pericolo avea costato lo incendiarlo — Il primo oggetto che si
presentò alla porta spintovi dai zuavi, fu un carro — ma non ebbero
tempo di metterlo a posto — Una scintilla elettrica, eroica, si sparse
come il fulmine nelle fila dei patriotti — e furibondi, si precipitarono
nell'uscio ardente come energumeni —
Altro che stanchi, spossati, e affamati! — Non avevo forse già visto
operar dei miracoli a cotesta gioventù Italiana! Diffidarne era un
delitto — roba da vecchio decrepito!
Non valsero ad arrestarli, il carro attraversatto — i rottami ardenti,
ammonticchiati sulla soglia — una grandine di fucilate, che pioveva
da tutte le direzioni — Essi mi facevano l'effetto d'un torrente, che
rotti gli argini ed i ripari — si precipita nella campagna —
In pochi minuti la città fu inondata dai nostri, e tutta la guarnigione
rinchiusa nel castello — Alle 6 p.m. si cominciò l'attacco del castello,
essendo i nostri, già padroni di tutti gli sbocchi di strade, che
conducevano a quello — ed avendoli barricati tutti si mise il fuoco
alle scuderie, con fascine, paglie, carri, e quanti oggetti combustibili
vi si trovavano —
Alle 10 a.m. si respinsero con poche fucilate circa due milla uomini
— che da Roma, avanzavano al soccorso degli assediati —
Alle 11, la guarnigione affumicata, e temente di saltare in aria, col
fuoco alle polveri, che tenevan di sotto — alzò bandiera bianca, e si
arrese a discrezione —
Il prode maggiore Testori, poco prima della resa dei nemici, aveva
preso la determinazione di mettersi allo scoperto, alzando una
bandiera bianca, per intimar loro di arrendersi — ma quei mercenari,
violando ogni diritto di guerra, lo fucilarono con vari colpi, e lo
lasciaron cadavere — Ebbi un'immensa fatica, dopo tanti e siffatti
atti di barberie di cotesti sgherri dell'inquisizione — per salvar loro la
vita — essendo i nostri irritatissimi contro di loro.
Io stesso fui obligato di condurli fuori di Monterotondo, e farli
scortare al passo di Correse — da quaranta uomini, agli ordini del
maggiore Marrani —