Tevere Sodalizio Lazio - giugno 2012

Sodalizio 1,521 views 25 slides Jun 21, 2012
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About This Presentation

Rivista Tevere
Associazione Sodalizio Biancoceleste SS Lazio

Giugno 2012


Slide Content

EORUM CLARITATEM VESTIG ATIONES ! JULY 23, 2005TEVERE
(TRIBUNA)
GIUGNO 2012ANNO 1 - NUMERO 9
RACCONTI DI VITA, DI CAL -
CIO E DI LAZIO DA E PER IL
SODALIZIO BIANCOCELESTE
ESTATE...
CHIAMANO
E LA

le iniziative dell’Associazione Sodalizio
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 2
Scuola di tifo.
L’Associazione ha organizzato, sabato 12 maggio
2012, una serata in cui verrà spiegato come di
facevano e come di fanno le bandiere. Alla sera -
ta hanno partecipato anche tifosi di altre for -
mazioni calcistiche. Sono state mostrate delle
nuove bandiere in anteprima, tra cui la bandiera
dedicata a Giorgio Chinaglia “Oltre il tempo” e
la bandiera fatta in ricordo del grande giocato -
re della Lazio del primo scudetto Luciano Re
Cecconi. E’ stata un interessante serata quella
al Vecchi Spalti, in un pub stracolmo come nelle
grandi occasioni, sembrava quasi di essere in
Curva Nord in occasione della sfida stracittadi -
na. Fabio, creatore di tante nuove bandiere, che
vedete ogni domenica garrire spavalde al vento
nel “nostro” ( è bene ricordarlo in questi tempi
), ci ha spiegato come nascono le sue idee e
perché le bandiere sono così importanti oggi, in
cui il calcio italico sta inesorabilmente cam -
biando…in peggio. Ci ha fatti tornare indietro
con la mente, a quando adolescenti ci recavamo
alle partite insieme a nostro padre, che ci ha
infuso linfa Laziale, e gli chiedevamo appena
giunti vicino ai cancelli, che ci avrebbero im -
messo dentro al grande stadio : “ mi compri
quella bandiera ? ”, perché la bandiera era il
nostro primo modo per esprimere la passione,
verso quelle maglie con i colori del cielo di
Roma in un bel giorno di primavera. Era il no -
stro modo per tutti a tutti : “ io sono della
Lazio”. Allora le nostre prime bandiere avevano
pochi trofei al loro interno, addirittura solo
la Coppa Italia del 1958 per i più “grandi” o
Coppa Italia e scudetto del ’74 per tanti di
noi, che siamo arrivati alla fatidica tappa de -
gli “anta”. Oggi invece, ci spiegava Fabio, fare
una bandiera, con tutti i trofei vinti della SS
Lazio è diventato davvero complicato, perché ne -
gli ultimi tempi, grazie a Sergio Cragnotti, nei
abbiamo vinti fin troppi. Qualche volta…si è co -
stretti a mettere più date…sotto un trofeo,
avendo poco spazio sulla bandiera per poterli
mettere tutti. Fabio poi ha giustamente fatto
notare come la bandiera è un bene collettivo di
tutta una tifoseria, in cui in tanti si identi -
ficano, molto di più di uno stendardo, spesso
espressione più di un gruppo di tifosi. La ban -
diera è un bene comune di una tifoseria, è il
vanto di tanti tifosi. Una dietro l’altra così
sono state mostrate, da vicino, ai tanti presen -
ti tante bandiere vecchie e nuove, che in tanti
vediamo sventolare spavalde ogni domenica. Ha
chiuso la carrellata della bandiera, quella con
su scritto “ anni buttati”. Antica bandiera
spettatrice e protagonista in tante partite del -
la nostra SS Lazio. Alla serata erano presenti
anche i tifosi del Monopoli, che hanno portato
alcune delle loro creazioni, sia sotto forma di
bandiere che di stendardi. Hanno raccontato del -
la loro passione, e della loro ricerca del par -
ticolare nel crearle, cercando sempre di essere
originali e comunque legati alle tradizioni dei
loro colori. Particolarmente bella l’idea di
creare una bandiera con i giocatori della loro
formazione abbracciati, in cui si vedono i nume -
ri delle casacche, che formano la data di nasci -
ta del loro gruppo. Nel corso della serata hanno
anche ammesso con coerenza, di essersi spesso
ispirati ai tifosi Laziali, nel creare i loro
vessilli da esporre o da sventolare. Ci ha poi
fatto piacere la presenza alla serata di tanti
tifosi di altre formazioni, iniziando dai tifosi
interisti scesi nella Capitale per la partita di
oggi, ai tifosi del RCD Espanol, a quelli della
vecchia Salernitana 1919. Erano poi presenti
sulle “gradinate” del Vecchi Spalti anche i ti -
fosi Laziali provenienti dall’Inghilterra e dal -
la Grecia. Grazie a tutti per la bella serata !
Ben Sherman

moviola
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 3
La bandiera della S.S. Lazio
...svedese.
La mia prima bandiera della SS Lazio,
fatta da me insieme a due miei compagni
di scuola, fu quella classica a scacchi
bianco e celesti. Avevamo visto le tante
bandiere del Liverpool, nella finale di
Coppa dei Campioni giocata da loro qui a
Roma nel 1977 contro il Borussia
M’Gladbach, e volevamo farne una simile
alla loro. Dopo aver comprato la stoffa
ed averla consegnata alla madre di uno
dei miei amici, che pur essendo una sar -
ta, abile con la macchina da cucire, ci
disse con nostro grande dispiacere che
era molto difficile fare una bandiera con
tanti scacchi, come quelle del Liverpool
( io ne avevo una che avevo scambiato a
fine partita con un tifoso inglese, per
una della Lazio. Quella bandiera dei
Reds, sarebbe tornata allo stadio solo
nel 1984, in occasione di una serata in -
dimenticabile per tanti di noi ) quindi
ci dovemmo accontentare di solo quattro
scacchi, due per colore. Quella bandiera
iniziò male la sua carriera, che durò poi
solo una giornata. Infatti avevamo pensa -
to di portarla allo stadio in occasione
della sfida stracittadina, che a breve
avrebbe atteso la nostra amata SS Lazio.
Era il 1979, noi eravamo degli adolescen -
ti. Quella giornata purtroppo restò alla
storia per un fatto terribile accaduto
nella Curva Nord, la morte del tifoso La -
ziale : Vincenzo Paparelli. La nostra
bandiera sventolò pochissimo quel giorno,
perché arrivò, insieme a noi allo stadio
poco prima dei razzi maledetti. La nostra
bandiera andò smarrita nei concitati mo -
menti dopo il razzo maledetto, prima che
la gara iniziasse, penso che la stoffa
sia finita in terra, mentre l’asta abbia
continuato la sua vita in mano a qualche
tifoso Laziale. I ricordi delle bandiere
però non devono essere tristi, perché il
mondo del tifo è soprattutto gioia di vi -
vere. La bandiera che mi è rimasta nel
cuore è una fatta dagli Eagles’ Suppor -
ters nei primissimi anni ottanta, quando
c’era ancora il Vecchio Muretto, c’erano
ancora i tamburi e la nostra SS Lazio
giocava nella serie cadetta. La bandiera
in questione era fatta di un blu scuro
con al centro l’aquila della …Svezia, si
avete capito bene proprio quella svedese
che potete vedere sulle maglie della loro
nazionale di hockey su ghiaccio, in bella
evidenza. L’ideatore di codesta bandiera
fu un ( allora ) giovane tifoso Laziale,
che nel corso degli anni avrebbe fatto e
creato tantissime cose a beneficio dei
tifosi della SS Lazio. Bene, il giovane
tifoso Laziale, mentre era in un pub, al -
l’estero, aveva visto per caso questa
aquila e subito aveva pensato di trasfor -
marla in bandiera. Certo direte voi, ma -
gari in vacanza, all’estero si potrebbe
pensare a qualcosa d’altro, ma quando si
hanno certe passioni è difficile tenerle
a freno. Ora vorrete certo sapere chi era
il tifoso in questione, beh vi dico che
non è chi scrive, ma che lo potrete in -
contrare in Tribuna Tevere ancora ogni
domenica.
Con la stessa passione di allora !
Giorgio Acerbis

moviola
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 4
Non abbasserò mai la mia bandiera!
La bandiera, dopo la maglia, è l’oggetto
che più incarna l’essere ultras ed il
senso di appartenenza che ti lega ad una
squadra. Se la sciarpa (naturalmente tu -
bolare) ed ovviamente lo striscione, rap -
presentano un po’ il biglietto da visita
di un Gruppo, la bandiera può dar sfogo a
mille risorse da parte di giovani e meno
giovani, che attraverso un disegno, una
creazione, ostentata poi allo stadio, co -
municano il proprio pensiero, i propri
ideali (talvolta non solo sportivi). In
questo senso sono tantissime le creazioni
attraverso le quali si sfoggiano veri e
propri capolavori, frutto dell’ingegno e
della passione smisurata. Personalmente
ne ho ideata una della quale vado molto
fiero, che rappresenta il Milan degli al -
bori, quello del terzo scudetto datato
1906-07 (il Vecchio Diavolo era nato
qualche anno prima, nel 1899 grazie a Mr.
Herbert Kilpin da Nottingham che ne aveva
imposto anche i bellissimi colori socia -
li, “il rosso come il fuoco - ma anche
per un piccolo omaggio al Nottingham Fo -
rest F.C. - ed il nero come la paura che
incuteremo ai nostri avversari” ed il
simbolo, inevitabilmente un Diavolo che
ne incarnava lo spirito) e che ha riscos -
so molto successo tra gli appassionati.
E’ un pezzo (unico) che richiama la sana,
genuina passione dei nostri avi (basti
notare la differenza di tenuta da gioco
tra un footballer e l’altro, per non par -
lare poi dei calzettoni, tutti differenti
tra loro), i quali per poter giocare in
una squadra di club dovevano versare una
quota mensile. Erano gli antesignani de -
gli attuali calciatori che ormai di pas -
sionale e senso di appartenenza hanno ben
poco. Naturalmente questa bandiera è
“griffata” Maglia Rossonera, Old Style
Ultras Casciavìt, cioè quelli di una vol -
ta (oserei dire quelli di sempre …),
quelli che nella migliore delle ipotesi
hanno i capelli brizzolati, quelli che
hanno portato in giro per gli stadi
d’Italia e d’Europa le proprie bandiere,
la propria voce, il proprio ego. Le due
cose stanno a significare quindi una fu -
sione tra l’Old Football e l’Old Style,
appunto, tanto amati e tanto apprezzati
dai Vecchi Cuori Ultras. Sto progettando
un’altra bandiera, sempre relativa ad una
formazione ad 11 calciatori, questa volta
però del 1972-73, stagione a me partico -
larmente cara, anche se perdemmo disgra -
ziatamente lo scudetto all’ultima giorna -
ta nella fatal Verona dopo aver combattu -
to (e vinto) tre giorni prima una batta -
glia in quel di Salonicco contro gli in -
glesi del Leeds United nella Finale di
Coppa delle Coppe, grazie anche alla Ju -
ventus che si interpose con la Lega Cal -
cio, non concedendo il rinvio della par -
tita, così come chiesto dai vertici ros -
soneri. Ma quella squadra, per me, meri -
tava comunque di essere celebrata, immor -
talata, vuoi perché è stata comunque una
splendida stagione da ricordare, vuoi
perché erano i miei primi periodi da ti -
foso, vuoi perché mi innamorai di “quel -
la” Maglia a strisce strette in lanetta
pesante con la coccarda della Coppa Ita -
lia ed il colletto a V nero, semplicemen -
te strepitosa, vuoi perché conservo anco -
ra uno splendido poster della William di
quell’annata che mi ha dato l’idea rea -
lizzativa, vuoi perché in quella squadra
ci giocavano, tra gli altri, Gianni Rive -
ra, Romeo Benetti, Luciano Chiarugi, Pie -
rino Prati (ricordo ancora una bellissima
bandiera a 4 scacchi rossoneri con i mez -
zibusti disegnati di questi 4 campioni ed
una stella al centro che era stata ap -
prontata per celebrare un evento che pur -
troppo non si realizzò). Insomma, una
moltitudine di motivi e motivazioni, che
mi hanno portato a pensare di poter (do -
ver) immortalare i miei Eroi, coloro che
mi hanno “iniziato” al calcio, e per que -
sto li omaggio come meritano. Tra l’altro
sono anche un collezionista, oltre che di
altro materiale calcistico, anche di ban -
diere (ne avrò una sessantina), le quali
“raccontano” un po’ tutta la mia vita da
tifoso. Ho dei pezzi molto belli, anche
precedenti al mio primo periodo da prota -
gonista degli stadi, tipo una bandiera
risalente alla conquista della prima Cop -
pa dei Campioni del 1963 a Wembley, oppu -
re dei foulard rossoneri anni ’60, ed an -
cora le mitiche bandiere quadrate anni
’70, alcune un po’ scolorite dal tempo,
ma per questo ancora più preziose, anche
perché fatte sventolare là dove gli 11
ragazzi in Maglia Rossonera mi rappresen -
tavano. Una volta, nel giugno del 1978,
assieme ad un amico, andai a vedere

