilancia commerciale,
la situazione era molto sbilanciata.
Secondo l’Observatory for Economic
Complexity del MIT, nella torta di
circa 700 miliardi di dollari del com-
mercio mondiale di auto, la Cina aveva
una quota del 6% in entrata (import)
e dello 0,6% in uscita (export). Una
situazione anomala per un Paese ri-
Alla fiera dell’Est
Mentre i costruttori
occidentali si
crogiolavano nelle
crescenti consegne ai
clienti cinesi, i player
cinesi pianificavano e
progettavano
un’offerta industriale
che gli avrebbe
consentito di
recuperare le quote di
mercato domestiche
e di lanciarsi alla
conquista dei mercati
esteri
53
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.9

conosciuto come “la fabbrica del
Mondo” con un surplus commerciale
sopra i 500 miliardi di dollari. Mentre
i costruttori occidentali si crogiolavano
nelle crescenti consegne ai clienti ci-
nesi, tanto che quel mercato è arrivato
a pesare la metà dei profitti, i cinesi
pianificavano e progettavano un’of-
ferta industriale che gli avrebbe con-
sentito di recuperare le quote di mer-
cato domestiche e di lanciarsi alla
conquista dei mercati esteri. Nel 2023,
mentre la torta ha quasi toccato gli
800 miliardi, la quota export era più
o meno allineata a quella import, in-
torno al 6%, ma con buone prospet-
tive di aumentare negli anni a venire.
Guardando al mercato interno, al-
l’inizio del decennio i costruttori esteri
coprivano in volume quasi 2/3 delle
vendite mentre oggi sono a 1/3 e in
ulteriore discesa.
Oggi le auto cinesi hanno un design
accattivante, in linea con i gusti eu-
ropei e americani, soprattutto quelli
dei clienti più giovani. Inoltre, vantano
dotazioni tecnologiche di avanguardia
in tutti quei dispositivi che saranno
pure ancillari ma attirano l’attenzione
e spesso influenzano la scelta. Magari
non sono ancora al livello dei nostri
migliori prodotti sulla tecnologia mo-
toristica, ma quanti automobilisti sono
ormai in grado di valutarla?
In questi anni le auto cinesi sono
state raccontate come auto elettriche.
Il punto merita un chiarimento.
I cinesi fabbricano e vendono auto
termiche e auto elettriche. Non risulta
alcuna preferenza di tipo ideologico
da parte loro verso quelle elettriche.
Tuttavia, è vero che nel mercato do-
mestico queste siano avvantaggiate,
con sgravi economici e disponibilità
di prodotto. Ottenere una targa per
un’auto elettrica è di gran lunga più
semplice, più rapido e più economico
che per una termica.
Ciò è riconducibile a specifiche esi-
genze di riduzione delle emissioni in-
quinanti, non la CO
2
, nelle grandi me-
galopoli. Al tempo stesso, consente
di evitare o contenere la dipendenza
dalle forniture petrolifere straniere
per l’autotrazione. Ma forse la ragione
principale è di favorire l’offerta di
prodotti locali, che vantano una tec-
nologia d’avanguardia sulle batterie
e sulla propulsione elettrica in gene-
rale. Questa supremazia è il risultato
di un piano decennale varato dal Go-
verno di Pechino nel 2015 e che pun-
tava a trasformare il comparto da
fabbrica di prodotti altrui a potenza
tecnologica. Il dominio quasi assoluto
sulle materie prime necessarie alla
fabbricazione di batterie è senz’altro
parte del piano.
C’è infine un’ipotesi, non suffragata
e di forte odore complottista, che la
Cina sia stata attiva nel supportare
54
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.9

la svolta dei mercati europei verso la
propulsione elettrica, la cui motiva-
zione resta comunque avvolta dal
mistero. Le ragioni sarebbero varie.
Da un lato, indebolire l’industria eu-
ropea, cosa effettivamente avvenuta.
Dall’altro, beneficiare della supremazia
sulle materie prime e sulle batterie
nei confronti dei costruttori occiden-
tali. Infine, spostare il terreno di com-
petizione dal termico all’elettrico con-
sentiva pure di evitare quel gap tec-
nologico che l’industria europea an-
cora vanta, soprattutto agli occhi dei
clienti. È un’ipotesi difficile da ac-
cettare, per mancanza di evidenze
fattuali e pure perché l’Europa non
ha mai dato segno di aver bisogno
di spinte esterne per compiere le
scelte verso la transizione.
Da alcuni anni i prodotti cinesi sono
offerti in Europa e in Italia, con tre
strategie. Una è la partnership con
un imprenditore locale a cui fornire
prodotti semi-lavorati da finire, con
percentuali via via sempre minori di
interventi. Un’altra è l’acquisizione di
brand storici locali da usare su prodotti
cinesi. Infine, l’offerta di prodotti con
brand cinesi.
Due elementi sono degni di nota.
Uno è la proliferazione di brand,
tutti sconosciuti e tutti da affer-
mare, in un mercato abituato a mar-
chi storici che erano già sul mercato
prima che anche il più anziano dei
clienti nascesse. L’altro è la velocità
con cui stanno guadagnando quo-
te di mercato, specie se confrontati
con chi li ha preceduti sulla stessa
rotta. I giapponesi arrivarono negli
anni ’80 e in 40 anni hanno raggiunto
in Italia una quota volume intorno al
12%. I coreani, in quasi 30 anni sono
arrivati al 6%. I cinesi in meno di un
lustro sono sopra il 4%. È vero che
hanno intercettato in questi ultimi
anni due congiunture favorevoli. Da
un lato, la disponibilità di prodotto
mentre i costruttori incumbent fati-
cavano a trovare i chip per poter
finire l’assemblaggio e consegnare
le macchine. Dall’altro, quella fascia
di mercato di primo prezzo che sem-
pre gli stessi produttori hanno lasciato
scoperta, per privilegiare le vendite
di prodotti a margini superiori.
Tutto lascia prevedere che la partita
giocata in questi dieci anni abbia
messo il gigante asiatico nelle migliori
condizioni per conquistare una quota
importante del mercato europeo.
Questa crescita porta con sé anche
l’opportunità di avere delle produ-
zioni in loco, cosa che si sta già ma-
terializzando.
55
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.9

Insieme al diesel-gate e alla transi-
zione elettrica, Tesla è certamente il
fenomeno più rilevante dei dieci anni.
Una start-up così non s’era mai vista
nell’auto. Nata nel 2003 da un’idea
geniale di Elon Musk, che già aveva
creato e poi venduto Paypal, il sistema
di pagamento, su un impianto dismes-
so in California di una joint-venture
GM/Toyota, ha raccolto e bruciato
circa 100 miliardi di dollari senza alcun
ritorno se non il valore del titolo che
continuava comunque a crescere.
Nel 2015 i primi dieci gruppi auto-
mobilistici, senza Tesla, valevano in
borsa 700 miliardi e Toyota da sola
200. Nel 2020 Tesla era diventata la
prima e valeva 550 miliardi, mentre
le altre nove stavano ancora all’incirca
sui valori di cinque anni prima, con
Toyota adesso seconda a 197. Alla
fine del periodo in esame il titolo
viaggiava intorno ai 750 miliardi di
capitalizzazione.
In pochi anni abbiamo visto tante
cose da Tesla. Un modello “popolare”
annunciato e spesso ritardato, con
consegne che arrancavano. Una fab-
brica in Cina e un’altra in Germania.
Tagli prezzi nell’ordine del 20% senza
alcun riguardo per il valore residuo
di chi aveva già acquistato l’auto in
precedenza. Il primato di auto più
venduta al mondo. Ma più di ogni
altra cosa, Tesla è stato il mal di testa
degli altri costruttori, che ne sono
stati ammaliati e spiazzati.
Eppure, tutta la storia e gli indicatori,
sia economici che finanziari, lascia-
vano facilmente capire che non si
trattasse di un’auto nel senso tradi-
zionale e che non c’era spazio né per
imitazioni né per emulazioni. Tesla è
un prodotto diverso da tutte le altre
auto. Non in fabbrica, certo, ma in
salone e per il cliente sì, per riprendere
il grande insegnamento di marketing
di Charles Revson: “In fabbrica pro-
“in negozio vendiamo
speranza”
Nel 2015 i primi dieci
gruppi automobilistici,
senza Tesla, valevano
in borsa 700 miliardi e
nel 2020 Tesla era
diventata la prima e
valeva 550 miliardi
57
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE 1.10

duciamo cosmetici, in negozio ven-
diamo speranza”.
Aver pensato che Tesla avesse aperto
una strada nella quale potersi infilare
tutti è stato un errore. I clienti scel-
gono Tesla per la sua unicità. Unica
perchè vende solo auto elettriche.
Unica perché non ha una storia pre-
gressa. Unica perché mette la tec-
nologia infotainment sopra quella
meccanico-motoristica. Unica perché
è stata la prima e i tentativi venuti
dopo non hanno avuto alcun suc-
cesso. Unica, in una parola, perché ti
fa sentire unico.
Quella strada esiste finchè a percor-
rerla è solo Tesla. Per gli altri non c’è
nessuna strada, non c’è mai stata.
Gli altri vendono auto elettriche, ma-
gari anche migliori di Tesla, ma sono
e resteranno macchine elettriche.
Aver disegnato strategie e investi-
menti avendo in testa Tesla è parte
non marginale del prezzo che tanti
costruttori stanno pagando e pa-
gheranno.
58
PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.10

DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO
02

61
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.1
Parco circolante
Fig. 1 - Parco circolante per tipologia veicolo. 2023
(Fonte ACI)
Il parco circolante in Italia a fine 2023 è
costituito da 58,4 milioni di veicoli, tra
questi le autovetture rappresentano il
segmento più numeroso con quasi 41
milioni di unità.
I motocicli sono circa 7,5 milioni, mentre
gli autocarri ammontano a quasi 5,3 mi-
lioni. Poi ci sono altre tipologie di veicoli,
i motocarri e le motrici, gli autobus e
altri che rappresentano complessiva-
mente 1,1 milioni di unità.
Le vetture circolanti in Italia a fine 2023 sono 40,9 milioni.
Il trend è in costante crescita; media-
mente le autovetture sono aumentate
ogni anno di oltre 426 mila unità.
Il parco circolante non rappresenta esat-
tamente il numero di auto che circolano
sulle strade italiane, perché ci sono
alcune vetture che sono parcheggiate
nei garage o abbandonate sulle strade
che non vengono utilizzate da diversi
anni e che non sono neanche assicurate.
Dall’inizio del 2024 qualcosa dovrebbe
cambiare. Infatti, dopo un lungo iter a
fine dicembre 2023 è scattato l’obbligo
di assicurare i veicoli che sono fermi. In
concreto, l’assicurazione diventa obbli-
gatoria anche se il veicolo non circola.
Fig. 2 - Parco circolante autovetture
(Fonte ACI)

62
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.1
Fig. 3 - Parco circolante autovetture per alimentazione
(Fonte ACI)
Fig. 4 - Parco circolante auto per brand. 2023
(Fonte ACI)
Nel 2023 il 43% del parco auto in Italia è
alimentato a benzina, il 41% a gasolio.
Solo il 16% è costituito da alimentazioni
alternative, tra le quali il GPL è quella
più rappresentativa con il 7%, mentre
le ibride sia elettriche che a benzina
raggiungono il 5%.
Il diesel in 5 anni, dal 2000 al 2005, ha
raddoppiato il numero di unità circolanti,
passando da 5 a 10 milioni. Dal 2005 in
poi l’alimentazione a gasolio è sempre
cresciuta fino ad arrivare al 2023 dove
si registra la prima flessione, confermata
dal calo dell’immatricolato che vedremo
evidenziata in dettaglio nel capitolo de-
dicato al nuovo. Come contraltare, si
registra un vistoso calo dell’alimentazione
a benzina dal 2000 fino al 2022 per poi
invertire la tendenza nel 2023.
Relativamente ai brand, più di 10 milioni di vetture circolanti in Italia sono Fiat, segue Volkswagen con oltre 3 milioni, e Ford con 2,7 milioni.

63
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.1
Nelle regioni con un numero di abitanti
più elevato, si registra, di conseguenza,
anche il maggior numero di vetture cir-
colanti. Una vettura su 6 circola in Lom-
bardia. Mentre una su 10 è nel Lazio.
Nelle prime cinque regioni, Lombardia,
Lazio, Campania, Sicilia e Veneto circola
oltre la metà delle auto totali.
La distribuzione del parco circolante vetture per classe di cilindrata ha subito delle profonde modifiche nel corso degli ultimi 10 anni, dettate principalmente dalla tecnologia delle case costruttrici che hanno proposto vetture con cilin- drate minori senza cedere a livello di prestazioni. Oggi, infatti, grazie alla tec-
nologia disponibile, è possibile ottenere
la stessa potenza con motori più piccoli
ed efficienti rispetto a vetture più da-
tate.
La classe di cilindrata compresa tra 1200
e 1600 è cresciuta di ben 14 punti per-
centuali passando dal 35% del 2005
fino ad arrivare al 49% del 2023. Per lo
stesso motivo la classe di cilindrata com-
presa tra 1600 e 2000 è diminuita di 7
punti percentuali passando dal 25% del
2005 fino ad arrivare al 18% del 2023.
Fig. 5 - Parco circolante auto per regione. 2023
(Fonte ACI)
Fig. 6 - Parco circolante auto per cilindrata
(Fonte ACI)

64
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.1
In Italia a fine 2023 il 36% di vetture cir-
colanti rientra nella categoria della classe
Euro 6, direttiva che è entrata in vigore
per le immatricolazioni da settembre
2015. Le auto Euro 5 rappresentano il
16%. Mentre continua ad essere molto
alto (circa 9 milioni) il numero di auto-
vetture circolanti riferite alla classe Euro
4. Le vetture più inquinanti, cioè quelle
compreso tra Euro 0 e Euro 3 rappre-
sentano il 26%.
L’invecchiamento del parco circolante italiano mostra una dinamica crescente negli ultimi 10 anni. Nel 2014 le auto ita- liane circolanti avevano un’età di 9,9 anni, negli anni successivi e fino al 2020 questa è cresciuta di 1,9 anni. Poi nel 2020 è rimasta costante rispetto all’anno precedente (11,8 anni), per poi riprendere a crescere nel 2021 quando ha raggiunto il dato più elevato pari a 12,5 anni che è rimasto stabile nel 2023.
Fig. 7 - Parco circolante auto per classe euro
(Fonte ACI)
Fig. 8 - Parco circolante auto per anzianità
(Fonte ACI)

65
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.1
Il fenomeno dell’invecchiamento del
parco circolante è ancora più evidente
analizzando la distribuzione percentuale
del parco auto per anzianità. Il grafico
evidenzia che le auto più anziane di-
ventano, con il passare degli anni, per-
centualmente sempre più numerose e,
viceversa, quelle più giovani diminui-
scono.
Infatti, la classe di età “oltre i 20 anni” è
passata dal 10% del 2010 al 23% del
2023, così come la classe di età da “15 a
20 anni” che è aumentata di 10 punti
percentuali in 13 anni. Mentre le auto
fino a 15 anni, che rappresentavano l’82%
nel 2010, nel 2023 sono scese al 59%.
In Italia il tasso di motorizzazione è par- ticolarmente elevato.
Circolano 69 auto per 100 abitanti. Tut-
tavia, le differenze tra le città italiane
sono notevoli. Firenze possiede il tasso
di motorizzazione più alto, 86,4 auto
per 100 abitanti, mentre l’ultima nel ran-
king è Milano, dove circolano sono 57
auto per 100 abitanti.
Fig. 9 - Parco circolante auto per anni di anzianità
(Fonte ACI)
Fig. 10 - Auto x 100 abitanti. 2023
(Fonte ACI)

66
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.1
La radiazione è la cessazione dalla cir-
colazione di un’auto. Quando una vettura
viene radiata esce automaticamente dal
pubblico registro automobilistico e quindi
dai conteggi del parco circolante.
Le principali cause di radiazione di un
veicolo sono la demolizione e l’espor-
tazione. Poi ci sono atre ragioni il cui
peso percentuale è molto basso.
Le radiazioni di vetture dal 2014 al 2019
hanno avuto un andamento crescente.
Poi nel 2020 con il COVID c’è stata una
forte frenata, correlata anche ad un dra-
stico calo delle immatricolazioni. Suc-
cessivamente c’è stata la ripresa nel
2021 con circa 1,5 milioni unità radiate e
un nuovo pesante tracollo culminato
con 990mila radiazioni nel 2023.
Le vetture radiate nel 2023 sono state 986mila; 7 su 10 per demolizione e 3 su 10 per esportazione.
Il 73% delle vetture radiate nel 2023
aveva oltre 16 anni di anzianità, il 15%
un’età compresa tra 11 e 15 anni, mentre
il restante 12% da 1 a 10 anni.
Due vetture su 5 radiate sono comprese
tra Euro0 ed Euro3. Tre su 10 sono
Euro4. Mentre le Euro5 e 6 rappresen-
tano il 20% del totale.
Fig. 11 - Radiazioni autovetture
(Fonte ACI)
Fig. 12 - Radiazioni auto per classe euro
(Fonte ACI)

67
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.1
È interessante osservare il fenomeno
delle radiazioni per classe di emissioni
Euro. Più l’auto è datata più viene radiata
dal parco circolante. Questo fenomeno
è visibile fino alle Euro2 di cui nel 2023
ne sono state radiate il 6,3% di quelle in
circolazione a fine 2022.
Invece, solo il 2,2% delle Euro1 è stato
radiato. Probabilmente questo dipende
dal fatto che molti proprietari di auto
vecchie, che non hanno quasi alcun va-
lore di mercato, preferiscono continuare
ad utilizzarle, fino a che marciano, magari
per pochi chilometri su brevi distanze.
Ogni anno viene acquistato un quanti- tativo di auto, tra nuove e usate, pari all’11% dell’intero parco circolante. Nel 2023 è stato pari al 10,6%, mentre nel 2022 si era registrato il picco negativo pari al 9,8%.
Il ciclo di acquisto medio, di auto nuove
e usate, è di 9 anni.
Più in dettaglio, le auto di prima imma-
tricolazione, che vanno ad incrementare
il parco circolante, pesano il 4,2%.
Le auto che, invece, escono dal parco,
per rottamazione o per esportazione
sono in media il 3,4% del parco, indicando
una vita media intorno ai 29 anni.
Fig. 13 - Radiazioni per circolante
(Fonte Centro Studi Fleet&Mobility)
Fig. 14 - Transazioni e radiazioni su parco circolante
(Fonte Centro Studi Fleet&Mobility su dati ACI)

69
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.2
Mercato del nuovo
Fig. 1 - Immatricolazioni autovetture
(Fonte Unrae)
Prima del 2014 il punto più elevato delle
vendite è stato raggiunto nel 2007 grazie
agli incentivi all’acquisto. Successivamente
la crisi economica ha causato la diminu-
zione della domanda con il picco negativo
del 2013 con 1.300mila vetture. Dal 2014
è iniziato un parziale recupero che ha
portato il mercato a raggiungere nel 2017
la quota di quasi 2 milioni di unità.
Poi nel 2018 c’è stato un calo del 3%;
mentre nel 2019 le immatricolazioni sono
state in linea con il 2018. Il 2020, per le
note vicende legate al COVID, è stato
un anno difficilissimo per il settore auto-
motive che ha riportato il mercato ai livelli
del 2013. Nel 2021 la crescita è stata pari
al 6%, si sono registrate quasi 82.000
immatricolazioni in più, che non com-
pensano certo le 555.000 unità in meno
del 2020. Poi di nuovo un nuovo calo
dell’8% nel 2022, per finire con la ripresa
del 2023 che ha portato a quasi 1600mila
immatricolazioni.
Nel corso di 10 anni è cambiata notevol- mente la distribuzione delle immatrico- lazioni per tipologia di canale.
I privati in 10 anni hanno perso circa 7
punti percentuali passando dal 62% al
55%. Il noleggio, al contrario, è il canale
che ha guadagnato più punti percentuali,
ben 10 dal 2014 al 2023.
Il canale società, la cui percentuale è oscil-
lata poco nei 10 anni, comprende gli ac-
quisti in leasing ma anche le auto imma-
tricolazioni delle case e dei concessionari.
Nelle auto immatricolazioni rientrano sia
le vetture utilizzate come demo per i
clienti o per le prove di guida dei giornalisti,
ma anche le così dette km0.
Fig. 2 - Immatricolazioni autovetture per canale
(Fonte Unrae)

