Fondamenti Di Botanica Generale. Teoria E Pratica In Laboratorio Simonetta Pancaldi

elpatoyerena 80 views 71 slides Apr 02, 2025
Slide 1
Slide 1 of 71
Slide 1
1
Slide 2
2
Slide 3
3
Slide 4
4
Slide 5
5
Slide 6
6
Slide 7
7
Slide 8
8
Slide 9
9
Slide 10
10
Slide 11
11
Slide 12
12
Slide 13
13
Slide 14
14
Slide 15
15
Slide 16
16
Slide 17
17
Slide 18
18
Slide 19
19
Slide 20
20
Slide 21
21
Slide 22
22
Slide 23
23
Slide 24
24
Slide 25
25
Slide 26
26
Slide 27
27
Slide 28
28
Slide 29
29
Slide 30
30
Slide 31
31
Slide 32
32
Slide 33
33
Slide 34
34
Slide 35
35
Slide 36
36
Slide 37
37
Slide 38
38
Slide 39
39
Slide 40
40
Slide 41
41
Slide 42
42
Slide 43
43
Slide 44
44
Slide 45
45
Slide 46
46
Slide 47
47
Slide 48
48
Slide 49
49
Slide 50
50
Slide 51
51
Slide 52
52
Slide 53
53
Slide 54
54
Slide 55
55
Slide 56
56
Slide 57
57
Slide 58
58
Slide 59
59
Slide 60
60
Slide 61
61
Slide 62
62
Slide 63
63
Slide 64
64
Slide 65
65
Slide 66
66
Slide 67
67
Slide 68
68
Slide 69
69
Slide 70
70
Slide 71
71

About This Presentation

Fondamenti Di Botanica Generale. Teoria E Pratica In Laboratorio Simonetta Pancaldi
Fondamenti Di Botanica Generale. Teoria E Pratica In Laboratorio Simonetta Pancaldi
Fondamenti Di Botanica Generale. Teoria E Pratica In Laboratorio Simonetta Pancaldi


Slide Content

Download the full version and explore a variety of ebooks
or textbooks at https://ebookmass.com
Fondamenti Di Botanica Generale. Teoria E Pratica
In Laboratorio Simonetta Pancaldi
_____ Tap the link below to start your download _____
https://ebookmass.com/product/fondamenti-di-botanica-
generale-teoria-e-pratica-in-laboratorio-simonetta-pancaldi/
Find ebooks or textbooks at ebookmass.com today!

We believe these products will be a great fit for you. Click
the link to download now, or visit ebookmass.com
to discover even more!
Fondamenti di elettronica Massimiliano Pieraccini
https://ebookmass.com/product/fondamenti-di-elettronica-massimiliano-
pieraccini/
Il linguaggio C - Fondamenti e tecniche di programmazione
9th Edition Paul J. Deitel
https://ebookmass.com/product/il-linguaggio-c-fondamenti-e-tecniche-
di-programmazione-9th-edition-paul-j-deitel/
Analisi matematica 1. Esercizi con richiami di teoria
Cristina Marcelli
https://ebookmass.com/product/analisi-matematica-1-esercizi-con-
richiami-di-teoria-cristina-marcelli/
Moderna Teoria de Carteiras e Análise de Investimentos
Edwin J. Elton
https://ebookmass.com/product/moderna-teoria-de-carteiras-e-analise-
de-investimentos-edwin-j-elton/

Manuale di psichiatria e psicologia clinica Cinzia Bressi
https://ebookmass.com/product/manuale-di-psichiatria-e-psicologia-
clinica-cinzia-bressi/
Gestão estratégica de pessoas: Evolução, teoria e crítica
1st Edition André Ofenhejm Mascarenhas
https://ebookmass.com/product/gestao-estrategica-de-pessoas-evolucao-
teoria-e-critica-1st-edition-andre-ofenhejm-mascarenhas-2/
Gestão estratégica de pessoas: Evolução, teoria e crítica
1st Edition André Ofenhejm Mascarenhas
https://ebookmass.com/product/gestao-estrategica-de-pessoas-evolucao-
teoria-e-critica-1st-edition-andre-ofenhejm-mascarenhas/
Programmazione di base e avanzata con Java Walter Savitch
https://ebookmass.com/product/programmazione-di-base-e-avanzata-con-
java-walter-savitch/
Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle
cornici di cui siamo parte Marianella Sclavi
https://ebookmass.com/product/arte-di-ascoltare-e-mondi-possibili-
come-si-esce-dalle-cornici-di-cui-siamo-parte-marianella-sclavi/

FONDAMENTI DI
BOTANICABOTANICA
GENERALEGENERALE
FONDAMENTI DI
BOTANICABOTANICA
GENERALEGENERALE
FONDAMENTI DI BOTANICA BOTANICA GENERALEGENERALE
FONDAMENTI DI
BOTANICA
GENERALE
teoria e pratica
in laboratorio
teoria e pratica
in laboratorio
teoria e pratica in laboratorio

Seconda
edizione
S. PancaldiS. Pancaldi
C. Baldisserotto L. Ferroni L. PantaleoniC. Baldisserotto L. Ferroni L. Pantaleoni
S. PancaldiS. Pancaldi
C. Baldisserotto L. Ferroni L. PantaleoniC. Baldisserotto L. Ferroni L. Pantaleoni
€ 39,00 (i.i.)
S. Pancaldi C. Baldisserotto
L. Ferroni L. Pantaleoni
S. Pancaldi C. Baldisserotto
L. Ferroni L. Pantaleoni
9788838 695360
ISBN 978-88-386-9536-0
Il presente manuale, giunto alla seconda edizione, è rivolto principal- mente agli studenti dei Corsi di Laurea in cui è previsto un insegna- mento di Botanica Generale.
Il volume si focalizza sui principi di base della materia con una tratta-
zione approfondita di Citologia, Istologia e Anatomia delle piante, a
cui si aggiungono utili nozioni sui principali gruppi di organismi vege-
tali. Alla fine di ogni capitolo sono presenti alcuni Spunti di Riflessio-
ne: si tratta di semplici quesiti o brevi annotazioni che aiutano lo
studente a collegare il materiale di studio con aspetti di tipo sia evolu-
tivo sia applicativo.
Il testo si caratterizza per l’uso di un linguaggio semplice ma rigoroso
e si avvale di un ampio apparato iconografico composto da fotografie
ottenute da preparati “a fresco”, che riproducono ciò che effettiva-
mente lo studente può osservare durante la parte pratica del corso
di Botanica. A queste si aggiungono numerosi schemi in grado di
svolgere un’importante azione esemplificativa delle microfotografie,
che potrebbero risultare poco chiare a un occhio ancora inesperto.
Tutte le immagini a colori sono disponibili sul sito web tramite
codice QR.
L’elemento più innovativo dell’Opera consiste nell’aver integrato i
concetti teorici con la parte sperimentale: alla fine di molti capitoli,
infatti, sono proposti semplici Esperimenti di laboratorio, per affronta-
re i quali sono state riportate in Appendice le norme relative alla
sicurezza nei laboratori, nonché alcuni protocolli di base. Gli studenti
potranno così approfondire le nozioni teoriche riportate nel testo,
riproducendo, in tal modo, la prassi attuata per l’insegnamento di
Botanica. Per valorizzare questo aspetto del testo, nella seconda
edizione le schede di laboratorio sono accompagnate da alcuni video
che riproducono gli Esperimenti svolti in laboratorio, documentandoli
passo passo: i video sono disponibili sul sito web tramite codice QR.
9536-0
Seconda
edizione
www.mheducation.it

FONDAMENTI DI
BOTANICA
GENERALE

TEORIA E PRATICA
IN LABORATORIO
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina I

00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina II

FONDAMENTI DI
BOTANICA
GENERALE
TEORIA E PRATICA
IN LABORATORIO
Seconda edizione
Simonetta Pancaldi, Università degli Studi di Ferrara
Costanza Baldisserotto, Università degli Studi di Ferrara
Lorenzo Ferroni, Università degli Studi di Ferrara
Laura Pantaleoni, Università degli Studi di Ferrara
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina III

Copyright © 2019, 2011 McGraw-Hill Education (Italy), S.r.l.
Via Ripamonti, 89 – 20141 Milano
I diritti di traduzione, di riproduzione, di memorizzazione elettronica e di adattamento totale e parziale con
qualsiasi
mezzo (compresi i microfilm e le copie fotosta
tiche) sono riservati per tutti i Paesi. Date le caratteristiche
intrinseche di Internet,
l’Editore non è responsabile per eventuali variazioni negli indirizzi e nei contenuti dei siti Internet
riportati.
Tutte le figure e le fotografie presenti nel testo e sul sito web sono di proprietà degli Autori.
Nomi e marchi citati nel testo sono generalmente depositati o registrati dalle rispettive case produttrici.
L
e fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo d i
p
eriodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.
Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere
professionale, economico o commerciale o comunque per uso
d
iverso d a quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi,
Corso
di Porta Romana n. 1
08, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org.
Tutti i video presenti sul sito web sono stati realizzati da Se@,
Centro di Tecnologie per la Comunicazione,
l’Innovazione e la Didattica a distanza e dati in licenza a MH dall’Università degli Studi di Ferrara.
P
re Press Manager: Chiara Daelli
Realizzazione editoriale: Fotocompos, Gussago (BS)
Grafica di copertina: FeelItalia, Milano
Immagine di copertina: Foglia di
Drosera sp. e dettaglio di emergenze fogliari di Drosera
sp. osservate allo
stereomicroscopio. © C. Baldisserotto
ISBN: 978 88 386 9836
-1
00PrPag.qxp_PANCALDI 20/05/19 11:37 Pagina IV

Prefazione alla seconda edizione XIII
Autori XV
Ringraziamenti dell’Editore XV
Guida alla lettura XVII
Indicazioni per accedere alle risorse
con codici QR
XXI
1
Tre miliardi e mezzo di anni
di storia dei vegetali
1.1Il mondo vegetale 1
1.1.1Cianobatteri e fotosintesi 1
1.1.2Endosimbiosi ed
Eucarioti 2
1.1.3Dalle acque alla
terraferma 3
1.1.4Invenzione del seme 4
1.1.5E i Funghi? 4
1.2 Piante e Animali a confronto 4
1.3Le Piante e l’uomo 5
1.3.1Impieghi delle Piante 5
1.3.2Origine dell’agricoltura
e domesticazione
delle Piante 6
2
La cellula vegetale
2.1Generalità 7
2.2Differenze tra cellula
procariotica e cellula
eucariotica 7
2.2.1La cellula procariotica 7
2.2.2La cellula eucariotica 8
2.3Differenze tra cellula animale
e cellula vegetale 8
2.3.1Peculiarità della cellula
vegetale 9
2.4Concetto di superficie relativa 11
2.5Differenze tra cellula vegetale
giovanile e cellula vegetale
adulta 12
2.5.1Morfologia della cellula
vegetale giovanile 12
2.5.2Morfologia della cellula
vegetale adulta 13
Esperimento 1
Cellule epiteliali della mucosa orale 14
Esperimento 2
Nuclei in cellule vegetali 15
Esperimento 3
La vita in una goccia d’acqua 16
Spunti di riflessione 17
3
La parete cellulare
3.1Generalità 19
3.2Funzioni 19
3.3Biogenesi della parete
cellulare 19
3.3.1Formazione della lamella
mediana 19
3.3.2Formazione della parete
primaria 20
3.3.3Formazione della parete
secondaria 21
3.4Modificazioni secondarie
della parete cellulare 21
3.4.1Lignificazione 22
3.4.2Suberificazione 22
3.4.3Cutinizzazione 22
3.4.4Mineralizzazione 23
3.4.5Gelificazione 23
IIndice
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina V

3.4.6Pigmentazione 24
Esperimento 1
Cutinizzazione 25
Esperimento 2
Mineralizzazione: cistolito in foglia
di Ficus elastica 26
Spunti di riflessione 27
4
Il vacuolo
4.1Generalità 29
4.2Funzione 30
4.2.1Riempimento dei vuoti 30
4.2.2Facilitazione degli scambi
tra cellula e ambiente
esterno 30
4.2.3Funzione meccanica 30
4.2.4Funzione di segregazione
in alternativa
all’escrezione 30
4.2.5Funzione di deposito
di materiali di riserva 30
4.2.6Resistenza al freddo
e al secco 32
4.2.7Assorbimento di acqua
per osmosi 34
Esperimento 1 – Parte 1
Viraggio degli antociani 36
Esperimento 1 – Parte 2
Viraggio degli antociani 37
Esperimento 2
Granuli di aleurone 38
Esperimento 3
Cristalli di ossalato di calcio 39
Esperimento 4
Fenomeni osmotici legati al vacuolo 40
Spunti di riflessione 41

5
I plastidi
5.1Generalità 43
5.2Classificazione dei plastidi 43
5.3Cloroplasti 44
5.3.1Pigmenti plastidiali 45
5.4Proplastidi 45
5.4.1Tappe del
differenziamento del
proplastidio a cloroplasto 46
5.5Cromoplasti 47
5.5.1Trasformazione del cloroplasto
in cromoplasto 47
5.6Leucoplasti 48
5.6.1Amiloplasti 48
5.6.2Elaioplasti 51
5.7Ezioplasti 52
Esperimento 1
Cloroplasti 53
Esperimento 2
Cromoplasti 54
Esperimento 3
Amiloplasti 55
Esperimento 4
Tipi di amido 56
Spunti di riflessione 57
6
Introduzione all’istologia
vegetale
6.1Generalità 59
6.2Organismi unicellulari 59
6.3Aggregati cellulari 60
6.4Organismi pluricellulari 61
6.4.1Tallofite 61
6.4.2Cormofite 62
6.5Tessuti veri 63
Esperimento 1
Organismi unicellulari 65
Esperimento 2
Tallofite pluricellulari 66
Spunti di riflessione 67
7
I tessuti meristematici primari
e secondari
7.1Generalità 69
7.2Meristemi primari 69
7.3Meristemi secondari 70
7.3.1Meristemi cambiali 70

7.3.2Meristemoidi e meristemi
avventizi 71
Approfondimento
Meristemi e totipotenza 72
Spunti di riflessione 75
8
I tessuti parenchimatici
8.1Generalità 77
8.2Parenchima clorofilliano 77
VI Indice
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina VI

