grosso loro esercito sotto Verona, e, messa mano alle artiglierie,
cominciarono a bombardare quella città. V'era dentro il duca di
Termine, uffiziale del re Ferdinando, a cui, per esser morto in quel
tempo di flusso il principe di Analto, era toccato il comando delle
truppe collegate. Fece egli buona difesa sì per ripulsare gli
aggressori, come per tenere in freno i Veronesi, molti de' quali
manteneano corrispondenze co' Veneziani; finchè un capitano
spagnuolo, chiamato Calandres, ottenuta licenza dal duca, uscì una
notte con quattrocento fanti, e con tal valore assalì la guardia delle
nemiche batterie, che ne fece strage grande, con inchiodar anche
quattro dei lor cannoni, e gittarli nella fossa. Vi perì fra gli altri Citolo
da Perugia, uno dei più valorosi capitani dell'armata veneta. Questo
colpo, e l'avviso che gli Svizzeri, siccome dirò fra poco, erano tornati
a casa loro, cagion fu che i Veneziani, dopo tre dì, cioè nel dì 12 di
settembre, levarono il campo, e si ritirarono a Soave e San Bonifazio.
Mentre di questo tenore procedevano nella bassa Lombardia le cose
della guerra, per opera di papa Giulio tentato fu di far ribellare al re
di Francia la città di Genova [Agostino Giustiniani, Annali di Genova.
Guicciardino. Senarega, de Reb. Genuens.]. In quelle vicinanze era già
giunto il Colonna colle milizie del papa per terra; e le galee venete
anch'esse, dopo aver preso Sestri e Chiavaro, si presentarono a
Genova, sperando ivi delle già manipolate sollevazioni. Ma niun si
mosse; ed essendo accorsi in quella città varii aiuti, convenne
ritirarsi; e a chi dovette tornar per terra costò caro. Non per questo
si quetò il pertinace animo di papa Giulio. Sul principio di settembre
di nuovo spedì verso Genova più numerosa flotta, sperando che gli
Svizzeri per terra venissero nello stesso tempo a darle mano per
assalire quella città. Svizzeri non si videro; ed, usciti con buona copia
di legni i Genovesi, diedero la caccia ai pontifizii, facendoli tornare
con gran fretta a Cività Vecchia. Quanto ad essi Svizzeri mossi dal
papa contro lo Stato di Milano, calarono ben essi verso Varese, ma
sprovveduti d'artiglierie, di ponti e d'altri arnesi da guerra.
S'inoltrarono verso Appiano; e l'Ambosia o vogliam dire lo
Sciomonte, quantunque assai debole di forze, gli andava
costeggiando, e tenendoli ristretti con varie scaramuccie. Piegarono
dipoi verso Como, e infine, scorgendo le difficoltà di passar oltre,