moviola
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 5
un’amichevole estiva del Milan a Catanza -
ro, non c’era molto pubblico, ma ricordo
che quando arrivò il pullman del Milan
quasi mi presero le convulsioni dall’emo -
zione nel vedere, seduti davanti, uno ac -
canto all’altro Nereo Rocco e Gianni Ri -
vera, e mi misi ad agitare, freneticamen -
te, la mia bandiera rossonera, in verità
abbastanza grande (che ovviamente ancora
conservo). Loro mi guardavano incuriositi
facendo un cenno di saluto, ma una volta
che scesero per recarsi negli spogliatoi
rimasi impietrito e non ebbi il coraggio
di avvicinarmi a quei due mostri sacri.
La gente mi guardava, tra cui qualcuno in
cagnesco, un altro mi disse “qui siamo a
Catanzaro, non a Milano, abbassa quella
bandiera …”, ma io, imperterrito, senza
dire nulla – ed anche rischiando, in un
certo senso -, continuai a sventolarla,
alchè un’altra persona, vista la scena,
ammirò il mio carattere e mi disse “bravo
ragazzo, hai dimostrato di avere le pal -
le!”, e sinceramente mi sentii molto or -
goglioso. Si andava formando in me quel
carattere che poi avrei forgiato nel cor -
so di tutta un’esistenza dedicata a fre -
quentare gli stadi e che a distanza di
parecchio tempo mi vede ancora, in qual -
che modo, sulla breccia, sempre e comun -
que orgoglioso dei miei colori.
Colombo Labate, Maglia Rossonera, Old
Style Ultras Casciavìt !
Li ho visti...
Li ho visti avvinghiati ad una bandiera a
sventolare la loro anima, respirare fumo -
geni, sbranare tamburi e disintegrare la
loro voce strozzando l’urlo di un goal.
Li ho incontrati in treni distanti, pit -
tati di trasferta, in pellegrinaggio ver -
so un ricordo, un sogno. Li ho scoperti
in algide notti d’inverno, seminudi in
balaustra, scaldati dal fuoco della fede,
con un megafono in mano e il Toro tra i
denti. Li ho scorti in dure stazioni di
guerra, tra alamari di rabbia e il feroce
lampeggìo delle sirene, lacrime di lacri -
mogeni, in notti d’invasione. Ho udito i
loro cori in curva dal profumo di mari -
juana, in cerca di un paradiso mai avuto,
di una donna che non attende più, di un
sistema che non può comprenderli. Ho in -
tinto la mia penna nell’inchiostro della
Maratona, ho bruciato parole, pittato la
loro rabbia e ne sono fiero. La curva
lancia il suo richiamo e il tifoso ne
viene attratto, nel luogo dove il teschio
bianco si sposa con il drappo granata ho
trovato un mondo duro ma autentico, dove
i pensieri all’unisono scandiscono i co -
ri, unici, importanti e veri. Oltre il
confine tra la realtà, oltre l’impalpabi -
le comprensione, oltre, oltretutto e so -
prattutto, un solo nome: Ultras Granata.
Claudio Boffa Tarlatta

moviola
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 6
Una bandiera, due squadre.
Ogni squadra ha una sua storia, ogni
squadra ha i suoi tifosi e tutti i tifosi
del mondo esprimono i loro sentimenti,
per la loro squadra del cuore, con modi
diversi. Il modo più comune è di creare
delle bandiere, delle scenografie e degli
striscioni. Alcuni sono piccoli, alcuni
sono grandi, ma nascono tutti dalla
passione.Sono un tifoso dell’ Olympiakos
in Grecia, ho visto tante partite in
campionato, in Champions League e in Eu -
ropa League. Ma non voglio parlare della
mia squadra e dei miei giocatori ... ma
parlerò di una bandiera particolare rea -
lizzata dagli ultras della mia il squa -
dra, il Gate 7 insieme ai tifosi della
Stella Rossa di Belgrado, chiamata Deli -
je. Il gemellaggio tra il Gate 7 e i ti -
fosi del Delije inizia nel 1992. La Stel -
la Rossa stava giocando contro il Pa -
nathinaikos qui in Grecia. Il Gate 7 fan
si è recato in albergo dove c’erano i ti -
fosi ultras del Delije chiedendo di dar -
gli dei biglietti per vedere la partita
insieme e sostenerli contro il Panathi -
naikos spiegando loro, che odiano il Pa -
nathinaikos, nello stesso modo in cui i
tifosi della Stella Rossa di Belgrado
odiano il Partizan Belgrado ( sportiva -
mente parlando si intende ). Gli ultras
del Delije hanno dato i biglietti ai ra -
gazzi del Gate 7 e così durante la parti -
ta gli ultras dell’ Olympiakos e tifosi
Stella Rossa erano insieme in tribuna. Ma
poi c’è stato un seguito. Nella partita
di ritorno giocata in Serbia, i tifosi
dell’ Olympiakos, al fine di ringraziare
gli ultras del Delije per i biglietti ri -
cevuti, sono andati in Serbia, per soste -
nere la Stella Rossa in quella importante
partita. Più di sessanta tifosi dell’
Olympiakos erano andati, facendo rimanere
i tifosi serbi a bocca aperta. Così i ti -
fosi del Delije e del Gate 7 sono diven -
tati amici. Nel 1994 in una partita ami -
chevole a Belgrado tra Stella Rossa e
Olympiakos, la curva del Delije ha fatto
un grande striscione con scritto: “ ben -
venuti fratelli ortodossi del Gate 7”.Da
allora, nel corso degli anni, i fan delle
due squadre vanno e vengono a Belgrado e
in Grecia per sostenersi a vicenda. Sia
nelle gare di campionato che in quelle
europee. I tifosi della Stella Rossa, poi
partecipano ogni anno alla commemorazione
delle vittime del Gate 7 avvenuta nel
1981. Lo scorso anno entrambi i club fan
hanno fatto un grande tributo a questo
gemellaggio attraverso una grande ban -
diera. I tifosi del Delije hanno fatto la
prima e poi noi abbiamo fatto la nostra.
E’ uscita una partita contro il Paok Sa -
lonicco (sono amici con il Partizan per -
ché hanno gli stessi colori ). Tutti i
tifosi presenti nella curva Gate 7 dell
‘Olympiakos hanno avuto dei cartoncini
colorati blu rosso e bianco. In entrambe
le curve, attraverso una combinazione
cromatica, c'erano sia lo stemma degli
Ultras del Gate 7 e gli emblemi del Deli -
je uniti insieme. Quando la partita è
iniziata tutti i tifosi hanno fatto sali -
re le bandierine colorate e il risultato
fu questo che vedete nella foto in alto
del mio articolo. Una grande bandiera. Un
omaggio perfetto alla grande amicizia che
c’è tra le due tifoserie.
Nikos Siaflas
Olympiakos - Atene

moviola
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 7
Ma quanto corri Leo ?
Il Mister e' teso. Cerca di spronarci ma si vede
lontano un miglio che non vede l'ora che finisca
la partita. In un modo o nell'altro. Eppure noi
siamo il Milan, la squadra più titolata d'Ita -
lia. Accanto a me ci sono ragazzi come Zlatan,
Clarence, Massimo, Christian. Gente abituata a
stare sotto pressione. E a vincere. Ma lui e'
Massimiliano Allegri. E noi lo sentiamo che sta
per confrontarsi con un avversario più grande di
lui. Il Barcellona. La squadra più forte del
mondo. Leo Messi. Il giocatore più forte del
mondo. Io sono Alessandro Nesta. E sono stato il
difensore più forte del mondo. Scendiamo in cam -
po con ancora nelle orecchie le ultime parole
del Mister: "E' importante non prendere goal,
ragazzi..."Questo deve essere il nostro credo,
oggi. Per noi che siamo cresciuti dominando, e'
un passo indietro. Mentale più che tattico. Noi
siamo il Milan. "...e mi raccomando il raddoppio
di marcatura su Messi. E' fondamentale. Fonda -
mentale. Fondamentale. Fondamentale. E i suoi
occhi attraversano i miei, quelli di Philippe,
Antonio, Daniele, Massimo, Luca. Sei uomini. Do -
dici occhi per due gambe. Argentine e corte. Ma
imprendibili. Fino a qualche anno fa, lo avrei
fermato da solo. Magari lasciandolo andare via
per poi riprenderlo in scivolata. E pettinarmi
subito dopo. Fino a qualche anno fa. Entriamo a
San Siro. C'è il pubblico delle grandi occasio -
ni. Record assoluto di presenze. Ci ha informato
il dottor Galliani prima del match. Ma quello
non e' un problema. Mi preoccupano solo quelle
gambe argentine e corte. Il Barcellona e' per -
fetto nel suo blaugrana. Elegante e storico. Noi
abbiamo la maglia bianca delle grandi occasioni
e dei grandi trionfi. Quella degli Invincibili.
Suona l'inno della Champions League e mi guardo
intorno. San Siro può far paura. Ti può uccidere
ed esaltare. Io sono morto e risorto varie vol -
te. Non mi fa più paura. È casa mia, ormai. E la
mente vola via. A quel pomeriggio d'aprile di
diciotto anni fa. Il campo di calcetto dove sta -
vamo facendo una partitella di allenamento. Io,
giovane, talentuoso difensore della Primavera
laziale. E Paul Gascoigne. L'idolo di una tifo -
seria intera. Lui mi entra male. Duro. E si rom -
pe tibia e perone. Io sto sotto shock. La Lazio
e i laziali perdono il suo idolo. Il giorno do -
po, sto su tutti i giornali. "Il giovane Nesta
rompe Gazza". Amen. Salutiamo gli avversari. In -
crocio i suoi occhi. Lui e' un finto umile. Con -
sapevole della propria forza e della propria su -
periorità. Mi saluta con il capo. Ci conosciamo
già. Ma questo e' un duello definitivo. Quelli
di qualche mese fa erano solo scontri tra due
squadre consapevoli di superare entrambe i giro -
ni a braccetto. Ci sistemiamo in campo. Mi si -
stemo i capelli lunghi. Quei capelli che mi han -
no accompagnato per una carriera. Mi abbraccio
con Ambro. Cerco lo sguardo di Philippe. Scambio
un cenno d'intesa con Antonini e con Bonera.
Faccio il pollice a Christian in porta. Sono
pronto. E dove non arrivo io, sono sicuro che
arriverà un mio compagno. A raddoppiare. Raddop -
piare. Raddoppiare. L'arbitro fischia l'inizio.
E il Barcellona comincia il suo giochetto di
passaggi. Che mi snervano. Xavi, Keita, Xavi,
Iniesta, Xavi, Busquets, Iniesta, Xavi. E palla
a Messi che fa il primo scatto della sua parti -
ta. Veloce. Imprendibile. "Ma quanto corri,
Leo?"Lo fermo non senza difficoltà. Passo la
palla a Massimo. Mi pettino. E una e'
andata.Attacchiamo noi. E la carriera mi passa
davanti. La Lazio mi passa davanti. Finale di
Coppa Italia, quattordici anni prima. Lazio con -
tro Milan. Strano il destino. Abbiamo perso uno
a zero all'andata con un goal di Weah all'ultimo
minuto. Al ritorno, Albertini segna su punizione
dopo pochi minuti dall'inizio del secondo tempo.
Zero a uno. E tutti a casa. Poi, pero', si ac -
cende il Mancio. Che e' sempre stato come quegli
amici più grandi che ti risolvono sempre le si -
tuazioni e sanno sempre ciò che fare nei momenti
di difficoltà. Mancio fa segnare Gottardi. Poi,
Jugovic lancia Guerino che viene steso da Maldi -
ni. Calcio di rigore. Vladimir non sbaglia mai
un colpo. Non per niente, lo chiamiamo "Mezza -
squadra". Lo Stadio diventa una bolgia. C'è un
calcio d'angolo. Io vado in area di rigore. An -
che se non ho mai segnato. C'è una mischia.
Fuser prova a buttarla dentro. C'è una respinta,
la palla resta lì. Arrivo io. E gonfio la rete.
Capitano, io capitano. Che sarò, dopo quella se -
ra. Esulto con il dito alzato e non ci capisco
più niente. Diego alza la Coppa Italia al cielo.
È il primo trionfo di una lunga serie. Ma Xavi
ruba palla. E io torno collegato a San Siro. Xa -
vi, Iniesta, Busquets, Sanchez, Messi, Iniesta,
Xavi. Poi Messi che riparte. Ma lo chiudiamo in
due. Philippe e io. Il Mister ci dice bravi.
Perché abbiamo chiuso bene gli spazi. Cominciamo
a soffrirlo. Ma resta innocuo. Due per uno. Nem -
meno al supermercato del calcio, fanno offerte
così. Christian rilancia. Massimo salta di te -
sta. Kevin Prince la prende e imposta l'azione.
Io volo a Birmingham. Villa Park. Lazio contro
Maiorca. Ultima finale di Coppa delle Coppe del -
la Storia. Siamo uno pari. Bobo Vieri ha fatto
un goal impossibile ma i rossi di Cuper hanno