8.3Parenchima di riserva 77
8.4Parenchima acquifero 78
8.5Parenchima aerifero 79
8.6Parenchima conduttore 80
Esperimento 1
Tessuto parenchimatico di riserva 81
Esperimento 2
Parenchimi aeriferi e acquiferi 82
Spunti di riflessione 83
9
I tessuti tegumentali
9.1Generalità 85
9.2Tessuti tegumentali esterni
primari 85
9.2.1Epidermide 85
9.2.2Esoderma 89
9.3Tessuti tegumentali interni
primari 90
9.3.1Endoderma 90
9.4Tessuti tegumentali esterni
secondari 91
9.4.1Sughero 91
9.4.2Formazione delle
lenticelle 91
Esperimento 1
Spellatura dell’epidermide di foglie
di Monocotiledone e di Dicotiledone 93
Esperimento 2
Esempi di formazioni tricomatose 94
Esperimento 3
Endoderma in stadio secondario
e terziario 95
Spunti di riflessione 97
10
I tessuti meccanici
10.1Generalità 99
10.2Collenchima 99
10.3Sclerenchima 100
10.3.1Sclereidi 101
10.3.2Fibre 102
10.3.3Fibre tessili 102
Esperimento 1
Tessuti meccanici nel picciolo di ninfea 103
Esperimento 2
Tessuti meccanici dei fusti 104
Spunti di riflessione 105
11
I tessuti di conduzione
11.1Generalità 107
11.2Tessuto vascolare 107
11.2.1Trachee 108
11.2.2Tracheidi 108
11.3Tessuto cribroso 110
11.4Fasci conduttori 112
11.4.1Tipi di fasci cribro-
vascolari 112
Esperimento 1
Tipologia degli ispessimenti dei vasi
in fusto di Dicotiledone 116
Spunti di riflessione 118
12
I tessuti segregatori
12.1Generalità 119
12.2Tessuti secretori 119
12.2.1Tubi laticiferi 119
12.3Tessuti ghiandolari e cellule
ghiandolari 120
12.3.1Peli urticanti 121
12.3.2Nettàri 121
12.3.3Tasche 122
12.4Cellule secretrici 122
Esperimento 1
Giardino aromatico 124
Esperimento 2
Peli urticanti 125
Spunti di riflessione 126
13
La riproduzione nei vegetali
13.1Generalità 127
13.2Riproduzione vegetativa
o agamica 127
13.2.1Scissione 127
13.2.2Gemmazione 128
13.2.3Sporulazione 128
13.2.4Frammentazione del tallo 129
13.2.5Frammentazione
del cormo 130
13.3Riproduzione per sporogonia 131
13.4Riproduzione sessuata
o gamica 132
13.4.1Tipi di riproduzione
sessuata 132
VIIIndice
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina VII

Esperimento 1
Gemmazione in lievito 134
Esperimento 2
Sviluppo di muffe 135
Spunti di riflessione 136
14
I cicli ontogenetici
14.1Generalità 137
14.2Ciclo aplonte (meiosi iniziale
o zigotica) 138
14.3Ciclo diplonte(meiosi finale
o gametica) 139
14.4Ciclo aplo-diplonte(meiosi
intermedia) 140
Esperimento 1
Gametofito e sporofito di muschio 149
Esperimento 2
Gametofito e sporofito di felce 150
Spunti di riflessione 151
15
Il fiore delle Angiosperme
15.1Generalità 153
15.2Parti del fiore 153
15.2.1Talamo o ricettacolo 153
15.2.2Sepali e petali 155
15.2.3Stami 157
15.2.4Pistilli 160
15.3I fiori più evoluti 163
15.3.1Asteraceae 163
15.3.2Orchidaceae 163
15.4Coevoluzione fiori-
impollinatori 164
15.4.1Fiori impollinati
dai coleotteri 165
15.4.2Fiori impollinati
dagli imenotteri
165
15.4.3Fiori impollinati dai lepidotteri 166
15.4.4Fiori impollinati
dagli uccelli 166
15.4.5Fiori impollinati dal vento 166
Esperimento 1
Osservazione di fiori di Monocotiledone
e di Dicotiledone 167
Esperimento 2
Osservazione degli elementi fiorali
fertili in Lilium 168
Spunti di riflessione 169
16
Le infiorescenze
16.1Generalità 171
16.2Infiorescenze definite
o determinate 171
16.3Infiorescenze indefinite
o indeterminate 171
16.4Infiorescenze semplici
e infiorescenze composte 172
16.5Cime e racemi 172
16.6Esempi di infiorescenze
composte 176
Spunti di riflessione 177
17
La doppia fecondazione
17.1Generalità 179
17.2Formazione del gametofito
maschile: il granulo pollinico
germinato 180
17.3Formazione del gametofito
femminile: il sacco
embrionale 181
17.4Doppia fecondazione 183
Esperimento 1
Germinazione del granulo pollinico 184
Approfondimento
Riconoscimento polline-pistillo 185
Spunti di riflessione 186
18
Il seme
18.1Generalità 187
18.2Tegumenti del seme 190
18.3Tessuti di riserva nel seme 191
18.4Embrione 191
18.5La quiescenza e la dormienza
del seme 191
18.6Germinazione del seme 191

18.7Semi epigei e semi ipogei 192
Esperimento 1
Studio del seme di fagiolo 194
Esperimento 2
Germinazione di semi di Dicotiledone
e di Monocotiledone 195
VIII Indice
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina VIII

Approfondimento
Le banche del germoplasma
per la conservazione della biodiversità
vegetale 196
Spunti di riflessione 198
19
Il frutto
19.1Generalità 199
19.2Frutti secchi 199
19.2.1Frutti secchi indeiscenti 199
19.2.2Frutti secchi deiscenti 200
19.3Frutti carnosi 205
19.3.1Drupa 205
19.3.2Bacca 206
19.4Infruttescenze e falsi frutti 208
Esperimento 1
Riconoscimento di alcuni frutti
mediante l’utilizzo di una chiave
dicotomica 211
Spunti di riflessione 213
20
Il fusto
20.1Generalità 215
20.2Tipi di fusti 215
20.2.1Fusti legnosi 215
20.2.2Fusti erbacei 216
20.2.3Tipi di ramificazione 217
20.3Le gemme 217
20.3.1Classificazione
delle gemme 217
20.3.2Gemma apicale 218
20.4Crescita longitudinale
del fusto 220
20.5Zone del fusto in senso apice-
base 220
20.5.1Cono o apice vegetativo 220
20.5.2Zona di determinazione 220
20.5.3Zona di differenziazione 221
20.5.4Zona di struttura primaria 222
20.5.5Zona di struttura
secondaria 225
Esperimento 1
Sezione trasversale di fusto in struttura
primaria di Dicotiledone 226
Esperimento 2
Sezione trasversale di fusto in struttura
primaria di Monocotiledone 227
Spunti di riflessione 228
21
La radice
21.1Generalità 229
21.2Tipi di apparato radicale 230
21.3Anatomia della radice 231
21.3.1Cuffia 232
21.3.2Zona apicale 232
21.3.3Zona liscia 232
21.3.4Zona pilifera 232
21.3.5Zona suberosa o delle
radici laterali 235
21.3.6Zona di struttura
secondaria 236
Esperimento 1
Sezione trasversale di radice in struttura
primaria 238
Approfondimento
Interazioni piante-funghi del suolo: le
micorrize 239
Spunti di riflessione 241
22
La struttura secondaria
del fusto e della radice
22.1Generalità 243
22.2Il cambio cribro-vascolare
nel fusto 243
22.2.1Iniziali del raggio 245
22.2.2Iniziali fusiformi 245
22.2.3Attività del cambio cribro-
vascolare nel fusto 245
22.3Il cambio cribro-vascolare
nella radice 248
22.4Il cambio suberofellodermico
(fellogeno) nel fusto e nella
radice 249
22.5Duramen e alburno 250
Esperimento 1

Sezione trasversale di fusto in struttura
secondaria 251
Approfondimento
La dendrocronologia 252
Spunti di riflessione 255
23
La foglia
23.1Generalità 257
23.2Struttura della foglia 258
IXIndice
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina IX

23.2.1Guaina 258
23.2.2Stipole 259
23.2.3Picciolo 259
23.2.4Lamina (o lembo) 260
23.3Foglie semplici e foglie
composte 261
23.4Anatomia della foglia 262
23.4.1Anatomia della foglia
di Dicotiledone 263
23.4.2Anatomia della foglia
di Monocotiledone 265
23.4.3Anatomia della foglia
di Gimnosperma 265
23.4.4Sclerofille 268
Esperimento 1
Tipologie di lamine fogliari
di Dicotiledone in sezione 269
Esperimento 2
Tipologie di lamine fogliari
di Monocotiledone in sezione 270
Esperimento 3
Lamina fogliare di Gimnosperma
in sezione 271
Esperimento 4
Lamina fogliare di Nerium oleander
in sezione 273
Spunti di riflessione 274
24
Origine degli organi
delle cormofite
24.1Generalità 275
24.2Le piante vascolari arcaiche 275
24.3L’origine delle foglie
276
24.4L’evoluzione della stele 277
24.5Le gimnosperme estinte
e l’origine degli ovuli 277
Spunti di riflessione 279
25
Le modificazioni del fusto,
della radice, della foglia
25.1Generalità 281
25.2Modificazioni del fusto 281
25.2.1Forma 281
25.2.2Funzione 282
25.2.3Fusti con funzione
di riserva d’acqua 286
25.2.4Dimensione 286
25.2.5Portamento 287
25.3Modificazioni della radice 289
25.3.1Radici specializzate
per la riserva di sostanze
nutritizie 289
25.3.2Radici specializzate
per la riserva d’acqua 290
25.3.3Pneumatofori 290
25.3.4Radici aeree 290
25.3.5Radici contrattili 291
25.3.6Radici di piante epifite 291
25.3.7Radici di piante parassite 292
25.4Modificazioni della foglia 292
25.4.1Embriofilli 293
25.4.2Catafilli 293
25.4.3Ipsofilli 293
25.4.4Antofilli 294
25.4.5Sporofilli o foglie fertili 294
25.4.6Viticci fogliari 294
25.4.7Foglie succulente 294
25.4.8Spine 294
25.4.9Organi di galleggiamento 295
25.4.10Foglie otricolari 295
25.4.11Foglie di piante carnivore 295
Approfondimento
Piante e ambiente 297
Spunti di riflessione 298
26
Introduzione alla diversità
dei
vegetali
26.1Generalità 299
26.2Classificazione
degli organismi e categorie
tassonomiche 299
26.3I tre domini e gli Eucarioti 300
27
I cianobatteri
27.1Generalità 303
27.2I cianobatteri 303
27.2.1Morfologia 303
27.2.2Riproduzione 304
27.3I proclorobatteri 306
27.4Importanza dei cianobatteri
in natura e per l’uomo 306
Approfondimento
Cianobatteri termofili 308
Spunti di riflessione 309
X Indice
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina X

28
Le alghe
28.1Generalità 311
28.2Organizzazione del tallo nelle
alghe 311
28.3Le glaucofite (phylum
Glaucophyta) 313
28.4Le alghe rosse (phylum
Rhodophyta) 313
28.5Le alghe verdi (phyla
Chlorophyta e Charophyta) 317
28.5.1Chlorophyta 318
28.5.2Charophyta 321
28.6Le ocrofite (phylum
Ochrophyta) 322
28.7Le aptofite (phylum
Haptophyta) e le criptofite
(phylum Cryptophyta) 324
28.8Le dinofite (classe
Dinophyceae) 326
28.9Le euglenofite (classe
Euglenophyceae) 326
28.10Importanza delle alghe
in natura e per l’uomo 326
Approfondimento
Le microalghe e il loro potenziale
biotecnologico 328
Spunti di riflessione 329
29
I funghi
29.1Generalità 331
29.2I Chitridiomiceti (phylum
Chytridiomycota) 332
29.3Gli Zigomiceti (phylum
Zygomycota) 332
29.4Gli Ascomiceti (phylum
Ascomycota) 334
29.5I Basidiomiceti (phylum
Basidiomycota)
337
29.6I Deuteromiceti (phylum
Deuteromycota) 338
29.7Importanza dei funghi nell’industria alimentare 340
29.7.1I lieviti e la preparazione
di bevande alcoliche 341
29.7.2I lieviti e la panificazione 343
29.7.3I funghi filamentosi
nell’industria
alimentare 343
29.8Importanza dei funghi
per altri settori 344
Spunti di riflessione 345
30
I licheni
30.1Generalità 347
30.2Organizzazione del tallo
e riproduzione nei licheni 347
30.3Importanza dei licheni
in natura e per l’uomo 351
Spunti di riflessione 352
31
Le Briofite
31.1Generalità 353
31.2I muschi (phylum
Bryophyta) 353
31.3Le epatiche (phylum
Marchantiophyta) 356
31.3.1Epatiche tallose 356
31.3.2Epatiche fogliose 358
31.4Le antocerote (phylum
Anthocerotophyta) 358
31.5Importanza delle Briofite 359
Spunti di riflessione 360
32
Le Pteridofite
32.1Generalità 361
32.2Licofite (phylum
Lycopodiophyta) 361
32.3 “Felci” (phylum
Polypodiophyta
o Monilophyta) 364
32.3.1Equiseti
365
32.3.2Psilofite e felci
ofioglossali 367
32.3.3Felci marattiali 369
32.3.4Vere felci 369
32.4Importanza delle Pteridofite
per l’uomo 372
Spunti di riflessione 373
XIIndice
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina XI

33
Le gimnosperme
33.1Generalità 375
33.2Le conifere (phylum Pinophyta) 375
33.2.1Morfologia generale 375
33.2.2Riproduzione 375
33.3Le cicadee (phylum
Cycadophyta) 380
33.4Ginkgo biloba (phylum
Ginkgophyta) 381
33.5Le gnetofite (phylum
Gnetophyta) 381
33.6Importanza
delle gimnosperme 383
Spunti di riflessione 384
Appendice A – Sicurezza 385
Appendice B – Protocolli 391
Indice analitico 395
XII Indice
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina XII

