Stavano in questa maniera a fronte le due armate nemiche; la
franzese stretta ne' suoi forti trincieramenti, ma col cuor palpitante,
di modo che il suddetto marchese di Pescara ebbe a dire al vicerè
Lanoia, essergli fin qui sembrato di combattere non con uomini, ma
con femmine. Gran parte de' capitani, ed anche il papa per mezzo di
Girolamo Leandro vescovo di Brindisi suo nunzio, e con più lettere
andavano consigliando il re Francesco, che, schivata ogni battaglia
con gente disperata, si ritirasse di là dal Ticino, assicurandolo in tal
guisa della vittoria; perchè, mancando le paghe agl'imperiali, in
breve si sarebbe ridotta in nulla la loro armata. Il re di testa cocciuta
impuntò, parendo cosa vergognosa ad un par suo il levarsi da
quell'assedio e il mostrar paura. E perciocchè sapeva le deliberazioni
de' nemici di voler venire ad un fatto d'armi, mandati di là dal Ticino
tutti i carriaggi, mercatanti, vivandieri ed altra gente inutile, si
preparò a riceverli. Ora nella notte precedente al dì 24 di febbraio,
festa di San Mattia, e giorno che altre volte si provò poi propizio
all'imperador Carlo V, si mise in ordinanza di battaglia l'esercito
cesareo, e qualche ora avanti giorno, dopo aver gittate a terra circa
sessanta braccia del muro del Barco, vi entrarono, ed, avviandosi
verso Mirabello, ebbero all'incontro le schiere del re Cristianissimo.
Anche Antonio da Leva spinse fuor di Pavia a quella danza quattro
mila fanti e quattrocento cavalli. Fu ben terribile ed ostinato il
combattimento, ma quasi tutto in rovina de' Franzesi. Gli Svizzeri,
che non menarono le mani collo ardore degli anni addietro, furono
rovesciati; il resto non attese che a cercar la salute colla fuga. Il re
Francesco, valorosamente combattendo, e cercando indarno di
fermare i fuggitivi, dopo aver ricevuto due leggieri ferite nel volto e
in una mano, ammazzatogli il cavallo, vi restò sotto, nè mai si volle
rendere a cinque soldati, che, riconosciutolo agli ornamenti delle
armi per signore di alto affare, il voleano vivo e non morto, per
isperanza di grossa taglia. Se crediamo al Giovio, fu confortato ad
arrendersi al Borbone; ma egli, fremendo all'udire il nome di quel
traditore, disse che chiamassero il vicerè Lanoia, a cui si diede a
conoscere e si arrendè. Il ricevette egli prigione dell'imperadore, e
dopo avergli baciata la mano, e aiutatolo a rizzarsi, il condusse sopra
un ronzino nel castello di Pavia, dove fu nobilmente alloggiato e