70
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.2
La distribuzione delle immatricolazioni
per tipologia di carrozzeria mostra senza
ombra di dubbio il successo dei Suv che
hanno guadagnato in 10 anni 37 punti
percentuali. Si tratta di una vera rivolu-
zione nelle dimensioni, nelle forme e
nel design delle autovetture. Tutte le
altre carrozzerie risultano ridimensionate:
le berline passano dal 57% al 36%, le
MPV (multi purpose vehicle) e le sportive
perdono 7 punti, così come le station
wagon che passano dal 7% al 4%.
Le emissioni medie di CO
2
calcolate
come grammi al chilometro delle auto-
vetture immatricolate sono scese dal
2014 al 2016 di 5,4 grammi. Poi nei due
anni successivi hanno ripreso a salire,
raggiungendo nel 2018 il valore di 115,1
grammi al chilometro.
Fino al 2018 le emissioni medie venivano
calcolate con il sistema NEDC. Dal 2019
in poi si è passati al nuovo sistema WLTP
(Worldwide harmonized Light-Duty ve-
hicles Test Procedure).
Usando questa nuova metodologia le
emissioni medie risultano decisamente
in discesa.
Dal 2019 al 2022 le emissioni medie di
CO
2
sono diminuite di 24 grammi al chi-
lometro. Nel 2023 si è registrato un leg-
gero incremento di tale valore.
Fig. 3 - Immatricolazioni autovetture per carrozzeria
(Fonte Unrae)
Fig. 4 - Emissioni medie ponderate di C02 (g/km) di auto nuove
(Fonte Aci)

71
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.2
La distribuzione automobilistica italiana
ha subito nel corso degli anni un pro-
fondo processo di concentrazione.
Il numero dei concessionari, infatti, si è
più che dimezzato, passando da 3.000
del 2007 fino ridursi a 1.100 negli ultimi
anni.
Inoltre, i dealer monobrand nel 2007
rappresentavano il 75% del totale e i
multibrand il restante 25%. Nel corso
degli anni la forbice tra i due modelli si è
andata via via assottigliando fino a rag-
giungere nel 2023 una situazione di
quasi pareggio (51% monobrand vs 49%
multibrand).
Il processo di concentrazione dei dealer ha comportato un incremento vistoso del giro d’affari medio per operatore. Tale valore è costantemente aumentato dal 2007, anno in cui era pari a 24 milioni di euro, al 2023 in cui ha superato i 48 milioni, con la sola eccezione del 2020.
Anche il profitto prima delle tasse è più
che triplicato passando dallo 0,8% del
2007 fino ad arrivare al 2,7% del 2023.
Fig. 5 - Trend dei mandati dealer
(Fonte: Federauto/Dekra)
Fig. 6 - Trend fatturato vs E.B.T. 2008/2023
(Fonte: Dekra)

72
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.2
Fig. 7 - Ricavi gestione caratteristica primi 100 dealer
(Fonte ADR Italia Bilanci)
I primi 15 dealer (classificati in ragione
dell’ammontare dei ricavi) generano
globalmente quasi 6 miliardi di euro di
giro d’affari. Tra questi, il primo Auto-
torino produce da solo oltre 1,6 miliardi
di euro. I primi 15 dealer sviluppano un
giro d’affari medio unitario di 399 milioni
di euro.
Mentre i dealer che si classificano dal
91esimo al centesimo posto producono
un fatturato medio unitario di 68 milioni
di euro.

73
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.3
Mercato auto a valore
Fig. 1 - Mercato auto a valore
(Fonte Fleet&Mobility)
Il “mercato auto a valore” è una ricerca
realizzata dal Centro Studi Fleet&Mobility
a partire dal 2006 e rappresenta uno
strumento utile per misurare le vendite
di auto dal punto di vista economico-
finanziario e per capire le reali dimensioni
del business delle auto nuove.
Lo studio calcola la spesa annuale degli
italiani per l’acquisto di auto nuove.
Il trend delle vendite a valore segue ov-
viamente quello delle immatricolazioni
a volume. Tuttavia, l’intensità delle va-
riazioni a valore è diversa da quella a
volume per l’effetto dei prezzi. Tale fe-
nomeno è visibile soprattutto negli ultimi
anni.
Nel 2014 gli italiani hanno speso 25,4
miliardi di euro per comprare 1,4 milioni
di autovetture. Il valore, seguendo il
trend delle vendite, è cresciuto fino al
2017, anno in cui per acquistare quasi 2
milioni di autovetture sono stati spesi
39,9 miliardi di euro.
Poi c’è stata una leggera flessione di
volumi nel 2018 e 2019, ma il valore è ri-
masto alto specialmente nel 2019, in cui
ha raggiunto la quota di 40 miliardi di
euro.
Il triennio 2020-2022 è stato catastrofico
per i volumi di vendite ma non per i
valori. Infatti, nel 2022 con appena 1,3
milioni di autovetture vendute, sono
stati spesi 37,6 miliardi di euro, addirittura
1,3 miliardi in più del 2016 quando i volumi
erano nettamente più alti (quasi 1,9
milioni di autovetture). La ragione è da
rintracciare nell’incremento del prezzo
medio, a cui abbiamo dedicato un pa-
ragrafo specifico.
Fig. 2 - Immatricolazioni auto a valore per canale
(Fonte Fleet&Mobility)

74
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.3
Nel 2014 gli italiani hanno speso media-
mente 18.500 euro per acquistare un’au-
to nuova. Dieci anni dopo, nel 2023, il
valore medio unitario è aumentato di
10.000 euro. L’incremento del valore
unitario è stato del 56%.
Sono stati cruciali gli ultimi 4 anni. Infatti,
dal 2014 al 2019 il prezzo medio è cre-
sciuto di quasi 2.500 euro, il che equivale
ad una crescita media annuale di circa
500 euro. Mentre, dal 2019 al 2023 il
prezzo è cresciuto di quasi 8.000 euro.
Cioè, quasi 2.000 euro all’anno.
La distribuzione delle immatricolazioni a valore per tipologia di canale mantiene la stessa tendenza di quella a volume, ma le percentuali sono leggermente di- verse.
Infatti, nel 2023 il peso dei privati è pari
al 52%, mentre nella distribuzione per-
centuale a volume è pari al 55%. Così
come il peso del noleggio che è pari al
31% (contro un 29% della distribuzione
a volume).
Il canale noleggio ha un prezzo medio unitario superiore a quello dei privati per- ché il mix degli acquisti è più concentrato verso i segmenti più alti, che hanno prezzi di listino più elevati. Dobbiamo, inoltre, considerare che soprattutto il noleggio a lungo termine ordina per i propri clienti le versioni business dei modelli di auto che hanno valori più alti rispetto alle media delle altre versioni.
Nel 2023 il prezzo medio del canale no-
leggio è stato di 31.000 euro, quasi
4.000 euro in più rispetto al prezzo me-
dio dei privati.
Stesso discorso del noleggio, dicasi per
il canale società, dove è ancora più evi-
dente negli acquisti la presenza di brand
premium, come Mercedes, Bmw e Audi.
Fig. 4 - Prezzo medio auto nuove per canale
(Fonte Fleet&Mobility)
Fig. 3 - Prezzo medio auto nuove
(Fonte Fleet&Mobility)

75
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.3
Le decisioni sulle emissioni dei veicoli
da parte del Parlamento Europeo hanno
spinto le case automobilistiche a adattare
la propria offerta sul mercato.
Gli effetti sulle vendite per alimentazione
sono evidenti. Le vetture ibride, con
una cavalcata impressionante, hanno
raggiunto nel 2023 la leadership di mer-
cato con una quota a volume del 36% e
a valore del 37%. Basti pensare che ap-
pena nel 2019 avevano un peso per-
centuale irrisorio pari al 6% e all’8%.
Al contrario, tra i motori endotermici il diesel è quello più penalizzato dalle de- cisioni di Bruxelles e dalle iniziative di alcuni comuni che hanno vietato l’ac- cesso alle vetture più datate.
In pochi anni il diesel è passato da essere
l’alimentazione scelta da 3 italiani su 5,
a rappresentare appena il 20% delle
vendite.
Fig. 5 - Trend quota a valore e a volume auto ibride
(Fonte Fleet&Mobility)
Fig. 6 - Trend quota a valore e a volume auto diesel
(Fonte Fleet&Mobility)

76
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.3
Destino leggermente diverso per il ben-
zina che, anche se ha ceduto qualche
punto percentuale di rappresentatività,
rimane ancorata a circa un 30% di quota.
Le plug-in non decollano. Nel 2023 pe- sano appena il 4% del volume comples- sivo delle vendite e il 7% del valore del mercato.
Fig. 8 - Trend quota a valore e a volume auto plug-in
(Fonte Fleet&Mobility)
Fig. 7 - Trend quota a valore e a volume auto benzina
(Fonte Fleet&Mobility)

77
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.3
Le auto a GPL e metano rappresentano
una tecnologia di certo non innovativa
e che è adottata da poche case auto-
mobilistiche. Però rappresentano una
scelta che alcuni italiani continuano a
fare per mantenere un profilo di spesa
contenuto con riferimento all’uso della
propria vettura.
Le auto elettriche hanno ancora una scarsa rappresentatività. Appena il 4% a volume e il 6% a valore. Diverse le motivazioni: i prezzi sono ancora troppo alti per favorirne uno sviluppo adeguato. Inoltre, l’auto elettrica, con le strutture attuali di ricarica presenti nelle nostre città, difficilmente potrà sostituire la pri- ma vettura della famiglia, soprattutto per coloro con non dispongono di un box per la ricarica. Oggi l’italiano medio non la considera come un’opzione per la sua mobilità.
Fig. 9 - Trend quota a valore e a volume auto GPL e Metano
(Fonte Fleet&Mobility)
Fig. 10 - Trend quota a valore e a volume auto elettriche
(Fonte Fleet&Mobility)

78
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.3
Mercato auto a valore. Top 15 brand a valore e volume
Le tabelle successive riportano le classiche a valore e volume dei top 15 brand e dei top 15 model ordinate in base al valore.

79
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.3
Mercato a valore. Top 15 model a valore e volume

81
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.3
Fig. 11 - Mercato auto noleggio a valore
(Fonte Fleet&Mobility)
Fig. 12 - Mercato auto noleggio a valore per canale
(Fonte Fleet&Mobility)
Il valore delle vendite di auto in noleggio
è raddoppiato in 7 anni. Infatti, nel 2014
il valore era pari a 7,4 miliardi di euro e
nel 2023 ha superato i 14 miliardi.
L’anno horribilis del noleggio è stato il
2020. Con la crisi della produzione le
case automobilistiche preferirono ven-
dere le poche vetture prodotte ai clienti
privati che assicuravano una remunera-
zione migliore rispetto a quella del no-
leggio. I noleggiatori non potendo so-
stituire le vetture in scadenza di contratto
con quelle nuove, furono costrette ad
estendere la durata contrattuale con i
propri clienti.
La distribuzione percentuale del valore delle immatricolazioni tra noleggio a lun- go e a breve mostra che nel triennio 2016-2018 7 auto su 10 immatricolate a noleggio erano state acquistate dagli operatori del lungo termine. Negli ultimi 4 anni è aumentato gradualmente il peso del lungo termine che nel 2023 è arrivato all’86% di rappresentatività.

82
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.3
Nel 2016 gli operatori del noleggio hanno
speso mediamente 20.000 euro per
acquistare un’auto nuova. Sette anni
dopo, nel 2023, il valore medio unitario
è aumentato di quasi 11.000 euro. L’in-
cremento del valore unitario è stato del
53%.
La crescita esponenziale si concentra
negli ultimi quattro anni in cui il prezzo
medio è cresciuto di 9.300 euro, il che
equivale ad una crescita media annuale
di circa oltre 2.300 euro all’anno.
Il noleggio a lungo termine presenta un prezzo medio unitario di gran lunga più elevato rispetto al noleggio a breve. Mediamente nei 10 anni considerati, il delta medio è di oltre 4.600 euro.
Il noleggio a breve termine ha una clien-
tela diversa rispetto al lungo termine.
Si rivolge soprattutto a turisti. Di con-
seguenza, il mix di acquisti è più sbilan-
ciato verso vetture di segmenti più bassi
e con dotazioni minori rispetto a quello
del lungo termine. Inoltre, il breve termine
è considerato dalle case automobilistiche
un canale sul quale spingere se si vuole
mantenere o incrementare la quota di
vendite. Questo fenomeno incide sulle
percentuali di sconto, mediamente più
elevate rispetto agli altri canali, che gli
operatori del breve ottengono dalle
case.
Fig. 14 - Prezzo medio auto nuove a noleggio per canale
(Fonte Fleet&Mobility)
Fig. 13 - Prezzo medio auto nuove a noleggio
(Fonte Fleet&Mobility)

83
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.3
Mercato auto a valore. Top 15 brand a valore e volume
Le tabelle successive riportano le classiche a valore e volume della ricerca “il mercato a valore noleggio” dei top 15 brand e dei
top 15 model ordinate in base al valore.

84
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.3
Mercato auto a valore noleggio. Top 15 model a valore e volume

85
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.4
Mercato dell'usato
Fig. 1 - Trasferimenti di proprietà lordi di autovetture
(Fonte Aci)
I passaggi di proprietà lordi di autovetture
sono tecnicamente le registrazioni al
pubblico registro automobilistico (PRA)
dei trasferimenti di proprietà di auto a
prescindere dalla tipologia dell’acqui-
rente.
Rientrano, quindi, in questa categoria
le minivolture che tecnicamente sono
le registrazioni al PRA dei trasferimenti
di proprietà di auto a favore di conces-
sionari, ai fini della rivendita a terzi. In
pratica sono le permute.
Di conseguenza i trasferimenti netti
sono i passaggi di proprietà lordi a cui
vanno sottratte le minivolture.
In 10 anni i passaggi di proprietà lordi di
autovetture sono passati da 4,3 milioni
a 5 milioni.
È rimasto più o meno costante il peso percentuale tra i trasferimenti netti e le minivolture di autovetture. Circa 6 tra-
sferimenti su 10 sono netti e 4 sono mi-
nivolture.
Fig. 2 - Trasferimenti netti e minivolture di autovetture
(Fonte ACI)

86
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.4
I trasferimenti netti di autovetture co-
stituiscono il vero mercato dell’usato.
Dal 2014 al 2019 c’è stata una costante
e rilevante crescita dei trasferimenti di
proprietà di autovetture che sono passati
da 2,6 milioni a 3,1 milioni, quasi 550mila
in più.
Poi c’è stata la flessione dovuta al Covid
nel 2020, ma nel 2021 il mercato è ri-
partito recuperando in parte, con più di
3 milioni di passaggi, i numeri persi nel
2020.
Successivamente si registra una nuova
flessione nel 2022 con 2,7 passaggi per
poi chiudere il 2023 con 2,9 milioni di
passaggi, più di 180mila rispetto all’anno
precedente.
Per ogni autovettura immatricolata, si
verificano 2 passaggi netti di proprietà.
Questo vuol dire che il mercato del-
l’usato, numericamente è il doppio di
quello del nuovo.
Il rapporto usato netto/nuovo ha rag-
giunto il tetto massimo di 2,3 nel 2020,
anno in cui la crisi della produzione mon-
diale automobilistica ha generato meno
immatricolazioni, incrementando il divario
dell’usato verso il nuovo.
Fig. 4 - Rapporto usato netto/nuovo
(Fonte Aci)
Fig. 3 - Trasferimenti di proprietà netti di autovetture
(Fonte Fleet&Mobility)

87
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.4
Fig. 5 - Trasferimenti netti di autovetture per anzianità
(Fonte Aci)
Fig. 6 - Trasferimenti netti di autovetture per alimentazione
(Fonte Aci)
È interessante notare come dal 2014 in
poi sia aumentata l’anzianità media dei
trasferimenti di proprietà netti di auto-
vetture. Infatti, la classe delle auto più
“giovani” cioè quelle “fino a 10 anni” è
diminuita passando dal 59% nel 2014 al
46% nel 2023. Come pure la classe da
“10 a 15 anni”, la cui rappresentatività è
diminuita di 5 punti in 10 anni.
Al contrario, le auto più “anziane” cioè
quelle da “15 a 20 anni” e quelle “oltre
20 anni” sono aumentate rispettiva-
mente di 10 e di 8 punti percentuali.
La fotografia del trend della distribuzione dei passaggi di proprietà nei 10 anni mostra alcuni fenomeni interessanti. Pri- ma di tutto l’alimentazione regina è il diesel con la stessa quota di 10 anni fa (47%). È interessante paragonare tali percentuali al tracollo che la stessa ali- mentazione ha avuto nelle statistiche delle immatricolazioni dove è scesa dal 55% (2014) al 18% (2023).
L’alimentazione a benzina in 10 anni ha
perso 8 punti percentuali, gli stessi che
sono stati guadagnati da quelle alter-
native che comprendono il GPL, il me-
tano, le ibride e le elettriche.

88
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.4
Nel 2023, su 2,9 milioni di trasferimenti
di proprietà netti, 525 mila sono intra-
regionali, cioè si tratta di autovetture
che sono state immatricolate in una re-
gione e sono state vendute in un’altra.
I trasferimenti infra regionali, anche se il
loro peso è aumentato di appena 2 punti
percentuali in 10 anni, rappresentano un
fenomeno interessante da monitorare
perché con l’affermazione delle vendite
on-line di usato potrebbero registrare
aumento importante nei prossimi anni.
Per analizzare il reale mercato dell’usato è opportuno sottrarre ai passaggi netti le auto a km0. Queste rappresentano le vetture immatricolate dalle concessionarie (su spinta delle Case automobilistiche) che successivamente verranno vendute ai clienti con sconti maggiori rispetto alle vetture nuove ancora da immatricolare. Al momento della vendita dell’auto a km0, c’è tecnicamente un passaggio di proprietà dal dealer al cliente, che quindi statisticamente viene considerato come usato. Dal punto di vista sostanziale, però, le auto a km0 non hanno percorso ne- anche un km e quindi devono essere considerate, ai fini dell’analisi del mercato, auto nuove e quindi devono essere sot- tratte ai numeri dell’usato. Seguendo questo criterio il mercato dell’usato nel 2023 è stato pari a oltre 2,7 milioni, in aumento del 5% rispetto al 2022. Bisogna evidenziare che nel 2022 c’è stato un ri- corso meno marcato ai km0, in totale 113mila, il numero più basso da quando si inizia a contarli, cioè dal 2016.
Fig. 8 - Usato netto e usato netto escluso i Km0
(Fonte: Centro Studi Fleet&Mobility su dati Aci e Interauto News)
Fig. 7 - Trasferimenti netti di autovetture intra-regionali
(Fonte Aci)

89
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.4
Fig. 9 - KPI’s business usato in concessionaria
(Fonte: Centro Studi Fleet&Mobility su dati InterautoNews)
Fig. 10 - Esportazioni di autovetture
(Fonte Aci)
Le esportazioni sono tecnicamente delle
radiazioni, cioè autovetture che non fan-
no più parte del parco circolante italiano,
perché circolano al di fuori del nostro
paese.
Nella sostanza sono vendite di auto-
vetture usate italiane all’estero.
Dal 2014 al 2019 il numero di esportazioni
è stato consistente, circa 430mila al-
l’anno. Dal 2020 in poi c’è stato il crollo,
mediamente sono state esportate
279mila vetture ogni anno.
Anche se rapportiamo le esportazioni
all’usato netto si registrano percentuali
diverse nel corso degli ultimi 10 anni.
Dal 2014 al 2020 il numero di esportazioni
equivale mediamente a circa il 15% dei
passaggi netti. Nei 4 anni successivi il
rapporto scende drasticamente al 10%.
Lo stock medio di autovetture usate
presso il dealer ha subito, nel corso dei
dieci anni analizzati nel grafico, forti
oscillazioni che lo hanno portato a rag-
giungere un picco massimo di 89 unità
nel 2017 e un picco minimo di 33 nel
2022. In effetti, la scarsità del prodotto
nuovo nel biennio 2021-2022 ha dirottato
tanti clienti a comprare autovetture usate
abbattendo di fatto lo stock medio a
disposizione del dealer. Nel 2023 lo
stock è risalito a 57 vetture.
Nel 2014 lo stock di vetture usate restava
mediamente in magazzino per 83 giorni.
Poi i giorni, dal 2015 al 2020, si sono
ridotti a 73 giorni (2,3 mesi). Ma nel
2021 e nel 2022, per lo stesso motivo
analizzato sopra, si sono ridotti a 59 e
poi a 45 giorni. Quindi, se all’inizio del
periodo il magazzino ruotava 4,4 volte
all’anno, nel 2022 la velocità è aumentata
a 8,1 volte. Nel 2023 i giorni sono au-
mentati a 58 e conseguentemente si è
ridotto a 6,3 il tasso di rotazione.