Fondamenti di Botanica Generale. Teoria e pratica
in laboratorio è rivolto principalmente agli stu-
denti dei Corsi di Laurea in cui è previsto un in-
segnamento di Botanica Generale.
Il testo presenta i principi basilari della mate-
ria, è caratterizzato da un linguaggio semplice
seppur rigoroso ed è corredato da un ampio ap-
parato illustrativo pensato per rendere lo studio
più gratificante e proficuo.
Tutte le fotografie sono state realizzate dagli
Autori, sono inedite e scattate appositamente per
questo volume. Sono state tutte ottenute da pre-
parati “a fresco” e, pertanto, riproducono ciò che
effettivamente lo studente può osservare durante
la parte pratica del corso di Botanica, comprese
le inevitabili imperfezioni che derivano da tale ti-
po di preparazione. Il testo, inoltre, è corredato da
numerosi schemi, anch’essi originali e inediti, in
grado di svolgere un’importante azione chiarifi-
catrice ed esemplificativa delle microfotografie,
che potrebbero risultare poco chiare a un occhio
ancora inesperto.
In questa seconda edizione la visione delle im-
magini a colori è ancora più accessibile in quanto
a tutte le figure, divise nei singoli capitoli, è asso-
ciato un QR Code che rende quindi fotografie e
schemi visualizzabili a colori mediante smar-
tphone o tablet. Grazie a questa innovazione è stato possibile raggiungere il punto di equilibrio
tra le necessità didattiche di rendere disponibili tutte le immagini e la volontà degli Autori di con-
tenere il più possibile il contributo richiesto agli
studenti per l’acquisto del volume.
Un altro elemento innovativo del testo consiste
nell’avere integrato i concetti teorici con un’ampia
parte sperimentale, che generalmente viene de-
mandata a manuali esterni al libro di testo consi-
gliato dal docente. Gli Autori hanno infatti intro-
dotto numerosi e semplici Esperimenti di labora-
torio che permettono di approfondire le nozioni
teoriche riportate nel testo, riproducendo, in tal
modo, la prassi in genere attuata per l’insegna-
mento di Botanica. In questa seconda edizione gli
Autori hanno inoltre inserito alcune riprese video
di attività svolte in laboratorio, anch’esse accessi-
bili attraverso QR Code e relative alle sperimen-
tazioni di approfondimento della parte teorica.
Questi video, ancor più delle schede sperimentali,
potranno aiutare “passo passo” lo studente a com-
prendere come si effettuano i preparati osservati
nelle fotografie del testo.
Nell’ottica di fornire agli studenti il giusto ap-
proccio ad attività di laboratorio, sono state ripor-
tate in due Appendici le norme relative alla sicu-
rezza nei laboratori, nonché alcuni protocolli di
base necessari per affrontare gli esperimenti pro-
posti.
Alla fine di ogni capitolo sono presenti alcuni
Spunti di riflessione: si tratta di semplici quesiti o brevi spunti che aiutano lo studente a collegare il
materiale di studio con aspetti di tipo sia evoluti-
vo sia applicativo. Lo scopo è quello di far com-
prendere che gli argomenti trattati non sono avul-
si dalla vita quotidiana e che la Botanica fornisce gli elementi indispensabili per affrontare non so-
lo le discipline che rientrano nell’ambito della
Biologia vegetale (Fisiologia vegetale, Ecologia
vegetale, Botanica sistematica, Biotecnologie ve-
getali), ma anche ambiti di studio in apparenza
lontani, come la Conservazione e il restauro dei
beni culturali, le Scienze dell’alimentazione e le
Bioenergie.
Complessivamente, gli Autori ritengono che
l’integrazione tra aspetti teorici e pratici suppor-
tata da un apparato didattico multimediale renda
questo testo un caso unico nel panorama edito-
riale italiano (e non solo) relativamente all’inse-
gnamento della Botanica.
Questa seconda edizione, inoltre, vede l’im-
plementazione del testo con alcune nozioni basi-
lari sui principali gruppi di organismi vegetali e
P
Prefazione
alla seconda
edizione
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina XIII

con qualche commento sull’importanza di cia-
scun gruppo in natura e per l’uomo.
Gli Autori desiderano ringraziare i colleghi
professori Carlo Andreoli, Mauro Bernabei, Gra-
ziella Berta, Rino Cella, Renato Gerdol, Andrea
Mondoni, Ettore Pacine, Graziano Rossi per aver
accolto l’invito ad arricchire questo testo con i lo-
ro preziosi Approfondimenti.
Gli Autori
XIV Prefazione alla seconda edizione
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina XIV

Simonetta Pancaldi è Professore Associato di
Botanica Generale nel Dipartimento di Scienze
della Vita e Biotecnologie dell’Università di Fer-
rara. La sua attività di ricerca, svolta anche in col-
laborazione con numerose istituzioni italiane e
straniere, ha riguardato organismi vegetali a di-
verso grado di evoluzione, dai funghi alle alghe e
alle piante vascolari. È titolare dell’insegnamento
di Botanica per il Corso di Laurea in Scienze Bio-
logiche e di Organismi Vegetali per la Green Eco-
nomy per il Corso di Laurea Magistrale in Biotec-
nologie per l’Ambiente e la Salute. Il suo interesse
per l’innovazione didattica si è concretizzato an-
che nelle posizioni di responsabilità ricoperte nei
percorsi di specializzazione per gli insegnanti di
Scienze della scuola secondaria. Impegnata nel
trasferimento tecnologico del sapere accademico
al mondo dell’industria, ha ricevuto premi e rico-
noscimenti, tra cui il Premio ItaliaX10 2013 di Te-
lecom Italia e il Premio R.O.S.A. 2015, attribuito
dal Canova Club di Roma sotto l’Alto Patronato
della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Costanza Baldisserotto è Ricercatrice di Botani-
ca Generale nel Dipartimento di Scienze della Vita
e Biotecnologie dell’Università di Ferrara. Dopo il
dottorato in Botanica Ambientale, ha sviluppato
le sue ricerche, riguardati principalmente la bio-
logia delle microalghe, presso l’Ateneo di Ferrara,
avvalendosi anche di collaborazioni con studiosi
italiani e argentini. È responsabile dell’insegna-
mento di Adattamento dei Vegetali all’Ambiente
per il Corso di Laurea in Scienze Biologiche.
Lorenzo Ferroni è Ricercatore di Botanica Gene-
rale nel Dipartimento di Scienze della Vita e Bio-
tecnologie dell’Università di Ferrara. Dottore di
ricerca in Biologia, ha svolto la sua attività di ri-
cerca sia presso la sua attuale sede, sia in Germa-
nia, Finlandia e Slovacchia, approfondendo spe-
cialmente gli studi relativi all’apparato fotosinte-
tico. Insegna Biologia Vegetale nel Corso di Lau-
rea in Biotecnologie e Biologia Cellulare Vegetale
nel corso di Laurea in Scienze Biologiche.
Laura Pantaleoni ha conseguito il titolo di Dottore
di Ricerca in Sistemi Biologici presso l’Università
di Ferrara. Tra le successive qualificate esperienze
di ricerca e didattica svolte in Atenei italiani e stra-
nieri, presso l’Ateneo di Ferrara è stata responsa-
bile di un progetto, “Futuro in Ricerca 2013”, fi-
nanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Uni-
versità e della Ricerca e coordinato dal Politecnico
di Torino. Attualmente è insegnante di ruolo di
Matematica e Scienze in una scuola secondaria.
Ringraziamenti dell’Editore
L’Editore ringrazia i docenti che hanno parteci-
pato alla review del testo e
che, con le loro pre-
ziose indicazioni, hanno contribuito alla realiz-
zazione della seconda edizione di Fondamenti di Botanica generale. Teoria e pratica in laboratorio:
Iduna Arduini, Università di Pisa
Elisa Brasili, Sapienza Università di Roma
Laura Bruno, Università di Roma “Tor Vergata”
Sara Cimini, Università Campus Bio−Medico di
Roma
Francesca Degola, Università di Parma
Tommaso Ganino, Università di Parma
Giuseppa Genovese, Università di Messina
Elena Martino, Università di Torino
Gian Pietro Di Sansebastiano, Università del
Salento
Cecilia Maria Totti, Università Politecnica delle
Marche
A Autori
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina XV

00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina XVI

G Guida
alla lettura
Spiegare cosa si intende per 1.
accrescimento secondario.
Presentare l’origine del cambio 2.
cribro-vascolare e del cambio
subero-fellodermico.
Spiegare le attività del cambio 3.
cribro-vascolare e del cambio
subero-fellodermico.
Spiegare la differenza tra du-4.
ramen e alburno.
22
La struttura
secondaria
del fusto
e della radice
OBIETTIVI
DEL CAPITOLO
22.1 Generalità
I fusti e le radici, ma non le foglie, delle Gimno-
sperme e, tra le Angiosperme, nella maggior parte
delle Dicotiledoni, ma non nelle Monocotiledoni,
subiscono un accrescimento in diametro , per cui
aumentano anche in maniera consistente la loro
circonferenza. Questo tipo di accrescimento pren-
de il nome di crescita secondaria . Così come la cre-
scita in lunghezza, dovuta agli apici del fusto e
della radice, determina il corpo primario della
pianta (Capitoli 20 e 21), la crescita in diametro
origina il corpo secondario. Il corpo secondario
della pianta è quindi costituito dai tessuti che ver-
ranno prodotti durante la crescita in diametro.
È importante capire che, quando inizia la crescita
secondaria, sia nel fusto sia nella radice la crescita
primaria (in lunghezza) continua. La crescita prima-
ria e la crescita secondaria avvengono in regioni di-
verse del fusto e della radice: la crescita secondaria
inizia più in basso nel fusto e più in alto nella radice,
quindi in zone più “vecchie” dei due organi.
La crescita secondaria di fusto e radice è do-
vuta all’attività di due meristemi secondari, late-
rali: il cambio cribro-vascolare e il cambio subero-
fellodermico (o fellogeno). Il primo è più interno,
il secondo più esterno (Capitolo 7).
Entrambi i cambi, cribro-vascolare e subero-fel-
lodermico, sono caratterizzati da cellule adulte,
differenziate, che hanno riacquistato la capacità di
dividersi.
Le divisioni avvengono secondo un piano pa-
rallelo alla superficie del fusto e della radice.
I cambi hanno attività dipleurica: producono,
cioè, cellule sia verso l’esterno sia verso l’interno
dell’organo ed è proprio questo tipo di divisioni
che permette l’aumento in diametro di fusto e ra-
dice (Figura 22.1, Figura 22.2).
22.2 Il cambio cribro-
vascolare nel fusto
In sezione trasversale del fusto, il cambio cribro-
vascolare appare come un anello. Questo anello
(un cilindro cavo se si considera il fusto in toto)
si forma tra xilema primario e floema primario di
ciascun fascio cribro-vascolare e nel tessuto pa-
renchimatico presente tra i fasci (Figura 22.1).
In verità, il vero tessuto meristematico secon-
dario, quello che comporta uno sdifferenziamen-
to di cellule adulte, è quello che si forma tra i fasci.
Infatti, all’interno di ciascun fascio cribro-vasco-
Obiettivi di capitolo
Identificano i temi principali di cui
si occuperà il capitolo e ciò che lo
studente dovrebbe essere in grado di fare
dopo averlo studiato. A inizio capitolo è
stato messo il codice QR per le immagini
(fotografie e schemi) disponibili a colori
sul sito dedicato al volume.
Sp1.
ac
Pre2.
cri
su
22
OBIETTIVI
DEL CAPITOLO
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:56 Pagina XVII

138 Capitolo 14
di cicli ontogenetici. Esistono, in effetti, tre tipi
fondamentali:
ciclo aplonte (meiosi iniziale o zigotica); 1.
ciclo diplonte (meiosi terminale o gametica); 2.
ciclo aplo-diplonte (meiosi intermedia). 3.
Nota bene Si definisce generazione il periodo di
sviluppo vegetativo che inizia con un tipo di cel-
lula germinativa (zigote o spora) e si chiude con
cellule germinative di tipo opposto (gameti). Gli
individui che si collocano in una certa generazio-
ne avranno lo stesso corredo cromosomico della
cellula germinativa da cui derivano.
14.2 Ciclo aplonte
(meiosi iniziale o zigotica)
In tutto il ciclo vitale di una pianta con ciclo
aplonte l’unica cellula con corredo cromosomico
diploide (2n) è lo zigote.
Ne consegue che tutta la generazione vegetati-
va è aploide: lo zigote entra subito in meiosi e pro-
duce quattro meiospore che germinano e origina-
no, per mitosi, l’individuo aploide (aplofito o ga-
metofito). L’aplofito (n) produrrà, per mitosi, i ga-
meti (Figura 14.2 , Figura 14.3).
GAMÌA
MEIOSI
Zigote
Meiospore Aplofiti (gametofiti) Gameti
Gameti
MITOSI MITOSI
Figura 14.2 Rappresentazio-
ne schematica del ciclo aplon-
te. In tutto il ciclo vitale di una
pianta con ciclo aplonte l’unica
cellula con corredo cromosomi-
co diploide (2n) è lo zigote.
Gametangio
MEIOSI
Zigote (2n)
Meiospore (n)
Gameti (n)
Gametofito (n)
GAMÌA
Figura 14.3 Rappresentazione schematica del ciclo aplonte dell’alga verde filamentosa Ulothrix. I gameti di
Ulothrix, anche se provenienti da filamenti diversi, sono uguali per forma e dimensione. Lo zigote (l’unica cellula
2n del ciclo) si àncora a un substrato e per meiosi forma meiospore flagellate. Le meiospore si ancorano anch’esse
al substrato e danno origine a un nuovo aplofito.
Meiospore (n)
Gameti (n)
GAMÌA
XVIIIGuida alla lettura
109I tessuti di conduzione
A B
Figura 11.3 Vasi reticolati, punteggiati e scalariformi (A) e vasi anulati e anulo-spiralati (B) in Melissa officina-
lis (A 200×; B 200×).
Figura 11.4 Vaso anulato e vaso spiralato in Sechium
edule dopo colorazione con Blu di toluidina (200×).
Figura 11.5 Vaso punteggiato in Melissa officinalis
dopo colorazione con Blu di toluidina (300×).
Figura 11.6 Vaso reticolato in Heliopsis sp. dopo co-
lorazione con Blu di toluidina (150×).
Figura 11.7 Vaso scalariforme in Heliopsis sp. dopo
colorazione con Blu di toluidina (150×).
Fotografie
Riproducono ciò che effettivamente
lo studente può osservare durante
la parte pratica del corso di Botanica.
Inoltre, sul sito web dedicato al libro
sono presenti tutte le figure del libro a colori.
Schemi
Svolgono una funzione
chiarificatrice ed esemplificativa
delle microfotografie, oppure
illustrano cicli di sviluppo.
Figura 11.4 Vaso anulato e vaso spiralato
edule dopo colorazione con Blu di toluidina
108 Capitolo 11
AB
Figura 11.1 Rappresentazione schematica di un vaso
chiuso (tracheide) (A) e di un vaso aperto (trachea) (B).
Da notare la differenza di diametro tra i due tipi di vasi.
parte delle foglie. Questo flusso ascensionale
è anche mantenuto grazie alle forze di coesione
delle molecole d’acqua.
In dipendenza del tipo di ispessimento parietale,
i vasi si dividono in (Figura 11.2, Figura 11.3):
vasi anulati;