moviola
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 8
pareggiato poco dopo. Mancano pochi minuti alla
fine. Quando Vieri si avventa su un pallone
sporco e la prepara per Pavel. Che la infila al -
l'angolo. E mi fa alzare l'ennesimo trofeo. Con
la maglia gialla e nera. Xavi, Iniesta, Bu -
squets, Puyol, Dani Alves, Sanchez, Xavi. Non
finiscono più. Keita, Iniesta, Messi, Iniesta,
Xavi, Messi, Xavi. Messi. Messi. Messi. Mi fa
male la schiena. "Ma quanto corri, Leo?"Gli tiro
la maglia. È piccolo, veloce. Argentino. E im -
prendibile. Lo fermo insieme a Daniele. Lo fer -
mo. E mentre passo la palla a Kevin Prince, ri -
penso a Montecarlo e al goal di Salas contro lo
United. Siamo la squadra più forte d'Europa. Ci
manca solo lo Scudetto. Io, Capitano di una
squadra di Capitani. Sono cose che Capitano. Lu -
ca, Paolo, Nestor, Giuseppe, Sinisa, Matias,
Diego Pablo, Juan Sebastian, Pavel, Roberto,
Dejan, Marcelo, Alen. Carisma, tecnica, ego al -
l'ennesima potenza. Mister Sven che miscela il
tutto. Il trionfo e' dietro l'angolo. Ma l'arbi -
tro fischia la fine del primo tempo. Zero a ze -
ro. Abbiamo tenuto. Chiuso. Raddoppiato. E limi -
tato i danni. Tanti anni fa, il Milan di Capello
ne fece quattro al Barcellona di Crujiff in fi -
nale di Coppa Campioni. Ora noi stiamo elemosi -
nando uno zero a zero. E proteggendolo con le
unghie. E siamo sempre il Milan e loro sono sem -
pre il Barcellona. Loro erano sempre blaugrana e
il Milan aveva sempre la maglia bianca.Negli
spogliatoi, il Mister ci fa i complimenti per la
fase difensiva ma dice che dobbiamo essere più
incisivi in avanti. Zlatan e' nervoso. Vuole se -
gnare a tutti i costi. E chiudere il suo conto
personale con Guardiola. Mentre il Mister parla,
ripenso a quel giorno di Maggio. Ai tre goal al -
la Reggina. Al diluvio di Perugia. Al goal di
Calori. All'Olimpico invaso e in estasi. A me
che sono il Capitano dello Scudetto. Romano e
laziale. Il massimo della vita. Penso al Mister
in lacrime che dice: "Si deve credere sempre".
Al trionfo di una vita. A noi nudi nello spo -
gliatoio che saltiamo e cantiamo. Penso che un
sogno così non ritorni mai più. L'arbitro fi -
schia l'inizio del secondo tempo. E loro rico -
minciano. Lo chiamano "tiki-taka" ma sembra una
goccia cinese. E' una tortura lenta e costante.
Xavi, Iniesta, Xavi, Busquets, Sanchez, Keita,
Puyol, Alves, Xavi, Messi. E poi ancora Xavi,
Iniesta, Busquets, Xavi. San Siro li applaude e
li teme. Dottor Jeckyll sportivo e Mr. Hyde ti -
foso. Pubblico esigente e mai sazio di vittorie
e trionfi. Attacchiamo noi. Zlatan vuole lascia -
re il suo segno. La sua Zeta sulla partita. Men -
tre io ripenso al Derby. Non ai quattro derby
consecutivi. Non alla punizione di Veron. No. A
"quel" Derby. E a quella difesa a tre mai prova -
ta. A Dino esterno di centrocampo. A noi che ci
guardiamo intorno stupiti. A Montella che mi vo -
la intorno tre volte in pochi minuti. E mi ucci -
de. Lui piccolo aeroplano giallorosso. Io kami -
kaze biancazzurro. Mi costringe alla resa nel -
l'intervallo. Scappo. E sbaglio. Fernando mi ag -
gredisce. Io sto sotto shock. Ho la fascia al
braccio. Ma non la sento mia. Non quel giorno. E
sbaglio. Sbaglio. Sbaglio. Ma chi non sbaglia?
Pure Messi sbaglia uno stop e la palla finisce
in fallo laterale. Io ritorno sulla terra. Leo
e' un UFO. Da vicino ancora di più. Mi costringe
a scatti che il mio fisico non può più permet -
tersi. La schiena mi chiede aiuto. Le gambe van -
no da sole. Ma non ce la fanno a stargli appres -
so. Nonostante tutto lo contengo. Con la malizia
e l'esperienza. E con l'aiuto dei compagni."Ma
quanto corri, Leo?"Lui mi guarda, capisce e sor -
ride. Il Calcio e' una lingua internazionale.
Guardo il tabellone e vedo che mancano cinque
minuti. Zero a zero. Non abbiamo segnato. Ma non
abbiamo nemmeno preso goal. Questo era il nostro
obiettivo.Proviamo l'ultimo affondo. E io mi ri -
trovo al 31 di agosto del 2002 a Formello. Manca
poco alla fine del calcio mercato. Mi chiama il
nostro Direttore Sportivo. Sono stato venduto
per salvare la Lazio. Salvare la Lazio. Salvare
la Lazio. Shock. Rewind. Montella che mi uccide.
Lo Scudetto del 2000. La Supercoppa con lo Uni -
ted. La Coppa delle Coppe. La Coppa Italia e il
mio goal. La fascia di Capitano. L'esordio in
serie A. L'infortunio a Gascoigne. La prima ma -
glia bianco azzurra. La mia vita a ritroso. Tut -
ta davanti in pochi secondi.Non posso rifiutare.
Devo accettare. Per forza. La Lazio e' in crisi.
Io al Milan. Hernan all'Inter.Piango. Finisce un
Amore. Inizia un lavoro.E mentre Messi prova
l'ultimo allungo della sua partita, trovo la
forza chissa' dove per fermarlo. Gli tolgo la
palla. San Siro mi applaude. Passo la palla a
Kevin Prince. E mi sistemo i capelli dietro le
orecchie. La schiena mi urla per il dolore. Non
ce la fa più. Leo corre troppo. E come lui, cor -
rono troppo in tanti. Me ne rendo conto oggi. Di
fronte alla squadra più forte del Mondo. Dico
basta. Oggi. Il mio corpo me lo chiede. Me lo
urla. L'arbitro fischia la fine della partita.
Zero a zero. Missione compiuta. Ancora una vol -
ta. Contro il più forte del mondo.Perché io sono
Alessandro Nesta. Il difensore più forte del
mondo. Ed ero il Capitano della mia Città.
Alessandro Aquilino

moviola
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 9
La bambina ed il Grande Torino.
Dimenticate il resto della vostra vita
per due minuti. Immaginate. Immaginate la
primavera del 1949, appunto. Calatevi
nella realtà di quell’epoca. Chiudete gli
occhi per un attimo, poi riprendete a
leggere. Il Grande Torino imperversava. I
giocatori di questa meravigliosa squadra
erano famosissimi. Una bambina li conosce
tutti. E’ una bambina molto piccola vive
in mezzo ai prati ed ai boschi. Ogni tan -
to li vede arrivare questi ragazzi, pro -
prio dove lei abita…. e i suoi occhi so -
no carichi di curiosità. Andate al Parco
del Meisino o giù di lì e guardate la
Collina di Superga. Da sotto la Basilica,
tracciate una linea immaginaria verso il
basso. Arriverete senza ostacoli al Trun
o Tron, una misteriosa villa, situata a
mezza costa, quasi una sentinella sulla
collina e sulle lenzuola bianche messe ad
asciugare dalle lavandaie di Bertolla.
Villa Trun, con l’annesso antico comples -
so agricolo è situata nel tratto di col -
lina tra la Borgata Rosa e Superga, in
un’area frequentata da tutti gli abitanti
della Borgata, sia per raggiungere la Ba -
silica, sia per le scampagnate domenicali
delle famiglie della zona, che trovano
ampie possibilità di svago, in quest’am -
biente molto ricco di vegetazione. Trun,
casa padronale e cascina, vigna con l’or -
to, mezzadri, animali di proprietà ( muc -
che, galline, conigli ). Una spianata di
10.000, forse 12.000 mq; muri, muri alti
fino a 18 metri, muri di pietra e mattoni
tenuti insieme dalla famosa calce di Su -
perga. Gli scoli delle acque, costruiti
con i mattoni. Nella villa ci sono quat -
tordici grandi camere, tutte riscaldate
con stufe di Castellamonte. Il Trun è il
palazzotto del dirigente accompagnatore
Ippolito Civalleri, tifosissimo granata e
braccio destro di Ferruccio Novo, il Pre -
sidente del Grande Torino. Civalleri, di -
rigente SNIA Viscosa, è un vero signore,
piemontese di vecchio stampo, simpatico,
gentile, disposto alla chiacchiera, cor -
diale e di buon carattere ma, quando
s’inalbera, è meglio girare a largo. I
giocatori lo amano, si fidano di lui e lo
temono, anche. La villa dicevamo è situa -
ta in uno stupendo complesso rurale e An -
dreina, la bambina che conosce tutti i
giocatori è la figlia del mezzadro. Il
Trun fu costruito per volontà di un nobi -
le spagnolo, nel 1700, spianando un’area
molto estesa a forza di braccia e poveri
attrezzi. Fra il tempo di un’occupazione
militare in Piemonte, una della tante. La
prova della presenza degli spagnoli ? Le
coltivazioni di alberi da frutto tipici
della penisola iberica. La villa in ori -
gine aveva un altro nome che si è perduto
nel tempo, a favore dell’attuale, in
quanto è stata sempre identificata come
“Villa del Trun” proprio dagli abitanti
della Borgata Rosa. “L’etimo toponomasti -
co” deriva dal fatto che quando le cor -
renti calde arrivano dal Levante, evol -
vendo in temporali, le prime folgori e i
primi tuoni ( “trun dal dialetto Torinese
) si scatenano nella zona tra la villa e
la sommità di Superga. Questo era consi -
derato dai locali un “avvertimento” del -
l’imminente temporale, in arrivo anche
sulle rive del Po. Bene, il Trun è di
proprietà di Civalleri e, quando il Gran -
de Torino gioca in casa, capita spesso,
il sabato, che la squadra si raduni per
una merenda sinoira, magari nel giardino,
nei pressi del viale di malva ed ibisco.
La cappelletta, i sentierini. Angoli per
meditare e trovare forza. I giocatori
fanno gruppo, si rilassano, si concentra -
no. Parlano degli avversari, studiano la
tattica. Erbstein, parla bene l’italiano
e nel corso della riunione tattica pre -
senta ai giocatori la partita dell’indo -
mani. Nei pressi circolano il cane lupo
di Civalleri e Layla, la cagnetta della
figlia del “Civa”. Il Torino si muove con
il “Conte Rosso” che viene parcheggiato a
lato della strada per Superga, a poche
centinaia di metri dalla villa di Cival -
leri. L’accesso alla carrareccia è in
faccia ai giardini della famiglia Camera -
na, l’arco d’ingresso non c’è ancora, si
passa dal cancello grosso. I giocatori si
fanno una breve passeggiata. Anche la
gente del posto cammina. Tanto cammina
per il bosco anche il bosco ecco. E’ una
ricerca importante. Fornisce cibo. I gio -
catori del Grande Torino. Si divertono,
ridono, esplorano; discutono tra di loro,
ascoltano i tecnici, preparano la parti -
ta, guardano il passaggio. Guardano in
basso, verso il fiume, verso Torino, dal -
la spettacolare terrazza-belvedere. Guar -
dano in alto, verso le montagne, verso la