91
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.5
Noleggio a lungo termine
Fig. 1 - Fatturato del NLT per tipologia di attività
(Fonte Aniasa)
Gli operatori del noleggio a lungo termine
svolgono una serie di attività molto di-
verse tra loro e per le quali servono
competenze peculiari. L’attività core,
con il 71% sul totale del giro d’affari del
2023, è il noleggio che nel corso dei 5
anni presi in considerazione è cresciuto
del 40%.
La rivendita di usato, che valeva nel
2023 il 27% sul fatturato complessivo,
si riferisce a quei veicoli che sono entrati
in flotta negli anni precedenti, e, nell’anno
preso in considerazione, escono dalla
flotta e vengono venduti come usato.
Anche per l’usato la crescita nei 5 anni
è stata del 41%.
Il rent-to-rent è un sistema tramite cui
le società di breve termine noleggiano
dalle società di noleggio a lungo le vet-
ture che poi saranno noleggiate ai clienti
finali. Il vantaggio per le prime è di evitare
l’immobilizzo dei capitali finanziari per
l’acquisto delle auto, pagando esclusi-
vamente rate di noleggio. Il ricorso al
rent-to-rent ha subito delle forti oscil-
lazioni nel corso dei cinque anni consi-
derati. A fine 2023 il fatturato generato
su questo segmento è stato pari a 107
milioni di euro, mentre nel 2019 era stato
pari a 227 milioni di euro.
Il fleet management, cioè la gestione
dei servizi sulla flotta di proprietà delle
aziende clienti, è stato sempre un pro-
dotto secondario per gli operatori del
lungo termine. Nel 2023 il giro d’affari è
stato di 74 milioni di euro.
Fig. 2 - Fatturato del noleggio a lungo termine per tipologia di attività.
Dati %

92
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.5
Il trend del giro d’affari del noleggio a
lungo termine mostra una curva in salita,
il che sottolinea la natura non ciclica del
settore. Non risente, se non in minima
parte, delle oscillazioni economiche.
Infatti, anche il Covid ha influito poco
sui risultati economici; questo perché
le aziende clienti continuano costante-
mente a pagare un canone mensile, non
dovendosi preoccupare della decisione
di effettuare l’investimento per l’acquisto
dei mezzi.
In 10 anni il giro d’affari è cresciuto
dell’88% passando dai 4 miliardi di euro
nel 2014 fino ad arrivare ai 7,7 miliardi
nel 2023.
I ricavi prodotti dai contratti di noleggio a lungo termine, sia sulle vetture che sui furgoni, mostrano un andamento crescente nel corso dei 10 anni, eccetto
una leggerissima flessione nel 2020.
Il fatturato generato dai contratti sulle
vetture è 5 volte quello prodotto dai
veicoli commerciali. Nel 2023 è stato di
circa 6,3 miliardi di euro, nel 2014 era di
3,3 miliardi.
Il fatturato generato dai veicoli com-
merciali, spinto dall’inarrestabile sviluppo
del fenomeno delle consegne dei pro-
dotti acquistati on-line, è cresciuto in
10 anni dell’83%, passando da 688 milioni
di euro nel 2014 a 1,3 miliardi nel 2023.
Fig. 4 - Fatturato da contratti di noleggio a lungo termine per tipologia di veicolo
(Fonte Aniasa)
Fig. 3 - Fatturato da contratti di noleggio a lungo termine
(Fonte Aniasa)

93
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.5
Fig. 5 - Fatturato da contratti di noleggio a lungo termine per tipologia
di veicolo. Dati %
(Fonte Aniasa)
Fig. 6 - Fatturato da contratti di noleggio a lungo termine per tipologia di
cliente
(Fonte Aniasa)
Non è cambiata nel corso dei 10 anni la ripartizione percentuale del giro d’af- fari tra veicoli e furgoni. Nel 2023 le vetture hanno prodotto l’83% del fat- turato dei contratti di noleggio, i furgoni il restante 17%.
Mentre è residuale l’apporto dei contratti
di locazione di altri veicoli, rappresentati
in gran parte dalle moto, anche se rispetto
a 10 anni fa qualcosa è cambiato.
Le aziende sono i clienti principali degli operatori del settore con una quota pari all’83% (nel 2023) del fatturato totale. Questo segmento ha prodotto nel corso dell’ultimo anno oltre 6,2 miliardi euro.
La penetrazione del noleggio è altissima
all’interno delle grandi aziende. Nelle
medie e piccole aziende la presenza del
noleggio cala, anche se è veramente
improbabile che un’azienda non abbia
pensato al noleggio come modalità di
acquisizione e gestione del proprio parco
veicoli.
I ricavi generati dalle vendite dei contratti
alla pubblica amministrazione sono stati
pari a 538 milioni di euro e rappresentano
l’8% del fatturato complessivo.

94
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.5
Ma l’ambito di sviluppo del noleggio è
da rintracciare all’interno del segmento
dei privati, che, però, complessivamente
pesano ancora poco.
È interessante notare come i privati con
codice fiscale, che non usufruiscono di
alcuna agevolazione relativa alle tasse,
generino ricavi superiori ai privati con
partita IVA che, al contrario, possono
dedurre e detrarre una quota del canone
di noleggio.
Nel grafico è riportato il trend del no- leggio a lungo termine così detto classico, cioè quello che prevede la fornitura di un veicolo a disposizione esclusiva di un solo cliente per una durata superiore ai 12 mesi.
Gli istogrammi evidenziano una straor-
dinaria crescita che ha visto i veicoli in
noleggio aumentare di 610mila unità in
10 anni. Nel 2023 i veicoli hanno superato
la quota di 1.156mila unità.
Anche se ci riferiamo alle immatricolazioni,
oltre che alla flotta, il risultato è evidente.
La penetrazione delle immatricolazioni
delle vetture in noleggio a lungo termine
sul totale delle immatricolazioni del mer-
cato ha raggiunto nel 2023 il 24%, mentre
nel 2014 era pari al 12%.
Fig. 8 - Ciclo di vita del NLT classico (n° veicoli)
Fig. 7 - Fatturato del noleggio a lungo termine per tipologia di cliente. Dati %

95
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.5
Fig. 9 - Flotta circolante NLT classico per tipologia veicolo
Fig. 10 - Flotta circolante per tipologia di cliente
(Fonte Aniasa)
Oltre l’80% dei veicoli in noleggio sono
vetture che, nel corso dei 10 anni, sono
cresciute del 122%, sfiorando le 940mila
unità nel 2023. I veicoli commerciali, che
rappresentano il 18% del totale del parco,
hanno sfiorato nel 2023 quota 210mila.
Di rilevo, ma meno contenuta rispetto
alle vetture, la crescita dei furgoni che
in 10 anni è stata pari al 73%.
La restante quota percentuale della
flotta circolante, che non supera lo 0,6%,
è costituita dalle moto e da altri veicoli.
Le aziende, che costituiscono il cliente principale delle società di noleggio a lungo termine, detengono quasi 950.000 veicoli, pari al 78% della flotta circolante. La crescita di questo seg- mento è stata pari al 17% in 3 anni.
Il 7% della flotta è costituita dai contratti
sottoscritti dai privati con codice fiscale,
che hanno aumentato il numero dei vei-
coli di quasi 11.000 unità rispetto al 2021.

96
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.5
Mentre i privati con partita IVA rappre-
sentano una flotta di quasi 71.500 veicoli
per una quota pari al 6%; l’incremento
percentuale di questo segmento è stato
pari al 20% in 3 anni.
La flotta detenuta dalla pubblica ammi-
nistrazione è aumentata del 27% rispetto
al 2021 e rappresenta il 9% di quota.
Il noleggio a lungo termine cosiddetto classico, cioè quello che prevede la for- nitura di un veicolo a disposizione esclu- siva di un solo cliente per una durata superiore ai 12 mesi, rappresenta la quasi totalità della flotta (95%) e numerica- mente conta a fine 2023 1.156mila veicoli.
Negli ultimi due anni la flotta a disposi-
zione per esigenze temporanee della
clientela è cresciuta di quasi 4 volte.
Questo segmento comprende le auto
che gli operatori del noleggio a lungo
termine auto immatricolano per fare
fronte alle necessità temporanee di mo-
bilità della clientela.
Le vetture noleggiate agli operatori del
rent-a-car rappresentano a fine 2023 il
3% della flotta e sono diminuite rispetto
al 2021 di quasi 12.000 unità.
Fig. 12 - Flotta circolante per tipologia di attività
(Fonte Aniasa)
Fig. 11 - Flotta circolante per tipologia di cliente. Dati %
(Fonte Aniasa)
Ottimizzare i costi legati alla gestione
della flotta è un’attività core per le società
di noleggio a lungo e per i dipartimenti di
fleet management delle aziende clienti.
Tale attività nel corso degli anni ha subito
delle profonde sofisticazioni. Tuttavia, il
salto di qualità è stato possibile grazie al-
l’implementazione massiva dei dispostivi
telematici installati all’interno dei veicoli
in consegna ai clienti.
I dati provenienti dalle scatole nere sono
decodificati ed elaborati dalle piattaforme
informatiche dei service provider e resi
informazioni disponibili per i fleet manager
e per le stesse società di noleggio.

97
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.5
Fig. 13 - Flotta circolante per tipologia di attività. Dati %
(Fonte Aniasa)
Fig. 14 - Dispositivi telematici flotta noleggio a lungo termine
(Fonte Aniasa)
Tali informazioni sono utilizzate non solo
per ottimizzare i processi di scelta e di
gestione della flotta aziendale, ma anche,
per esempio, in ambito assicurativo: dalla
profilazione della rischiosità della flotta,
fino ad arrivare all’utilizzo in caso di crash
per analizzare e valutare dinamiche e re-
sponsabilità. Lo stile di guida del driver
viene monitorato con evidenti impatti
sulla sicurezza e sul contenimento dei
consumi. La telematica serve, inoltre, per
limitare l’impatto del fenomeno dei furti,
sia attraverso una funzione di deterrenza,
sia come aiuto nel processo di recupero
delle auto rubate.
I dispositivi telematici rappresentano una
componente essenziale per un sistema
di corporate car sharing digitalizzato, per-
mettendo uno scambio da remoto tra
veicolo e piattaforma/app che consente
agli iscritti l’apertura e la chiusura delle
porte del veicolo, quindi un utilizzo anche
senza chiavi.
Poi ci sono alcuni ambiti non ancora pie-
namente implementati dai noleggiatori a
lungo termine attraverso la telematica,
come ad esempio la manutenzione pre-
dittiva e da remoto che rappresentano
una delle sfide dei prossimi anni.
Nel 2015 erano appena 190.000 i dispo-
sitivi telematici installati all’interno dei
veicoli dei noleggiatori. Nel corso di 10
anni la crescita è stata esponenziale. A
fine 2023 erano 940.000 i dispositivi te-
lematici, pari ad una penetrazione sulla
flotta del 77%.
Alcuni player del noleggio installano per
defualt i dispositivi telematici su tutte le
vetture in consegna ai propri clienti, e tra
queste c’è chi ha creato una divisione
autonoma di telematica, gestendone in
prima persona tutte le attività e i processi
correlati, limitando l’intervento massivo
di società di telematica in outsourcing.

99
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.6
Noleggio a breve termine
Fig. 1 - Fatturato del noleggio a breve termine
(Fonte Aniasa)
In 10 anni il giro d’affari del noleggio a
breve termine ha avuto un trend sempre
crescente, eccezion fatta per il 2020 e
2021 che, a causa delle restrizioni alla
mobilità dovuta alla pandemia, hanno
registrato una battuta d’arresto straor-
dinaria.
Nel 2014 gli operatori del breve termine
svilupparono un fatturato di 1 miliardo
di euro. 10 anni dopo il giro d’affari è ar-
rivato a toccare quasi 1,5 miliardi di euro,
pari ad una crescita del 38%.
I giorni di noleggio rappresentano la somma totale delle durate (in giorni) di tutti i noleggi effettuati durante l’anno.
Così come per il fatturato, anche per i
giorni si registra un andamento crescente
fino al 2019. Poi la pandemia ha causato
una riduzione drastica delle attività nel
2020 e negli anni successivi c’è stato
un graduale recupero. Nel 2014 gli ope-
ratori del breve termine erogarono 28,6
milioni di noleggi. 10 anni dopo i giorni
sono arrivati a 36 milioni. La crescita
nel decennio è stata del 26%, 12 punti
percentuali in meno rispetto a quella
del giro d’affari.
Fig. 2 - Giorni di noleggio
(Fonte Aniasa)

100
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.6
Il trend del numero dei noleggi mostra
una costante crescita dal 2014 fino al
2018, una leggerissima flessione nel
2019, e poi la picchiata negativa del
2020. Nei quattro anni successivi il set-
tore ha faticato a rimettersi in sesto. Ha
giocato negativamente la mancanza di
prodotto. A fine 2023 i noleggi sono
stati 4,3 milioni, in contrazione anche
rispetto al dato del 2014.
La durata media del noleggio è rimasta più o meno costante dal 2014 al 2019. Poi il Covid ha sparigliato le carte. Nel 2020 la durata media ha toccato il picco con 9,9 giorni. Mentre negli anni suc- cessivi ha registrato un trend discen- dente fino ad arrivare al 2023, dove si è assestata a 8,3 giorni, che si traduce, comunque, in 1,5 giorni in più rispetto alla media di 6,8 giorni del periodo 2014 al 2019.
Sicuramente sono cambiate le abitudini
di noleggio ma anche il mix dei noleggi
erogati ai diversi tipi di clientela. Nel
corso degli ultimi anni è aumentato, in-
fatti, il peso della componente business
che ha notoriamente esigenze di mo-
bilità diverse dal privato, con durate più
lunghe.
Fig. 4 - Durata media noleggi
(Fonte Aniasa)
Fig. 3 - Numeri di noleggio
(Fonte Aniasa)

101
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.6
Fig. 5 - Fatturato per giorno di noleggio
(Fonte Aniasa)
Fig. 6 - Fatturato per noleggio
(Fonte Aniasa)
Il fatturato per giorno di noleggio (o re-
venue per day) è l’indicatore chiave per
leggere le politiche di pricing degli ope-
ratori ed è ottenuto dividendo il giro
d’affari per i giorni di noleggio. Indica,
concretamente, quanto costa noleggiare
un’auto al giorno.
Il pricing è la leva principale usata dagli
operatori per muovere i volumi, ed ha,
in questo settore, una fortissima valenza
sulla competizione tra le aziende.
Nel 2020 il prezzo al giorno è sceso a
28,7 euro, mentre nel periodo 2014-
2019 oscillava tra 34 e 36 euro. La scar-
sità di offerta, dovuta alla carenza di
flotta, ha spinto gli operatori nel triennio
successivo, ad alzare i prezzi. Nel 2022
è stato raggiunto il tetto massimo a
43,4 euro.
Il prezzo per noleggio è, invece, la somma che il cliente ha speso mediamente per noleggiare una vettura per un numero di giorni medi che varia di anno in anno.
Dal 2014 al 2019 il prezzo medio per
noleggio è stato pari a 232 euro, poi nei
quattro ani successivi è aumentato fino
a toccare il livello massimo nel 2022. In
quell’anno il cliente per avere l’auto a
noleggio per 8,4 giorni ha pagato quasi
374 euro.

102
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.6
Il fatturato per veicolo indica quanto ri-
cavo genera mediamente ogni veicolo
detenuto in flotta in un anno. Tecnica-
mente si calcola dividendo il giro d’affari
per il numero dei veicoli in flotta.
Questo indicatore ha avuto un anda-
mento molto variabile. Il valore minimo,
pari a 7.000 euro, è stato raggiunto nel
2020 mentre quello massimo, pari a
11.250 euro, nel 2022.
L’utilizzo, tecnicamente, è il periodo di tempo in cui i veicoli sono noleggiati ai clienti e quindi producono ricavi. Con- venzionalmente viene calcolato con va- lori percentuali. Un utilizzo pari al 100% indica che i veicoli sono stati sempre in uso ai clienti che li hanno noleggiati, la qual cosa è praticamente impossibile. Un utilizzo del 70% indica che, su 100 giorni disponibili per il noleggio, i veicoli sono stati locati complessivamente per 70 giorni e nei restanti 30 giorni sono rimasti presso i piazzali dei noleggiatori in attesa di essere rilocati, oppure erano impegnati per operazioni di manuten- zione e lavaggio, o in viaggio da una lo- cation all’altra.
Nell’utilizzo si concentra la vera abilità
dei noleggiatori in quanto rappresenta
la capacità complessiva di noleggiare i
veicoli, che dipende dall’offerta com-
merciale, ma anche dalla pianificazione
operativa e dalla capacità logistica set-
timanale, se non giornaliera, di trasferire
i veicoli da una location all’altra, cioè da
dove non servono a dove sono utili per
essere noleggiati.
Nel corso dei 10 anni analizzati, il valore
più alto dell’utilizzo (79,2%) è stato rag-
giunto nel 2017 mentre quello più basso
(66,9%) nel 2020.
Fig. 8 - Utilizzo medio della flotta
(Fonte Aniasa)
Fig. 7 - Fatturato per veicolo
(Fonte Aniasa)

103
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.6
Fig. 9 - Flotta media veicoli
(Fonte Aniasa)
Fig. 10 - Fatturato per tipologia di location
(Fonte Aniasa)
La flotta media indica il numero dei
veicoli che mediamente nell’anno sono
disponibili presso le stazioni di noleggio
degli operatori.
Il trend della flotta media mostra una
costante crescita dal 2014 fino al 2018,
una lieve flessione nel 2019, e poi la ca-
duta dovuta al Covid nel 2020. Dal 2022
in poi le case automobilistiche hanno
ricominciato a spingere le vendite sul
canale noleggio con forti sconti. E i ri-
sultati sono visibili soprattutto nel 2023
dove è stato raggiunto il valore massimo
della flotta media con quasi 137.000
veicoli.
Dal 2014 al 2019 le stazioni situate presso gli aeroporti italiani (APT) hanno svi- luppato mediamente il 65% del giro d’af- fari del settore, mentre quelle situate nei centri cittadini (Downtown) il restante 35%. Nel 2020 con le restrizioni alla mo- bilità il rapporto si è ribaltato: le stazioni downtown hanno prodotto il 56% del fatturato e quelle presso gli aeroporti il restante 44%. La situazione è ritornata alla “normalità” nel 2022 e nel 2023 dove le agenzie in aeroporto riconqui- stano percentuali vicine al 60%.