vasi anulo-spiralati; ⦁
vasi spiralati; ⦁
vasi scalariformi; ⦁
vasi reticolati; ⦁
vasi punteggiati. ⦁
I vasi anulati, anulo-spiralati e spiralati sono
presenti negli organi in fase di accrescimento.
I vasi reticolati, punteggiati e scalariformi so-
no strutture rigide, non estensibili e quindi
presenti in organi che hanno completato il lo-
ro sviluppo (Esperimento 1, Figura 11.4, Fi-
gura 11.5, Figura 11.6, Figura 11.7).
Gli articoli dei vasi a completo sviluppo sono

cellule morte; il protoplasma cellulare, infatti,
renderebbe il flusso delle soluzioni molto più
lento.
11.2.1 Trachee
Le trachee si dicono anche vasi aperti in quanto le
pareti trasversali degli articoli sono state comple-
tamente riassorbite o quasi. I singoli articoli hanno
un diametro di circa 0,3 mm, sono cellule corte a
forma di “tamburo”. Sono per lo più vasi punteg-
giati, reticolati e scalariformi, quindi presenti in
organi che hanno terminato il loro sviluppo.
Per l’assenza di pareti trasversali e soprattutto
per l’ampio diametro, il trasporto delle soluzioni
è molto veloce (la velocità di trasporto di una so-
luzione è proporzionale alla quarta potenza del
raggio del condotto) (Figura 11.1B).
11.2.2 Tracheidi
Le tracheidi sono definite anche vasi chiusi in
quanto le pareti trasversali degli articoli si man-
tengono integre anche se fortemente punteggiate.
AB CDE F
Figura 11.2 Rappresenta-
zione schematica dei vari tipi
di ispessimento parietale che
possono caratterizzare i vasi:
anulati (A), anulo-spiralati
(B), spiralati (C), reticolati
(D), punteggiati (E), scalari-
fo r m i (F).
enta-
ri tipi
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina XVIII

XIXGuida alla lettura
Esperimenti
Alla fine di ogni capitolo semplici
esperimenti di laboratorio, approfondiscono
le nozioni teoriche appena esposte. Dove
è presente il codice QR, sono disponibili
video sul sito dedicato al volume
53I plastidi
Esperimento 1
Cloroplasti
È possibile osservare le cellule vegetali al microscopio ottico e vedere i clo-
roplasti caratterizzati da colorazione verde per la presenza della clorofilla.
Osservando i medesimi campioni vegetali con un microscopio ottico in fluo-
rescenza, la clorofilla assorbe la luce di eccitazione di colore blu-violetto
ed emette luce rossa.
Strumentazione aggiuntiva: microscopio ottico in fluorescenza dotato di un
filtro per la selezione della luce di eccitazione adeguata a “eccitare” la clo-
rofilla. Generalmente si utilizzano filtri per la selezione della luce di ecci-
tazione a circa 440 nm (il filtro ideale per mettere in evidenza la fluore-
scenza rossa della clorofilla seleziona la luce a 436 nm).
Materiale occorrente:
esempi di campioni algali (Zygnema sp., Spirogyra sp., Chlorella sp.) e foglie di a.
Elodea canadensis;
pinzette; b.
acqua; c.
pipetta Pasteur o pipettatrice; d.
vetrini portaoggetto; e.
vetrini coprioggetto; f.
carta assorbente. g.
Protocollo:
preparare un vetrino portaoggetto con una goccia d’acqua; 1.
aiutandosi con la pinzetta, porre su un vetrino portaoggetto alcuni filamenti del-2.
l’alga Spirogyra sp.;
porre delicatamente il vetrino coprioggetto ed eliminare l’eventuale eccesso di ac-3.
qua tamponando i bordi del vetrino coprioggetto con la carta assorbente;
montare il vetrino sul microscopio ottico in fluorescenza; 4.
osservare il campione illuminato con la normale luce bianca e, successivamente, 5.
eccitato azionando la lampada in fluorescenza schermata con il filtro a 436 nm;
ripetere i passaggi da 1 a 5 per la preparazione e l’osservazione dell’alga filamen-6.
tosa Zygnema sp.;
con la pipetta Pasteur o con la pipettatrice, porre 1-2 gocce di una sospensione 7.
dell’alga unicellulare Chlorella sp. sul vetrino portaoggetto;
ripetere i passaggi da 3 a 5; 8.
ripetere i passaggi da 1 a 5 per la preparazione e l’osservazione della pianta ac-9.
quatica Elodea canadensis.
Note :
i campioni vegetali utilizzati per questo esperimento possono avere una diversa pro-
venienza. Per esempio, Zygnema sp. e Spirogyra sp. sono comuni alghe filamentose dei
corpi d’acqua dolce; per quanto
riguarda l’alga unicellulare Chlo-
rella sp., può essere conveniente
disporre di ceppi in coltura liquida.
Elodea canadensis, infine, si può
facilmente reperire presso i nego-
zi che trattano acquari.
Sicurezza/attenzione
Le principali fonti di rischio per lo svolgimen- to di questo esperimento sono dovute all’uso di materiale tagliente, ovvero dei vetrini.
Spunti di riflessione
Semplici quesiti o brevi spunti
che aiutano lo studente a collegare
il materiale di studio fornito con aspetti
di tipo sia evolutivo sia applicativo,
legati anche alla vita quotidiana.
151I cicli ontogenetici
Spunti di riflessione
Il protallo (gametofito) delle felci talvolta 1.
è privo di clorofilla e quindi non può svol- gere la fotosintesi. In questi casi vive sa- profita, sfruttando materiale organico in decomposizione, oppure vive in simbiosi con funghi (micorrize). Le Pteridofite più primitive erano isospo-2.
ree, producevano cioè spore morfologica-
mente identiche (isospore). Un successo evolutivo è stato il passaggio all’eterospo-
ria, quindi alla formazione di due tipi di- versi di spore (macrospore e microspore). Dalle macrospore si sviluppano protalli con archegoni (femminili) e dalle micro- spore protalli con anteridi (maschili). In alcune felci isosporee viene indotta 3.
l’unione tra gameti che hanno preso ori- gine da spore cariologicamente diverse grazie alla produzione dell’ormone ante-
ridiogeno. Questo ormone viene prodotto
dai gametofiti con archegoni. Sembra che esso stimoli la germinazione di spore quiescenti, inducendole a sviluppare an- teridi in cui verranno formati gli sperma- tozoidi. Questo costituisce un metodo fa- vorevole alla fecondazione tra gameti prodotti da gametofiti diversi. Anche nei Funghi superiori, per esempio nei 4.
Funghi a cappello (Basidiomiceti), si verifica
alternanza di generazioni. A differenza del
ciclo aplo-diplonte presentato nel capitolo, dai miceli aploidi (aplofiti n) con la gamìa si forma un dicarion (n+n; Capitolo 13 e Ca-
pitolo 29), che si sviluppa in un dicariofito. Questo ciclo è detto aplo-dicarionte. La ca- riogamia avviene in ife specializzate, che subito originano per meiosi delle cellule aploidi, poi disperse nell’ambiente: di quale tipo di riproduzione si tratta? I gameti maschili di organismi acquatici 5.
sono mobili per la presenza di flagelli. Un’eccezione notevole è rappresentata dal gruppo delle Alghe rosse, i cui gameti maschili, non flagellati, non sono capaci di movimento indipendente. Secondo te, questi gameti come raggiungeranno le strutture femminili? Confronta la tua ipo- tesi con il Capitolo 28. La Ginkgo biloba (Gimnosperme; Capitolo 6.
33), comunissima nei giardini, è conside- rata in realtà un fossile vivente. All’interno del granulo pollinico germinato, infatti, si originano due anterozoidi flagellati. Per questo, lo spazio compreso tra micropilo e gametofito (camera archegoniale) vie-
ne riempito di un liquido per permettere il movimento degli anterozoidi. Questi, una volta liberati dal tubetto pollinico, raggiungono il gametofito femminile “a nuoto”.
I cicli
Spunti di riflessione
delle felci talvolta
uindi non può svol-
uesti casi vive sa-
eriale organico in
re vive in simbiosi
tive erano isospo-
ciclo aplo-diplont dai miceli aploidi si forma un dicari pitolo 29), che si Questo ciclo è de riogamia avviene subito originano
Esperimento 1
Cloroplasti
È possibile osservare le cell roplasti caratterizzati da co Osservando i medesimi cam rescenza, la clorofilla asso ed emette luce rossa.
ppp
is.
per questo esperimento possono avere u
ema sp. e Spirogyra sp. sono comuni alghe
uanto
Chlo-
iente
quida.
può
nego-
Sicurezza/attenzione
Le principali fonti di rischio per l to di questo esperimento sono d di materiale tagliente, ovvero d
167Il fiore delle Angiosperme
Esperimento 1
Osservazione di fiori
di Monocotiledone e di Dicotiledone
L’osservazione delle diverse parti che costituiscono il fiore è piuttosto sem-
plice e non occorre utilizzare strumentazioni particolari. In questo esperi-
mento viene proposta l’osservazione del fiore di giglio (Lilium sp.) che, per
le sue grandi dimensioni, rende facile l’osservazione degli elementi fiorali
e si presta a fare esperienza. Al contrario, il fiore di Ludwigia sp. consente
di esercitarsi con esemplari di dimensioni più ridotte. Per fiori particolar-
mente minuti, lo stesso esperimento può essere ripetuto lavorando allo ste-
reomicroscopio e ripetendo gli stessi passi.
Materiale occorrente:
fiori di Monocotiledone (per esempio, Lilium sp.) e di Dicotiledone (per esempio,
a.
Ludwigia uruguayensis);
una pinzetta;
b.
alcuni fogli di carta. c.
Protocollo:
individuare la simmetria del fiore osservandolo dall’alto;
1.
individuare il peduncolo e il talamo; 2.
staccare i sepali/tepali dal verticillo fiorale più esterno e descriverne la morfologia 3.
generale (forma, colore, nervature, liberi o concresciuti);
staccare i petali/tepali dal successivo verticillo fiorale e descriverne la morfologia
4.
generale (forma, colore, nervature, liberi o concresciuti);
staccare gli stami (androceo) dal/dai successivo/i verticillo/i fiorale/i e descriverne
5.
la morfologia generale (liberi o concresciuti, parti dello stame, presenza e attacco
del filamento, antera aperta o chiusa);
osservare la posizione del pistillo (gineceo) sul talamo e descriverne le caratteri-
6.
stiche (forma del talamo, posizione dell’ovario);
staccare il pistillo e descriverne la morfologia generale (parti del pistillo, possibilità
7.
di individuare i carpelli).
Sicurezza/attenzione
Non esistono particolari fonti di rischio per il presente esperimento.
done
uttosto sem-
esto esperi-
sp.) che, per
menti fiorali
sp. consente
i particolar-
ndo allo ste-
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina XIX

XX Guida alla lettura
Appendici: Sicurezza
e Protocolli
Contengono le norme relative
alla sicurezza nei laboratori,
nonché alcuni protocolli
di base necessari
per affrontare
gli esperimenti proposti.
A Sicurezza
Norme comportamentali in laboratorio
Di seguito sono riportate alcune delle più comuni norme comportamentali da tenersi
in laboratorio al fine di ridurre al minimo il rischio per gli operatori.
Prima di iniziare a lavorare e dopo aver finito, pulire bene il banco di lavoro.

Pulire immediatamente qualunque liquido rovesciato sul banco, vicino agli strumenti o sul pavi-⦁
mento. I liquidi sul pavimento possono essere scivolosi e pericolosi.
Lasciare il piano di lavoro libero da oggetti inutili. Non bere, non mangiare, non fumare in labora-

torio.
Utilizzare guanti monouso e camice. Ricordare sempre che guanti e camice possono essere fonte

di contaminazione.
Non indossare indumenti che possano essere d’intralcio (sciarpe, abiti con frange ecc.) o di pe-

ricolo in laboratorio (per esempio, d’incendio o di rottura a causa di urti con reattivi o vetreria).
Mantenere legati i capelli lunghi.

Meglio preferire l’uso di occhiali da vista ed evitare le lenti a contatto. Se l’esperimento lo richiede, ⦁
utilizzare occhiali di sicurezza.
Non pipettare (ovvero aspirare liquidi mediante pipette) mai con la bocca, ma usare gli appositi di-

spositivi.
Utilizzare in modo appropriato cappe aspiranti chimiche (sostanze tossiche, aerosol) o cappe a

flusso laminare (materiale sterile, colture axeniche).
Marcare qualunque soluzione si prepari con identità chimica, nome e data.