schegge di storia
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 10
Basilica, verso il cielo. Sì guardano la
Basilica. La Basilica di Superga, che è a
poche centinaia di metri, in linea
d’aria, esattamente sopra di loro. Un’al -
tra delle incredibili storie del Toro: i
nostri eroi preparano le sfide, esatta -
mente sotto la Basilica dove il Fato li
vincerà. I 4 dell’Ave Maria. Il personale
che lavora al Trun li chima così. Sono
Bacigalupo, Loik, Martelli e Gabetto:
chiacchierano tanto, scherzano e si sfot -
tono, sempre con garbo, senza usare paro -
lacce, frequentano il campo di bocce,
sempre ben curato. Antonio è il fratello
di Andreina e fa il raccoglibocce. I vin -
citori sono portati in trionfo dai per -
denti. Il festeggiamento è un po’ criti -
cabile a volte, come nel caso dello stra -
no giro d’onore di Baci e Gabetto, ficca -
ti dentro ad una botte usata come pozzo
nero per i prati e portati a destra e a
sinistra, su un traballante carretto a
due ruote. A volte i giocatori del Torino
sono un po’ bizzarri, anche se ammirati
ovunque e considerati dai brasiliani come
i migliori del mondo, sono ancora molto
giovani, sono i “ragazzi”. Sono simpati -
ci, ognuno a modo suo. L’esuberante Bal -
larin. Il più che esuberante Rigamonti.
E’ Bacigalupo, però il più scatenato:
batte anche il “Riga”. Valerio per le
bocce, poi impazzisce proprio. Il calcio,
in fondo non gli piace così tanto, anche
se i bocia che abitano vicino a lui lo
invitano sempre a tirare due calci al
pallone e Baci non rifiuta mai: non può
deludere i sui piccoli tifosi. Capitan
Valentino è affidabile, simpatico anche
lui, ma gira da solo, supera le siepi di
bosso, le piante si spirea, il biancospi -
no, i cespugli di aromi, i gusti; il Ca -
pitano cammina per i prati, per poi fare
una breve siesta sotto l’ippocastano. Per
gli antichi Celti, l’ippocastano era sim -
bolo di integrità e lealtà. Ossola è un
po’ schivo, un po’ timido. Casigliano.
Qualcuno dice che è un tipo truce. La
gente che lavora al Trun pensa che non
sia vero, anzi. Il suo famoso numero del -
la monetina, infilata nel taschino con un
colpo di tacco. Maroso è ancora più bra -
vo, però come giocoliere. Maroso è alle -
gro. Maroso con i suoi completini grigini
e Rigamonti con le sue giacche Principe
di Galles, hanno una passione per le muc -
che, non vedono l’ora di precipitarsi
nella stalla, interessandosi alla mucca
tale, al vitellino, a questo, a quello.
E’ il 4 maggio del 1949. Dal Trun nessuno
si accorge di nulla. Nessun rumore, Nien -
te radio, per il personale. Poco sotto
nell’allagata Borgata Rosa, invece la
gente guarda con apprensione all’acqua
che minaccia le case, c’è un po’ di caos
e il ponte di San Mauro è pericolante.
All’improvviso viene avvertito un gran
boato; qualcuno dice di intravedere un
enorme colonna di fumo. E’ successo qual -
cosa di molto grave sicuramente. Molti
uomini della Borgata si vestono veloce -
mente e alla meglio, la pioggia è scro -
sciante: s’inerpicano sulla collina,
unendosi ai residenti di Superga. Con ri -
tardo la notizia arriva anche al Trun : “
Sono morti tutti! Il signore ! il signore
è andato a Lisbona! E’ morto anche lui!
E’ morto il commendatore ! Monsù Civalle -
ri!”. Il resto lo sapete.
Diego Il Condor

moviola
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 11
La bandiera con la rosa dei venti.
...l'idea di fare una bandiera tutta
nostra venne a Paolo ...premetto
...eravamo tutti 17/18enni. Già da
qualche anno frequentatori della curva
senza affiliazioni specifiche, anzi
direi piuttosto per conto nostro, in
comune il fatto d'essere, un bel nume -
ro di noi, tutti studenti (va beh...è
una parola grossa) nello stesso Liceo,
poi ovviamente dagli studenti ci al -
largavamo ad altri ragazzi che ognuno
di noi frequentava nell'extra scuola.
Il nucleo principale era però quello
dei ragazzi del Liceo si ma che prove -
nivano dalla zona sud occidentale del -
la città, e parecchi erano coloro che,
non della stessa scuola, stavano co -
munque assieme a loro ritrovandosi nei
vialoni di periferia a perdere tempo
specialmente nei lunghi pomeriggi pri -
maverili ed estivi in virtù di un'in -
fanzia e di una quotidianità comune.
Eravamo, nel massimo splendore, una
quarantina anche più di ragazzi inna -
morati della nostra città, della no -
stra squadra e soprattutto del
tifo...di quell'essere comunque e sem -
pre protagonisti o avere anche solo
l'illusione di esserlo, pur tifando
per una squadra spesso e volentieri
perdente anche se di nobili tradizio -
ni! Io ero un po' l'isolato ...i miei
amici d'infanzia stavano tutti
altrove...nel senso che avevan tutti
smesso di studiare dopo le scuole me -
die, tutti fedelissimi ai colori pre -
feriti in città ovviamente...ma la
frequentazione assidua di quei ragazzi
di Legnaia (il quartiere appunto a sud
ovest) mi aveva piano piano reso molto
più familiari , che i vecchi amici del
quartiere ...insomma Paolo, uno dei
ragazzi di Legnaia, ebbe l'idea
...avevamo già tutti noi avuto il no -
stro battesimo del fuoco qualche anno
prima in occasione dell'arrivo delle
valanghe barbariche romaniste (una
volta qualche tempo dopo avemmo pure
il piacere di conoscere anche quelle
laziali, con quel famoso treno...ma è
un'altra storia)...quindi eravamo as -
sai uniti e sempre entusiasti...dopo
lo striscione da noi realizzato in oc -
casione di una partita contro la Juve
"Via la merda da Firenze" , Paolo pro -
pose di fare una mega bandiera, sul
modello di quella spettacolare dei
milanisti...quella con la rosa dei
venti...lo ammetto ...decidemmo di co -
piare da chi sicuramente aveva molta
più storia di noi ragazzetti...i no -
stri Ultras (almeno quelli storici an -
che se non potevano più esibire quel
nome, fuorilegge dal 1983), infatti,
li vedevamo come esempi irraggiungibi -
li e talmente tanta era la soggezione
che alla fine ci riusciva più semplice
cercare di essere protagonisti restan -
do ai margini piuttosto che cercare di
integrare direttamente...poi, alla fi -
ne, il fare e creare in curva automa -
ticamente ti dava l'occasione di
integrarti...solo che, ecco, non era
la nostra finalità principale. Ini -
ziammo la colletta questuante a scuola
(e dove sennò?) ...raggiungemmo un di -
screto gruzzoletto nel giro di una de -
cina di giorni ...comprare la stoffa
(bianca) e i colori e pennelli (viola
e fucsia) fu un attimo...poi a dise -
gnare sul tessuto nel garage del T.
Bandierone bianco di domensioni spa -
ventose, esagerammo, non ponendoci il
problema della sventolata che doveva
seguire, insomma una roba da oltre 15
m2...strisce viola e fucsia ai
bordi...e rosa dei venti viola e fuc -
sia al centro...i bordi li facemmo cu -
cire a mia mamma che era una sarta so -
praffina e si prestò, non senza bofon -
chiare ("tu stai sempre dietro a que -
ste bischerate quando tu dovresti stu -
diare per l'esame"...di Maturità...)
...nel frattempo io e Paolo ci siamo
messi alla ricerca dell'asta...troppo
cara la canna da pesca...alla fine op -
tammo per i tubi da idraulico in pvc
...quelli che si inseriscono uno den -
tro l'altro...opportunamente rafforza -
ti con del nastro da pacchi ...insomma
poteva reggere...esordimmo contro il
Bari...in casa...il 24 novembre
1985...almeno così mi pare...entrati
in curva ci rendemmo subito conto che
NON riuscivamo manco a sollevarla
...figuriamoci a sventolarla... i no -
stri sforzi ammirevoli ma nel contempo
ridicoli non sfuggirono al resto del
pubblico di curva...e subito una dele -

moviola
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 12
gazione di quelli che per noi erano
miti si manifestò per chiederci che
cosa stavamo cercando di
fare...spiegammo, non senza imbarazzo
...si misero a ridere ed ecco uno che
prende la bandiera e..."non è roba da
ragazzini...". Scavalca l'inferriata,
entra in campo, se la fa passare tra
le sbarre (all'epoca non c'era il
plexiglass bensì le sbarre) e entra
nella zona tra il campo e la curva do -
ve c'era la pista d'atletica (bellis -
sima poi eliminata nel corso dell'ob -
brobrioso progetto di ristrutturazione
per Italia 90...un crimine ancora
impunito...vabbè)...inizia a sventola -
re ...BELLISSIMA...e che soddisfazione
a vedere all'unisono la nostra curva e
il resto dello stadio applaudire la
nostra bandiera, eravamo gonfi e tron -
fi, dopo dieci minuti rientra e ci re -
stituisce la bandiera..."ragazzi...ma
che siete matti...m'aveta ammazzato
per far sventolare questa
bandiera...per almeno tre giorni mi
riuscirà difficile anche bere ì caf -
fè...". Arrotolammo il tutto e assi -
stemmo, sempre tifando ma non svento -
lando, ad un orrido 0 a 0. La nostra
bella bandiera ci ha seguito per un
po'...fece anche la trasfertona in
treno a Lecce, dove riuscimmo a perde -
re 2 a 1...era il Lecce che retrocesse
ma vinse alla penultima a Roma contro
i giallorossi privandoli di uno scu -
detto ormai quasi cucito sulle
maglie...e fornendo a voi laziali
l'occasione di una serie di cori com -
memorativi assai divertenti anche se
feroci...da qualche parte devo avere
la foto di noi e della nostra bandiera
a Lecce...la mostrammo, ammainata, du -
rante il tragitto dalla stazione allo
stadio...tutto senza scorta...e poi
approfittando del fatto che il settore
ospiti era nel secondo anello riuscim -
mo anche a sventolarla...meglio dire a
scenderla e a farla muovere usando co -
me supporto la transenna...dopo il
match venne sfilata dai tubi e messa
nello zaino...i tubi servirono come
bastoni da passeggio nel difficile ri -
torno al treno...ma questa è un'altra
storia...
Alessandro Rabbiosi