104
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.6
I noleggi sviluppati in aeroporto seguono
lo stesso trend del giro d’affari. Le agenzie
negli aeroporti hanno prodotto dal 2014
al 2019 il 64% dei noleggi, mentre quelle
downtown il restante 36%. Nel 2020 con
le restrizioni alla mobilità il rapporto si è
più o meno equiparato. Nel 2021 le sta-
zioni aeroportuali hanno ricominciato a
prendere il sopravvento. Per finire nel
2023 anno in cui hanno prodotto 2,7
milioni di noleggi contro 1,6 milioni erogati
dalle stazioni cittadine.
I noleggi erogati presso le location del centro città hanno una durata netta- mente superiore rispetto a quelli delle stazioni in aeroporto. In effetti, presso queste ultime si concentra maggior- mente la clientela turistica, mentre pres- so le location del centro città per lo più quella business che richiede noleggi più lunghi.
Dal 2020 in poi c’è stato un forte au-
mento delle durate medie, che è stato
molto più netto per i noleggi erogati
presso le stazioni cittadine. È evidente
il cambiamento nella fruizione del ser-
vizio da parte della clientela corporate,
come vedremo meglio dettagliato nelle
pagini seguenti.
Fig. 12 - Durata media noleggi per tipologia di location
(Fonte Aniasa)
Fig. 11 - Numero di noleggi per tipologia di location
(Fonte Aniasa)

105
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.6
Fig. 13 - Prezzo medio giorno per tipologia di location
(Fonte Aniasa)
Fig. 14 - Fatturato per tipologia di canale
(Fonte Aniasa)
I noleggi erogati presso le location ae-
roportuali hanno un prezzo medio al
giorno più alto rispetto a quelli delle
stazioni in città. Questo delta è stato
mediamente di 5 euro nei primi 7 anni.
Poi è schizzato a 15 euro nel 2021 e ad-
dirittura a 21 euro nel 2022. Il fenomeno
rilevante è l’aumento del prezzo al giorno
dei noleggi presso gli aeroporti che ha
toccato il record storico di quasi 55 euro
nel 2022.
I clienti del noleggio a breve termine
sono sia consumer che business.
Storicamente i clienti consumer hanno
un peso maggiore sul giro d’affari. Nel
2023 è stato pari al 62% sul totale. Tra i
clienti consumer si distinguono quelli
che noleggiano direttamente (B2C) e
quelli che noleggiano attraverso inter-
mediari quali broker, tour operator, agen-
zie viaggi e altri (B2BC). Sui primi i no-
leggiatori hanno realizzato un giro d’affari
pari al 32% sul totale, sui secondi pari al
30%.
Il giro d’affari generato nel 2023 sui
clienti corporate è stato pari al 38%. Tra
i clienti corporate si distinguono le azien-
de convenzionate e i così detti replace-
ment. Le aziende convenzionate com-
prano noleggi a breve termine sia per
esigenze occasionali di mobilità dei propri
dipendenti, ma stipulano anche contratti
plurimensili, anche annuali, per il perso-
nale dipendente assegnatario di auto
aziendale. Su questo target i noleggiatori
hanno realizzato un giro d’affari pari al
26% sul totale. Sul segmento del repla-
cement (costituito soprattutto dalla do-
manda dei noleggiatori a lungo termine
di sostituzione dei veicoli temporanea-
mente indisponibili, dati in uso ai propri
clienti) gli operatori hanno realizzato un
giro d’affari pari al 12% sul totale.

106
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.6
Il canale B2B2C è da sempre il più im-
portante a livello di volumi. Il peso dei
noleggi su questo canale è stato, addi-
rittura, del 40% dal 2017 al 2020. Poi
nel 2021 è sceso al 29%, per poi risalire
al 34% nel 2023.
Il secondo canale per ordine di impor-
tanza è il B2C. Nel 10 anni considerati il
contributo sui noleggi è stato in media
pari al 30%.
Il canale delle convenzioni con le aziende
clienti ha avuto un peso percentuale
medio dal 2014 al 2020 del 24%. Poi
dopo il Covid ha raggiunto una contri-
buzione vicino al 30%.
Stessa cosa dicasi per il replacement
che negli ultimi tre anni ha raggiunto il
10% di quota contro il 7% dei primi 7
anni.
Il canale replacement, costituito dalla
necessità dei noleggiatori a lungo ter-
mine di sostituzione dei veicoli tempo-
raneamente indisponibili, dati in uso ai
propri clienti, presenta le durate più lun-
ghe.
Anche le aziende che fanno le conven-
zioni con i noleggiatori hanno durate
elevate in quanto comprano noleggi di
breve periodo per le esigenze occasionali
di mobilità dei propri dipendenti, ma sti-
pulano anche contratti plurimensili, anche
annuali, per il personale dipendente as-
segnatario di auto aziendale.
Al contrario, i noleggi dei clienti consumer
(B2C e B2B2C) hanno durate molto più
contenute rispetto ai canali corporate
in quanto sono collegati, nella maggior
parte dei casi, ai soggiorni turistici nelle
città d’arte e nelle località costiere o
montane.
Fig. 16 - Durata media per tipologia di canale
(Fonte Aniasa)
Fig. 15 - Numeri di noleggi per tipologia di canale
(Fonte Aniasa)

107
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.6
Fig. 17 - Prezzo medio al giorno per tipologia di canale
(Fonte Aniasa)
I clienti corporate pagano meno rispetto
ai privati: questo dipende ovviamente
dall’elevato numero di noleggi che il sin-
golo cliente corporate mediamente ga-
rantisce rispetto al privato. Tra i clienti
corporate, il così detto replacement pre-
senta i prezzi più bassi in assoluto tra
tutti i canali. Bisogna dire che la maggior
parte dei noleggi comprati da questo
canale sono relativi a vetture di segmento
basso e che presentano servizi non di
certo premium allo scopo di non appe-
santire il pricing.
Situazione leggermente diversa per le
convenzioni con le aziende. Queste rie-
scono ad ottenere una buona tariffa
media legata agli elevati ordini d’acquisto.
Le tipologie di vetture noleggiate sono
variegate perché rispondono al mix della
platea aziendale. Anche i servizi compresi
nel noleggio sono variabili, si pensi, ad
esempio, alle diverse combinazioni della
componente assicurativa.
I privati pagano di più rispetto alle azien-
de. Tra questi quelli che prenotano di-
rettamente hanno sempre avuto un
prezzo medio al giorno più alto rispetto
a quelli che prenotano tramite interme-
diari, tranne che nel post Covid dove la
situazione si è ribaltata.

109
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.7
Sharing Mobility
Fig. 1 - Car sharing - noleggi
(Fonte Osservatorio Nazionale Sharing Mobility)
Con il car sharing viene meno il concetto
di auto come investimento: non si spende
danaro per acquistare e manutenerne
una, ma al contrario si afferma il concetto
di servizio dell’auto a cui si ricorre solo
quando si ha bisogno.
Ma tra gli utilizzatori del car sharing ci
sono anche coloro che, comunque, pos-
siedono una propria auto e che utilizzano
il car sharing quando la propria vettura
non è disponibile o quando è più comodo
usare quella in condivisione.
Nel 2015 i noleggi sviluppati dagli operati
in car sharing, sia station based che free
floating, ammontavano a 6,5 milioni. Da
lì in poi è stato un crescendo straordi-
nario: un anno dopo i noleggi sono cre-
sciuti a 8,1 milioni e due anni dopo a 9,6
milioni. Poi il grande balzo a 12,1 milioni
nel 2018 e la consacrazione nel 2019 a
12,4 milioni. Dopo di che è arrivato il
Covid che ha letteralmente strapazzato
il settore riportandolo ai livelli del 2015.
Più aumentano i veicoli della flotta degli
operatori di car sharing, più aumentano
i noleggi erogati ai clienti e viceversa.
Tuttavia, non esiste, analizzando i dati,
una proporzionalità costante tra le due
grandezze. Nel 2015 un veicolo in car
sharing era in grado di produrre 1.237
noleggi. Questo numero è rimasto il più
alto fino al 2018 quando con un veicolo
si erogavano 1.517 noleggi.
Negli anni del Covid (2020 e 2021) i no-
leggi erogati con un veicolo erano circa
900. Per poi salire a quasi 1.100 nel 2022.
Fig. 2 - Car sharing – flotta veicoli
(Fonte Osservatorio Nazionale Sharing Mobility)

110
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO2.7
Lo sharing degli scooter è un settore
molto giovane. Fino al 2017 i noleggi
erogati non superavano le 300.000 uni-
tà. Poi un incremento a 1 milione nel
2018. Successivamente, l’ingresso di
nuovi operatori ha favorito la sua diffu-
sione, portando i noleggi nel 2018 a 2,9
milioni.
Il Covid ha influito negativamente, ma
non più di tanto, in quanto la moto si
guida all’aperto con basse probabilità
di contrarre il virus. Addirittura nel 2021
i noleggi sono cresciuti a 3,1 milioni. Nel
2022 sono saliti a 4,4 milioni.
La flotta di scooter sharing inizia ad avere una dimensione considerevole a partire dal 2019 quando ha superato le 5.000 unità.
Nel 2020 l’aumento della flotta è stato
del 45%. Nel 2021 le moto in flotta sono
cresciute meno (+22%). Mentre nel
2022 si registra una leggera contrazione
di circa 200 unità.
Mediamente con un motociclo gli ope-
ratori hanno erogato nel 2022 circa 500
noleggi.
Fig. 4 - Scooter sharing – flotta
(Fonte Aniasa)
Fig. 3 - Scooter sharing – noleggi
(Fonte Osservatorio Nazionale Sharing Mobility)

111
PARTE 2 - DIMMI QUANTO, QUANTO, QUANTO 2.7
Fig. 5 - Bike sharing – noleggi
(Fonte Osservatorio Nazionale Sharing Mobility)
Fig. 6 - Bike sharing – flotta
(Fonte Osservatorio Nazionale Sharing Mobility)
La bicicletta è forse il mezzo più facil-
mente associabile allo sharing, in quanto
non ha problemi di parcheggio nelle
città, è utilizzabile da ampie fasce della
popolazione, si presta per un utilizzo
costante ed il servizio di sharing non è
particolarmente oneroso.
Inoltre, la diffusione della tecnologia a
pedalata assistita ha contribuito mol-
tissimo allo sviluppo del bike sharing.
I numeri sono eloquenti. Nel 2017 erano
10,4 i milioni di noleggi erogati. Con la
marcia ingranata, il bike sharing ha rag-
giunto quasi 13 milioni di noleggi nel
2019. Poi c’è stato il crollo dovuto alla
pandemia che di fatto ha ridotto della
metà i volumi. Ma nel 2022 c’è stato un
robustissimo incremento che ha portato
i volumi ai numeri record di quasi 14
milioni di noleggi.
La flotta di bike sharing cumulata, sia station based che in free floating, ha avuto nel corso degli anni presi in con- siderazione un andamento alternato tra crescita e decrescita, tant’è che è ve- ramente difficile stimare quale incre- mento avrebbe oggi avuto l’attività se la crescita dell’offerta fosse stata co- stante.
Nel 2017 le biciclette in sharing sul ter-
ritorio italiano erano poco più di 30.000.
Appena un anno dopo sono scese di
7.000 unità. Ma nel 2019 sono risalite a
più di 33.000 e nel 2020 a quasi 35.000.
Nel 2021 altra decrescita della flotta che
si attesta a meno di 28.000 pezzi. Ma è
nel 2022 che raggiunge il record con
oltre 48.500 biciclette.

QUI LO DICO E QUI LO NEGO
03

Il frutto dell’albero avvelenato è
un’espressione che appartiene al ger-
go giuridico americano che abbiamo
imparato a conoscere, incontrandola
molto spesso nei serial crime televisivi.
Significa che una prova raccolta in
maniera illegale rende illegittime, a
cascata, tutte le ulteriori prove che
ne scaturiscono. È quello che sta av-
venendo al sistema dell’automotive
europeo e alle politiche che dovreb-
bero sostenerlo.
Facciamo un passo indietro di dieci
anni. Nel 2014 tutto il sistema occi-
dentale dell’automotive si cullava nel
successo dei nuovi motori diesel «pu-
liti» che raggiungevano una pene-
trazione del 56-57% del mercato,
mentre entrava in vigore lo standard
Euro 6 sulle emissioni inquinanti dei
veicoli stradali: una nuova frontiera
sembrava aprirsi per il settore che si
dimostrava capace di rispondere alla
minaccia dell’inquinamento, soprat-
tutto urbano, varando motori termici
sempre più ecologici. Quello stesso
2014 era per la Cina l’anno zero della
mobilità elettrica: 74.763 autoveicoli
BEV o ibridi venduti, pari al 23,5%
degli EV immatricolati in tutto il mon-
do, con un incremento del 220% ri-
spetto all’anno precedente, che scen-
deva al 190% per le 34 mila vetture
passeggeri di quell’anno.
Doveva essere un segnale d’allarme.
Ma l’anno successivo il Dieselgate ri-
portò il sistema politico e industriale
occidentale con i piedi sulla terra e -
come accade in certe tardive ricon-
versioni - si passò da un eccesso al-
l’altro, lasciandosi illudere dalle sirene
dell’ambientalismo più integralista
(quello votato alla sola motorizzazione
elettrica) e mettendosi a rincorrere
la Cina sul terreno a lei più congeniale,
senza cioè considerare che quelle
performance sull’auto a batteria, Pe-
chino stava cominciando a raggiun-
gerle dopo aver messo in piedi una
strategia pressoché esclusiva di ap-
provvigionamenti di materiali e di
tecnologie che gli permetteva già
allora di programmare la produzione
di 500 mila pezzi nel 2015 per rag-
giungere i 5 milioni nel 2020. Quella
scelta è stato il seme dell’albero av-
velenato i cui frutti tossici stiamo
raccogliendo ancora oggi e che con-
tinueremo sempre più drammatica-
mente a raccogliere se non ci sarà
un cambiamento di strategia.
Di tutti i cambiamenti che hanno se-
gnato il sistema dell’automotive in
questi ultimi dieci anni - e sono cer-
tamente tanti - più che le nuove for-
me di commercializzazione, più che
il tipo di offerta tecnologica delle
dotazioni dei veicoli, quello che ha
inciso maggiormente è stata questa
corsa tardiva e impreparata all’elet-
trificazione, inseguendo una grande
potenza economica e industriale che
si era ben fatta i conti prima di intra-
prendere quella strada.
Gli stessi dazi ai quali sta facendo ri-
corso l’Unione europea sui prodotti
cinesi ne sono la dimostrazione più
evidente. La scelta miope della tra-
zione elettrica, presentata con la fan-
fara come unica risposta possibile
alla crisi climatica, ha incontrato -
forse - la simpatia dell’opinione pub-
blica, ma - come spesso avviene -
non quella del suo portafoglio, perché
oltre a essere poco incisiva sui target
ambientali è anche assai costosa e il
MASSIMO ARTUSI
Presidente di Federauto
e amministratore delegato
di Romana Diesel
PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO 3.1
115

mercato - non solo quello italiano -
nonostante un’incentivazione impor-
tante, mostra chiaramente di non
apprezzarla.
Di qui, il primo frutto avvelenato: i
costruttori hanno risposto chiedendo
più soldi e rivedendo i propri piani,
chi chiudendo impianti e licenziando,
chi modificando le linee di produzione
a favore di prodotti più commerciabili,
chi scaricando i costi sui concessionari
(spesso anche senza interpellarli)
che si trovano sempre di più i piazzali
pieni di prodotti invendibili. Quando
su questo mercato hanno fatto irru-
zione i prodotti cinesi, lautamente
sovvenzionati da Pechino, la risposta
dell’Unione europea è stata quella
dei dazi che stanno già provocando
un’analoga reazione da parte della
Cina in settori importanti per l’export
italiano.
La politica daziaria non è mai una
buona soluzione perché innescano
meccanismi deleteri di rivalsa che
squilibrano il mercato. Noi conces-
sionari italiani lo sappiamo bene. I
nuovi dazi aggiuntivi non tengono
conto degli investimenti che abbiano
già effettuato. E come ci dovremo
comportare con le auto vendute in
attesa di consegna? Cosa diremo ai
nostri clienti che hanno ordinato a
un prezzo ancora senza dazio?
Ma c’è di più, che quello dell’only
electric fosse un albero avvelenato,
FEDERAUTO lo ha dichiarato subito,
spiegando - anche a livello europeo
- due cose molto semplici: che la
normativa del Green Deal offre ai
motori a batteria un criterio di calcolo
(TtW) diverso da quello adottato per
i carburanti alternativi - bio e sintetici
- «condannati» ad essere calcolati
dall’origine allo scarico (WtW) e, dun-
que, l’alimentazione elettrica non è
meno climalterante dell’HVO e dei
biocarburanti (anzi...); e che sviluppare
le tecnologie legate a questi ultimi
non solo è un’alternativa che ci libera
dalla dipendenza dei materiali e dei
prodotti cinesi, ma - soprattutto per
l’Italia che ne è uno dei principali pro-
duttori - costituisce un vantaggio
economico non indifferente.
È bene, tuttavia, precisare che se i
concessionari italiani sono su queste
posizioni non è per un loro capriccio,
ma perché, per la loro presenza dif-
fusa sul territorio, essi sono nella ca-
tena dell’automotive i soggetti più
vicini al mercato e alla sua sensibilità.
Che la vendita di auto BEV non avreb-
be superato la soglia di pochi punti
percentuali, per noi, è stata una facile
previsione, perché viviamo tutti i
giorni in mezzo agli umori di un mer-
cato sconcertato e impaurito. Questo
è il nostro ruolo, la nostra funzione e
la nostra forza. Per questo il tentativo
di alcune Case, attraverso una lettura
forzata della direttiva europea sulle
reti verticali, di cancellare la nostra
autonomia, trasformandoci in agenti
delle case costruttrici, sta registrando
frenate e marce indietro. Perché in
questa fase così drammatica, l’au-
tonomia dei concessionari - unico
interfaccia reale tra produttori e clienti
presente sul territorio - si sta rivelando
utile a tutti.
116
PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO3.1

Chi la dura, la vince. Il riferimento,
non per un semplice vanto, è perso-
nale e riguarda pochissimi altri, tra
cui l’autore di questo “Libro bianco”,
l’amico Pier Luigi del Viscovo. Di que-
sti tempi, infatti, assistiamo a una
pletora di persone, tra cui non pochi
giornalisti, accodarsi al mainstream
che rinnega quel “tutto elettrico” fino
a poco tempo fa idolatrato. È proprio
così. Il classico salto della quaglia.
Comunque, tornando all’inizio, è da
quando il tema della transizione eco-
logica della mobilità su gomma, in-
clusa nel “Green Deal” confezionato
dalla precedente Commissione Ue,
ha cominciato a imporsi - sfociando
nell’assurdità di voler abolire le auto
con motorizzazioni endotermiche, in
barba ai progressi compiuti e alla
progressiva riduzione delle emissioni,
a favore della sola alimentazione elet-
trica - che il sottoscritto si è sempre
dichiarato contrario. E come risposta,
è stato sbeffeggiato, criticato, insul-
tato e accusato di essere fuori dal
tempo e nemico dell’ambiente. Re-
sistere, resistere, resistere - però - è
stata la parola d’ordine.
Ed eccoci qui, adesso, a vedere tran-
sitare i primi “cadaveri”: chi tra aziende,
politici e altri che hanno creduto in
una rivoluzione interessata in nome
della salvezza del pianeta - come se
le sole auto fossero le uniche re-
sponsabili dei cosiddetti cambiamenti
climatici - prevista (ancora) nel 2035
e per la quale i costruttori si sono
immediatamente piegati.
A farne le spese, però, non sono
questi “pecoroni” dal portafoglio sem-
pre più gonfio, ma chi dal lavoro lungo
le catena di montaggio e nelle im-
prese dell’indotto, trae i mezzi per
poter vivere, mantenere la famiglia
e, in senso lato, sostenere l’industria
europea dell’auto allo scopo di scon-
giurare il fallimento.
Riconoscere gli errori commessi non
è però semplice: non si è badato al
fatto che, per le materie prime, il
“cuore” delle batterie dei veicoli elet-
trici, la Cina è il Paese che primeggia;
quindi, sono stati ignorati i costi elevati
e la necessità costante che i Governi
tappino la falla con sostanziosi in-
centivi pubblici; e poi il mercato, quei
consumatori (che non sono solo quelli
dei Paesi scandinavi, presi spesso
come esempio virtuoso) maldestra-
mente ignorati. E che ora, dati alla
mano, stanno dimostrando di non
gradire l’imposizione dell’auto elettrica
e di guardare alla concretezza: no
allo stress da ricarica, no ai timori per
l’autonomia, no ai rischi di incendio,
per non parlare del tabù (a proposito
di ambiente) relativo allo smaltimento
futuro (quando e dove?) delle bat-
terie. Ma soprattutto, la voglia con-
tinua di poter essere liberi nella scelta
di una macchina che risponda alle
proprie necessità e che, ovviamente,
sia dotata di sistemi per il conteni-
mento o l’annullamento delle emis-
sioni, dalla produzione del mezzo fino
alla sua messa sulla strada.
E i cinesi, presi di mira dai costruttori
europei con l’intenzione di mostrare
loro quanto si è più bravi? C’è stato il
classico effetto boomerang: temendo
l’assalto delle auto elettriche prodotte
a Pechino, i furbi costruttori europei
hanno abbassato la guardia sul loro
fiore occhiello - la produzione di mo-
tori endotermici - consentendo ai
PIERLUIGI BONORA
Giornalista
de il Giornale
e promotore del
Forum Automotive
PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO 3.1
117

concorrenti di sbarcare nel Vecchio
continente, viste le tendenze, anche
e soprattutto con interessanti vetture
a benzina, Diesel, ibride senza e con
la spina, e anche a Gpl. Con il valore
aggiunto dei prezzi più alla portata e
in barba ai dazi, pensati a scoppio ri-
tardato da Bruxelles, contro le sole
vetture elettriche importate dalla
Cina.
Insomma, quanti errori su errori sono
stati commessi e che ora, se non sa-
ranno presi provvedimenti rapidi ed
efficaci, debellando le resistenze che
ancora si incontrano nelle stanze dei
bottoni, finiranno per impattare se-
riamente su tutti noi.
L’avevo detto, l’avevamo - noi pochi
“ribelli” - detto. E fa sorridere leggere
quasi ogni giorno dei dietrofront e
delle perplessità che i vari top ma-
nager del settore evidenziano, senza
chiedere minimamente scusa per le
pesanti conseguente che sono già
tangibili, e domandarsi: ma dove era-
vamo solo pochi anni fa quando tutto
è cominciato? Perché ci siamo “ap-
pecoronati” così facilmente al voler
degli “eco-talebani”, arrivando a stan-
ziare montagne di miliardi per un pro-
getto che fa acqua da tutte le parti
e mette a rischio economia e occu-
pazione del Vecchio continente?  Per
quale ragione non ci sono state prese
posizioni esemplari e marce di pro-
testa, per esempio, su Bruxelles? Pri-
ma o poi le verità verranno a galla. E
il sottoscritto, insieme a quei pochi
altri? Soddisfatti della lungimiranza.
Ma non molliamo, siatene certi.
118
PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO3.1