In caso di materiale biologico, includere anche nome dell’organismo o provenienza, terreno di col-⦁
tura e pH.
Leggere sempre con attenzione le etichette dei reagenti che si impiegano, le rispettive indicazioni

di pericolo (H) e i rispettivi consigli di prudenza (P).
Nota bene L’etichetta assume un ruolo importante in quanto riporta molte informazioni (sintetiche)
sulle caratteristiche chimico-fisiche della sostanza e/o del preparato. Essa fornisce, inoltre, le prime
indicazioni in materia di rischi potenziali della sostanza e/o del prodotto. L’etichetta, infatti, tiene conto
di tutti i rischi potenziali connessi con la normale manipolazione e utilizzazione delle sostanze nelle
forme in cui esse vengono commercializzate.
L’etichetta deve fornire le seguenti informazioni in lingua italiana:
nome chimico della sostanza;

nome e sede della ditta produttrice; ⦁
simboli di pericolo.⦁
Preparazione dei campioni
I campioni da osservare al microscopio ottico vanno posti su un supporto
trasparente di vetro: il vetrino portaoggetto. La tipologia dei campioni può
essere diversa; in generale si possono osservare campioni liquidi (campioni
di acqua con microrganismi, sospensioni cellulari) o campioni solidi (sezioni
di fusti, radici, foglie ecc.). In quest’ultimo caso, la sezione deve essere suf-
ficientemente sottile per permettere alla luce del microscopio di attraversarla. Inoltre,
sul campione si pone una goccia d’acqua.
Sul campione unito alla goccia d’acqua va posizionato quindi un vetrino molto sot-
tile, detto coprioggetto. L’acqua ne consente l’adesione. Chiaramente, ai campioni li-
quidi non occorre aggiungere la goccia d’acqua.
Il campione, così preparato sul vetrino, può essere direttamente osservato.
Preparazione di un vetrino di microalghe/materiale in sospensione
La preparazione di un vetrino per la microscopia ottica di materiale in sospensione,
per esempio una coltura di microalghe, è molto semplice e necessita di poco materiale,
sia in termini di campione da analizzare, sia in termini di strumentazione.
Materiale occorrente:
campione, per esempio una sospensione cellulare; a.
vetrini portaoggetto; b.
vetrini coprioggetto; c.
pipetta Pasteur o pipettatrice; d.
carta assorbente. e.
Protocollo:
prelevare una piccola aliquota di materiale (pochi microlitri, μl) mediante pipetta 1.
Pasteur o pipettatrice;
depositare la goccia di mate-2.
riale sul vetrino portaoggetto;
adagiare il vetrino copriogget-3.
to sul campione;
asciugare l’eventuale eccesso 4.
di liquido con la carta assor-
bente;
osservare il campione al mi-5.
croscopio ottico.
B Protocolli
Sicurezza/attenzione
La principale fonte di rischio per la prepa- razione di un vetrino di campioni in soluzio- ne per la microscopia ottica è dovuta all’uso di materiale tagliente (vetrini).
Continua
Materiale occorrente:
campione, per esempio ua.
vetrini portaoggetto; b.
vetrini coprioggetto; c.
pipetta Pasteur o pipettatd.
carta assorbente. e.
Protocollo:
prelevare una piccola aliq1.
Pasteur o pipettatrice;
depositare la goccia di m2.
riale sul vetrino portaogg
adagiare il vetrino copriog3.
to sul campione;
asciugare l’eventuale ecc4.
Approfondimenti
Gettano un primo sguardo
su alcune delle altre discipline
della Biologia vegetale, anticipando
numerosi argomenti, problemi
e opportunità che il mondo vegetale offre.
72 Capitolo 7
Approfondimento
Meristemi e totipotenza
Lo sviluppo vegetale consiste nella produzione di organi a partire da una popolazione di cellule indifferenziate, i meristemi, che si trovano nelle zone apicale e radicale del- l’embrione. Va ricordato che nei vegetali l’embriogenesi e l’organogenesi non avven- gono contemporaneamente come negli animali ma, dato il loro stile di vita, quest’ul- tima è post-embrionale e porta alla formazione di organi che meglio si adattano al- l’ambiente in cui il seme inizia il processo di germinazione. Nelle Dicotiledoni, durante il processo di embriogenesi che inizia con la fecondazione, si forma una struttura sem- plice caratterizzata dalla presenza di due zone meristematiche, apicale e radicale, di un asse embrionale che collega i due meristemi primari e dei cotiledoni.
I meristemi apicale e radicale differiscono strutturalmente (Figura 7.2). In quello
apicale primario si distinguono tre foglietti (L1, L2, L3) e tre zone che complessivamente formano tunica e corpus (Figura 7.2A). La prima, più esterna, è formata dai foglietti
L1 e L2, mentre il corpus deriva da L3. Il meristema apicale (Shoot Apical Meristem,
SAM) è organizzato radialmente in tre zone: una zona centrale contenente la nicchia di cellule staminali con un basso tasso di proliferazione cellulare, circondata da una zona periferica le cui cellule si caratterizzano per un elevato tasso proliferativo. Le cellule più esterne di tale zona danno origine ai primordi fogliari. Data la sua funzione, questa regione è anche chiamata zona morfogenica. La zona sottostante, che prende il nome di meristema fondamentale, contribuisce alla crescita in altezza del fusto. Con- trariamente alle cellule staminali, le cellule che formano gli abbozzi fogliari vanno in- contro a cicli multipli di endoreduplicazione quale premessa per il loro differenziamento (Figura 7.3). Pertanto, durante lo sviluppo, le cellule vegetali vanno incontro a un ciclo
mitotico e a uno endoreduplicativo. Il meristema radicale (Root Apical Meristem, RAM)
ha una struttura diversa (Figura 7.2B). Esso contribuisce alla formazione della sola
radice principale ed è costituito da due file di cellule situate sopra e sotto il centro quiescente, che si caratterizza per l’assenza di attività mitotica ma che controlla la proliferazione cellulare delle cellule staminali circostanti. A seconda della loro posizione, le cellule staminali danno origine a epidermide e cuffia laterale, cortex ed endodermide, periciclo e tessuto vascolare. Le cellule al di sotto del centro quiescente contribuiscono alla formazione della parte centrale della cuffia. Le radici laterali si originano invece dal periciclo, le cui cellule mature, stimolate dall’auxina, si sdifferenziano e si dividono dando poi origine al meristema autonomo delle radici laterali.
Continua
A Meristema apicale
B Meristema rad icale
Foglietto L1
Foglietto L2
Foglietto L3
Tunica
Corpus
Centro quiescente
Cellule che origineranno:
Cuffia centrale
Epidermid e
e cuffia laterale
Endodermid e
e cilind ro corticale
Periciclo
Cilind ro centrale
Figura 7.2 Rappresentazione schematica delle sezioni longitudinali del meristema apicale
(SAM) (A) e del meristema radicale (RAM) (B) di Arabidopsis thaliana.
p
Approfondimento
Meristemi e totip
Lo sviluppo vegetale consiste nella
di cellule indifferenziate, i meristem
l’embrione. Va ricordato che nei v
gono contemporaneamente come
tima è post-embrionale e porta al
l’ambiente in cui il seme inizia il pr
il processo di embriogenesi che iniz
li tt i t d ll
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina XX

Una delle principali novità di questa seconda edizione è la possibilità di vedere tutte le immagini (fo-
tografie e schemi) a colori e alcuni video di dimostrazione degli espirimenti descritti nel libro.
Per accedere alle risorse occorre cercare la seconda edizione del manuale sul sito we
b dell'Editore
www.mheducation.it e selezionare la sezione Risorse & Download.
Per la prima registrazione se guire le istruzioni di seguito. Per le volte successive, andare
direttamente
al punto 8).
Seguire la procedura di registrazione Studenti.1.
Per registrasi cliccate su First Time User.2.
Comparirà questa schermata:3.
QR
Indicazioni
per accedere
alle risorse
con codici QR
Cliccate I am a Student, inserite il codice che trovate nella seconda pagina della copertina nel4.
campo Registration Code e inserite la vostra mail nell’apposito spazio.
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina XXI

Se non siete già registrati, comparirà questa schermata: 5.
Compilate tutti i campi (NOTA: è obbligatorio inserire il campo “School” – Country: selezionate 6.
Italia; State: selezionate la vostra Regione; School: selezionate la vostr
a università e poi procedete
con la registrazione. Al termine comparirà questa schermata:
XXII Indicazioni per accedere alle risorse con codici QR
00PrPag.qxp_PANCALDI 20/05/19 11:36 Pagina XXII

XXIIIIndicazioni per accedere alle risorse con codici QR
Cliccando sul primo dei due “Student Edition”, tornerete alla home pag e del volume, dove in alto 7.
a sinistra compare l’indice delle risorse, tra cui Immagini/Video.
Se siete già registrati, comparirà questa schermata: 8.

Inserite la mail e la password. Dopo aver cliccato Login, comparirà l’indice delle risorse. Tutte le 9.
immagini a colori sono raggruppate per capitoli in base all’indice del volume. Tutti i video sono
raggruppati per capitoli. L’indice dei video è anche riportato qui a seguire.
Indice dei video
Capitolo 4: Il vacuolo
Introduzione al laboratorio

Viraggio degli antociani – Parte 1 ⦁
Viraggio degli antociani – Parte 2 ⦁
Cristalli di ossalato di calcio ⦁
Fenomeni osmotici legati al vacuolo ⦁
Capitolo 9: I tessuti tegumentali
Introduzione al laboratorio

Spellatura dell’epidermide di foglie di Mono-⦁
cotiledone e di Dicotiledone
Esempi di formazioni tricomatose

Emergenze di Drosera sp. ⦁
Capitolo 10: I tessuti meccanici
Introduzione al laboratorio

Tessuti meccanici nel picciolo di ninfea ⦁
Tessuti meccanici nei fusti ⦁
Sclereidi di polpa di pera e fibre in Iris⦁
Capitolo 15: Il fiore delle Angiosperme
Introduzione al laboratorio

Osservazione degli elementi fiorali nella Mo-⦁
nocotiledone Lilium sp.
Capitolo 20:
Il fusto
Introduzione al laboratorio ⦁
Sezione trasversale di fusto in struttura prima-⦁
ria di Dicotiledone
Sezione trasversale di fusto in struttura prima-

ria di Monocotiledone
Capitolo 21:
La radice
Introduzione al laboratorio

Sezione trasversale di radice in struttura pri-⦁
maria
Capitolo
23: La foglia
Introduzione al laboratorio ⦁
Tipologia di lamine fogliari di Dicotiledone ⦁
Lamina fogliare di Nerium oleander in sezione⦁
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina XXIII

A Marisa Fasulo,
maestra e amica
00PrPag.qxp_PANCALDI 16/05/19 21:55 Pagina XXIV

Descrivere le principali tappe 1.
della comparsa e dell'evolu-
zione dei vegetali.
Descrivere le differenze tra 2.
piante e animali.
Riportare alcuni esempi di 3.
utilizzo delle piante.
1
Tre miliardi
e mezzo di anni
di storia
dei vegetali
OBIETTIVI
DEL CAPITOLO
1.1 Il mondo vegetale
La Botanica è la scienza che studia i vegetali. Que-
sta definizione, all’apparenza così semplice ed
elegantemente epigrafica, nasconde in realtà una
subdola insidia, perché ci obbliga a interrogarci
su che cosa siano i vegetali. A meno che non ci
si voglia accontentare di un’irrisoria definizione
come “i vegetali sono gli organismi studiati dai
botanici”, occorrerà sondare se si possa raggiun-
gere una maggiore precisione. Da Aristotele fino
a Linneo, quindi per circa 2000 anni, ci si è ac-
contentati di dividere gli esseri viventi in Animali
e Vegetali, dove i primi si muovono e mangiano,
al contrario dei secondi, che invece non si muo-
vono e non mangiano. Anche i botanici di oggi
non disdegnano di studiare organismi che, in
qualche modo, rispondono ai due antichi requi-
siti di immobilità e nutrizione non per ingestione.
Tuttavia, lo fanno con la consapevolezza che i co-
siddetti vegetali costituiscono un mondo compli-
cato oltre misura rispetto alla visione aristotelica
e linneana. Inoltre, sono pure consapevoli che la
varietà di forme vegetali oggi osservabili è il ri-
sultato di un susseguirsi di cambiamenti a partire
dalle prime forme di vita comparse sulla Terra. In
altre parole, come ogni organismo, le Piante si
evolvono nel tempo. L’ambiente esercita sulle po-
polazioni vegetali una pressione selettiva che ten-
de a favorire caratteri tali da permettere un mi-
gliore adattamento. Così, la storia della comparsa
dei diversi gruppi vegetali sulla Terra si lega a una
sempre più efficiente capacità di colonizzare nuo-
vi ambienti (la Figura 1.1 illustra gli organismi
studiati dalla Botanica).
1.1.1 Cianobatteri e fotosintesi
Molto si discute sull’origine della vita sul nostro pia-
neta, se sia di provenienza terrestre o extraterrestre.
Poiché questo aspetto ci porta un po’ troppo lon-
tano dal nostro scopo, assumeremo che dalla for-
mazione della Terra (circa 4,6 miliardi di anni fa)
sia già trascorso circa un miliardo di anni, cosic-
ché possiamo incontrare negli oceani i primi or-
ganismi di cui ci sono giunti fossili. Si tratta di
Procarioti, cioè Batteri e Cianobatteri, organismi
semplici, in cui le funzioni cellulari non sono
compartimentate (Capitolo 2). I primi Batteri
comparsi sulla Terra erano quasi certamente
01txtI.qxp_PANCALDI 09/05/19 19:37 Pagina 1