moviola
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 13
Il City a Newcastle nel 1968.
Non sarò in grado di spendere parole di
saggezza, sulla partita del Man City a
Newcastle del 2012, perché l’ho guardata
su Sky e non è proprio come essere allo
stadio. Anzi è davvero differente ! "NEW -
CASTLE, 16:45, 11-5-68", recita così
l'etichetta del Dymo label sul mio picco -
lo pacchetto a tenuta d'aria, dove con -
servo ancora la zolla d’erba presa dal
dischetto dell’area di rigore, da cui
Franny Lee ha segnato il quarto goal del -
la nostra vittoria. L'erba non è più così
verde come un tempo, ma visto che è stata
nel mio portafoglio ( ho una piccola par -
te “di backup” in un luogo sicuro nel ca -
so in cui venga aggredito e derubato )
per gli ultimi 40 anni, il che non è sor -
prendente. Nel 1968 ero uno studente di
ingegneria. Tra gli studenti di allora, i
tifosi del City erano solo in tre : io,
Dave Cooper e Brian Chapellow. Anche i
docenti erano “Rags” ( tifosi del Manche -
ster United ). Quell’anno però li avevamo
battuti, per 3-1 nel derby che si era
giocato nel mese di marzo, quindi erano
un po’ meno arroganti del solito. In quei
giorni la mia solita routine era di anda -
re alla partita, in casa o fuori, e poi
correre di nuovo al Lowenbrau Bier Keller
a Piccadilly dove l'atmosfera era incre -
dibile, con tanti tifosi di calcio che
intonavano i canti, appresi il sabato
sulle gradinate di tutti gli stadi del -
l’Inghilterra. Andavamo spesso avanti
tutta la notte, senza troppe difficoltà,
incuranti della giornata lavorativa o di
studio che ci attendeva. L’organizzazione
della trasferta di Newcastle mi resta
difficile da ricordare con esattezza ora,
ma credo che Brian Chapellow ed io abbia -
mo preso un pullman Fingland da Leven -
shulme. Ricordo bene come eravamo stupiti
che tutto il traffico sembrava essere di -
pinto di blu e bianco. In quei giorni non
so se ho davvero creduto che avremmo po -
tuto vincere il campionato, ma Joe e Mal -
colm rivoluzionarono tutto. Il City vin -
se, quell’11 maggio del 1968, per 4-3 sul
campo del Newcastle. Prima della gara, ci
speravamo, ma temevamo anche il peggio!
Al St James 'Park eravamo in attesa di
entrare all’interno dello stadio, circon -
dati da un sacco di Geordies e tutto sem -
brava essere molto tranquillo. Dalle gra -
dinate il campo di gioco si vede bene,
ma c’erano tanti tifosi del City festanti
sugli spalti, che non ho visto quando
Summerbee ha segnato. A fine partita una
volta entrato sul terreno di gioco, per
festeggiare la nostra vittoria, sono an -
dato fino all’area di rigore di fronte
all’altra curva, per prendere la zolla
d’erba dal punto esatto in cui Franny Lee
aveva segnato la sua rete. Fu davvero
difficile da prendere quella piccola zol -
la, perché sul campo era pieno di tifosi
del City….che avevamo avuto la stessa
idea.Ovviamente il viaggio verso casa è
stato ancora più divertente, il pullman
si fermò un sacco di volte e ovunque
c'erano Blues a cantare e a ballare. A un
certo punto fummo raggiunti anche dal
pullman con i giocatori del City che vi -
cino a noi e stavano festeggiando con la
stessa intensità di tutti gli altri. Sia -
mo finalmente tornati in città, ma i fe -
steggiamenti sono durati ancora, al punto
tale che sono tornato dentro la mia casa
solo …. il giorno successivo. Da allora
ho fatto ancora tantissime trasferte sia
in Inghilterra che in Europa ... ma que -
sta è stata la mia prima esperienza nel
vincere qualcosa di davvero importante.
Poi sono stato a Wembley per due volte
per la FA Cup e la League Cup, a Vienna
per la finale di Coppa delle Coppe. Ma ho
pensato che quella giornata del 1968 è
stata la migliore della mia vita!
PS: Se qualcuno vuole vedere la mia zolla
erba…. deve venire fino in Inghilterra.
John
A MCFC fan

moviola
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 14
La finale di FA Cup del 1927, un
gatto e una maglia inadatta.
Re George V e due primi ministri della
Gran Bretagna, del 20th secolo in tempo
di guerra, David Lloyd George e Winston
Churchill, hanno visto il Cardiff battere
l'Arsenal davanti a 93.000 spettatori su -
gli spalti dello stadio di Wembley, il
23 aprile 1927, in una finale di FA Cup.
Quel giorno una squadra non inglese vin -
se, quella che allora si chiamava la En -
glish Cup, per l'unica volta nei suoi 137
anni di storia. Ad oggi resta ancora
l’unica squadra non inglese ad aver vinto
questo trofeo. La partita del 1927 è sta -
ta anche molto importante, perché fu la
prima finale di coppa che andò in onda in
diretta sulla BBC Radio e perché fu anche
la prima il finale in cui l’ inno della
FA Cup “Abide With Me” fu cantata prima
dell’inizio dei novanta minuti. La frase
'Back to One Square' è stata coniata per
la finale di FA Cup del 1927, dato che i
commentatori radiofonici utilizzavano una
griglia pubblicata sul Times per descri -
vere l'azione della partita. Era un campo
di calcio, che i giornalisti del tempo,
avevano diviso in tanti quadrati numera -
ti, così alla radio, potevano dire agli
ascoltatori in quale quadrato era in gio -
co il pallone in quel momento. L’azione
si svolge in A 4….davvero altri tempi! Il
Cardiff City aveva adottato un gatto nero
come mascotte, Trixie, per questa impor -
tante gara, perché il suo attaccante Hu -
ghie Ferguson, stella della squadra ed
idolo dei suoi tifosi, aveva pensato che
fosse di buon auspicio. Ferguson l’aveva
trovato a vagare smarrito, sul campo del
Royal Birkdale quando i giocatori del
Cardiff City stavano allenandosi in vista
della partita del quinto turno di FA Cup
contro il Bolton Wanderers. Ferguson
chiese a tutti gli abitanti delle case
nelle vicinanze e finalmente trovò il
proprietario del gatto che accettò la
proposta di farne la mascotte della squa -
dra nella finalissima di Wembley, otte -
nendo in cambio però due biglietti. L’
accordo fu stipulato e il gatto portafor -
tuna consegnato. Al Cardiff furono tirati
degli ortaggi appena il pullman della
squadra arrivò a Wembley, ma l’ agguato
più pericoloso sarebbe stato sul campo
di gioco. L’attendeva infatti la forte
formazione londinese dell’Arsenal. Il
Cardiff era già stato sconfitto dallo
Sheffield United nella finale di FA Cup
1925 e non voleva certo ripetersi. Hughie
Ferguson segnò però al 74’ minuto di gio -
co la rete della vittoria. Il portiere
dell’Arsenal, Dan Lewis, in questa circo -
stanza non fu però impeccabile, perché il
tiro di Hughie non era certo imparabile,
e il portiere dei londinesi si fece pas -
sare il pallone sotto il corpo con un
goffo intervento. I teorici della cospi -
razione dissero che il portiere gallese
Lewis aveva volutamente aiutato i suoi
connazionali, ma Lewis disse che colpa
del suo errore era da imputarsi alla sua
maglia nuova, che era di un tipo di lana
troppo spessa, che gli impediva di af -
ferrare la palla correttamente. Da allo -
ra, quelli dell’Arsenal hanno lavato sem -
pre le maglie dei loro portieri, prima di
ogni partita. Proprio per evitare dei so -
spetti. Chissà quando questo prestigioso
trofeo tornerà ancora in Galles ? Le for -
mazioni di quella finale :
Cardiff City: Farquarson; Nelson, Watson;
Keenor, Sloan, Hardy; Curtis, Irving,
Ferguson, Davies L., M'Laclan
Arsenal: Lewis; Parker, Kennedy; Baker,
Butler, John; Hulme, Buchan, Brain,
Blyth, Hoar
Charles Harvey Lynch

moviola
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 15
era il 19 giugno 1919.
Affiancato da Antonio Calabritto, Vincen -
zo Giordano ed Adalgiso Onesti, Schiavone
affiliò la Salernitana al comitato campa -
no. Ci fu l'autorizzazione a giocare, ma
non si era pronti. Successivamente in una
lunga riunione durata tutta una notte, i
4 organizzatori ed 11 giocatori decisero
di giocare. Adalgiso Onesti fu nominato
presidente. si approntò la prima casacca:
maglia a strisce verticali bianco cele -
ste. Il primo campo fu Piazza d' Armi.
Primo campionato: girone a tre squadre
oltre la Salernitana, Stabia, Savoia e
Pro Italia. Il debutto a Castellammare:
treno e carrozzelle i mezzi di trasporto
della squadra e di un nutrito gruppo di
tifosi. Lo Stabia era uno squadrone, ma
autorità e cuore portarono la Salernitana
a vincere1-0 con un goal dell' ala Ali -
berti. Fu la prima di 6 vittorie, chiusu -
ra del girone a punteggio pieno e quali -
ficazione per la finale. Avversario il
Brasiliano. Si perse 5-0 a napoli. Si
vinse 5-0 a salerno. la bella sul campo
neutro di Nocera: il brasiliano non si
presentò per protesta e la SAalernitana
ottenne la prima promozione a tavolino.
Nella prima Serie A non ci fu gloria. Pu -
teolana, Naples e Savoia erano molto più
forti. Non ci fu retrocessione perchè si
decise di fare due campionati: uno orga -
nizzato dalla Figc ed un altro dalla Cci.
La Salernitana si aggregò a quest'ultima
e partecipò al suo secondo campionato di
Serie A. Non andò bene, fini ultima in -
sieme al Naples. Si tornò, nella stagione
22/23 ad un unico campionato. La Sa -
lernitana partecipò alla 2 divisione
( attuale serie B). Ritornò subito in
Serie A. Ma anche quell'anno, nel mas -
simo campionato, ci fu una magra
figura.....la serie A era fatta per i
blasoni. Crisi di crescita degli ultimi
anni 20, ma almeno ci avevamo provato
ed il cuore salernitano era andato al di
là di tanti ostacoli. Il secondo decen -
nio di vita vide il rilancio della Sa -
lernitana. Sino al 29 i campionati erano
frazionati a gironi, dopo nacque il tor -
neo unico. si privilegiarono le beneme -
renze sportive e la Salernitana fu collo -
cata nel campionato di prima divisione
l'equivalente Serie C. Tornei di alta
classifica e l' aumento smisurato di ti -
fosi fecero andare in pensione il " piaz -
za d'armi". il comune spostò il cimitero
a Brignano e lo stadio, al centro della
città, prese corpo poco alla volta. il
glorioso Vestuti fu inaugurato nel 1932.
Per due stagioni consecutive si sfiorò la
serie B. il salto di qualità, dopo un
quinquennio di delusioni, arrivò nel
1937/38: nell'ultima giornata, la Saler -
nitana ottenne la promozione. A Potenza
fu festa grande. La prima volta in una
serie B a girone unico, i salernitani
chiusero al penultimo posto, ritornando
in serie C. C'e' un nome che nessuno co -
nosce: Kertesz. fu un allenatore unghere -
se che, prima di Delio Rossi, infilò 16
risultati utili consecutivi, grande serie
positive: al Vestuti......nessuno passa -
va. Negli anni trenta i calciatori più
rappresentativi furono Antonio Valese,
Giovanni Pilato ed il portiere Giovanni
Scannapieco detto " gatto magico". in
questo decennio apparve la figura del
massaggiatore: Angelo Carmando ne inter -
pretò cosi bene il ruolo da non lasciare
più " spugna e secchio granata" per de -
cenni. I figli Bruno e Salvatore sono
stati capostipiti di una famiglia di fi -
sioterapisti. Noi over 40 siamo legati
alla figura di bruno come i nostri nonni
erano legati a quella di angelo: pura Sa -
lernitanità.
Roberto Cocozza