Negli ultimi 10 anni la vendita delle
auto si è sostanzialmente basata sul
supporto finanziario: in particolare si
è passati da un modello di business
in cui il cliente (quasi “vergognandosi”)
chiedeva il finanziamento (che poi
era solo una mera struttura rateale a
rata costante) ad un modello di ven-
dita in cui il finanziamento è diventato
struttura basilare e spesso “portante”
dell’acquisto della vettura. In parti-
colare, l’acquisto non è più stato visto
come una singola esperienza, ma
come un processo ripetitivo nel tem-
po che ha condotto il “customer” a
legarsi “fedelmente” al brand (e al
dealer) attraverso il prodotto finan-
ziario. Per raggiungere tale obiettivo
di fidelizzazione che fino a 10 anni fa
solo Ford aveva percepito come stra-
tegia vincente, tutti i brand si sono
indirizzati alla proposizione di strutture
con Valore Garantito Finale oppure
Leasing ad alto valore residuo (so-
prattutto sui brand premium). In tal
modo si è portata l’attenzione del
cliente a valutare la sostenibilità di
una rata a fronte di un mero prezzo
e quindi della solita e “vecchia” ri-
chiesta di uno sconto.
Strettamente legata alla fase di tra-
sformazione che ho spiegato sopra,
si è sviluppata contestualmente la
trasformazione del concessionario
come venditore di servizi integrati
all’auto, a 360°. Non più quindi la
semplice proposizione di un pezzo
di “ferro” ma la consulenza in merito
alla miglior soluzione che il cliente
possa avere nell’utilizzo di quel “pezzo
di ferro” durante il lavoro, la vita privata
ed in genere nell’utilizzo del mezzo.
In questa trasformazione, i dealer
sono stati affiancati sia dalle finanziarie
“captive” più “illuminate” che dalle fi-
nanziarie “open market” che hanno
intuito come in un tale cambiamento
chi non proponeva prodotti finan-
ziari/assicurativi più sofisticati, cioè
“Bespoke” rispetto alle esigenze del
cliente, avrebbero perso la compe-
tizione sul mercato. A questo si è
aggiunta l’intraprendenza di alcuni
dealer che sono diventati essi stessi
“creatori” di prodotti personalizzati
con il supporto di alcune
finanziarie/assicurazioni più intrapren-
denti o più pronte ad un cambiamento
di questo genere.
Io rappresento un’azienda che da
106 anni commercializza auto ma un
momento così complesso del mondo
automotive non lo abbiamo mai at-
traversato nella nostra storia.
È estremamente difficile prevedere
quale futuro ci aspetti e mettendo
in fila tutte le variabili che oggi ci
sono mi sembra impossibile una pre-
visione attendibile sullo scenario dei
prossimi anni.
Sicuramente noi reti di vendita ab-
biamo subito le scelte di altri attori
anche se talvolta sbagliate (case au-
tomobilistiche, Europa e singoli Go-
verni) ma di una cosa sono certo,
che per rendere più profittevole nel
futuro il nostro business, qualsiasi
sarà lo scenario, saranno necessari
dealer sempre più strutturati e di di-
mensioni significative che si possano
permettere investimenti importanti
e soprattutto “attirare” professionalità
sempre migliori indispensabili per il
risultato aziendale.
Molti colleghi che non hanno la di-
mensione giusta e spesso mancano
MAURIZIO BRANDINI
MARCOLINI
Presidente del
Gruppo Brandini
PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO 3.1
119

della continuità aziendale preferiranno
passare il testimone a quei colleghi
che accetteranno la sfida ed il rischio
imprenditoriale.
Per concludere queste mie brevis-
sime riflessioni desidero fare due
considerazioni che sono indispensabili
per inquadrare meglio il business
dell’auto:
1) Perché il meccanismo non si inceppi
e non rimangano sul campo morti
e feriti è indispensabile che la do-
manda sia sempre maggiore (anche
di poco) all’offerta.
Ci eravamo illusi dopo il Covid che
questo fosse possibile ma dopo
un paio di anni gli stock dei con-
cessionari stanno tornando a livelli
difficilmente sostenibili e con una
penalizzazione aggiuntiva che è
quella di un mix troppo spostato
sull’elettrico.
2) Il mercato non si lascia violentare
ed il CONSUMATORE resta il suo
RE: l’elettrificazione, come era nei
desideri del legislatore europeo,
ha fallito i suoi obiettivi iniziali, no-
nostante ingenti risorse destinate
dai singoli stati; è il consumatore
che decide cosa e quando com-
prare.
Per quanto riguarda i nuovi contratti
che alcune case vorrebbero svilup-
pare con le proprie reti di vendita
sono molto scettico perché si ver-
ranno ad avere sul mercato due si-
tuazioni contrattuali molto diverse
fra loro: mandato di Concessione e
Agenzia/Commissionario.
Nelle concessionarie con più marchi
dovranno convivere sotto lo stesso
tetto due tipologie contrattuali au-
mentando notevolmente la comples-
sità della gestione operativa del-
l’azienda.
Penso anche che le Case che sce-
glieranno la strada dell’agenzia per-
deranno una certa “aggressività”
commerciale perché gli mancherà
completamente il ruolo del conces-
sionario che faceva da cuscinetto fra
la fabbrica e il cliente e poi produ-
cendo solo sul venduto perderanno
la pronta consegna a discapito dei
mandati di concessione tradizionali
che saranno sempre ben forniti di
stock e quindi molto più determinati
a farlo fuori il prima possibile.
In un mercato con due regole del
gioco così diverse fra loro si creeranno
sicuramente degli scompensi che
non gioveranno al sistema automo-
tive.
Comunque, penso che il futuro del
nostro mestiere si chiami in un unico
modo: USATO.
In un mercato che è il doppio di quello
del nuovo il mercante di usato (com-
pro, baratto e vendo) ci permetterà
di fare i veri imprenditori senza nessun
condizionamento da parte delle Case
e sarà indispensabile per sostituire
prima possibile i margini che oggi
abbiamo sul nuovo e che continua-
mente ci vengono taglieggiati.
120
PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO3.1

PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO 3.1
121
L’auto è forse uno dei prodotti in-
dustriali più complessi che l’uomo
abbia mai realizzato: R&S, elettronica,
meccatronica, software e ora capa-
cità di connessione con centrali ester-
ne fino alle smart road con i progetti
sempre più spinti di smart cities che
ci daranno una fruizione del viaggio
e dell’uso dell’auto mai viste prima
di oggi.
Passando però a una carrellata di
cosa abbiamo visto in questi ultimi
dieci anni dobbiamo necessariamen-
te dividere l’analisi in più capitoli:
- Sicurezza: l’evoluzione dei sistemi
di sicurezza attiva e passiva è
stata veramente importante.
l’applicazione degli ADAS anche
sulle auto entry level ha aumen-
tato la sicurezza con un unico
effetto negativo, ovvero l’au-
mento del prezzo medio dei vei-
coli.
- Tecnologia di bordo: i sistemi di
infoteiment dieci anni fa si divi-
devano fra i sistemi proprietari
delle case costruttrici e i sistemi
esterni come tom tom, garmin
e altri indipendenti. In dieci anni
persistono i sistemi delle Case
in JV con i produttori di software,
ma parallelamente abbiamo visto
l’integrazione dei sistemi android
e Apple per auto integrando i
nostri smartphone alle nostre
auto.
- Motorizzazioni: abbiamo visto la
comparsa industrializzata delle
auto elettriche con Tesla e non
solo, auto ibridizzate con livelli
di elettrificazione via via più re-
centi. Allo sviluppo tecnologico
si sono poi associati, soprattutto
in Europa, regolamenti e divieti
progressivi alla produzione e ven-
dita delle auto termiche. Tutte
queste regolamentazioni ci han-
no portato ad una imposizione
rigida al 2035 con il divieto di
vendita di auto termiche, senza
lasciare spazio alle altre tecno-
logie disponibili: i giapponesi
spingono per l’idrogeno, alcuni
paesi europei caldeggiano so-
luzioni con i bio carburanti senza
tralasciare la ricerca tecnologica
sui motori termici con “cicli” in-
novativi e innovazioni estrema-
mente efficienti. Oggi stiamo ti-
midamente mettendo in dubbio
il dogma europeo, vedremo cosa
uscirà nei prossimi due anni da
questi dibattiti. Sicuramente ri-
mane centrale la salvaguardia
dell’industria europea con tutti i
suoi settori, e quindi metalmec-
canica, meccatronica, cambi, in-
dustria di meccanica fine in ge-
nere. A questi scenari di elettri-
ficazione spinta fanno da con-
traltare le necessità di produzione
di energia aggiuntiva in quantità
oggi non disponibili e difficil-
mente raggiungibili con il tempo
previsto dalle normative.
- Geopolitica: veniamo da un de-
cennio particolarmente com-
plesso che ha visto la attenua-
zione della globalizzazione, il Co-
vid con relativi problemi di ap-
provvigionamento fra la fabbrica
del mondo, la Cina, ed il resto
DANIELE DA LOZZO
Presidente
di Agenzia Italia

122
PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO3.1
delle economie occidentali.
Sempre rimanendo nell’ambito
dell’auto non si può non notare
la strategia cinese di controllare
la filiera delle terre rare mondiali
al fine di controllare verticalmen-
te la produzione di batterie al
litio e quindi controllare il costo
delle auto elettriche dotate di
queste batterie. A questo ag-
giungiamo che lo stato cinese
sovvenziona i produttori di auto
elettriche ed ecco che i mercati
sono sotto scacco delle impor-
tazioni cinesi drogate dai con-
tributi di Stato, vietati nel resto
del mondo.

PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO 3.1
123
Settembre 2015, salone di Franco-
forte. È la calma prima della tempesta
nella massima ed eccessiva kermesse
automobilistica di quegli anni, il tempio
dove si celebrava il rito pagano del-
l’auto e della super potenza tedesca
che sembrava non temere nessuno.
Eppure, le nubi della prima tempesta
epocale erano all’orizzonte: il Diesel-
gate che, scatenato negli Usa, travolse
il gruppo Volkswagen per aver alterato
con un cheating device le emissioni
di NOX dei suoi motori a gasolio. Un
disastro epocale con multe miliardarie
nonché milioni e milioni di auto nuove
negli Stati Uniti ammassate sotto il
sole in parcheggi improvvisati dei
deserti perché dovevano essere de-
molite (e di certo erano meno inqui-
nanti delle vecchie vetture del parco
circolante USA). Il Dieselgate fu un
vero tsunami che travolse l’industria
automobilistica mondiale e soprat-
tutto europea e tedesca. Un vero
colpo al cuore che mise di fatto fuori
gioco uno dei motori più efficienti e
meno impattanti dal punto di vista
delle emissioni di anidride carbonica.
Volkswagen, il motore a gasolio e
tutta l’industria automobilistica su-
birono uno shock, anche mediatico,
senza precedenti e sul banco degli
imputati (per colpa di Vw) finirono
tutte le case costruttrici e questo
accese la scintilla, in una confusione
nei media, probabilmente dolosa, tra
emissioni clima alteranti ed emissioni
inquinanti finché si decretò l’inizio
della fine del motore termico. Il die-
selgate diede l’appiglio mediatico
coram populo, anche per la mancanza
di conoscenza tecnica in molti giornali,
per sostenere in una Commissione
Europea a trazione olandese l’avvio
del processo che portò, due anni fa,
alla storica decisione di mettere al
bando il motore a combustione in-
terna nel 2035 con una decisione
del Parlamento Europeo che solo
sulla carta è tecnologicamente neu-
trale ma, nella realtà dei fatti impone
un’unica scelta: quella dell’auto elet-
trica a batterie agli ioni di litio. È pro-
prio in questi giorni, quasi dieci anni
dopo, che iniziamo a vedere le prime
fasi del disastro industriale che questa
scelta ha contribuito a portare. Sotto
gli occhi di tutti in questi giorni ci
sono le fabbriche che verranno chiuse
del gruppo Volkswagen e presto as-
sisteremo ad altre tragedie occupa-
zionali ed industriali, anche a causa
delle norme Cafe del 2025. Una si-
tuazione che tragicamente ricorda
la crisi della Repubblica di Weimar o
il terribile periodo di crisi dell’auto-
motive degli anni ‘70 in Germania e
soprattutto in Inghilterra. Tuttavia,
questa crisi epocale che vede alle
porte la pressione dei nuovi compe-
titor cinesi, non è solo colpa di una
politica ambientalista ciecamente
ideologica ma è anche e forse so-
prattutto il frutto dell’incapacità di
molte case automobilistiche di reagire
all’assalto del partito antiauto tra-
sversale in tutta Europa. Ma non solo,
in questi ultimi 10 anni le case co-
struttrici europee e soprattutto te-
desche ci hanno abituato a una serie
di scelte scellerate e sbagliate con
prodotti, soprattutto elettrici, che
non erano adeguati per tecnologie,
per stile e per posizionamento, a
competere con quella Tesla di Elon
Musk, sempre sugli scudi dei media
MARIO CIANFLONE
Automotive chief editor de
Il Sole 24 Ore

124
PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO3.1
mondiali. In pratica, negli ultimi anni
le Case, soprattutto tedesche, si
stanno comportando come si com-
portò Nokia di fronte all’arrivo degli
smartphone di Apple e del mondo
Android: senza una capacità di rea-
zione. E ora ci si chiede come mai in
questi dieci anni non si sia potuto
fare di meglio. Magari innovare in
modo efficace senza buttare miliardi
in fughe in avanti come la guida au-
tonoma. Infatti, sono più di 10 anni
che le case automobilistiche hanno
fatto annunci su improbabili sistemi
di guida totalmente automatizzata il
famoso Livello 5 della scala Sae,
senza poi arrivare a nulla di effetti-
vamente commerciabile, perché fon-
damentalmente ci si è fermati al livello
2, che poi è quello che serve e che
probabilmente l’automobilista richie-
de. La macchina che guida da sola
faceva parte di una strategia di an-
nunci ad alto effetto wow, tesi a so-
stenere il valore di borsa delle case
automobilistiche e il valore del titolo
negli ultimi anni è diventato totemico,
probabilmente per inseguire Tesla
sullo stesso piano. Le case automo-
bilistiche, soprattutto di passaporto
tedesco, si sono dimenticate che il
loro business non era fare annunci
su auto che guidavano da sole, o ad-
dirittura volanti, come faceva Uber,
inseguendo hype mediatiche quali i
droni di Amazon, tanto decantati ma
che nessuno ha mai visto. I costruttori
si sono dimenticati del loro ruolo di
fabbricanti di automobili. Abbiamo,
negli ultimi anni, sentito eresie da
parte del marketing di case auto-
mobilistiche premium tedesche che
sostenevano che il loro ruolo era
quello di fare, non ben definiti, mo-
bility device. Perdendo l’orgoglio di
fare automobili e smarrendo la bussola
sul mercato, si sono gettati nel “all in”
sull’elettrico, senza una strategia in-
dustriale supportata da una politica
energetica. Decidere, come è stato
deciso, di fare una scelta anticipata
per proporre gamme di vetture esclu-
sivamente elettriche è stato un errore
epocale che contraddistingue questo
decennio, ma non è stato l’unico, per-
ché dall’altra parte c’è un altro errore
clamoroso: quello di aver regalato
competenze specifiche ai concorrenti
cinesi che dieci anni fa facevano sor-
ridere e venivano dileggiati nei saloni
dell’auto e di Pechino da parte di ma-
nager e osservatori. Ora, invece, fanno
paura per livello di tecnologia, posi-
zionamento di mercato e design, sen-
za dimenticare la loro capacità di co-
stituire un ecosistema industriale.
L’incredibile miopia di voler accettare
le scellerate joint venture al 51% con i
player locali cinesi, per poter vendere
in loco senza pagare enormi dazi al-
l’importazione, ha portato alla ces-
sione generalizzata di tecnologie e
chiavi a quelli che sarebbero diventati
più temibili concorrenti.
Ma non solo: le case automobilistiche
nel cercare di dominare lo strategico
mercato cinese che poi, si veda il
caso di Volkswagen, hanno
perso, sono state anche incapaci di
puntare sul dominio delle tecnologie.
E questo è, oltretutto, un fatto squi-
sitamente europeo. Negli ultimi dieci
anni la già poco potente industria
elettronica digitale e del software
del vecchio continente è stata tra-
volta, sostanzialmente annichilita. Ba-
sti pensare all’emblematico e sopra-
citato caso Nokia. E ora, nel 2025,
10 anni dopo il Dieselgate, e dopo 10
anni di proclami su auto elettriche
che sconfiggeranno Tesla, ci si chiede
quale sarà il primo grande gruppo
europeo a fare la fine ingloriosa di
Nokia. Ma qui ci sono in ballo non
qualche migliaia di posti di lavoro ma
milioni, nonché la tenuta dell’intero
sistema industriale Europeo.

PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO 3.1
125
Negli ultimi dieci anni, l’evoluzione
della mobilità ha vissuto trasforma-
zioni profonde, guidate da cambia-
menti tecnologici, urbanistici e cul-
turali. Il settore dei trasporti, tradi-
zionalmente radicato su infrastrutture
e modelli consolidati, ha subito una
vera e propria rivoluzione, grazie al-
l’emergere di soluzioni innovative e
sostenibili.
Questi cambiamenti hanno avuto im-
patti significativi su tutte le aziende
coinvolte nel settore dei trasporti e
dei carburanti, incluse quelle come
Q8 Italia, che devono adattarsi, e
spesso ripensarsi, rapidamente per
soddisfare nuove esigenze e cogliere
opportunità emergenti.
La transizione energetica, ha imposto
una revisione profonda dei piani stra-
tegici per far spazio a nuovi modelli
di mobilità, come quella basata su
veicoli a batteria (BEV) che, malgrado
ancora marginali in termini assoluti,
hanno richiesto rilevanti investimenti
in infrastrutture di carica e definizione
di partnership con operatori che con-
sentissero l’accesso alla quasi totalità
dei punti di ricarica distribuiti sul ter-
ritorio italiano.
Q8 italia con i suoi oltre 2.800 punti
vendita diffusi capillarmente su tutto
il territorio nazionale sono divenuti
dei veri e propri hub multi-energy e
multi-service.
Un network di vendita che offre dai
carburanti tradizionali e prestazionali
(Q8 Hi Perform Diesel e Q8 Hi Per-
form100 Ottani), a quelli alternativi
come GPL, gas naturale liquefatto e
compresso bio (GNL e GNC), ricarica
per veicoli elettrici ed Q8 HVO +.
Quest’ultimo è un biocarburante
avanzato - compatibile con la gran
parte di motori diesel di più recente
produzione – che, rispetto ad un ga-
solio tradizionale, consente una no-
tevole riduzione delle emissioni di
CO
2
calcolate sull’intero ciclo di vita
del prodotto, arrivando ad abbattere,
se utilizzato in purezza, fino al 90%
di emissioni a seconda della materia
prima utilizzata per la sua produzione.
La scelta strategica aziendale di raf-
forzare la capacità di rispondere alla
domanda crescente di soluzioni a
basse emissioni, consolidando il ruolo
dell’azienda nel mercato dei carbu-
ranti sostenibili, ha portato alla deci-
sione di Q8 entrare direttamente an-
che nella filiera della produzione, in
aggiunta alla distribuzione già da
tempo presidiata, realizzatasi grazie
all’acquisizione del 50% delle quote
della Ecofox, azienda leader nella
produzione di biodiesel di seconda
generazione non in competizione
con l’industria alimentare.
Aderendo alla visione della Mobility
as a Service, che sarà uno dei pilastri
fondamentali della Smart City, sono
molteplici i servizi digitali che, grazie
ad un sistema di connettività all’avan-
guardia, completano l’offerta di una
rete di vendita moderna, come le
carte virtuali per la gestione ed il ri-
fornimento delle flotte aziendali (Car-
tissimaQ8), le carte prepagate azien-
dali e coupon (Recard Q8) e pro-
grammi di fidelizzazione personalizzati
(App Club Q8).
Dalle attività destinate al ristoro, agli
shop – tra cui si distingue il concept
store Svolta che si caratterizza per
una particolare attenzione alla so-
stenibilità- ai lavaggi per le autovet-
FABIO CURTACCI
Direttore Retail
& Marketing

126
PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO3.1
ture, alla pluralità dei sistemi di pa-
gamento, alle postazioni di ricarica
per dispositivi personali, ai parcheggi
attrezzati, le stazioni di servizio Q8
sono pensate per soddisfare le di-
versificate esigenze dei clienti in ogni
fase del viaggio. Molti dei servizi sono
offerti anche grazie alle partnership
con prestigiosi operatori dei settori
di riferimento.
In linea con la più ampia strategia di
sostenibilità, integrata definitivamente
con quella di business, anche la rete
di vendita Q8 è costantemente im-
pegnata a ridurre il proprio impatto
ambientale, attraverso l’installazione
di pannelli fotovoltaici, l’adozione di
sistemi avanzati per l’efficienza ener-
getica, l’utilizzo di materiali sostenibili,
la riduzione dei rifiuti ed il risparmio
idrico.
A ben vedere i punti vendita Q8 te-
stimoniano concretamente la “twin
transition”, ovvero la coniugazione
della transizione digitale e di quella
ecologica. Una coniugazione che
deve avere come obiettivo finale la
just transition, una transizione giusta,
imparziale e inclusiva, basata sul prin-
cipio della neutralità tecnologica,
che non lasci indietro nessuno e che
si faccia carico delle comunità e dei
gruppi finanziariamente più vulnerabili
della società, in modo da garantire
a tutti, accanto alla progressiva de-
carbonizzazione dei trasporti, anche
l’attuale diritto ad una mobilità ac-
cessibile.

PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO 3.1
127
Negli anni ’90 un famosissimo libro
sull’automobile si intitolava “la mac-
china che ha cambiato il mondo”; se
oggi dovessimo scrivere un libro sul-
l’automobile lo potremmo intitolare:
“come il mondo ha cambiato la mac-
china che ha cambiato il mondo”.
Voltarsi indietro e guardare al mondo
dell’Automotive di dieci anni fa si po-
trebbe pensare di aver cambiato pia-
neta. Certamente l’aumento della
popolazione mondiale a oltre otto
miliardi di uomini sulla terra ha cam-
biato in misura importante il contributo
antropico al deterioramento ambien-
tale ed il conseguente bagaglio di
CO
2
: un fenomeno che preoccupa
tutti. Ma, al di là di questo, l’automobile
viene posta sempre al centro delle
critiche, quasi che tutti i mali siano
causati da questo oggetto che ef-
fettivamente ha cambiato il mondo
consentendo una mobilità che 100
anni fa non si poteva immaginare.
L’uomo ha fatto molti errori, ma con-
tinuando a farli non potrà certo mi-
gliorare la situazione, anzi…
L’Unione Europea si è data ambiziosi
traguardi, unici nel panorama mon-
diale. Su questo c’è da notare che,
quando l’Unione ha deciso che dal
2035 si sarebbero immatricolate solo
autovetture elettriche, vi era un rife-
rimento al fatto che avremmo dovuto
effettuare una transizione SOSTE-
NIBILE; il valore di questo ultimo so-
stantivo a me non è chiaro, anche
alla luce degli sviluppi, meglio delle
reazioni, del mercato. Oggi, più che
di sostenibilità dovremmo parlare di
arretratezza economica: perché, pur-
troppo questo è il grave rischio che
stiamo correndo nel nostro continen-
te, impiccato com’è da traguardi che
si stanno rivelando ogni giorno di più
non sostenibili dal punto di vista eco-
nomico, sociale e ora anche industriale,
dal momento che si parla aperta-
mente di chiusura di impianti produttivi
in Europa. Credo che la sostenibilità
dovesse avere al centro della sua de-
clinazione cosa fare per sostituire il
parco circolante europeo per avere
delle autovetture non inquinanti. Mi
permetto di dire sommessamente
che, a legislazione vigente, stiamo
andando da tutt’altra parte.
A mio avviso, l’errore fondamentale
è stato quello di pensare che fosse
possibile imprimere un percorso di
abbattimento dei livelli di emissione
media di CO
2
imponendo target rigidi
a carico dei costruttori di autoveicoli
e prevedendo un meccanismo di mul-
te (miliardarie) ai produttori europei
nel caso di superamento dei limiti
consentiti.
La conseguenza è stata che tutti i
produttori si sono tuffati in investi-
menti miliardari per la produzione di
autovetture elettriche (BEV), la cui
leadership, in termini di tecnologia e
materie prime è da tempo appan-
naggio di imprese orientali. Ne è ri-
sultato che gli investimenti e la non
disponibilità di materie prime a prezzi
accettabili, siano gli elementi portanti
dell’alto livello dei prezzi delle auto-
vetture elettriche ed elettrificate pro-
dotte dai costruttori europei e che,
senza pesantissimi incentivi statali
non si vendono. Senza trascurare che
la tecnologia BEV è in costante evo-
luzione e quindi soggetta ad un’ob-
solescenza esagerata attualmente
non sopportabile dal mercato.
ADOLFO
DE STEFANI COSENTINO
Presidente emerito di
Federauto e
titolare della
Concessionaria De Stefani

128
PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO3.1
È di tutta evidenza che il consumatore
non acquista per legge, ma, dato il
valore rilevante dell’automobile, pon-
dera bene il proprio acquisto e finché
non ci saranno autovetture BEV con
autonomie chilometriche effettive
particolarmente lunghe, con tempi
di ricarica ridotti e infrastrutture ade-
guate, nonché prezzi accessibili, dif-
ficilmente abbandonerà il motore en-
dotermico.
In tutto questo contesto la vittima,
come quasi sempre accade, è la rete
distributiva in quanto si trova tra due
fuochi: da una parte un mercato che
non vuole e non gradisce l’autovettura
BEV e, dall’altra, le case automobili-
stiche che per non pagare penali do-
vute a produzione di auto con emis-
sioni di eco alteranti maggiori a quanto
stabilito per legge, impongono alla
rete distributiva di immatricolare una
percentuale di BEV molto superiore
a quella che il mercato richiede; in-
somma ancora una volta, usando me-
todi più o meno coercitivi giustificati
dalla posizione dominante dei pro-
duttori, chi ne fa le spese è il dealer.
Tornando alla riflessione su cosa sia
accaduto in questi dieci anni? La rete
distributiva si è ridotta, le case auto-
mobilistiche hanno ridotto il margine
lordo ai dealer e le auto hanno subito
aumenti molto superiori all’inflazione
con conseguente riduzione del mer-
cato. In Italia, in particolare, lo stop
and go degli incentivi ha aumentato
ulteriormente i dubbi del consumatore
riducendo la propensione all’acquisto,
aumentando conseguentemente l’an-
zianità del parco circolante a svan-
taggio delle emissioni e della sicurezza
delle strade.
Insomma, possiamo effettivamente
dire che al peggio non c’è fine. Ab-
biamo peggiorato le cose, ma non
abbiamo cambiato l’aspetto climatico
anche perché il mercato non si cambia
per legge! In un un’economia di mer-
cato chi comanda è il consumatore;
quando si va a pesca l’esca non deve
piacere al pescatore, ma al pesce!

PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO 3.1
129
Nell’ultimo decennio, il settore au-
tomobilistico ha vissuto trasformazioni
epocali, influenzate da eventi globali
e innovazioni tecnologiche che hanno
cambiato radicalmente il sistema auto
e che, l’uno conseguenza dell’altro,
hanno rappresentato l’essenza del
futuro settore automotive.
Apri pista di questi rivoluzionari cam-
biamenti è stato, nel 2015, il “Diesel-
gate”.
È importante che si riprenda a parlare
di “Dieselgate”, scandalo che ha se-
gnato, profondamente, l’industria au-
tomobilistica a livello globale, e che,
personalmente, ritengo rappresenti
la scintilla che ha innescato, oltre ad
una profonda crisi dei Costruttori,
alcuni dei quali hanno pagato ingenti
sanzioni, anche l’avvio della transi-
zione elettrica.
È stato proprio questo il momento
in cui il “Sistema Europa della Pro-
duzione” ha subito un attacco, sia
economico che tecnologico, che ha
obbligato i Costruttori ad una virata
rapidissima e violentissima nel pas-
saggio all’elettrico, con l’obiettivo di
allontanarsi dai motori a combustione
interna, in particolare il diesel, inve-
stendo, pesantemente, nello sviluppo
di veicoli che adottassero tecnologie
più pulite e sostenibili.
Pur consapevoli che il tempo della
“transizione” avrebbe dovuto essere
molto più lungo, così da consentire
che l’auto elettrica diventasse un’auto
di massa, i Costruttori, vessati dalle
sanzioni, e dai danni che da esse
sono derivati, si sono piegati a questa
grande e rapida virata.
A rafforzare il destabilizzato panorama
del settore automotive è, poi, so-
praggiunta la “bolla” della pandemia
di Covid-19, scoppiata nel 2020, in
cui le automobili, richieste dai Clienti
venivano pagate profumatamente
senza condizioni di trattativa in quanto
la priorità era avere un’auto.
La crisi sanitaria, infatti, ha causato
uno shock, senza precedenti, per
l’industria automobilistica, interrom-
pendo la catena di approvvigiona-
mento e riducendo la produzione.
Tale situazione, successivamente, ag-
gravata, dall’inizio della guerra in
Ucraina, ha portato ad una grave crisi
dei componenti di produzione in tutta
l’area balcanica, che, con l’aggiunta
della carenza di semiconduttori, fon-
damentali per la produzione di auto
moderne, ha dato inizio al rallenta-
mento delle consegne di nuovi veicoli
ed ha fatto lievitare i prezzi.
Si è trattato solo di una “bolla” e,
come tale, è scoppiata, scomparendo
e consentendo il ritorno ad un mer-
cato reale.
Parallelamente, questo rappresenta
l’inizio del passaggio alla mobilità
elettrica, particolarmente spinta dalle
politiche europee che fissano obiettivi
ambiziosi per ridurre le emissioni di
CO
2
, con l’intento di eliminare gra-
dualmente le auto a combustione
interna entro il 2035.
Questo, ha spinto i produttori ad in-
vestire, massicciamente, nei veicoli
elettrici (EV), favorendo l’adozione
di tecnologie come le batterie al litio
e l’espansione delle infrastrutture di
ricarica.
A livello globale, anche paesi come
la Cina e gli Stati Uniti hanno intensi-
ficato gli sforzi per elettrificare i tra-
sporti.
FRANCESCO MALDARIZZI
Presidente della
Maldarizzi Automotive

130
PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO3.1
La Cina, in particolare, da grande
produttore di veicoli endotermici,
emerge come la prima fabbrica del
mondo per i veicoli elettrici, domi-
nando la produzione di batterie e
componenti per auto elettriche, gra-
zie anche a politiche industriali ag-
gressive e a una rete di produzione
altamente efficiente che ha visto
emergere i principali marchi nazionali
nel mercato mondiale.
Cambia il veicolo, oggetto dell’ac-
quisto e cambia anche il modello tra-
dizionale di acquisto dell’auto?
Alcuni consumatori, infatti, hanno
abbandonato l’idea di proprietà com-
pleta, preferendo soluzioni di finan-
ziamento o leasing, oppure modalità
di pagamento legate all’effettivo uti-
lizzo del veicolo, tipologia, questa,
che si allinea e risponde alla crescente
domanda di flessibilità da parte dei
consumatori, soprattutto giovani,
fautori e principali utilizzatori della
digitalizzazione globale.
Sono proprio i giovani a diffondere,
con la loro richiesta, specialmente in
Europa e nelle grandi metropoli, il
fenomeno del car sharing, legato al
concetto di mobilità sostenibile in
quanto riduce il numero di veicoli pri-
vati in circolazione e migliora la ge-
stione del traffico.
A supporto delle nuove esigenze di
spostamento delle grandi metropoli,
si assiste ad una crescente penetra-
zione delle NTL (New Transportation
Logistics), ovvero soluzioni di tra-
sporto innovative come monopattini
elettrici e biciclette condivise, che
hanno ulteriormente trasformato il
paesaggio della mobilità.
Va precisato, però, che le nazioni non
sono fatte solo di metropoli e grandi
città: la popolazione vive, prevalen-
temente, in piccoli paesi in cui, spesso,
le distanze da percorrere quotidia-
namente, sia per lavoro che per motivi
personali, sono estremamente rile-
vanti e non è facile, né possibile,
avere di questi servizi.
Pertanto, per molti anni ancora, si
continuerà con un mercato tradizio-
nale.
Stiamo, inoltre, assistendo ad una
contestuale retromarcia da parte di
alcuni Costruttori che pensavano di
poter vendere le loro auto diretta-
mente con mandati di Agenzia sal-
tando l’importantissima e grandissima
filiera dei Concessionari.
L’acquirente, infatti, ha ancora un co-
stante bisogno di un contatto fisico
e soprattutto professionale rappre-
sentato dal Concessionario. D’altron-
de, il fallimento delle vendite on-line
ne è una evidente dimostrazione.
La tecnologia diventa, comunque,
nonostante alcune oggettive limita-
zioni, performante ed essenziale!
Basti pensare allo sviluppo di nuove
funzionalità per la sicurezza e il com-
fort dei veicoli, quali gli ADAS (Ad-
vanced Driver Assistance Systems)
che sono ormai diventati uno stan-
dard, con funzionalità come il cruise
control adattivo, la frenata automatica
di emergenza e l’assistenza al man-
tenimento della corsia.
Inoltre, la connettività dei veicoli è in
continua evoluzione, con le auto sem-
pre più interconnesse con il cloud e i
servizi digitali, offrendo funzioni di
aggiornamento software da remoto
e integrazione con smartphone e altri
dispositivi.
Sintetizzando questo “effetto casca-
ta”, l’ultimo decennio ha visto una
serie di cambiamenti epocali nell’in-
dustria automobilistica ed in tutto il
settore automobilistico (inclusa la
vendita) che lo renderà sempre più
digitale, sostenibile, interconnesso e
proiettato nel futuro, pur restando,
ancora per molto tempo, coeso con
alcuni fondamentali elementi della
“tradizione”.

PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO 3.1
131
Nell’agosto del 2017, l’Economist –
media di riferimento dell’establi-
shment economico mondiale – de-
dicò la sua storia di copertina alla
morte del motore a combustione. Il
titolo era drammatico - “Roadkill”,
che in inglese indica la carcassa di
un animale ucciso sulle strade – e il
sottotitolo alquanto eloquente: “Ha
fatto la sua corsa, ma la fine è vicina
per la macchina che ha cambiato il
mondo”. Poi, per essere ancora più
chiari: “Lo spostamento da benzina
e pistoni a batterie e motori elettrici
non impiegherà molto ad avvenire. I
primi segni della morte del motore a
scoppio vanno già riverberandosi per
il mondo”. Avanti veloce di sette anni.
In questo momento, la maggior parte
delle Case costruttrici europee mass
market sta reintroducendo le auto-
mobili a combustione interna fret-
tolosamente tolte dalla produzione
in ossequio alla convinzione – così
ben descritta dai colleghi dell’Eco-
nomist e così ben innervata dalla fi-
nanza Esg – che l’elettrico avrebbe
conquistato in un batter di ciglia il
mercato, in virtù delle mandate poli-
cies decise dall’Europa (c’è addirittura
chi sta trasformando in termici modelli
nati Bev). 
Basterebbe questo piccolo aneddoto
per riassumere la colpevole illusione
che l’automotive ha vissuto negli
ultimi anni. Si credeva che il Green
deal voluto da Bruxelles e il phase
out dei motori a combustione nel
2035 in esso contenuto avrebbero
determinato uno spostamento epo-
cale degli equilibri di mercato, grazie
anche agl’incentivi generosamente
concessi dai governi, e così non è
stato. Si credeva che l’elettrico – su
cui il settore ha investito più di 60
miliardi di euro dal 2020 a oggi - sa-
rebbe stato funzionale a spostare
l’asse strategico dei produttori dai
volumi alla reddittività, e così non è
stato. Si credeva che i cinesi non
avrebbero mai attaccato l’Europa, e
così non è stato. Si credeva che lo
spostamento in alto del baricentro
dei prezzi, cresciuti ben oltre l’effetto
inflazionistico, non avrebbe avuto ef-
fetti sulla domanda, e così non è
stato. Si credeva che la mobilità sa-
rebbe andata verso nuovi modelli di
servizio, e così non è stato. Si credeva
che accettare le norme Cafe intro-
dotte dopo il Dieselgate non sarebbe
stato un problema, ché la quota elet-
trica avrebbe consentito di schivare
le multe per eccesso di CO
2
, e così
non è stato. Oggi l’automotive eu-
ropeo si trova in un angolo. E vi si
trova sicuramente perché colpevole
di aver assecondato i dogmatismi di
una politica miope, ma anche perché
ha sbagliato visione, tempi e obbiet-
tivi, macchiandosi nel contempo di
arroganza nei confronti dei consu-
matori, a cui nessuno ha chiesto se
fossero d’accordo con le premesse
di una rivoluzione green dagli ob-
biettivi condivisibili ma dall’applica-
zione approssimativa, e dei rivali che
oggi si affacciano aggressivi alle porte
del Vecchio continente. 
Oggi le Case, che negli ultimi anni
hanno guadagnato come non mai,
chiedono soldi pubblici per rimanere
competitive, ponendo i governi di
fronte all’alternativa di dover gestire
le implicazioni sociali delle chiusure
delle fabbriche. E non è chi non veda
GIAN LUCA PELLEGRINI
Direttore di Quattroruote,
Ruoteclassiche,
Quattroruote
Fleet & Business
e membro della giuria
Car of the Year

132
PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO3.1
come la concessione di tali aiuti ricopi
lo stesso meccanismo di sostegno
che l’Europa rimprovera ai cinesi e
che ha determinato i dazi all’impor-
tazione delle loro Bev. Certo è che i
licenziamenti di massa e la cancella-
zione di stabilimenti incombono, ro-
vesciando sul tessuto sociale di tanti
Paesi – e fra questi purtroppo c’è
l’Italia – un’incapacità di leggere il
mercato francamente inaccettabile.
Che cosa ci riserva il futuro? Di certo
non una strada in discesa. L’industria
automobilistica europea è chiamata
a una trasformazione epocale, ma la
vera sfida sarà trovare un equilibrio
tra innovazione tecnologica, soste-
nibilità economica e accettazione da
parte dei consumatori. I costruttori
europei non avranno altra scelta che
unire le forze, rassegnandosi in ogni
caso a perdere rilevanza nello scac-
chiere mondiale. Ma la domanda ri-
mane: quale senso ha avuto fare la
rivoluzione per consegnare ad altri
una leadership gestita senza parti-
colari problemi per oltre un secolo?

PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO 3.1
133
Quando Pier Luigi mi ha chiesto di
sintetizzare in 5mila battute il “nostro”
amato settore e le sue trasformazioni
degli ultimi 10 anni ho pensato: bel-
lissima idea, difficile da realizzare in
così poco spazio. L’Automobile: un
industry vitale per l’Europa e per i
consumatori. Un settore che è cam-
biato tantissimo nelle tecnologie dagli
anni ‘20 fino a dieci anni fa, ma po-
chissimo nella sua distribuzione an-
cora legata ad un rapporto molto “fi-
sico” tra venditore e cliente. Dieci
anni fa il settore è stato “scosso” da
una serie di eventi diciamo “non pia-
nificati” ma di portata globale: Tesla,
il Dieselgate, il Covid, i semiconduttori,
le normative sulle emissioni, le guerre,
Internet e il Selling on line.
Un settore che era sempre stato di-
ciamo “chiuso” e in qualche modo
“protetto”, negli ultimi 10 anni ha do-
vuto affrontare “terremoti” di ogni
genere dovendosi reinventare sem-
pre. Tutte queste rivoluzioni hanno
portato anche a grandi consolida-
menti, FCA prima Stellantis poi, ma
anche a grandi ripensamenti Re-
nault/Nissan e a “nuovi” interpreti,
Tesla prima i Cinesi adesso.
La prima considerazione che mi sento
di fare è che “l’automobile” è un set-
tore forte e in grado di superare tutte
le sfide che gli si presentano davanti.
Lo ha dimostrato soprattutto durante
il COVID, quando per la prima volta
nella storia tutte le fabbriche di au-
toveicoli si sono “fermate”, neanche
durante la guerra era mai successo.
Eppure il settore dal COVID e dalla
successiva crisi dei semi conduttori
ne è uscito più solido, con profitti
record, imparando che non è sempre
vera l’equazione “più volumi più soldi”.
La seconda considerazione riguarda
il legislatore, colui che decide le “re-
gole del gioco”. Qui c’è stata una ac-
celerazione verticale verso le zero
emissioni con diciamo “velocità” di-
verse a livello globale. Il nostro pianeta
merita attenzione e il nostro settrore
deve fare la sua parte, ma senza una
visione globale e non regionale e
senza una programmazione, si rischia
di mettere in crisi un reparto strate-
gico per il PIL Europeo e Globale.
Il terzo pensiero va alla distribuzione
che è rimasta “ferma” per troppi anni
ignorando i cambiamenti nei com-
portamenti dei consumatori in altri
settori. Pensiamo alle banche, com’
è cambiato il rapporto “fisico” con le
filiali rispetto all’“home banking”; op-
pure al travel... oggi la percentuale
di viaggi acquistati in agenzia è sotto
il 20%. L’auto sta facendo questa
transizione con fatica e sta ancora
cercando l’equilibrio tra esperienza
fisica e digitale.
Il quarto pensiero va al consumatore,
in fondo il vero e unico “giudice” di
quello che tutti i costruttori provano
a realizzare. Qui penso al passaggio
dal “possesso” all’”utilizzo” del bene.
L’automobile è un oggetto che su-
bisce svalutazioni importanti fin dal
primo giorno di vita (pensiamo al
vaore residuo di un auto dopo appena
6 mesi). Negli ultimi 10 anni il mercato
sta cercando di spostare l’attenzione
dal concetto di proprietà a quello di
utilizzo: dal noleggio a lungo termine
fino al car sharing per 30 minuti.
Un’altra piccola grande rivoluzione
che stiamo gestendo....
L’ultima considerazione torna sul
GAETANO THOREL
direttore europeo
di Fiat/Abarth
e vice presidente senior
di Stellantis

134
PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO3.1
“prodotto”, in fondo l’oggetto da cui
è sempre partito tutto sin dalla prima
automobile. Le rivoluzioni tecnolo-
giche degli ultimi 10 anni e ancora di
più quelle dei prossimi 10 sono epocali
e non possono essere affrontate
senza sinergie importanti tra i co-
struttori. La partita non si giocherà
sulla tecnologia che sarà sempre più
condivisa, ma sempre più sugli aspetti
“intangibili” del prodotto, sulla per-
sonalità, sulle emozioni che provoca
vederlo, guidarlo, starci dentro... oltre
che naturalmente sull’accessibilità
anche con le tecnologie future.
Voglio ringraziare Pier Luigi per questa
iniziativa e chiudere dicendo che il
“nostro” amato settore, spesso al
centro di grandi polemiche e criticato
da molti, resta centrale oggi come
ieri e lo sarà ancora nel futuro perchè
l’automobile resta il primo strumento
di “libertà” per l’uomo e soprattutto
la più importante decisione di acquisto
dopo la casa.
Viva l’automobile.

PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO 3.1
135
I cavalli, le carrozze, le autovetture,
dai tempi del Bucefalo di Alessandro
Magno a Incitato, il cavallo che Cali-
gola voleva nominare console, rap-
presentarono una parte importante
dell’immagine degli uomini. È chiaro
quindi già da oltre duemila anni che
non fossero solo soluzioni di mobilità,
bensì la capacità di proiettarsi in altri
territori e poi di proiettarsi anche
nell’immaginario. Non è suggestione,
la rivoluzione industriale dopo avere
sostituito la forza degli uomini e degli
animali con le macchine, ha mante-
nuto l’unità di misura in cavalli vapore,
per esprimere la potenza applicata
al lavoro.
Ed ancora oggi pur se le norme ob-
bligano il riferimento ai kW la potenza
delle vetture è comunicata in cavalli.
E non è l’ultima traccia dell’evoluzione
anche immaginifica che unisce i cavalli
alle vetture. La misurazione nei mer-
cati dell’auto è infatti tutt’ora incen-
trata sulle unità e non sui valori. È dal
2021 che dibattiamo sui tempi che
richiederà il mercato dell’auto per
tornare ai 2 milioni di immatricolazioni.
Unico mercato misurato prima in
“pezzi” che in valore, similmente a
quanto accadeva nei fori boari.
Questo libro bianco intercetta uno
dei periodi più rilevanti ed intensi dei
cambiamenti del mercato dell’auto
in Italia e, generalmente, in Europa.
Dal 2014 ad oggi siamo passati infatti
dalla faticosa ripresa dopo la crisi
subprime 2008 e 2012, con il recu-
pero da un minimo storico dei pre-
cedenti quarant’anni all’altrettanto e
più cauta ripresa dopo l’insieme di
crisi che il COVID ha innescato.
Curioso ed interessante è notare che
il mercato dell’auto in Italia abbia un
“supporto” a 1,3 milioni di immatri-
colazioni ed un “tetto” a 2,0 milioni,
come i minimi del 2013 e 2020 ed in
massimi del 2018 e 2019 hanno di-
mostrato.
Ma se la prima crisi ha colpito quello
che era l’industria di meccanica più
forte e stabile e quindi “pronta” a ri-
prendersi, contando sulla solidità ed
il know-how, che vedeva l’Europa al
centro della produzione di auto, con
una supremazia tecnologica che non
era in discussione.
Questa seconda crisi, a dieci anni di
distanza, ha colpito un mercato ed
un settore industriale che, pur forte,
è al centro di una trasformazione,
dagli esiti ancora non compiuti, ma
che mette in discussione al contempo
l’uso dell’auto, la tecnologia per
quest’uso e, in ultima istanza, mette
in gioco un mondo della manifattura
per l’automotive che non è più eu-
rocentrico.
Il recupero del mercato, cui abbiamo
assistito post COVID è stato frenato,
non solo dal rallentamento della ca-
pacità produttiva, ma anche dall’in-
certezza degli utilizzatori. Il rischio
oggi è che la ripresa produttiva non
sia più appannaggio solamente dei
soggetti che dieci anni fa erano in-
discutibilmente dominanti nell’auto-
motive, ma che determini un riposi-
zionamento su tre dimensioni: tec-
nologie nel mix di prodotto, geografia
della produzione e rimodulazione
della tipologia di domanda, da pro-
prietà ad uso.
L’evoluzione della domanda, che do-
vrebbe essere la guida di ogni mer-
cato, oggi è influenzata da un fattore
ALBERTO VIANO
Presidente Aniasa
e direttore generale
di Unipol Rental

136
PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO3.1
oggettivo: la demografia e due prin-
cipali elementi invece legati alla po-
litica: la normazione locale sempre
più stringente contro l’uso della vet-
tura nei centri urbani, accanto alla
legislazione centrale europea, che
impone un salto tecnologico da ulti-
mare entro il 2035, verso una tec-
nologia che ora non è proprietaria
dell’Europa. Quindi se con quaranta
milioni di vetture in Italia, siamo chia-
ramente in un mercato di sostituzione,
oggi la sostituzione di una vettura
può avvenire tramite un veicolo nuo-
vo, ma di differente tecnologia, o
con una soluzione di mobilità alter-
nativa, soprattutto nell’uso urbano,
o non avvenire affatto.
In questo quadro il sistema industriale
soffre quindi di un mercato stagnante,
dove il legislatore agevola tecnologie,
importate dalla Cina, prodotte non
sempre in condizioni di concorrenza
leale.
Anche la risposta, prima americana
e poi europea, di introduzione dei
dazi, rallenterà la domanda prima che
orientarla sull’offerta europea.
Ed infine stiamo assistendo, anche
nell’automotive, ad un fenomeno di
passaggio dalla proprietà all’uso. Que-
sta tendenza che già esisteva ha visto
un’accelerazione notevole in questo
decennio, passando da essere solu-
zione principalmente orientata alle
auto aziendali o all’autonoleggio, a
rappresentare oltre un terzo della
domanda di vetture nuove.
L’uso porta indubbi vantaggi, soprat-
tutto per gli utilizzatori intensivi, svin-
colandoli dalla proprietà. Via via che
si affermerà nel settore privato gua-
dagnerà competitività crescente, tra-
mite maggiore saturazione dell’im-
piego delle vetture. Ed anche questo
da una parte aiuterà l’obiettivo di
avere meno vetture nelle nostre città,
dall’altra potrà determinare una ri-
duzione della domanda.
Una nota per concludere quindi. Oggi
è necessario un ragionamento di sin-
tesi in modo sistematico tra politica
e produzione. Esistono alcune ma-
cro-tendenze globali, che difficil-
mente possono essere combattute.
Sicuramente industria e governi (eu-
ropei) dovrebbero marciare coordinati
sulla linea di sviluppo atteso e desi-
derato. E questa linea dovrebbe det-
tare poi in modo coerente tutti gli
atti legislativi, per l’economia in ge-
nerale e per il settore dell’automotive
che, in Europa ed in Italia, molto con-
tribuisce allo sviluppo economico,
tecnologico ma anche culturale, del
design ed entertainment.

PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO 3.1
137
A dispetto della sua filiera estrema-
mente complessa, il ritmo e l’intensità
dei cambiamenti che si sono registrati
nell’Automotive negli ultimi 10 anni
sono stati notevoli, con svolte im-
prevedibili e radicali che interessano
profondamente il presente. Un de-
cennio che non è stato il terreno più
facile su cui condurre le nostre azien-
de e affiancare il pubblico nei processi
di scelta. Un periodo che per Auto-
torino è stato ulteriormente impe-
gnativo, poiché è coinciso con l’im-
portante di crescita della nostra realtà,
passata tra il 2015 ed il 2019 da dodici
a oltre cinquanta sedi e più di mille
collaboratori, ciascuno dei quali è
stato chiamato ad un doppio impe-
gno, per consolidare ogni passo com-
piuto e per sintonizzare il modello
aziendale ai mutevoli scenari che il
settore stava attraversando. Un pe-
riodo in cui ho individuato positivi ri-
svolti da cogliere e capitalizzare, men-
tre sicuramente più controverso è il
capitolo della transizione elettrica, di
stretta attualità.
Il Covid. Lo shock ‘Covid’ ha impresso
accelerazioni a processi già in corso,
rappresentando un evidente spar-
tiacque.
Lo stallo del segmento industriale, a
partire dello ‘shortage’ di materie pri-
me e componenti, implicò la dilata-
zione dell’attesa dei veicoli nuovi di
fabbrica. Un momento in cui tutti gli
attori coinvolti avrebbero dovuto
prendere atto delle fragilità e dei
punti di forza della filiera, così come
delle opportunità da cogliere insieme
per riprogettare un percorso più so-
lido e sicuro per tutti. È quanto ap-
plicammo in Autotorino, chiedendoci
come poter mettere a disposizione
la nostra organizzazione in favore di
clienti che comunque manifestavano
esigenze rese urgenti e pressanti dal
contesto creatosi con il primo ‘lock-
down’. Individuammo chiaramente
come al centro della nostra missione
vi fosse la relazione con il cliente, sia
per assicurare assistenza a chi stava
operando nell’emergenza, sia per
fornire informazioni a chi era in attesa
della vettura già acquistata o voleva
comunque perfezionare il proprio
acquisto. Da questo scenario svilup-
pammo una rivoluzione di processi,
strumenti e servizi per rendere ancor
più ‘clientecentrico’ il nostro modello.
Una direzione in cui i concessionari
capitalizzano ed evolvono il proprio
ruolo di importante snodo e consu-
lenza tra industria e consumatori, con
90mila addetti diretti, pari ad un terzo
di quelli impiegati nella filiera auto-
motive italiana. Da questo punto di
vista, lo sconvolgente biennio 2020/21
evidenza quanto la missione dei con-
cessionari sia quella di concentrarsi
sulla relazione con il pubblico, il suo
ascolto e sulla definizione di processi
e servizi coerenti, che possano svi-
luppare soddisfazione e fidelizzazione.
E questo percorso trova piena rea-
lizzazione nella componente ‘har-
dware’ rappresentate dalle nostre
sedi: una presenza puntuale sul ter-
ritorio, pronta per assistere con in-
formazioni o interventi, in cui si dà
anche il giusto coronamento del-
l’esperienza del cliente, ad esempio
ospitando la consegna in un contesto
consono al valore anche emotivo
rappresentato dalla nuova auto ac-
quistata.
PLINIO VANINI
Presidente del
Gruppo Autotorino

138
PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO3.1
Dal prezzo alla rata finanziaria. Al-
l’elevamento della personalizzazione
dell’esperienza per il cliente concorre
il progressivo affermarsi di formule
d’acquisto che alla logica del possesso
virano verso la possibilità di far in-
contrare al meglio capacità di spesa
e stili di mobilità. Una flessibilità che
rende l’offerta più rispondente ai
profili dei nostri interlocutori e alle
esigenze del loro particolare mo-
mento di vita (o professionale) con-
tingente. Un cambiamento d’approc-
cio che stimola e valorizza a sua volta
il ruolo imprenditoriale del conces-
sionario, stimolandoci a studiare e
creare proposte appetibili e distintive
sul mercato. Di fatto, in Autotorino
abbiamo tradotto il concetto di ‘chiavi
in mano’ (che riassumeva il prezzo
‘finito’ del bene automobile) in ‘Mo-
bility All Inclusive’ (un unico canone
di mobilità con pacchetti di servizi
specifici per veicoli nuovi, usati o
elettrici).
Non da ultimo, la capacità di ascoltare
ed essere flessibili nel fornire mobilità
‘tailor made’, con servizi ad ampio
raggio e valore aggiunto, permette
al dealer di creare fidelizzazione e
costruire redditività da re-investire
nel miglioramento del proprio busi-
ness e della soddisfazione del cliente.
La transazione elettrica in Europa e
nel mondo: le decisioni della politica,
le scelte delle imprese e le risposte
dei clienti. Nel pieno della ‘tempesta
Covid’ le Istituzioni europee, in preda
ad una frenesia (pseudo) green, han-
no imposto al settore automobilistico
una transizione a tappe forzate verso
l’elettrico quale esclusivo orizzonte
d’arrivo, già per il 2035. Un percorso
scritto e deliberato senza considerare
i molti dubbi sollevati dalla filiera e
una dilagante perplessità nell’opinione
pubblica.
Oggi i nodi vengono al pettine e ci si
trova davanti a volumi raggiunti dagli
EV grazie a politiche di incentivazione
non più sostenibili, con il risultato che
questo segmento di mercato si sta
contraendo, a fronte di un’offerta
crescente in gamma da parte dei co-
struttori. Spazio per questo segmento
è indubbio che ci sia: sperimentatori,
utenti che razionalmente scelgono
per comparazione di costi/benefici
rapportati al proprio uso, o convinti
‘elettromobilisti’ sono profili che oggi
in Italia rappresentano il 4% del mer-
cato e possiamo attenderci una loro
progressiva crescita. Difficile dire fino
a quale asticella e in quanto tempo,
ma decisamente non possiamo pen-
sare che arrivino al 100% entro il 2035
o poco oltre. Il mercato sta già di-
mostrando di risultare difficilmente
modificabile dalle imposizioni, risul-
tando invece più sensibile all’evolu-
zione naturale dei consumatori, dei
loro gusti e delle loro abitudini.
Ora siamo a un punto critico. La ro-
admap disegnata dalla UE, sulla quale
si sono basati i piani industriali delle
Case (con relativi, ingenti investi-
menti), pare sempre meno realizzabile
e ogni giorno che passa crescono in
numero ed urgenza i nodi aperti da
risolvere al più presto.
Paradossalmente oggi viene messa
in discussione quella che potrei de-
finire una condizione potenzialmente
ottimale per il mercato automobilistico
perché non ci sono mai state così
tante opzioni di motorizzazioni e di
modalità di acquisto tra cui scegliere.
Siamo quindi già in una condizione
che punta decisa verso la sostenibilità:
se una persona è nelle condizioni di
scegliere il veicolo più accessibile per
le proprie possibilità economiche e
più funzionale all’uso quotidiano,
avremmo una miglior spesa e un più
corretto consumo di fonti energetiche
per la trazione, andando a raziona-
lizzare anche l’impatto di emissioni.
Occorre davvero proseguire con for-
zature ideologiche o sarebbe meglio
mettere un po’ di cenere sul capo e
lavorare pragmaticamente sugli evi-
denti segnali che ci mandano mer-
cato, consumatori e situazione oc-
cupazionale?

PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO 3.1
139
Il mondo dell’Automotive ha subito
sovente notevoli spinte esogene che
ne hanno condizionato fortemente
lo sviluppo, in particolare in Italia; in
tempi recenti una pesante contra-
zione di tutte le economie mondiali
avvenne a seguito del fallimento della
Lehman Brothers, che in Italia innescò
il peggior picco negativo delle im-
matricolazioni nel 2013, con 1,3 milioni
di veicoli.
Più recentemente è toccato alla pan-
demia legata al Covid, alla crisi dei
microchip ed anche agli eventi bellici
in corso ad influenzare negativamente
il settore, ritornato a performare al
ribasso in Italia negli anni 2020, 2021
e 2022, intorno ai 1,4 milioni, fino al
modesto recupero del 2023 sopra
1,5 milioni, ben lontano dal record di
quasi 2,5 milioni del 2007.
Da cinque anni a questa parte però,
ai fattori esogeni al sistema auto-
mobilistico si sono aggiunte le scelte
specifiche molto discutibili dell’Unione
europea che hanno ostacolato la ri-
presa ed ancora oggi, nella nuova
Consiliatura Ue, condizionano il set-
tore.
La deriva green, che ha sconvolto il
settore, imponendo scelte ideologi-
che che il mercato non ha premiato,
in particolare in Italia, ha determinato
danni quasi irreversibili se non si adot-
teranno correttivi nel segno della
neutralità tecnologica; non si tratta
di contrastare la decarbonizzazione,
ma di renderla compatibile con il pro-
gresso economico e sociale, utiliz-
zando nuove tecnologie.
Io ritengo che molte responsabilità
siano in capo alle case automobili-
stiche che, in atteggiamento difen-
sivo, con la credibilità minata a causa
del Diesel gate, hanno sottovalutato
le conseguenze della scelta di adot-
tare un’unica motorizzazione elettrica
nel 2035, non opponendosi, pur
avendone la possibilità per il peso
economico che rappresentano; i tem-
pi non erano e non sono maturi per-
ché venga adottata una misura tanto
impattante sulla vita dei cittadini eu-
ropei senza una adeguata valutazione
delle conseguenze.
In primis questa scelta porterebbe
alla necessità di disporre di una quan-
tità enorme energia elettrica, oggi
non disponibile, per molti Paesi eu-
ropei, ma l’energia, in tale quantità,
dovrebbe venire prodotta da fonti
rinnovabili e carbon-neutral altrimenti
si sposterebbero semplicemente le
emissioni di CO
2
dallo scarico dell’auto
alla produzione di energia elettrica;
quindi, occorre prima essere in grado
di produrla da fonti rinnovabili ed an-
che dal nucleare, ma per questo i
tempi non sono certamente maturi,
né le capacità in termini tecnologici
e finanziari equamente ripartite nei
diversi Paesi europei.
Solo in Europa sono state adottate
queste misure, sulla spinta dei Verdi
nel palamento europeo, con il sup-
porto dei Socialisti e con l’accetta-
zione della maggioranza centrista,
mentre nel resto del mondo occi-
dentale si è registrata sì una presa di
responsabilità verso il contrasto delle
emissioni clima-alteranti, ma senza
giungere a queste estreme soluzioni
particolarmente centrati nel danneg-
giare il settore automotive.
Tutto questo senza tenere in consi-
derazione che quello automobilistico
SIMONPAOLO
BUONGIARDINO
Presidente
Federmotorizzazione
e vicepresidente
Confcommercio Milano

140
PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO3.1
è un settore trainante dell’economia,
che costituisce un asset importante
in termine di PIL e che la tecnologia
sviluppata negli anni ha posto le Case
europee al vertice per innovazione,
efficienza, stile e sicurezza, alimentate
anche da un indotto di produttori di
componentistica particolarmente at-
tivo nel nord e centro Italia.
In questo contesto di indebolimento
ed incertezza, si sono create le migliori
condizioni per i produttori cinesi, che,
con il supporto del loro governo do-
minano il mercato dell’elettrico; così
facendo i nostri decisori europei han-
no consentito alla Cina di espandere
le proprie produzioni, diventando non
più un grande mercato di sbocco per
l’Europa ma un competitor produttivo
privilegiato e protetto.
Proprio i cinesi che allo stesso tempo
hanno accresciuto di molto le loro
emissioni di CO
2
, insieme all’India ed
altri paesi emergenti, incrementando
il consumo del carbone, facendo
danni incalcolabili agli ecosistemi con
l’estrazione e la lavorazione del litio
e delle altre terre rare necessarie alla
produzione di batterie e questo è il
paradosso dell’elettrificazione.
In sostanza per ridurre la quantità di
emissioni di CO
2
in Europa, già di
gran lunga il continente più virtuoso,
di una frazione quasi trascurabile, si
è messa in crisi la produzione auto-
mobilistica europea e si è accresciuta
l’emissione di CO
2
mondiale.
I vincoli imposti alla produzione au-
tomobilistica europea hanno colle-
gato un sistema di multe milionarie
alla emissione teorica di CO
2
media
per auto prodotta da ciascuna casa
automobilistica, tale per cui, per ri-
manere entro soglia media, occorre
spostare il mix di produzione verso
una importante quota di auto elet-
triche, che risultano però difficilmente
vendibili.
Le Case si sono dovute adeguare,
realizzando un mix calcolato di auto
endotermiche ed elettriche per ri-
manere nei parametri, mettendo allo
stesso tempo al sicuro i loro rendi-
menti, aumentando di molto i listini
anche delle auto tradizionali, ben
consapevoli di una minore quantità
di produzione, infatti, pur producendo
di meno hanno raggiunto livelli di
rendimenti molto elevati.
Gli strumenti che hanno consentito
a questo sistema di funzionare sono
state le incentivazioni pubbliche, sia
all’utente finale (senza le quali le auto
elettriche sono difficilmente vendibili),
sia alle Case, ma hanno creato però
una dipendenza delle vendite dalle
incentivazioni; le Iniziative che do-
vevano essere di lancio sono diven-
tate una necessità duratura, ma non
sostenibile sul lungo periodo.
Alcuni Paesi hanno già cessato i con-
tributi pubblici ed infatti in Germania
alcune Case, a fronte delle modeste
possibilità di vendita delle auto elet-
triche, hanno dichiarato esuberi di
personale e chiusure di fabbriche;
anche In Italia per le difficoltà di Stel-
lantis si è ridotta la produzione di
auto ai minimi termini.
Abbiamo registrato di recente prese
di posizione autorevoli sempre più
orientate a sconfessare la linea eu-
ropea dell’elettrico ad ogni costo, ed
anche alcune Case che avevano pro-
grammato la dismissione della pro-
duzione di vetture endotermiche an-
che prima del fatidico 2035 hanno
rivisto i loro programmi allungando
prudentemente le previsioni delle
produzioni di auto tradizionali.
Sono emerse evidenti molte difficoltà
oggettive per una diffusione spon-
tanea della trazione elettrica, per il
costo più elevato ed il peso molto
maggiore delle vetture e la scarsa ef-
ficienza delle attuali batterie, la diffi-
coltà della ricarica veloce, le limitazioni
derivanti dalla sicurezza, la riduzione
notevole dell’autonomia in caso di
freddo, caldo, traffico o guida in salita;
a ciò si aggiunga la necessità di con-
ciliare i diktat europei con il reale stato
socioeconomico dei diversi paesi, con
differenze enormi tra nord e sud del-
l’Europa, in particolare riguardo al red-
dito medio dei cittadini.
Ha fatto scalpore quanto avvenuto
a Oslo, dove, in ossequio alla linea
green (che la Norvegia può per-
mettersi grazie agli enormi giacimenti
petroliferi), hanno dismesso i bus del
trasporto pubblico locale endotermici
con mezzi a batteria di produzione
cinese, senza tenere conto che a
temperature esterne molto basse,
le batterie riducono di molto la loro
autonomia, rendendo indispensabile
maggiori frequenze di sosta per la
ricarica, creando così difficoltà di tra-
sporto pubblico nei giorni più freddi.
Ho colto un’affermazione significativa
tra le tante che circolano sui social:
“per farmi acquistare un’auto elettrica
non mi puoi obbligare ma convincere,
deve costare come una tradizionale,
avere una autonomia reale vicina ai
1.000 km, impiegare 5 minuti per ri-
caricarsi, deve poter essere imbarcata
su un traghetto, sostare in parcheggi

PARTE 3 - QUI LO DICO E QUI LO NEGO 3.1
141
sotterranei, funzionare con qualunque
clima o modalità di impiego…”
In conclusione, ritengo che una più
attenta valutazione, da più parti in-
vocata, in particolare dalle regioni
europee più produttive, con la Lom-
bardia capofila, che sta emergendo
anche dalla nuova composizione del
parlamento europeo, ci porti a rive-
dere gli assunti ideologici voluti dal
politicamente poco compianto com-
missario Timmermans, in senso rea-
listico e orientato alla neutralità tec-
nologica.

04

144
Kuwait Petroleum Italia S.p.A. (Q8
Italia) è l’affiliata italiana della Kuwait
Petroleum International, azienda attiva
nel downstream energetico interna-
zionale e facente capo alla Kuwait
Petroleum Corporation. Quest’ultima
è la compagnia petrolifera nazionale
dello Stato del Kuwait.
Q8 Italiaè uno dei principali player
italiani del settore dell’energia che
garantisce la mobilità delle persone
e delle merci. In un mondo dove è
crescente l’attenzione alla mo bilità
sostenibile, Q8 svolge un ruolo di at-
tore di primo piano nella transizione
energetica orientando tutte le proprie
attività al rispetto degli standard di
sostenibilità di cui si è dotata per
poter coniugare al meglio salva guardia
dell’ambiente, sviluppo sociale e cre-
scita economica.
LA STORIA
La storia del Gruppo Q8 in Italia è
caratterizzata da una crescita co-
stante conseguita grazie ad una stra-
tegia di acquisizioni ed operazioni di
successo. Entrata nel mercato della
distribuzione carburanti nel 1984 con
l’acquisizione della rete Gulf e nel
segmento dei lubrificanti acquisendo
la Roloil (oggi Q8Oils), nel 1990 si
espande nel mercato con l’acquisi-
zione della Mobil Oil Italiana fino ad
acquisire la rete di distribuzione e i
principali asset logistici di Shell Italia
nel 2014. Nel settore raffinazione ac-
quisisce dall’Agip Petroli (oggi Eni) il
50% della Raffineria di Milazzo (RAM)
nel 1996. Nel 2024 Q8 diventa socio
paritetico di Eco Fox srl, in joint ven-
ture con la Fox Petroli, primario ope-
ratore nel settore dei carburanti di
origine biogenica. Grazie a questa
partnership strategica Q8 entra di-
rettamente nella filiera della produ-
zione di biocarburanti liquidi soste-
nibili, che già oggi apportano un con-
tributo concreto alla decarbonizza-
zione del settore trasporti.
SETTORI IN CUI OPERIAMO
La società è attiva nell’intero ciclo
integrato del downstream, dalla raf-
finazione al consumatore finale grazie
ad una rete capillare di oltre 2800
stazioni di servizio distribuite sull’intero
territorio nazionale e a una logistica
che si sviluppa coerentemente a sup-
porto dell’intera rete distributiva. Q8
è inoltre attiva, attraverso altre società
del Gruppo, nel mercato delle vendite
dirette (Extra-rete), dei lubrificanti,
dei carburanti per la marina nei prin-
cipali porti italiani e per l’aviazione in
oltre 18 aeroporti della penisola.
LA STRATEGIA DI SOSTENIBILITÀ
Per contribuire attivamente ad un
futuro sostenibile, Q8 ha capillar-
mente integrato la sostenibilità in
tutte le articolazioni del proprio mo-
dello di business. In linea con le te-
matiche ESG (Environmental, Social
e Governance), e con il paradigma
di Industria 5.0, tre sono i pilastri su
cui è articolata la strategia di soste-
nibilità: “Enabler for the energy
transition” “People enhancement”
“New ways of doing business”. Una
strategia che ben si coniuga con i 17
Obiettivi di Sviluppo Sostenibile
(SDGs o Sustainable Development
Goals) approvati dall’ONU nel 2015.
“Enabler for the energy transition”
rappresenta l’impegno del Gruppo

145
Q8 nella ricerca di nuove soluzioni
sostenibili e green in grado di ridurre
le emissioni di CO
2
, sperimentare
forme alternative di energia, mirando
ad una sempre maggiore efficienza
ener getica di infrastrutture innovative
e responsabili.
“People enhancement” esprime
l’impegno human-centric del Gruppo
Q8 nei confronti dei propri dipendenti,
ai quali garan tisce forme evolute di
welfare e di wellbeing, e della comunità
in cui opera, nella quale è im pegnato
a creare valore sociale ed economico
da ridistribuire sul terri
torio.
“New ways of doing business” rap-
presenta l’idea che il Gruppo Q8 ha
del proprio business: resiliente, etico,
ca pace di creare valore di lungo pe-
riodo e che dia ampio spazio alla di-
gitalizzazione e all’innova zione tec-
nologica.

Nel corso degli ultimi dieci anni, Agenzia
Italia, attraverso il proprio laboratorio
di ricerca AgitaLab, è sempre stata
tra le aziende trainanti nelle analisi del
settore automobilistico, avvalendosi
di metodologie di ricerca come son-
daggi IPSOS e ricerche customizzate
con Fleet & Mobility.
Questi studi non solo ci hanno aiutato
a delineare un frame delle esigenze
dei consumatori, ma ci hanno aiutato
a orientare la nostra offerta di servizi
verso soluzioni sempre più innovative
e rispondenti alle loro esigenze/aspet-
tative/necessità.
Ad oggi, lo scenario futuro presenta
numerose incognite: l’abbandono della
motorizzazione di massa a favore della
mobilità elettrica, l’evoluzione dei com-
portamenti d’acquisto delle giovani
generazioni e, più in generale, il futuro
della mobilità individuale in Italia, e
non solo.
In particolare, il contesto italiano, ca-
ratterizzato da una struttura territoriale
frammentata e da una distribuzione
della popolazione eterogenea, mal si
presta ad una rapida transizione verso
modelli di mobilità sostenibile. Inoltre,
la perdurante crisi economica e la con-
seguente riduzione del potere d’ac-
quisto delle famiglie limitano la capacità
di rinnovo del parco auto: si pensi che
in venti anni, mentre il reddito medio
è aumentato solo del 22%, il prezzo
medio delle prime dieci auto vendute
è aumentato del 99%. Le conseguenze
sono inevitabili: il restringimento di
auto nuove da 2 milioni a 1,5 milioni
annuo e un mercato dell’usato che
raddoppia i volumi del nuovo. Il mercato
italiano sta pertanto attraversando
una fase di contrazione: di fronte a
questo scenario, è lecito interrogarsi
sul ruolo del privato quale principale
attore del mercato automobilistico.
Riteniamo che per accelerare il pro-
cesso di rinnovamento del parco auto
italiano, caratterizzato da un’età media
elevata, sia necessario promuovere
l’adozione di nuovi modelli di consumo,
basati sulla formula del noleggio a lun-
go termine. Soluzioni che includano
servizi accessori, come l’auto sostitu-
tiva, e che siano personalizzate sulle
esigenze dei singoli clienti potrebbero
rappresentare una risposta efficace
alle attuali sfide del mercato.
Siamo convinti che un’offerta di questo
tipo possa stimolare la domanda e
contribuire a un rinnovamento del set-
tore, favorendo l’introduzione di veicoli
più sicuri ed efficienti dal punto di
vista energetico. Nonostante le incer-
tezze del presente, guardiamo al futuro
con ottimismo, certi che il mercato
automobilistico italiano saprà cogliere
le opportunità offerte dalle nuove tec-
nologie e dai cambiamenti in atto.
Può in questo scenario il privato essere
il dominusdel mercato?
Riteniamo che per fare crescere il
ritmo di sostituzione delle auto del
parco italiano, il più vetusto d’Europa,
non ci sia alternativa a nuovi prodotti
gestiti dalle società di noleggio a lungo
termine e dedicati ai privati: durate,
servizi accessori, auto sostitutive per
esempio e comunque uno sforzo che
porti a generare una nuova offerta
che oggi non c’è. Siamo certi che
un’offerta taylor made per i privati
troverebbe spazio in un mercato che
necessita di uno shock positivo per
rinnovarsi, essere meno inquinante e
più sicuro grazie ai nuovi ADAS.
146

147
Targa Telematics da oltre 20 anni offre
soluzioni tecnologicamente avanzate a
noleggiatori di veicoli, istituzioni finan-
ziarie, compagnie assicurative e grandi
gestori di flotte, aiutandoli nella loro tra-
sformazione digitale a sfruttare appieno
il potenziale dell’auto connessa. Le so-
luzioni di Targa Telematics contribuiscono
a trasformare il business delle aziende
clienti, abilitando risparmi sui costi ope-
rativi e/o il lancio di nuovi prodotti e
servizi sul mercato, attraverso la fornitura
di tecnologie e servizi software, oltre a
servizi operati on field. Nel 2001, il pro-
getto da cui si svilupperà Targa Tele-
matics viene presentato da Adriano
Scardellato e Nicola De Mattia – attuali
Presidente e CEO della società - al
fondo Kiwi di Elserino Piol, che lo incuba.
Nasce così UbiEst, laboratorio di inno-
vazione legato al Gruppo ELDA Inge-
gneria, che opera nel segmento dell’IoT
ed è specializzato nell’integrazione tra
tecnologie mobile, hardware e sensori
per lo sviluppo di applicazioni in ambito
Internet of Cars. Nel 2006, dal Gruppo
Fiat viene acquisita Targa Infomobility,
al tempo specializzata, in servizi di in-
fomobilità, sistemi antifurto satellitari e
gestione delle flotte; successivamente
viene fondata Targa Drive, per fornire
alle compagnie assicurative soluzioni
telematiche basate sul monitoraggio
del comportamento di guida. Le due
aziende danno origine a Targa Telema-
tics, che a sua volta incorporerà UbiEst
e nella quale confluiranno tutte le com-
petenze e tecnologie. Sempre in anticipo
sulle tendenze di mercato, l’azienda svi-
luppa tecnologie che segneranno le
tappe fondamentali nel settore: il primo
localizzatore GPS, uno dei primi navi-
gatori per smartphone, soluzioni di Fleet
Management, la piattaforma proprietaria
di Car Sharing, lo sviluppo della tecno-
logia Keyless ed è pioniera nell’utilizzo
dei data OEM. La tecnologia avanzata
di Targa Telematics, ai vertici assoluti
del settore IoT per l’automotive, nasce
nell’hub di R&D, un ambiente giovane e
altamente dinamico basato sull’adozione
del metodo Agile sin dal 2008, e sulla
valorizzazione delle singole competenze,
approccio che riguarda tutti gli ambiti
aziendali e che vede la società costan-
temente impegnata nella formazione
e nella verifica della crescita delle proprie
risorse. Nel corso del quinquennio 2014-
2019 Targa Telematics è stata la tech
company italiana a più elevato tasso di
crescita organica e ai vertici europei.
Con l’obiettivo di mantenere questo
trend, rafforzare il posizionamento della
società sul mercato e accelerarne il pro-
cesso di internazionalizzazione, nel 2021
Investindustrial ha fatto il suo ingresso
nel capitale. Alla crescita organica è
stata poi integrata quella per linee ester-
ne, con l’acquisizione di Viasat Group
nel 2023 e dell’israeliana Drive It, spin
off della multinazionale Earnix, nel 2024,
con l’obiettivo di rafforzare il portfolio
di soluzioni assicurative. Inoltre, grazie
all’attività svolta nell’ultimo triennio,
Targa Telematics si colloca quale mag-
giore integratore globale di OEM data
stream, avendo raggiunto accordi con
tutti i principali marchi automotive, e
gestendo il più grande volume di veicoli
connessi grazie a tali integrazioni. Oggi
Targa Telematics, con oltre 650 dipen-
denti vanta una presenza internazionale
diretta in tutta Europa e Sud America,
operando su progetti globali supportati
dalle proprie organizzazioni locali e ge-
stisce oltre 3,7 milioni di asset connessi.

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Questa è una retrospettiva completa, apprezzata da tutti quelli a cui è stata presentata. Necessaria per avere un
quadro dove tutti i puntini siano collegati, facendo emergere le relazioni tra fatti diversi e le loro cause, alcune
note ed evidenti e altre più nascoste ma non per questo meno determinanti. Tutti hanno condiviso l’opportunità
e l’utilità per questa industria di fotografarsi, per raccontarsi a chi nei prossimi anni dovrà gestire quanto
seminato nei dieci anni che l’hanno profondamente cambiata. Se in meglio o in peggio sarà anche frutto della
loro opera.
Il libro bianco nasce da questa idea e, come tutte le idee, tale sarebbe rimasto.
Di tanti operatori, non tutti hanno sostenuto e reso possibile la sua nascita. Alcuni non hanno potuto, per ragioni
diverse, tutte rispettabili. Altri invece hanno inteso tenersi a debita distanza dal racconto di scelte e di azioni che
vedono coinvolte se non loro personalmente le loro aziende. Per questi l’opera si pone come la classica “palla
nel fango” che è bene evitare di calciare. Una distanza che denota la prudenza di evitare di comprarsi un
problema, ma pure la mancanza del coraggio di metterci la faccia, dopo averci messo in molti casi le mani. Però,
come si sente ricordare ahimè sempre più spesso, “certo il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”.
Infine, e per fortuna di tutti, poche imprese guidate da manager illuminati hanno avvertito come la leadership si
sostanzi non solo nei risultati ma anche nel ragalare all’industria e ai suoi stakeholder delle occasioni di riflessione,
per crescere tutti insieme.
A quelle imprese e a quei manager, Agenzia Italia, Athlon Car Lease, Autotorino, Kia Italia, Kuwait Petroleum
Italia, Maldarizzi Automotive, Targa Telematics e Unipol, va il più profondo ringraziamento nostro e – mi sia
concessa la libertà – anche di tutte le donne e gli uomini che in questa bellissima industria operano con impegno
e passione.
Tuttavia il loro prezioso contributo a nulla sarebbe valso senza l’opera di Alessandro, di Alessia e di Francesca,
della cui qualità umana e professionale continuo a stupirmi, e non capisco perché dopo tanti anni. È un privilegio
lavorare con loro e per loro e anche qui mi permetto di sottolineare che, se l’opera di Fleet&Mobility in questi
anni merita un pur minimo apprezzamento da parte del comparto, è anche a loro che va indirizzata la gratitudine.
A margine, voglio ricordare un amico, Tommaso Tommasi, che era con noi all’inizio di questo periodo ma poi
dopo un paio d’anni ha preso commiato. Tra tanti, di lui questo decennio ha avvertito la mancanza, che ci
consegna una domanda: quanto sarebbero state diverse le cose se non avessimo dovuto fare a meno delle sue
informazioni, dei suoi stimoli, del suo garbo severo nel guardare e riportare i fatti?
C’era un’idea. Ora abbiamo un libro.
Protagonisti
Attore
Testimoni

Finito di stampare Novembre 2024
Tipografia Ostiense - Roma

ISM LIBRO BIANCO copertina cartonata_Layout 1 13/11/24 18:06 Pagina 1
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