2 Capitolo 1
Figura 1.1 Schema degli organismi studiati dalla Botanica.
EUCARIOTI PROCARIOTI
ETEROTROFI Funghi Batteri
AUTOTROFI Angiosperme Gimnosperme Pteridofite Briofite Alghe Cianobatteri
Piante terrestri = Embriofite
Cormofite = Tracheofite Tallofite
Fanerogame spermatofite Crittogame
Seme nel fruttoSeme nudo
eterotrofi, cioè consumavano la materia organica
disponibile nell’ambiente per sostenersi e ripro-
dursi. Con il trascorrere del tempo, la competi-
zione per le risorse avvantaggiò quei Batteri che
erano capaci di mettere in atto processi biochimi-
ci tali da renderli più indipendenti rispetto al car-
bonio organico reperibile nell’ambiente. Senza
dubbio la comparsa di un processo che permette-
va di usare il sole come fonte energetica e l’acqua
come donatore di elettroni per costruire molecole
organiche rappresentò una svolta epocale. Questa
modalità di autotrofia per fotosintesi si riscontra
nei Cianobatteri, che sono stati a lungo chiamati
Alghe verdi-azzurre per via della loro pigmenta-
zione. Essi sono i più semplici organismi studiati
per tradizione dai botanici, ma in realtà non han-
no molto a che vedere con le Alghe o, per lo meno,
non nel senso di una somiglianza di organizza-
zione (Capitolo 27). Per vedere organismi più
complessi di Batteri e Cianobatteri occorrerà
aspettare altri 1,5 miliardi di anni.
A prima vista, un mondo popolato unicamente
e per così lungo tempo da soli Procarioti può sem-
brare monotono per chi è abituato all’attuale di-
versità dei viventi. Tuttavia, proprio grazie ai Cia-
nobatteri, in questo periodo la Terra stava gradual-
mente sperimentando le conseguenze di un fon-
damentale “effetto collaterale” della fotosintesi.
Così come quella di tutte le Alghe e Piante terrestri,
la fotosintesi dei Cianobatteri era ed è ossigenica,
cioè rilascia ossigeno molecolare. Per lungo tempo
la crosta terrestre tamponò questo effetto con la
formazione di ossidi di ferro, finché, esaurito il fer-
ro disponibile all’ossidazione, l’ossigeno molecola-
re cominciò ad accumularsi nell’atmosfera.
1.1.2 Endosimbiosi ed Eucarioti
I fossili risalenti a 2,1 miliardi di anni fa ci met-
tono di fronte all’evidenza che i Procarioti erano
allora in compagnia di organismi i quali, pur es-
sendo unicellulari, erano più grandi e complessi.
In essi si individuano i primi Eucarioti (Capito-
lo 2). È quasi sconcertante lo scarto che esiste tra
l’organizzazione delle cellule procariotiche ed eu-
cariotiche. L’origine degli Eucarioti è stata ed è
ancora molto dibattuta. Alle teorie sull’origine de-
gli Eucarioti, infatti, si chiede prima di tutto di
saper rendere ragione di come, da un mondo di
Batteri, possa essere emersa una cellula con una
complessità così nuova da essere assolutamente
estranea al mondo dei Batteri stessi. La soluzione
oggi ritenuta più verosimile è rappresentata dalla
teoria endosimbiotica
seriale, che si è andata pre-
cisando grazie al contributo di molti studiosi e so-
prattutto della biologa americana Lynn Margulis
a partire dal 1967.
01txtI.qxp_PANCALDI 16/05/19 20:09 Pagina 2

3Tre miliardi e mezzo di anni di storia dei vegetali
Nelle sue linee essenziali, la teoria endosimbioti-
ca prende le mosse da un progenitore procariotico
che perse la parete cellulare e acquisì la capacità
di fagocitare, cioè inglobare materiale esterno in-
troflettendo la membrana plasmatica ( plasma-
lemma). La possibilità di introflettere il plasma-
lemma avrebbe condotto alla formazione del com-
plesso sistema di membrane interno alla cellula
(Capitolo 2). Immaginiamo ora che tra le prede di
questo progenitore vi sia stato un batterio con
un’enfatizzata capacità di “bruciare” molecole or-
ganiche per ottenere energia, cioè di respirare
usando l’ossigeno come ossidante. Il destino ovvio
del batterio sarebbe stato la sua digestione. Ma av-
venne che, per qualche motivo, il progenitore eu-
cariotico conservò il batterio come ospite, anziché
digerirlo, ciò che gli offriva il vantaggio di gestire
una fabbrica energetica con capacità ben superio-
ri a quelle che gli erano consentite dalla sua “do-
tazione” originaria. Assoggettato progressiva-
mente al suo ospite, il batterio endosimbionte sa-
rebbe divenuto un mitocondrio. Tutte le cellule
eucariotiche moderne hanno mitocondri (Capito-
lo 2), con l’eccezione di pochi semplici organismi
unicellulari che li hanno persi secondariamente.
Un secondo evento di endosimbiosi ebbe un
grandissimo impatto per il proseguimento della no-
stra riflessione sui vegetali. Accadde che nella po-
polazione delle cellule eucariotiche un organismo
fagocitò un cianobatterio senza digerirlo, ma con-
servandolo racchiuso in una vescicola citoplasma-
tica, come già era accaduto per il batterio aerobio.
Questo nuovo endosimbionte fotosintetico rendeva
la cellula completamente autonoma per la nutri-
zione ed era il capostipite dei plastidi (Capitoli 2 e
5). La cellula eucariotica, costituita in seguito a
questi eventi, rappresenta la prima alga. Le Alghe
sono organismi studiati dalla Botanica (Capitolo
28). Si tratta di forme viventi molto diverse, ma i
loro plastidi condividono la stessa origine nell’an-
tico progenitore eucariotico che inglobò un ciano-
batterio; in altre parole, l’endosimbiosi del ciano-
batterio fu un evento unico e la diversità delle Al-
ghe e dei loro plastidi è dovuta a eventi successivi.
1.1.3 Dalle acque alla terraferma
Le Alghe sono organismi strettamente legati alla
presenza di acqua in forma liquida. Esse, tuttavia,
necessitano anche di nutrienti minerali. Per que-
sto, possiamo immaginare che la ricerca di nu-
trienti promosse la colonizzazione di ambienti
costieri, più ricchi di minerali. A partire da forme
unicellulari e coloniali, le Alghe svilupparono tal-
li pluricellulari anche complessi, con tutti i van
-
taggi che la pluricellularità poteva comportare
(Capitoli 2 e 6), tra cui anche quello di potersi in
qualche modo ancorare alle rocce. La scoperta della pluricellularità da parte di queste Tallofite
risale a circa 650 milioni di anni fa.
Nel frattempo l’attività fotosintetica di Ciano-
batteri e Alghe aveva tanto arricchito l’atmosfera
di ossigeno che nella stratosfera si era formato
uno strato di ozono. Questo gas, agendo come
schermo nei confronti del bombardamento dei
raggi ultravioletti, favorì la colonizzazione degli
strati d’acqua più superficiali a partire da 450 mi-
lioni di anni fa.
Così, per vari motivi, le coste si andavano affol-
lando di organismi vegetali, di nuovo in competi-
zione per i nutrienti e lo spazio fisico su cui inse-
diarsi. Eppure, a ben vedere, appena oltre il livello
dell’acqua, di spazio ce n’era eccome; certo non
ospitale, ma lontano dai competitori. La “vita al-
l’aria” avrebbe permesso un ottimo rifornimento
di luce, anidride carbonica e nutrienti minerali,
ma non offriva un approvvigionamento d’acqua
altrettanto vantaggioso: l’acqua andava recuperata
e, soprattutto, risparmiata, evitando il rischio del
disseccamento. Le prime Piante che si affacciaro-
no con successo sul nuovo mondo non furono
grandi Alghe simili a quelle che oggi si possono
vedere in alcune zone costiere, ma furono organi-
smi discendenti da Alghe verdi di modeste dimen-
sioni. Si ritiene che questi discendenti fossero si-
mili alle attuali Briofite, cioè a muschi ed epatiche.
Nelle Briofite compaiono i primi stratagemmi
atti a limitare la perdita d’acqua (Capitolo 31). Le
loro spore, trasportate dal vento e non più dall’ac-
qua, si rivestono dell’idrofoba sporopollenina. Gli
zigoti all’inizio del loro sviluppo (embrioni) saran-
no ospitati dall’organismo madre a maggiore ga-
ranzia per la loro sopravvivenza. Infatti, tutte le
Piante terrestri, a differenza delle Alghe, sono dette
embriofite. A protezione contro il disseccamento
dei talli, viene elaborato un nuovo polimero di ri-
vestimento, la cutina (Capitolo 3). Eppure, nono-
stante tutto, la vita delle Briofite restava, e ancor
oggi resta, profondamente vincolata alla disponibi-
lità di buone quantità di acqua liquida. Inoltre, sen-
za un efficiente sistema di trasporto, l’acqua faceva
poca strada in salita.
Mentre le Briofite erano “condannate” a non
alzarsi più di qualche centimetro dal suolo, ecco
che circa 425 milioni di anni fa altre Piante si do-
tarono di un polimero a dir poco rivoluzionario,
la lignina
(Capitolo 3). Con la lignina iniziava un
crescendo di opportunità per la vita delle Piante
sulla Terra. Le nuove Piante elaborarono cellule li-
gnificate con alta specializzazione per il trasporto
dell’acqua, che ora poteva raggiungere altezze ver-
01txtI.qxp_PANCALDI 09/05/19 19:37 Pagina 3

4 Capitolo 1
tiginose rispetto a quanto accadeva nelle Briofite
(Capitolo 11). È tanto distintiva la presenza del tes-
suto vascolare in queste Piante che esse sono chia-
mate Piante vascolari o Tracheofite. La comparsa
della lignina nel nuovo tessuto vascolare promosse
la crescita in altezza delle Piante, sostenuta anche
da tessuti meccanici (Capitolo 10). L’aumento di di-
mensioni corrispondeva a una maggiore specializ-
zazione del corpo della pianta. A partire da sem-
plici strutture assili (Capitolo 24), che possiamo
chiamare fusti, le porzioni basali evolvevano ca-
ratteristiche adatte all’assorbimento d’acqua e al-
l’ancoraggio al suolo, diventando radici, mentre
nelle porzioni più elevate venivano selezionate ca-
ratteristiche favorevoli alla cattura della luce e agli
scambi gassosi, conducendo alla formazione delle
foglie (Capitoli 20, 21, 22, 23). I tre organi costitui-
vano così una nuova organizzazione del corpo
chiamata cormo, in contrapposizione al tallo di Al-
ghe e Briofite. Il termine Cormofite può essere usa-
to come sinonimo di Tracheofite.
Come le Alghe e le Briofite, le Tracheofite più
antiche affidano la loro diffusione alla dispersione
di spore nell’ambiente e vengono chiamate collet-
tivamente Pteridofite, benché riuniscano gruppi
molto diversi tra loro, tra cui le attuali felci (Capi-
toli 14 e 32). Nonostante quanto detto, è esperien-
za comune che le felci non popolano certo i de-
serti, ma si trovano piuttosto in sottoboschi umidi.
In questo si deve leggere un chiaro indizio che an-
cora manca qualcosa in queste Piante per essere
pienamente svincolate dall’ambiente acquatico.
1.1.4 Invenzione del seme
Una vecchia nomenclatura, che tuttavia ancor og-
gi trova applicazione, distingueva le Piante in crit-
togame e fanerogame, cioè dalle “nozze nascoste”
e dalle “nozze manifeste”. Si faceva riferimento al
fatto che in alcuni vegetali la fase riproduttiva era
poco evidente, perché affidata per lo più a spore,
mentre in altri era chiaramente visibile e corri-
spondente alla fioritura. Le fanerogame sono
quindi tutte le Tracheofite che producono fiori.

Crittogame sono tutte le altre Piante.
Nelle fanerogame, la capacità di risparmio del-
l’acqua si enfatizzò con la sintesi della suberina,
un polimero idrofobo caratteristico di alcuni tes-
suti di rivestimento (Capitoli 3 e 9). L’eccezionale
invenzione delle fanerogame fu però soprattutto
quella di disperdere nell’ambiente non più spore,
bensì microscopiche piantine (embrioni) ben pro -
tette e a riposo all’interno di nuove strutture al-
tamente resistenti, i semi (Capitolo 18). I semi in-
terrompono lo stato di riposo solo in condizioni
favorevoli, quindi anche a distanza di anni dopo
la loro liberazione. Le Piante a seme comparvero
sulla Terra 365 milioni di anni fa e con un termine
più moderno si indicano come Spermatofite. Nel -
le più primitive, chiamate Gimnosperme (Capito -
lo 33), i semi vengono liberati tali e quali, cioè so-
no nudi: il caso più familiare è quello dei pinoli
lasciati cadere dalle pigne dei comuni pini. Nelle
più recenti, le Angiosperme, i semi vengono inve -
ce conservati per un certo periodo all’interno di
un frutto (Capitolo 19). I fossili ci raccontano che
le Angiosperme comparvero circa 130 milioni di
anni fa e andarono incontro a una diversificazio-
ne rapidissima, divenendo la vegetazione domi-
nante sulla Terra nel giro di 40 milioni di anni.
La rapida evoluzione e diffusione delle Angio-
sperme fu il più grande cruccio di Charles Dar-
win, il mistero abominevole che lo tormentò fino
agli ultimi anni della sua vita. Egli stesso ne pro-
pose una possibile spiegazione nella co-evoluzio-
ne tra Piante e insetti (Capitolo 15).
1.1.5 E i Funghi?
Oltre ad Alghe e Piante terrestri, i botanici si in-
teressano anche dei Funghi (Capitolo 29). Com’è
evidente, i Funghi non mangiano e non si muo-
vono, quindi, come insegnerebbe Aristotele, sono
vegetali. In realtà i Funghi, oltre alle due caratte-
ristiche citate e a poche altre, tra cui quella di es-
sere studiati dai botanici, non hanno molto a che
spartire con le Piante, sono anzi più affini agli Ani-
mali. I Funghi sono eterotrofi, non contengono
plastidi e non sono fotosintetici; a questi organismi
possono essere applicate le definizioni di Tallofite
e di crittogame. Essi ebbero una storia evolutiva
parallela a quella delle Piante, probabilmente con
un ruolo di importanza per la colonizzazione della
terraferma. Ciò è suggerito anche dalle strette re-
lazioni che i Funghi intrattengono ancor oggi con

le radici delle Piante (simbiosi micorriziche).
1.2 Piante e Animali
a confronto
La panoramica descritta sugli organismi vegetali è ben lontana dalla visione di Linneo. Però occorre
mettere in guardia dal trarre conclusioni affrettate
sul lavoro di uno che fu tra i più brillanti studiosi
nella storia della scienza. In effetti, la sua visione
dicotomica dei viventi poneva l’accento su un’evi-
dente diversità di organizzazione tra Piante e Ani-
mali, che oggi si può interpretare in chiave evolu-
01txtI.qxp_PANCALDI 09/05/19 19:37 Pagina 4