calcio d’angolo
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 16
Swindon Town.
Paolo Di Canio in versione singer per la
festa finale. Look alla Doctor House,
barba incolta e giacchetto di pelle, Pao -
lo Di Canio chiude la festa per la promo -
zione in League One cantando, sul palco
assieme alla band Toploader, "Dancing in
the moonlight" di King Harvest. Tanta
gente si è riversata al County Ground
nella giornata dedicata ai ragazzi in
biancorosso: palco in mezzo al terreno di
gioco su cui si sono alternate diversi
gruppi musicali, tenda vip riservata ai
tifosi “facoltosi” che, in cambio di con -
grua offerta, hanno cenato spalla a spal -
la con i giocatori della loro squadra e
tanto divertimento, questi gli ingredien -
ti di una riuscitissima giornata. Ovazio -
ne finale per il singer Di Canio, diven -
tato in un solo anno vero e proprio idolo
locale. Il giusto finale di un anno vis -
suto alla grande tra sconfitte (terribile
la serie negativa iniziale), tante vitto -
rie (sfiorato il record di vittorie con -
secutive di una squadra inglese), imprese
(il passaggio del turno in F.A. Cup), de -
lusioni (la finale di Johnstone’s persa a
Wembley) e dolori (la morte di entrambi i
genitori del mister italiano) che ha sa -
puto lanciare Di Canio tra gli allenatori
emergenti (per lui si è parlato dell’in -
teressamento di Leeds e West Ham).
Renato Cignoni
Cinque fratelli in campo.
Siamo davvero nella preistoria, a cavallo
fra gli anni 10 e 20. Un calcio molto di -
verso da quello odierno, un calcio sicu -
ramente più genuino. Ed in questo clima
romantico, è sicuramente bello raccontare
di cinque fratelli in maglia granata. Di
loro sono arrivati a noi notizie frammen -
tarie. Alla fine della prima guerra mon -
diale, si riprende anche con l'attività
calcistica, e un giornale dell'epoca ri -
porta un amichevole fra Vigor Trapani e
Palermo F.c. finita 5-0 per i palermita -
ni. In quell'incontro si distingue Zolli
secondo. I fratelli Zolli parteciparono
successivamente al campionato 1921-22. In
quell'anno a livello nazionale vennero
disputati due campionati: uno, gestito
dalla FIGC e l'altro gestito dalla CCI.
Quest'ultimo campionato era diviso in tre
leghe: la nord la centro e la sud. La le -
ga sud (che non partecipava però all'as -
segnazione dello scudetto vinto poi dalla
Pro Vercelli) comprendeva una serie di
gironi regionali, e in quello siciliano
era inserita la Vigor Trapani. Il campio -
nato fu ingloriosamente chiuso all'ultimo
posto, con dieci sconfitte su dieci par -
tite e con ben sei rinunce. Di quel cam -
pionato ci arriva notizia di un gol di
Zolli primo in un Vigor Trapani- Libertas
Palermo 2-3. Nel 1924 nasce una nuova so -
cietà dalla fusione fra Vigor Trapan e
Drepanum: la U.S. Trapanese, e fra i gio -
catori vengono ancora chiamati i cinque
fratelli. Poi non ci arriva più alcuna
notizia, ma cinque fratelli in una squa -
dra per tanti anni se non rappresenta un
record ...poco ci manca.
Vito Galuppo

moviola
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 17
30 maggio 1984, scritto neutrale...
Bob Paisley si è ritirato al termine del -
la stagione precedente, il suo posto sul -
la panchina dei Reds è stato preso dal
suo secondo, Joe Fagan. Il Liverpool è
alla nona partecipazione consecutiva alla
Coppa dei Campioni, non salta un'edizione
dal 1976. La squadra è cambiata rispetto
a quella che trionfò nel 1981 contro il
Real Madrid a Parigi: negli ultimi anni
hanno raggiunto Anfield Road il teatrale
portiere Grobbelaar, lo stopper Lawren -
son, il mediano irlandese Whelan, il tut -
tofare Nicol e soprattutto il bomber Ian
Rush. L'avventura in Coppa comincia con -
tro i danesi dell'OB Odense, superati co -
modamente. Il secondo turno pone di fron -
te ai Reds i baschi dell'Athletic Bilbao.
Il sorprendente pareggio a reti bianche
dell'andata a Anfield costringe il Liver -
pool a conquistare la qualificazione in
trasferta, grazie a una prodezza di Rush,
che comincia a lasciare il segno su que -
sta edizione. Nei quarti la squadra di
Fagan incontra il Benfica, che limita i
danni in Inghilterra (0-1) e viene tra -
volto a Lisbona per 4-1 in una delle mi -
gliori prestazioni esterne del Liverpool.
In semifinale è la volta della Dinamo Bu -
carest: Sammy Lee garantisce il primo
round ai Reds in casa, ma è Ian Rush con
due gol in Romania a mettere il timbro
sul passaporto per la finale. Il Liver -
pool torna a Roma dove sette anni prima
aveva vinto la sua prima Coppa Campioni
contro il Borussia Mönchengladbach. Di
fronte c'è la Roma di Falcão, che gioca
in casa. I giallorossi sono al debutto;
nel tunnel che conduce in campo, con gli
atleti già schierati ad aspettare l'in -
gresso sul terreno, le loro facce sono
tesissime, i comportamenti nervosi. Gli
esperti inglesi mostrano invece grande
tranquillità, cantando tutti insieme. Do -
po un leggero predominio della Roma, al
quarto d'ora scende il gelo sull'Olimpi -
co: Johnston "carica" Tancredi uscito per
intercettare un cross, il portiere perde
la palla.Bonetti cerca di allontanare, ma
il rinvio finisce sulla testa di Tancredi
a terra e poi sui piedi di Neal, che por -
ta in vantaggio il Liverpool. La Roma
tenta di reagire, ma è Tancredi a dover
compiere un miracolo su un contropiede di
Rush. Poi, sul finire del primo tempo,
Pruzzo fa esplodere lo stadio "pettinan -
do" di testa un pallone crossato da Bruno
Conti, che si insacca alle spalle di
Grobbelaar. Il bomber romanista lotta co -
me un leone, ma in avvio di ripresa si
infortuna e dovrà uscire sostituito dal
tornante Chierico. La Roma perde incisi -
vità, il Liverpool si rende pericoloso in
contropiede con Dalglish e Neal. Termina -
no in parità i tempi regolamentari e
neanche nei supplementari si sblocca il
risultato. Per la prima volta la Coppa
viene assegnata ai calci di rigore. Nicol
sbaglia subito per gli inglesi, Conti
fallisce il secondo tentativo dei romani.
Dopo tre rigori a testa il risultato è
ancora in parità: tocca a Rush che non
sbaglia, quindi va dal dischetto l'affa -
ticato Ciccio Graziani, che colpisce la
traversa. Alan Kennedy, che già aveva da -
to ai Reds la coppa del 1981, non trema e
infila Franco Tancredi. Per il Liverpool
è la quarta vittoria in quattro finali.
Claudio Boffa Tarlatta

fuorigioco
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 18
Football Rivalries ...l’importanza
del derby.
Tutti quelli che hanno la fortuna di vi -
vere in una città che ha due squadre cit -
tadine, conosce bene l’importanza del
derby. Sappiamo bene che vincere la stra -
cittadina, può cambiare il corso di una
stagione calcistica, può regalarti sensa -
zioni ed emozioni uniche, che rimangono
indelebili nella tua mente, per anni, en -
trando a far parte del tuo patrimonio di
ricordi più belli. Potremmo dimenticare
ricorrenze, festività e compleanni, ma
non scorderemo mai la rete di Nicoli, se -
gnata quasi allo scadere, le due gemme di
Vincenzo D’Amico contro una formazione,
che sulla carta partiva favorita, la pu -
nizione magistrale di Veron, e la zampata
del centrattacco teutonico nei minuti di
recupero. Il derby evoca, bandiere al
vento, abbracci con persone che neppure
conosci, il tornare adolescenti per no -
vanta lunghissimi minuti, l’odore dei fu -
mogeni che salgono forti e spavaldi al
cielo, saltare pazzo di gioca sopra un
seggiolino, ma anche uscire disperato con
la morte nel cuore. Il derby è tutto que -
sto, nella mia città, ma anche in ogni
parte del mondo. Perché noi tifosi di
calcio, che abitualmente andiamo tutte le
domeniche allo stadio, ci assomigliamo un
po’ tutti, in ogni angolo del pianeta.
Vincenzo Paliotto, per Urbone Publishing,
ha scritto un bel libro intitolato : “
Football rivalries – Derby e rivalità
calcistiche europee“ che parla, per l’ap -
punto di derby, visti ad ogni latitudine
del vecchio continente. Si inizia come
d’obbligo, per ogni appassionato di cal -
cio, dalla Gran Bretagna, analizzando i
motivi, che spesso hanno origini che si
perdono nei meandri della storia, come
quella tra il West Ham Utd ed il Mill -
wall Fc, che portano spesso ad una riva -
lità esasperata che si esaspera ancora di
più con il trascorrere degli anni. Ci fa
immergere nel clima derby di città cono -
sciute nel mondo, solo per la loro forma -
zione di calcio, come il caso di Manche -
ster, ci racconta di cori, striscioni e
trasferte, negli infuocati derby di Gal -
les ed Irlanda. Dalla Gran Bretagna ini -
zia così il nostro viaggio attraverso
città e tifoserie, più o meno conosciute,
di cui apprendiamo storie, tradizioni e
cultura. Sembra di essere, su un treno
virtuale, in viaggio per l’Europa con la
tua sciarpa al collo. Scendiamo in Olanda
e scopriamo che il paese dei tulipani e
dei mulini a vento, non è solo questa
cartolina, ma che ci sono tifoserie orga -
nizzate e sfide infuocate, che talvolta
travalicano i soli motivi calcistici.
Sentiamo quasi parlare tedesco e ci ve -
diamo nella curva dell’Hertha Berlin men -
tre i cori all’unisono con le bandiere di
alzano dai settori più popolari del vec -
chio stadio della capitale tedesca. Pas -
sione e voglia di stare insieme che acco -
munano tanti tifosi teutonici, quando la
fredda e compassata Germania diventa qua -
si un paese latino. Passando per la Fran -
cia ed il suo derby per antonomasia, che
infiamma un’ intera nazione, come quello
tra il PSG ed il Marsiglia, si arriva poi
nelle terre in cui la stracittadina è
davvero qualcosa che si vive, quasi tutti
i giorni dell’anno. Siamo arrivati in
Grecia per poi passare in Turchia. Qui le
sfide stracittadine sono qualcosa che non
è solo calcio, ma è una sfida tra quar -
tiere e quartiere, tra tradizioni vecchie
ed antiche che risalgono addirittura ad
un secolo fa. Il derby è qualcosa di uni -
co, in ogni parte della vecchia Europa,
vissuto ovunque con la stessa trepidazio -
ne. Perché una vittoria nel derby vale
più di ogni altra vittoria, perché in
ogni angolo del mondo, vedere i tifosi
avversari uscire sconfitti e tristi, men -
tre tu canti e sventoli i tuoi vessilli,
non ha davvero paragoni. Fate anche voi
questo lungo viaggio nell’Europa calci -
stica, ne vale davvero la pena.
Giorgio Acerbis

