proprio ingresso solenne nella città eterna. Gli immaginari pericoli
inventati dalla stampa ministeriale per giustificare l'inazione del re a
Firenze svanivano al primo esame. Anzitutto nel primo sbigottimento
della caduta la curia vaticana si mostrava così arrendevole, che dopo
aver sollecitato essa medesima l'occupazione della città Leonina, si
prestava di buon garbo a risolvere le mille questioni pullulanti dal
mutamento sopravvenuto nella città. Il cardinale Antonelli, già così
sdegnoso coi ministri italiani in ogni tentativo d'accordo, riceveva
adesso più volte al giorno il barone Blanc: meglio ancora il
Giacomelli, mandato in Roma ad organizzarvi il sistema finanziario,
era riuscito, mediante la cortese cessione di cinque milioni dell'obolo
di San Pietro trovati nella tesoreria pontificia, a fargli accettare una
prima rata dei cinquanta mila scudi mensili inscritti nel bilancio dello
stato pontificio sotto il titolo: «Mantenimento del papa, del Sacro
Collegio, dei Palazzi Apostolici, delle guardie, ecc., ecc.». Era quindi
naturale che, vanito quel primo spavento, alla nuova pace fattasi in
Europa la curia alzasse la voce a protestare: si poteva temere che la
Prussia, costretta da necessità interne a qualche concessione verso il
partito clericale, fosse per appoggiare quei reclami; era quasi sicuro
che la Francia, sdegnata dei nostri rifiuti a soccorrerla durante la
guerra, ci tenesse il broncio e minacciasse, se la reazione che doveva
succedere all'impero giungesse al potere; era certo che l'Austria,
estrema potenza cattolica, per la sua rivalità contro la Prussia
protestante moltiplicherebbe difficoltà e rimostranze.
Il Sella, prevedendo con molto senno pratico tutto questo, sino dalla
prima ora voleva che il trasporto della capitale avesse luogo «subito,
anche prima di subito», giacchè il potere temporale non poteva
considerarsi abolito finché Roma non fosse davvero capitale d'Italia;
e quantunque il re e il ministero unanimi vi si ricusassero, non cessò
dall'insistere. A questo lo spronava lo stesso ambasciatore inglese sir
Paget. Non bastò l'osservare, che ritardando l'ingresso del re a Roma
si dava tempo alla curia vaticana di rimettersi sulla difensiva, che si
sarebbe poi dovuto invitarvi tutto il corpo diplomatico senza essere
sicuri che l'invito fosse tenuto, che finalmente non lo si potrebbe più
fare se non dopo avere con legge apposita assicurato al papa