5Tre miliardi e mezzo di anni di storia dei vegetali
tiva. Chiaramente, la diversità si enfatizza tra gli
organismi appartenenti ai due gruppi comparsi
più di recente, cioè Angiosperme e Mammiferi.
Similmente ai Cianobatteri e alle Alghe, le
Piante sono autotrofe, cioè sono capaci di organi-
care molecole semplici (acqua e anidride carbo-
nica) trasformandole in zuccheri. Questi ultimi
costituiscono un “materiale plastico” che viene
organizzato per la sintesi di tutte le altre molecole
organiche componenti l’organismo. Gli Animali
sono eterotrofi (come la maggior parte dei Batteri,
i Funghi, alcune Piante parassite), per cui non di-
spongono di un sistema di organicazione, ma si
limitano a prelevare dall’ambiente molecole or-
ganiche preformate come fonte di energia e per
organizzare altre molecole organiche. La diversa
modalità di nutrizione e la diversa disponibilità
dei nutrienti hanno avuto forti conseguenze sul
piano organizzativo dei due tipi di organismi.
La nutrizione eterotrofa per ingestione ha im-1.
posto agli Animali la necessità del movimento
per la ricerca del cibo. In essi si sviluppano le
superfici interne del corpo per favorire gli
scambi gassosi, l’assorbimento dei nutrienti,
l’eliminazione delle scorie e, al contempo, as-
sicurare il massimo risparmio d’acqua. Poiché
i nutrienti necessari alle Piante (anidride car-
bonica, acqua, sali minerali, luce) sono diluiti
nell’ambiente, esse hanno privilegiato lo svi-
luppo delle superfici esterne (radici, foglie).
Questa grande estensione del corpo impone
loro una condizione di immobilità.
Negli Animali, in genere, l’accrescimento è de-2.
finito, limitato cioè alla fase giovanile della vi-
ta; inoltre, in essi la formazione degli organi
(organogenesi) è completa al termine dello svi -
luppo embrionale e, negli stadi successivi, lo
sviluppo è limitato a un aumento di dimensio-
ni degli organi stessi. Le Piante, invece, hanno
un accrescimento indefinito, grazie a cellule
che si mantengono giovanili e producono con-
tinuamente nuovi organi (Capitolo 7).
Mentre gli Animali possiedono molti organi al-3.
tamente specializzati (polmoni, cuore, fegato,
encefalo ecc.), le Piante sono costitute da pochi
organi con ridotta specificità (radici, fusti, fo-
glie). Per esempio, la funzione fotosintetica è ti
-
pica delle foglie, ma si può riscontrare anche nei
fusti o addirittura in alcune radici (Capitolo 24).
L’organizzazione del corpo degli Animali è 4.
centralizzata, grazie al sistema nervoso che co-
ordina l’attività dell’organismo, in particolare il movimento. Al contrario, le Piante presen-
tano un’organizzazione decentrata, che lascia
ampia autonomia ai singoli organi, a garanzia
di un efficiente utilizzo delle risorse disponi-
bili nell’ambiente.
Il trasporto di sostanze a lunga distanza viene 5.
risolto in modo antitetico da Animali e Piante.
Negli Animali si sviluppa un tessuto liquido,
il sangue, che scorre sempre all’interno del
corpo (sistema chiuso) grazie alla pressione ge -
nerata da una pompa (cuore) e trasporta tutte
le sostanze, compresi i gas e i cataboliti. Nelle
Piante la linfa grezza e la linfa elaborata scor-
rono in vie indipendenti e parallele (Capito-
lo 11), senza l’intervento di pompe. Inoltre, in
salita l’acqua transita attraverso un sistema
aperto in cui la pianta si interpone tra suolo e
aria: l’acqua che circola non è mai la stessa!
Gli Animali attuano meccanismi omeostatici 6.
mediante i quali tendono al mantenimento di
un ambiente interno con caratteristiche co-
stanti. Le Piante, invece, seguono per lo più
passivamente le variazioni ambientali, au-
mentando e riducendo le loro funzioni vitali,
cioè in esse l’omeostasi è assente a livello di or -
ganismo. Essendo prive di sistemi di regola-
zione automatica delle attività fisiologiche, le
Piante hanno sviluppato meccanismi di adat-
tamento morfo-fisiologico tali da garantire lo-
ro la sopravvivenza in un ampio intervallo di
variabilità delle caratteristiche ambientali
(Capitolo 25).
1.3 Le Piante e l’uomo
Le relazioni che sussistono tra le Piante e la specie
Homo sapiens sono più complesse rispetto a quel -
le tra le Piante e gli altri Animali. Questo perché
nel caso dell’uomo intervengono anche aspetti di
ordine culturale che attribuiscono a certe specie
vegetali un valore che non sarebbe immediata-
mente ovvio.
1.3.1 Impieghi delle Piante
Sicuramente le Piante forniscono all’uomo ali-
menti (cereali, legumi, ortaggi, frutta), ma anche
una grande varietà di materie prime. In partico-
lare, dalle Piante si ricava materiale da costruzio-
ne (legno), per uso tessile (lino, cotone, canapa),
per la produzione di cordami e oggetti intrecciati

(juta, palme), per l’ottenimento di supporti per la
scrittura (legno, cotone, papiro). Ben noto è anche
il valore energetico di diverse specie vegetali, a
partire dalle Piante che forniscono tradizional-
mente materiale per il riscaldamento (specie le-
gnose, mais), per arrivare alle più recenti valoriz-
01txtI.qxp_PANCALDI 09/05/19 19:37 Pagina 5

6 Capitolo 1
zazioni di biomasse vegetali da impiegare nella
produzione di biocombustibili: ne sono esempi
l’etanolo ottenuto da canna da zucchero, l’olio
combustibile estratto da colza, il biogas prodotto
durante le digestioni anaerobie di biomasse che
includono anche componenti vegetali.
Molte Piante che hanno evoluto composti tos-
sici nei confronti degli Animali, di solito con il ri-
sultato di scoraggiare gli erbivori, sono state rein-
terpretate dall’uomo come fonti di medicinali per
la cura della salute (digitale, oppio, belladonna).
Un uso in qualche modo aberrante di alcune
Piante medicinali ha condotto al loro impiego co-
me fonte di sostanze stupefacenti (canapa, op-
pio). Altre Piante hanno trovato impiego per la
produzione di beni voluttuari, quindi non legati
alla necessità di nutrirsi né a quella di curarsi, ma
semplicemente a quella di suscitare sensazioni
gradevoli (caffè, cacao, vaniglia). Ad alcune Pian-
te, le culture umane attribuiscono un valore ri-
tuale in relazione agli “aspetti spirituali” della vi-
ta (incenso, mirra). Soprattutto per gli usi più for-
temente connessi con gli aspetti culturali, i “limiti
di applicazione” di una certa specie vegetale in
un ambito anziché in un altro si fanno sfumati.
Per esempio, la pianta della coca ha un uso es-
senzialmente voluttuario se si pensa alla consue-
tudine di certe popolazioni amerinde di masticar-
ne le foglie per alleviare la fatica. Come fonte del-
l’alcaloide cocaina, essa rientra tra le Piante a uso
medicinale, trovando applicazione come aneste-
tico locale. Tuttavia, la cocaina rimane tristemen-
te nota soprattutto come un grave male sociale
per il suo impiego come stupefacente.
1.3.2 Origine dell’agricoltura
e domesticazione delle Piante
Un rapporto speciale lega soprattutto l’uomo alle
specie vegetali impiegate per l’alimentazione. La
rivoluzione agricola si fa risalire a circa 10 000 an-
ni fa, quando gli uomini cominciarono a coltivare
alcune Piante per sottrarsi alle incertezze di un’ali-
mentazione unicamente basata sulla raccolta. Il
teatro di questa rivoluzione fu la regione medio-
orientale chiamata Mezzaluna Fertile e compresa
tra l’Egitto e l’Iran passando per la Palestina. La
domesticazione delle Piante consiste fondamental-
mente nella selezione di caratteri favorevoli, che
per esempio rendano le Piante più produttive, o
più facilmente coltivabili, o prive di proprietà in-
desiderate. Per esempio, la domesticazione del
grano ha favorito spighe che trattenessero le ca-
riossidi (Capitolo 19) anziché disperderle, perché
ciò agevolava la raccolta. La domesticazione delle
prime specie vegetali fu innanzitutto il risultato di
un processo di carattere “intellettivo” da parte del-
l’uomo, che, comprendendo nella sua essenza il
significato del seme nel ciclo vitale delle Piante,
applicò tale intuizione per trarne beneficio. Certo
questi nostri antenati, non avendo una percezione
scientifica del problema, elaboravano interpreta-
zioni mitiche delle loro osservazioni. Le dee Ma-
dri, diverse nel nome più che nella sostanza (Nin-
hursag, Iside, Cibele, Demetra), venivano chiama-
te in causa per colmare una conoscenza ancora
sommaria sui fatti della natura. Le annate erano,
infatti, più o meno produttive ed era utile propi-
ziarsi colei che, in seguito a opportuni riti, avrebbe
teso l’orecchio e, questo era l’auspicio, esaudito le
richieste di abbondanza dei raccolti. Dai raccolti
sarebbe infatti dipesa la possibilità di superare la
stagione invernale. Proprio questa è la seconda
proprietà dei semi che ci interessa per compren-
dere la rivoluzione agricola: i semi non sono solo
lo strumento che permette di propagare le Piante,
essi sono anche ricchi di riserve nutrienti e durano
molto a lungo senza avariarsi (Capitolo 18). Così,
le civiltà medio-orientali e, successivamente,
quelle mediterranee legarono il loro sostentamen-
to prima di tutto alla coltivazione del grano e del-
l’orzo, fonti di carboidrati, a cui si associarono le-
gumi come lenticchie e piselli, che aggiungevano
proteine alla dieta.
La domesticazione delle Piante fu in realtà un
fenomeno non limitato all’area sopra citata, ma
comparso in modo indipendente in altre aree del-
la Terra e intimamente connesso allo sviluppo di
altre civiltà. È interessante notare, a tale proposi-
to, che ogni civiltà si sviluppò attorno a una spe-
cifica coltura impiegata come fonte principale di
carboidrati, come era stato il grano nella Mezza-
luna Fertile: il riso in Estremo Oriente e in India,
il sorgo nell’Africa sub-sahariana, il mais presso
le civiltà precolombiane d’America. In tutti i casi,
come si può facilmente intuire, l’effetto della do-
mesticazione fu di legare in modo sempre più
stretto la pianta coltivata all’uomo che la coltivava
e viceversa: senza l’uomo la pianta non si propa-
ga, senza la pianta l’uomo rischia la fame!
I campi di piante coltivate concludono ideal-
mente questo itinerario introduttivo sul mondo
dei vegetali. Sebbene il numero di piante oggi do-
mesticate non sia esiguo, di fatto l’alimentazione
umana è soddisfatta in maniera preponderante da
soli pochi tipi di colture ricche di carboidrati, cioè
il grano, il mais, il riso, la patata, la patata dolce
e la manioca. Altre piante alimentari che hanno
una grande importanza a livello planetario sono
fagiolo, soia, canna da zucchero, barbabietola da
zucchero, orzo, sorgo, banana, noce di cocco.
01txtI.qxp_PANCALDI 09/05/19 19:37 Pagina 6

Presentare le differenze tra la 1.
cellula procariotica e la cel-
lula eucariotica.
Spiegare le differenze tra la 2.
cellula animale e la cellula
vegetale.
Descrivere le peculiarità della 3.
cellula vegetale.
Spiegare il concetto di super-4.
ficie relativa.
Presentare le differenze tra 5.
cellula vegetale giovanile e
cellula vegetale adulta.
2
La cellula vegetale
OBIETTIVI
DEL CAPITOLO
Pili
Membrana
plasmatica Parete cellulare Citoplasma
CromosomaMesosoma
Figura 2.1 Rappresentazione schematica di una cel-
lula procariotica.
2.1 Generalità
Tutti gli organismi, siano essi animali o vegetali,
sono costituiti da cellule.
Nonostante la grande varietà di organismi che
popolano il nostro pianeta, non esiste un’altret-
tanta molteplicità di tipi di cellule. La struttura
di base di una cellula è, infatti, costante sia negli
animali sia nei vegetali. Quando si studiano la
cellula vegetale e gli organuli che la caratterizza-
no, bisogna considerare che le piante sono anco-
rate al terreno e devono adattarsi a qualsiasi va-
riazione dell’ambiente circostante senza poter...
fuggire. Questi adattamenti sono per lo più a ca-
rico degli organuli (parete cellulare, plastidi, va-
cuolo) non presenti nella cellula animale.
2.2 Differenze tra cellula
procariotica e cellula eucariotica
2.2.1 La cellula procariotica
I Procarioti sono gli organismi morfologicamente
più semplici (Figura 2.1).
Le loro cellule variano nelle dimensioni a secon-
da dell’organismo procariotico ma, in ogni caso,
esse sono molto più piccole delle cellule degli Eu-
carioti, avendo dimensioni generalmente di soli
pochi micrometri (1 μm = 10
−6
m).
La caratteristica che più contraddistingue la
cellula procariotica da quella eucariotica è la
mancanza di compartimentazione interna: non vi
sono organuli delimitati da membrana e, soprat-
02txtI.qxp_PANCALDI 16/05/19 20:23 Pagina 7