fuorigioco
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 19
Tutto il Catania minuto per minuto.
Una passione inossidabile, la stessa che ci
faceva marinare la scuola pur di vedere gli
allenamenti dei nostri eroi al vecchio Ciba -
li. Un sentimento che resiste tutt’oggi in
un pianeta del pallone diverso anni luce già
da quello di una decina d’anni fa, e canni -
balizzato dalle pay TV. L’amore tramandatoci
dai nostri padri per due incantevoli colori
“il rosso fuoco dell’Etna e l’azzurro del
mare”. La consapevolezza che perfino il più
grande dei successi ha poco significato se
ci si dimentica di quelli raggiunti nel pas -
sato attraverso tante tribolazioni. Ma so -
prattutto la presa di coscienza che la città
e la squadra meritano un’opera che racconti
una storia che ha fatto innamorare centinaia
di migliaia di catanesi. Queste parole degli
autori (Antonio Buemi, Roberto Quartarone,
Alessandro Russo, Filippo Solarino) sinte -
tizzano le motivazioni alle spalle dell’ope -
ra omnia sulla storia del calcio rossazzurro
: “Tutto il Catania minuto per minuto” edito
dalla GEO edizioni di Carlo Fontanelli e
giunto alla seconda edizione, dopo il suc -
cesso della prima andata esaurita in pochi
mesi. Un volume enciclopedico di 500 pagine
recentemente insignito del patrocinio da
parte della facoltà di Storia dell’Universi -
tà di Catania per il rigore scientifico nel -
la ricerca, e che custodisce gli oltre 3000
tabellini completi di ogni gara ufficiale
giocata dal 1929, centinaia di foto storiche
inedite, ed il romanzo di ogni stagione. Ma
soprattutto l’inedito excursus della prei -
storia del football catanese a partire dal
1908, ed il racconto della vera storia del
Catania, ch,e rinato del 1946, vede invece
le sue origini nella S.S Catania fondata nel
1929 su impulso delle autorità politiche del
tempo. Leggendo le 500 pagine dell’opera
scorreranno le immagini e le gesta degli
“eroi” contemporanei Lodi,Maxi Lopez,Go -
mez,Mascara, ma anche dei loro bisnonni,”i
matti di Piazza d’Armi” capitanati da Tano
Ventimiglia. Si parla del mitico stadio di
Piazza Verga prima culla della passione ros -
sazzurra, del Duca di Misterbianco e del suo
mentore calcistico Geza Kertesz morto da
eroe nel 1945, degli anni d’oro di Marcoc -
cio,di Angelo Massimino, e della squadra che
Nino Pulvirenti ha proiettato definitivamen -
te nel firmamento del calcio nazionale.
Filippo Solarino
Tutti i colori del calcio.
Gli autori Salvi e Savorelli, attraverso
una storia universale del calcio come
gioco e come istituzione, tracciano una
mappa dei colori di centinaia di squadre
e ne rintraccia l'origine. Dagli usi ca -
vallereschi della guerra e dei tornei, il
calcio ha ereditato il suo aspetto così
affascinante di spettacolo a colori. La
scelta dei colori delle sue casacche, e
le regole che la governano, hanno infatti
origine nel linguaggio cromatico della
battaglia medievale, di cui, a sua insa -
puta, il calcio è la più stupefacente in -
terpretazione moderna, oggi che i cava -
lieri si vedono soltanto al cinema. Que -
sto libro, attraverso una storia univer -
sale del calcio come gioco e come istitu -
zione – che è anche la storia dei suoi
club più famosi –, traccia una mappa dei
colori di centinaia di squadre e ne rin -
traccia l'origine; a proposito della qua -
le, innestate su una rigorosa sintassi
araldica, la moda, l'appartenenza socia -
le, la politica, la religione e soprat -
tutto il caso e il gusto sono stati spes -
so determinanti. Insomma: come e perché
la maglia del Chelsea è azzurra, quella
del Liverpool rossa, quella del Celtic
biancoverde? E perche la Juventus ha mu -
tato il suo rosa iniziale nell'ormai tra -
dizionale bianconero? Un capitolo è dedi -
cato ai marchi dei club; il sistema dei
segni probabilmente più noto al mondo,
che sfata l'opinione comune secondo la
quale la scienza del blasone sarebbe un
passatempo per iniziati, incomprensibile
e misterioso.
Ruben Lombardi

fuorigioco
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 20
La nascita del movimento casual in
Inghilterra.
Il movimento casual inglese è iniziato
alla fine del 1970, quando i tifosi del
Liverpool FC, hanno esibito a tutto il
resto dell'Inghilterra i migliori marchi
europei che avevano trovato seguendo la
loro squadra, nel 1977 nella trasferta,
per i quarti di finale di Coppa dei Cam -
pioni, contro i francesi del St Etienne.
I tifosi del Liverpool, dopo quella sto -
rica partita, sono tornati in Inghilterra
con costosi “sportswear” sia italiani che
francesi. I tifosi hanno introdotto così
molti marchi di abbigliamento che non si
erano mai visti nel Regno Unito, fino al
allora. Poco dopo però anche gli altri
tifosi inglesi volevano poter indossare
sulle loro gradinate, questi rari oggetti
di abbigliamento, come le polo Lacoste o
Sergio Tacchini e le scarpe da ginnastica
Adidas, che sono ancora oggi, dopo tanti
anni, associate ai tifosi del Liverpool
FC. Fino a quel momento sugli spalti bri -
tannici incontravi, in certi punti delle
curve, solo skinheads che indossano gli
anfibi Dr. Martens. Quindi, senza timore
di sbagliare si può dire che la cosiddet -
ta “cultura Casual" sia iniziata con i
tifosi del Liverpool FC. Ecco proprio da
quei primi giorni gloriosi nasce l'evolu -
zione della moda, negli stadi inglesi.
Oggi alcuni tifosi del Manchester United
si lamentano del fatto che anche loro
hanno viaggiato all'estero in quegli anni
e preso gli stessi capi di abbigliamento,
ma che però la tifoseria del Liverpool
gode sempre di maggiore credito presso
gli altri tifosi. Chi è cresciuto a Man -
chester è abituato a considerare il resto
del paese un po’ più lento di loro, nella
corsa della moda, che iniziò in quei tem -
pi. Tuttavia prima della fine degli anni
settanta i londinesi sembravano aver bru -
ciato, anche culturalmente, i tempi. Tut -
ti i media li dipingevano come coloro che
dettavano i modelli di moda, sia nel ve -
stire, che addirittura nel parlare. Il
resto della Gran Bretagna sembrava non
essere in grado di fare altrettanto, di
essere alla loro altezza. Sembra di par -
te, ma non c'è fumo senza fuoco. L'unica
città che è stata in grado di sovvertire
la loro egemonia è stata Liverpool. Biso -
gna tornare indietro addirittura ai vec -
chi coffe shop dei primi anni '60, quando
band come The Beatles, Wayne Fontana and
the Mindbenders, Billy J. Kramer and The
Dakotas e Herman’s Hermits hanno suonato
dal vivo in posti leggendari come il The
Cavern. Tornando alla polemica con i ti -
fosi dei Red Devils, ci sono discussioni
addirittura su come Manchester abbia co -
struito i canali navigabili e le ferro -
vie, prima di Liverpool e questo odio tra
le due città si perde nei secoli, ma pen -
so che nei primi anni '60 eravamo entram -
bi, dentro una casa in fiamme. Nella sta -
gione 1977-78 direi che le due città han -
no condiviso, per prime in Gran Bretagna,
la passione per la moda casual. A metà
degli anni '70 in Inghilterra erano ini -
ziati a comparire nei negozi sportivi i
primi capi di abbigliamento firmato, so -
prattutto sotto forma di repliche delle
maglie da calcio delle squadre più impor -
tanti e di borse sportive, le più richie -
ste erano dell’ Adidas. Le prime scarpe
da ginnastica Adidas, ( economiche e doz -
zinali ) fecero la loro comparsa, pro -
prio in quei tempi. Ma solo quando i ti -
fosi del Liverpool FC sono andati in
Francia e hanno visto tante boutique
sportive pieni di giacche, di polo e di
maglioni Lacoste e Adidas con stili e co -
lori incredibili mai visti prima, la
scintilla è scoccata. Non so, sinceramen -
te, se queste marche avessero già in men -
te una politica si sviluppo qui in In -
ghilterra, ma solo grazie ai giovani ti -
fosi del Liverpool FC hanno iniziato a
produrre ed esportare una grande varietà
di capi di ogni colore. Significava anche
che allora, tutti noi, avevamo la libertà
di esprimere il nostro gusto. Non c'erano
altre regole che avere un buon istinto al
momento dell’acquisto dei capi di abbi -
gliamento. Una spilla infilata nel naso e
un paio di calzini verdi luminosi non so -
no stati più di moda…per fortuna. Il mo -
vimento post-punk, definito new wave
('78-'79) ha creato un nuovo modo di con -
cepire la moda. Se guardate le band in -
glesi e americane di quel periodo, è ov -
vio che avevano un look più semplice di
quanto visto prima, ma era davvero più
"in" per gli appassionati. I pantaloni a
zampa d'elefante erano improvvisamente
scomparsi, così come i grandi colletti
"goon" della prima metà degli anni '70. I

fuorigioco
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 21
ragazzi iniziarono a vestirsi come David
Bowie ed i Roxy Music e sembravano un
vecchio mod ma soprattutto, nessuno volle
più indossare abiti punk, o skinhead.
Questa non fu come le mode giovanili pre -
cedenti, quelle erano solo un modo per
apparire. Ora invece era l’esatto contra -
rio, si cercava di …non apparire. Tutto
quello che c’era stato prima era conside -
rato vecchio e sorpassato. La musica del
tempo era un guazzabuglio di Blondie, The
Motors, Elvis Costello, Sham 69,
Buzzcocks, Squeeze, The Stranglers, Boom -
town Rats, Devo, Ramones, The Jam. Una
cosa da ricordare quando si parla di moda
casual è che questo nuovo tipo di abbi -
gliamento ti faceva passare più inosser -
vato quando andavi allo stadio. Era sem -
pre stato molto facile, da identificare
chi indossava pantaloni a zampa d'elefan -
te di grandi dimensioni, stivali Doc Mar -
ten, tagli di capelli skinhead o sciarpe
da calcio legate intorno ai polsi. A poco
a poco (molto poco) tuttavia anche i ca -
suals furono ben identificati, non tanto
per il loro abbigliamento ma piuttosto
per il loro taglio di capelli “The wedge
“, a cuneo. The wedge era in realtà un
taglio di capelli quasi femminile, usato
da David Bowie, ed è stato un completo
cambiamento dai tagli precedenti tipo
skinheads e punk. Una vera rivoluzione.
L'idea di andare allo stadio sotto menti -
te spoglie, nasce dal fatto che questi
ragazzi non indossavano i colori del club
o stivali minacciosi. Ma all'interno del -
la comunità casual una maglia, un maglio -
ne con una minuscola etichetta poteva
essere individuata da un miglio di di -
stanza, soprattutto se chi lo indossa
camminava in un certo modo, e indossava
anche certi tipi si calzature. Quando si
dice "sfoggiare vestiti costosi allo sta -
dio", questa frase riassume tutto il mo -
vimento casual, per quanto mi riguarda.
Un cosa che non piaceva qui nel nord-o -
vest era che i casuals di Londra andavano
spesso allo stadio con maglie rosa e lo -
ghi enormi. Noi invece, ci siamo concen -
trati più sulla qualità della stoffa, i
tipi di cuciture, il taglio, ecc… Questo
non vuol dire però che anche a Londra
non ci siano stati dei tifosi fantastici,
solo che vestivano un po’ peggio di noi.
Oggi, tutti vogliono dirti che il movi -
mento casual è nato tre o quattro anni
prima nella loro città, rispetto a Liver -
pool e Manchester. Ma credo che il 1979
fu il primo anno in cui si è visto questo
movimento, non indossare un solo marchio.
Alcuni ragazzi di Liverpool avevano ini -
ziato ad indossare Lacoste, Fila, Adidas,
ecc.. dai loro viaggi sul continente per
le partite di calcio e siamo nell'autunno
del 1979,: una polo, jeans e scarpe Adi -
das. Inizialmente si trattava di una polo
t-shirt Fred Perry, jeans Levis e scarpe
da ginnastica Adidas Kick trainers. Poi,
verso la fine del '79 divenne una Polo
Peter Werth, jeans Lois e Adidas Stan
Smith. Oggi il calcio ed il mondo del ti -
fo in Gran Bretagna è totalmente cambia -
to. Fa tutto parte del progresso, come
sbarazzarsi dei servizi igienici esterni
che avevamo quando eravamo solo dei bam -
bini, e come il divieto di fumare nei
luoghi pubblici. Gli stadi di calcio sono
tutti posti a sedere. Tutte le vecchie
gradinate sono scomparse, come la nostra
leggendaria Kop. Ogni posto ha il suo bi -
glietto e il suo numero, e ci sono tele -
camere a circuito chiuso, che riprendono
ogni istante della partita.. La sponta -
neità e l'entusiasmo sono stati schiac -
ciati, come il succo da un limone. Alcuni
dicono che il movimento casual stia tor -
nando…. ma solo nelle partite importanti
puoi ancora incontrare le vecchie facce
delle vecchie firms, sulle gradinate e
prima della partita all’interno del loro
pub di riferimento. I tifosi allora ave -
vano anche un atteggiamento verso la po -
litica diverso. proprio come per l'abbi -
gliamento, ognuno aveva il suo modo di
fare e di pensare . Chelsea, Leeds, Gla -
sgow Rangers e Millwall avevano la repu -
tazione di essere delle tifoserie nazio -
naliste. Alcune squadre, come il Manche -
ster City, il Birmingham City e il Car -
diff, erano famose per essere più multi -
razziali. Tra le firms delle squadre di
Liverpool praticamente non c’erano facce
di colore. Il Manchester United aveva in -
vece una forte tendenza di sinistra e
c’erano molti casuals di colore. Oggi
quel mondo è cambiato, inesorabilmente
perso. Che nostalgia per quei tempi eroi -
ci.
Bill - 5 times

