stabilire e magari dipenderà dalla
strategia del costruttore.
Questo punto conduce all’altro tema,
se le auto stiano diventando smar-
tphone su ruote. Idea affascinante,
specie per i molti tifosi del futuro
unici ad aver ben chiaro che niente-
sarà-più-come-adesso, e non priva
di qualche fondamento. Che nella
scatola ci sia più di pistoni e iniettori
è pacifico. Sia il funzionamento del-
l’auto che i suoi spostamenti nello
spazio e nel tempo (la cosiddetta
mobilità) ormai possono e debbono
beneficiare di informazioni (dati)
scambiati in tempo reale. Poi c’è lui
(o lei), il guidatore con i suoi pas-
seggeri, portatori di bisogni e ne-
cessità prima, durante e dopo il per-
corso, dentro e fuori dall’abitacolo,
la cui soddisfazione dipende dall’in-
formazione. Pertanto no, non bastano
i pistoni. Restano da vedere due cose.
Una, se i pistoni, pur non sufficienti,
siano ancora necessari. Parrebbe di
sì. Alla fine, l’auto deve muoversi.
Sarà pure una cosa banale, ma deve
accadere. Non solo, in caso di curve,
che su un tragitto potrebbero esserci,
dovrebbe essere in grado di girare
senza uscire di strada, a velocità pure
elevata e magari col fondo scivoloso.
Sia inteso, l’esempio, per tutte le fun-
zioni di spostamento e sicurezza che
l’oggetto deve continuare a garantire.
Tutte cose alla portata, certo, grazie
agli eserciti di ingegneri meccanici,
non informatici, che le sanno realiz-
zare. Forse sarà bene che continuino
a farlo.
Due, se l’extra-pistoni sia competenza
dei metalmeccanici o presunti ex.
Chi più chi meno, alcuni molto più,
hanno immaginato che l’industria
metalmeccanica dovesse diven-
tare una tech company, seguendo
la frontiera di sviluppo indicata. Una
visione che ha fatto presa su tanti
manager e consiglieri d’amministra-
zione, preoccupati che la propria
azienda potesse fare la fine di Kodak
o di Nokia, giganti di successo, in
comparti anche più avanzati dell’au-
tomobile, eppure finiti sotto il treno
di un cambiamento non visto e non
colto. Non è facile dire non-ti-pre-
occupare-a-voi-non-accadrà. Eppu-
re, potrebbe andare proprio così.
Il perno della vicenda è quel famoso
core business, concetto abbastanza
noto fino a qualche anno fa. L’indu-
stria automobilistica l’ha utilizzato e
molto. Fino a non troppi anni fa, pro-
duceva tante parti e componenti del
veicolo: la fanaleria, il cruscotto, gli
interni, giusto per fare degli esempi.
Poi man mano se ne è alleggerita,
tenendo per sé il body con motore e
cambio. Li ha terziarizzati a fornitori
capaci di farli meglio e a un costo
competitivo, specializzati in un solo
componente a cui dedicavano i ne-
cessari investimenti in R&S.
Pensare che un software di ultima
generazione sia più nelle corde di un
metalmeccanico di un sistema fre-
nante è complicato. Va bene che
l’auto diventi un po’ smartphone, ma
non è che lo debba costruire un me-
talmeccanico – per quanto ex, d’ac-
cordo. Sì, ma Nokia? E Kodak? Giusto.
Ma Nokia e Kodak erano esattamente
quello su cui sono stati superati: im-
magini e comunicazione. Una volta
trovato il modo di mostrare una foto
senza stamparla, rimaneva ben poco
che potesse proporre. Quando lo
smartphone offrì schermo grande e
scambio dati, mantenendo la comu-
nicazione vocale, non c’era molto
altro da offrire.
Prendiamo il caso del rent-a-car:
vende mobilità alle persone, in forma
di tempo e chilometri. A parte le di-
mensioni in senso generico, nessuno
sceglie il modello di auto, perché non
fa parte del core business. Il modello
no, ma l’auto come tale sì. Senza di
essa, non c’è alcun noleggio. I no-
leggiatori fanno altro, non macchine.
Però delle macchine non possono
fare a meno. Allo stesso modo, l’in-
dustria automobilistica deve chiedersi
se, una volta che altri avranno messo
a punto il più sofisticato e avanzato
software di mobilità, le persone si
troveranno in un posto diverso grazie
ad esse, ovvero avranno comunque
bisogno di un veicolo che bruciando
benzina dentro i cilindri faccia girare
le ruote.
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PARTE 1 - DIRE, FARE, CAMBIARE1.8