la palla
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 22
Pasquino e le statue parlanti.
Se a Londra, in Hyde Park, si trova Spea -
ker’s Corner ovvero lo spazio dove chiun -
que può parlare in pubblico per esporre
le sue idee, noi a Roma abbiamo “Pasqui -
no”. La statua di Pasquino, che dal 1500
ha sede nella omonima piazza, tuttavia
non è l’unica statua parlante ma, come
diceva il principe Antonio de Curtis (ov -
vero Totò) “abondantis abondantum” ne ab -
biamo altre cinque che con Pasquino danno
vita al cosiddetto “Congresso degli Argu -
ti”!!! La statua di Pasquino rappresenta
una figura maschile, probabilmente il re
greco Menelao, con il volto sfigurato e
corroso dall’usura del tempo. Purtroppo
non è dato conoscere l’origine del nome:
alcuni pensano che forse era quello di un
barbiere o di un oste che aveva la botte -
ga nelle vicinanze, altri che il nome gli
sia stato affibbiato dagli studenti della
vicina Sapienza (non l’università attuale
ma quella antica) per la somiglianza con
un loro professore. Le Pasquinate, ovvero
i cartelli appesi al collo della statua,
erano sempre dirette contro l’autorità
sia temporale che spirituale che nel 1800
erano incarnate nel Pontefice Romano, al -
l’epoca “il Papa Re”: a proposito, il re -
gista romano Luigi Magni fece un bel film
intitolato “Il Papa Re” il cui protagoni -
sta era il compianto Nino Manfredi, vale
la pena di rivederlo. Tra le pasquinate
più famose ricordiamo “Quel che non fece -
ro i barbari fecero i Barberini” riferi -
ta, appunto, a Papa Urbano VIII della fa -
miglia Barberini che nel 1625 fece stac -
care per fondere gli antichi bronzi roma -
ni del Pantheon, per costruire il baldac -
chino all’interno della Basilica di S.
Pietro e i cannoni per Castel Sant’Ange -
lo. Ieri si rubava il bronzo oggi ci sono
i furti di rame…ma, almeno, con i primi
se ne ricavavano delle opere d’arte! Un
Papa straniero, l’olandese Adriano VI
tentò di togliere la statua di Pasquino
ma senza risultato anzi, Pasquino è rima -
sto e lui è sepolto, ironia della sorte,
nella chiesa di S. Maria dell’Anima che
si trova a poca distanza dalla statua me -
desima. A Pasquino fungeva da spalla
un’altra statua: quella di Marforio (che
rappresenta Nettuno o una divinità delle
acque), una statua gigantesca che possia -
mo ammirare salendo al Campidoglio al -
l’interno del cortile dei Musei Capitoli -
ni. Marforio dialogava a distanza con Pa -
squino con una sorta di botta e risposta
tipo “ E’ vero che i francesi sono tutti
ladri?” e Pasquino rispondeva “ Tutti no,
ma Bona Parte si!” Scendendo dal Campido -
glio e avvicinandosi al lato di Palazzo
Venezia troviamo, adagiata su di un basa -
mento in marmo una statua di epoca romana
rappresentante una sacerdotessa della dea
Iside: quella statua è Madama Lucrezia
che molti identificavano con una dama di
nome Lucrezia che era l’amante del re di
Napoli. In via Lata, invece, c’è la fon -
tana del Facchino (altra statua parlante)
mentre su di un muro della chiesa di S.
Andrea della Valle possiamo vedere la
statua dell’Abate Luigi, altra scultura
di epoca romana che deve il suo nome, pa -
re, a quello del sacrestano della chiesa.
Ultima statua parlante è il Babuino, nel -
la via omonima, una figura di satiro che
serve da elemento decorativo per una va -
sca una volta utilizzata come abbevera -
toio per i cavalli. Tra le sei statue la
più importante e conosciuta rimane Pa -
squino, voce degli oppressi che sbeffeg -
giava il potere con i suoi cartelli iro -
nici. In molti pensano che gli autori
delle pasquinate fossero i popolani ma
dobbiamo ricordare che, all’epoca, quasi
nessuno era in grado di leggere o scrive -
re quindi i cartelli provenivano da poe -
ti, scrittori o, addirittura, da eccle -
siastici che, magari, non avevano ricevu -
to i privilegi che si attendevano e quin -
di si vendicavano in tal modo. L’ironia
cinica e corrosiva è sempre stata una
prerogativa dello spirito romano, oltre
alle statue parlanti esisteva anche, in
carne ed ossa, un uomo che si prendeva
gioco del potere nella Roma papalina:
Ghetanaccio. Gaetano Santangelo, questo
era il suo vero nome, nacque nel 1872 e
per vivere faceva il burattinaio ambulan -
te, infatti girava per il centro di Roma
portandosi a spalla il “castelletto” cioè
il teatro dei burattini: per intenderci
quello che c’era (e forse c’è ancora) al
Pincio e a villa Borghese con Pulcinella
e Arlecchino. Ghetanaccio spesso, metteva
in bocca ai suoi burattini battute pesan -
ti contro il Papa, i preti ed i potenti
del tempo e per questo molte volte finì
in prigione; purtroppo morì in miseria

la palla
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 23
poiché nel 1825 fu proclamato l’Anno San -
to e, di conseguenza, furono proibiti gli
spettacolo di ogni genere così Ghetanac -
cio si ridusse a chiedere l’elemosina.
Gigi Proietti, verso la fine degli anni
70, mise in scena uno spettacolo dedicato
a questo personaggio poco conosciuto così
come spesso ha citato e rifatto nei suoi
spettacoli un altro grande attore satiri -
co romano: il grandissimo Ettore Petroli -
ni, altro campione dello sberleffo, che
ricordiamo soprattutto nelle sue mac -
chiette più famose quelle di Nerone e di
Gastone. L’ ironia romana, dicevo prima,
è acida, cinica propria di un popolo che
ha fatto la storia e ha visto la storia
scorrere nelle sue strade e, quindi,
niente gli fa impressione, nulla lo mera -
viglia perché ha già visto tutto. Quando
muore il re gli inglesi dicono “E’ morto
il re, viva il re” a significare la con -
tinuità della monarchia che non finisce
con la morte di un uomo ma continua nei
secoli. I romani, invece, dicono “Morto
un Papa se ne fa un altro” che oltre al
senso di continuità ne racchiude un al -
tro: che nessuno, anche se Papa, è inso -
stituibile e alla fine siamo tutti uguali
potenti e non.
Vorrei terminare questo articolo con una
poesia di un altro romano: Giuseppe Gioa -
chino Belli.
La vita dell’omo”
Nove mesi a la puzza: poi in fassciola
Tra sbasciucchi, lattime e llagrimoni:
Poi p'er laccio, in ner crino, e in ve -
sticciola,
Cor torcolo e l'imbraghe pe ccarzoni.
Poi comincia er tormento de la scola,
L'abbeccè, le frustate, li ggeloni,
La rosalìa, la cacca a la ssediola,
E un po' de scarlattina e vvormijjoni.
Poi viè ll'arte, er diggiuno, la fatica,
La piggione, le carcere, er governo,
Lo spedale, li debbiti, la fica,
Er zol d'istate, la neve d'inverno...
E pper urtimo, Iddio sce bbenedica,
Viè la morte, e ffinissce co l'inferno.
Paola Bracci

il regista
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 24
Il piccolo tifoso, il derby e gli
Ultras,: una storia a lieto fine.
Ricordate la storia di quel bambino im -
possibilitato ad andare a vedere il derby
di Milano essendo sprovvisto della tesse -
ra del tifoso? Di appena 12 anni, figlio
di un mio caro amico in Calabria, era ri -
uscito ad ottenere il consenso, dopo anni
di rinvii e scuse varie, per poter final -
mente andare ad assistere alla “partitis -
sima” in quel di San Siro e poter, quin -
di, ammirare dal vivo, per la prima vol -
ta, le gesta dei suoi beniamini in maglia
nerazzurra. Ma qualcosa aveva spezzato
anticipatamente l’entusiasmo di quel pic -
colo tifoso. La burocrazia e le assurde
disposizioni sulla Tessera del Tifoso
avevano, di fatto, impedito l’acquisto
dei biglietti al padre e al figlio. L’In -
ter, infatti, in qualità di squadra ospi -
tante, aveva incredibilmente stabilito
che l’acquisto dei tagliandi per accedere
allo stadio in occasione del derby pote -
vano essere acquistati esclusivamente dai
possessori della famigerata tessera del
tifoso. Tessera del tifoso che, per al -
tro, doveva essere, obbligatoriamente,
sottoscritta entro il 30 Marzo scorso,
nonostante la vendita dei biglietti fosse
iniziata il 12 Aprile. Sembrava non ci
fosse nulla da fare. Sembrava che il cal -
cio moderno avesse mietuto l’ennesima
vittima, in nome e per conto del dio de -
naro. Ed invece questa volta le cose sono
andate diversamente. L’articolo da me
scritto e successivamente pubblicato sul
sito del Sodalizio, e su vari portali di
controinformazione, subito dopo, non è
passato inosservato. Ed infatti, dopo un
paio di giorni, ecco che, grazie anche al
Sodalizio della Lazio che si è da subito
attivato per risolvere questo problema,
vengo messo in contatto con Angelo, uno
dei leader del gruppo dei Templari del -
l’Inter. Angelo, appresa l’intera vicen -
da, mi promette che farà il possibile per
far si che il sogno del piccolo tifoso
interista si possa realizzare. Passano i
giorni, ed ecco che finalmente arriva la
notizia sperata. Angelo ha ottenuto la
possibilità di fare due biglietti per far
assistere, al giovane nerazzurro e a suo
padre, il tanto agognato derby. Inviamo
quindi la copia dei documenti per acqui -
stare i tagliandi e, finalmente, nella
mattinata del 6 Maggio, padre e figlio si
imbarcano sull’aereo che dalla Calabria
li porta direttamente in quel di Milano.
L’appuntamento è alle 19, nei pressi del -
l’ingresso 3 dello Stadio San Siro, dove
Angelo gli consegna i biglietti tanto am -
biti. Sono due tagliandi per il secondo
anello arancione, e da qui il piccolo ti -
foso interista ha potuto ammirare, con
gli occhi sgranati, la bellissima coreo -
grafia della Curva Nord, esposta durante
l’ingresso in campo delle squadre, e ha
potuto assistere, successivamente, ad uno
dei più bei derby di Milano degli ultimi
anni, terminato con la vittoria della
compagine nerazzurra per 4 a 2. Una volta
tanto, quindi, una storia a lieto fine,
grazie, ovviamente, all’interessamento e
al fondamentale aiuto di Angelo e del suo
gruppo. Quello stesso gruppo che incarna
i valori e lo spirito di moltissimi altri
gruppi di Ultras e di tifosi italiani.
Quegli stessi gruppi, sparsi in tutta
Italia, troppo spesso accusati e addita -
ti, ingiustamente e quanto mai frettolo -
samente, come l’unico male di questo cal -
cio. Un calcio fatto di scommesse, risul -
tati a tavolino, doping, soldi, partite
comprate, veline, letterine, presidenti
arroganti, giornalisti compiacenti ed
istituzioni incompetenti. Uno sport dove
i tifosi sono rimasti, ormai, l’unica
parte realmente pulita di tutto il siste -
ma, nonostante i media e gli opinionisti
da salotto vogliano farci credere il con -
trario. Ma in questo caos generale, men -
tre lo sport più bello del mondo va,
ormai irrimediabilmente, a rotoli, il
sorriso entusiasta di un bambino che sale
i gradoni di uno stadio e rimane estasia -
to di fronte a quel turbinio di colori,
odori e suoni incessanti, è pur sempre
una bellissima notizia!
Daniele Caroleo

storia schegge di storASSOCIAZIONE CULTURALE SPORTIVA SODALIZIO BIANCOCELESTE sstoria storia
TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 25
www.SODALIZIOLAZIO.com
“ASSOCIAZIONE SODALIZIO BIANCOCELESTE”
...e... STADIO “OLIMPICO” di ROMA - TRIBUNA TEVERE
VECCHI SPALTI
VIA POGGIO MIRTETO, 21 - ROMA
telefono: 06.64.81.27.79
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