8 Capitolo 2
Figura 2.3 Cianobatterio (Anabaena flos-aquae).
L’Anabaena è in grado di fissare l’azoto atmosferico,
rendendolo quindi biodisponibile. La fissazione avviene
in cellule specializzate, dette eterocisti, inserite lungo
la “catenella” di cellule (freccia). Alcune specie di Ana-
baena vivono in simbiosi con piante acquatiche (per
esempio, l’Anabaena azollae vive in simbiosi con la felce
acquatica Azolla filiculoides) (300×).
Guaina
Tilacoidi
Cromosoma
Citoplasma
Parete cellulare
Membrana
plasmatica
Figura 2.2 Rappresentazione schematica della strut-
tura di un Cianobatterio (Procarioti).
tutto, il DNA non è racchiuso all’interno di un
nucleo ma si trova in una regione della cellula,
non delimitata da membrana, detta nucleoide.
Come le cellule eucariotiche, anche quelle pro-
cariotiche sono delimitate da una membrana pla-
smatica. In alcuni Procarioti la membrana plasma-
tica forma invaginazioni interne alla cellula. Su tali
invaginazioni sono frequentemente inseriti enzimi
specifici per determinate reazioni metaboliche che
nella cellula eucariotica avvengono in organuli de-
putati (per esempio, la respirazione cellulare che
negli Eucarioti è compartimentata nei mitocondri).
Le cellule procariotiche sono avvolte da una
parete cellulare di peptidoglicano.
Al loro interno si trovano ribosomi più piccoli
di quelli della cellula eucariotica (70S), deputati
alla sintesi di proteine.
Alcuni Procarioti, i Cianobatteri, sono auto -
trofi (Figura 2.2, Figura 2.3). Essi, infatti, svol-
gono la fotosintesi grazie alla presenza di invagi-
nazioni della membrana plasmatica (tilacoidi) in
cui è inserita la clorofilla a e sulle quali vi sono
altri pigmenti (ficobiline, in particolare ficociani-
na) organizzati in ficobilisomi . Manca la clorofilla
b, per cui la sostanza di riserva nei Cianobatteri
non è l’amido, come negli Eucarioti dotati di clo-
rofille a e b, ma il glicogeno. Altre caratteristiche
dei Cianobatteri sono descritte nel Capitolo 27.
2.2.2 La cellula eucariotica
La cellula eucariotica, al contrario di quella pro-
cariotica, svolge le proprie reazioni metaboliche
in organuli specializzati, delimitati da membrana.
In particolare, il DNA delle cellule eucariotiche
non è libero nel citoplasma ma è contenuto nel
nucleo, che funziona da “centrale di controllo”.
Le cellule eucariotiche, inoltre, sono caratteriz-
zate dal citoscheletro, un’impalcatura di microtubuli
e microfilamenti importante sia per il mantenimen-
to della forma cellulare sia per il trasporto di ma-
teriali internamente alla cellula. La compartimen-
tazione dei processi metabolici cellulari in organuli
specializzati ha permesso alla cellula eucariotica di
raggiungere dimensioni considerevolmente più
grandi rispetto a quelle della cellula procariotica e
un’organizzazione altamente complessa.
2.3 Differenze tra cellula
animale e cellula vegetale
Le cellule animali e vegetali hanno la stessa strut-
tura “di base” (Esperimento 1, Esperimento 2,
Figura 2.4, Figura 2.5, Figura 2.6): una centrale
di controllo e di “direzione lavori” rappresentata
dal nucleo, un sistema di sintesi, impacchetta-
mento e trasporto di materiali rappresentato dal
reticolo endoplasmatico e dall’apparato di Golgi,
altre fabbriche di sintesi di materiali (per esem-
pio, i ribosomi), impianti di produzione di energia
come i mitocondri ecc.
Nota bene In questo libro non verranno trattati
gli organuli che accomunano le cellule animali e
vegetali, ma unicamente gli organuli caratteristici
della cellula vegetale. Per la descrizione morfolo-
02txtI.qxp_PANCALDI 16/05/19 20:23 Pagina 8

9La cellula vegetale
Membrana cellulare
Parete cellulare
Citoplasma
Ribosomi (80S)
Citoscheletro
Mitocondri
Cloroplasti
Vacuolo
Reticolo
endoplasmatico
liscio
Reticolo
endoplasmatico
rugoso
Apparato
di Golgi
NUCLEO
Involucro nucleare
Pori nucleari
Nucleolo
Cromatina
A CELLULA ANIMALE
B CELLULA VEGETALE
NUCLEO
Involucro nucleare
Pori nucleari
Nucleolo
Cromatina
Apparato
di Golgi
Membrana cellulare
Citoplasma
Reticolo
endoplasmatico
rugoso
Ribosomi (80S)
Reticolo
endoplasmatico
liscio
Citoscheletro
Vescicole,
lisosomi
Mitocondri
Figura 2.5 Cellule epiteliali della mucosa orale co-
lorate con Eosina (1200×).
Figura 2.6 Cellule di catafilli carnosi di cipolla (Allium
cepa) dopo colorazione con Violetto di genziana (150× ).
Figura 2.4 Rappresentazioni schematiche della cellula animale (A) e della cellula vegetale (B).
gica e funzionale degli altri organuli si rimanda
a un testo di Biologia cellulare generale.
2.3.1 Peculiarità della cellula vegetale
La cellula vegetale presenta delle caratteristiche
che la differenziano dagli altri Regni dei viventi
(Esperimento 3, Figura 2.7, Figura 2.8, Figu-
ra 2.9, Figura 2.10, Figura 2.11, Figura 2.12):
parete cellulare;

vacuolo; ⦁
plastidi. ⦁
Consideriamo una cellula vegetale tipica, per
esempio una cellula del parenchima clorofilliano
02txtI.qxp_PANCALDI 16/05/19 20:23 Pagina 9

10 Capitolo 2
Figura 2.7 Diatomee (alghe unicellulari) (40×).
Figura 2.9 Paramecio in simbiosi con zooclorelle (al-
ghe unicellulari) (150×).
Figura 2.8 Paramecio (protozoi ciliati) (400×).
Figura 2.10 Rotifero (organismo animale pluricellu-
lare) (100×).
Figura 2.11 Closterium sp. (alga verde unicellulare)
(500×).
Figura 2.12 Cosmarium (alga verde). Ciascuna cel-
lula è divisa da una strozzatura in due semicellule iden-
tiche (400×).
di una foglia, che svolge primariamente la fun-
zione fotosintetica (Figura 2.4B, Figura 2.13).
Osserviamone le caratteristiche.
La cellula è all’incirca cilindrica, di qualche
decina di μm.
È rivestita esternamente da una parete cellu-
lare simile a una scatola rigida che la circonda. Il
fatto di possedere una parete esterna fa sì che la
cellula adulta non possa più variare la propria for-
ma. Inoltre, la presenza della parete rende la cel-
lula immobile; infatti, la cellula vegetale non stri-
scia e non nuota (Capitolo 3).
La faccia interna della parete cellulare è rive-
stita dalla membrana plasmatica, la cui struttura
e la cui funzione sono simili a quelle della mem-
brana plasmatica delle cellule animali.
Internamente al plasmalemma si trova il cito-
plasma con gli organuli.
02txtI.qxp_PANCALDI 16/05/19 20:23 Pagina 10

11La cellula vegetale
Figura 2.13 Cellula vegetale tipica di parenchima
fotosintetico.
A differenza delle cellule animali, nelle cellule ve-
getali il citoplasma e gli organuli non occupano
tutto lo spazio interno della cellula. Gran parte di
questo spazio è occupata dal vacuolo, cavità ripie -
na di un succo vacuolare (costituito da acqua e
svariate sostanze) e circondata da un’unità di
membrana detta tonoplasto. In una cellula vege -
tale adulta c’è in genere un unico grande vacuolo,
che occupa più del 90% del volume cellulare. In
questo caso, il citoplasma contenente gli organuli
è ridotto a uno strato sottile a ridosso della parete
cellulare (Capitolo 4).
Nel citoplasma ci sono tutti gli organuli presenti
anche nella cellula animale: nucleo, mitocondri,
reticolo endoplasmatico, apparato di Golgi, ribo-
somi ecc. Nella cellula vegetale ci sono in più i pla-
stidi, che nel caso di una cellula del parenchima
fotosintetico sono cloroplasti (Capitolo 5).
La forma delle cellule vegetali è varia: si possono
distinguere cellule fortemente allungate in una di-
rezione e cellule estese all’incirca ugualmente nelle
tre direzioni dello spazio (cellule isodiametriche).
Per quanto riguarda le dimensioni, le cellule
vegetali sono in genere di qualche decina di μm.
Tuttavia, in alcuni casi, vi sono cellule eccezio-
nalmente grandi, anche alcune centinaia di μm.
2.4 Concetto di superficie
relativa
La suddivisione in cellule conferisce a un organi-
smo pluricellulare una grandissima superficie at-
traverso cui possono avvenire scambi di materiale
con l’ambiente circostante. Tale superficie sareb-
be inferiore in un organismo costituito da una so-
la cellula (Figura 2.14).
Grandezza e forma devono assicurare un eleva-
to rapporto superficie/volume (
superficie relativa).
1
4
3,6
Area superficie (S)1×1×6 = 64×4×6 = 96 (1×1×6) × 64 = 384 4×4×6 = 96
Volume totale (V) 1×1×1 = 14 ×4×4 = 64 (1×1×1) × 64 = 64 (4×4×4) − (3,6×3,6×3,6)
= 64 − 47 = 17
Rapporto S/V 6/1 = 6 96/64 = 1,5 384/64 = 6 96/17 = 6
B DCA
Figura 2.14 Gli scambi tra cellula e ambiente sono assicurati da un adeguato rapporto tra superficie (S) e volume
(V). In questa rappresentazione semplificata la cellula ha forma cubica, per cui la sua superficie è data dalla somma
delle aree delle 6 facce e il suo volume dal cubo dello spigolo. (A ) Quando la cellula è piccola, il rapporto S/V è
grande e gli scambi sono assicurati. (B ) Un aumento delle dimensioni lineari della cellula causa un basso rapporto
S/V, per cui gli scambi con l’ambiente sono meno efficaci. (C ) Se il volume occupato dalla cellula B viene suddiviso
tra molte cellule piccole, si verifica un aumento di superficie che ristabilisce un alto rapporto S/V: la pluricellularità
costituisce un vantaggio in termini di efficacia di scambio con l’ambiente. (D ) Per migliorare il rapporto S/V vi è
anche la possibilità di costruire una cellula grande ma cava. Nell’esempio, alla cellula con spigolo che misura 4 è
stato sottratto internamente il volume di un cubo con spigolo di 3,6. La superficie esterna non è variata, ma il
volume “pieno” è molto diminuito rispetto al caso B. Come conseguenza, il rapporto S/V ritorna favorevole. Le
cellule vegetali possono essere anche molto grandi proprio perché adottano questa strategia.
02txtI.qxp_PANCALDI 16/05/19 20:23 Pagina 11

12 Capitolo 2
La forma sferica è poco favorevole per gli scambi
con l’esterno; infatti, hanno forma sferica solo or-
ganismi unicellulari molto piccoli, come i batteri.
La forma poliedrica, al contrario, è più favore-
vole per il contatto con l’ambiente circostante ed
è la forma che più frequentemente si ritrova negli
organismi vegetali pluricellulari. Tuttavia, nei ve-
getali possono essere presenti cellule sferiche
molto grandi. In questo caso, il rapporto superfi-
cie/volume chiaramente sfavorevole viene supe-
rato grazie alla presenza del vacuolo centrale: in
tal modo non ci sono zone del citoplasma lontane
dalla superficie.
Il principio grande volume con poco protopla-
sma domina tutta l’anatomia delle piante (Figu-
ra 2.14). La tendenza ad aumentare il più possi-
bile la superficie relativa nei vegetali interessa di-
versi ordini di grandezza: organi, tessuti, cellule,
organuli (Figura 2.15).
Le cellule vegetali possono raggiungere di-
mensioni molto superiori rispetto a quelle delle
cellule animali; generalmente le cellule vegetali
raggiungono e superano i 100 μ m (le dimensioni
di un batterio sono di 0,5-2 μm), ma vi sono cellule
molto più grandi: per esempio, le cellule dell’alga
Chara possono raggiungere gli 8 cm, le fibre di li-
no i 6 cm.
2.5 Differenze tra cellula
vegetale giovanile e cellula
vegetale adulta
Così come ciascun organismo nasce, cresce, si ri-
produce e muore, anche ciascuna cellula presenta
il proprio ciclo di vita, detto ciclo cellulare (Figu-
ra 2.16). In particolare, nelle piante ci sono cellule
che, dopo aver avuto origine dalla divisione mito-
tica di una cellula madre e dopo essersi accresciute
per diventare delle dimensioni della madre (accre -
scimento embrionale), si dividono esse stesse, ori-
ginando a loro volta cellule che seguiranno il loro
stesso destino, le quali, quindi, si accresceranno e
poi si divideranno, e così via... (Figura 2.17). Si
tratta perciò di cellule che non perdono mai la ca-
pacità di dividersi: sono le cellule meristematiche.

Queste cellule mantengono una morfologia tale
per cui vengono definite cellule giovanili.
Viceversa, altre cellule, dopo aver terminato
l’accrescimento embrionale e aver raggiunto le di-
mensioni della cellula madre da cui hanno preso
origine, perdono la capacità di dividersi, si accre-
scono ulteriormente (accrescimento per distensio-
ne) e si differenziano (Figura 2.17). Ciò significa
che queste diventano cellule adulte: subiscono,
quindi, profonde modificazioni della loro morfo-
logia e assumono specifici compiti funzionali. Tali
compiti sono dettati da informazioni di origine
sia genetica sia ambientale.
2.5.1 Morfologia della cellula vegetale
giovanile
Una cellula meristematica è una cellula di piccole
dimensioni (10-15 μm), con un elevato rapporto
nucleo/citoplasma. Le cellule meristematiche so -
no circondate da una parete cellulare sottile, co-
stituita da un’esigua parete primaria di natura cel-
luloso-pectica. Mancano di vacuoli o, quando ci
sono, sono molto piccoli. Hanno molti ribosomi
Organo
Organismo
Tessuti
Cellula
Organulo
Figura 2.15 La tendenza ad
aumentare la superficie relativa
compare a diversi ordini di gran-
dezza: organismo intero, organi,
tessuti, cellule, organuli.
02txtI.qxp_PANCALDI 16/05/19 20:23 Pagina 12

13La cellula vegetale
Figura 2.17 Crescita embrionale e
crescita per distensione di cellule ve-
getali.
Crescita embrionale
Crescita per distensione
Cellula
giovanile
Cellula
adulta
Morte
cellulare
G
0
G
1 G
2
S
M
Citodieresi
Telofase
Anafase
Metafase
Profase
Figura 2.16 Ciclo cellulare di una
cellula vegetale. Dopo la citodieresi,
le cellule figlie iniziano l’accrescimen-
to embrionale. In particolare, nella fa-
se G
1 si verifica una sintesi di materiali
citoplasmatici e di membrana che
conduce al ripristino delle dimensioni
della cellula figlia a quelle della ma-
dre. In fase S si ha la duplicazione del
materiale genetico. In fase G
2 la cel-
lula si prepara alla successiva fase di
mitosi (M). Le fasi della mitosi sono
identiche a quelle della cellula ani-
male. Alcune cellule possono uscire
dal ciclo e andare incontro ad accre-
scimento per distensione e differen-
ziamento (fase G
0). Alcune cellule ve-
getali concludono il differenziamento
con la morte cellulare.
e molti mitocondri; questi ultimi, tuttavia, sono
piccoli e con creste poco sviluppate. Possiedono
plastidi indifferenziati (proplastidi).
Queste cellule, per la loro capacità di continua
divisione, caratterizzano i tessuti meristematici
primari di una pianta (Capitolo 7) e sono le artefici
dell’accrescimento in lunghezza di fusti e radici.
2.5.2 Morfologia della cellula
vegetale adulta
L’accrescimento in lunghezza di fusti e radici di-
pende maggiormente dall’accrescimento per di-
stensione delle cellule che si differenziano, piut-
tosto che dalle divisioni delle poche cellule dei
meristemi primari. Il differenziamento cellulare,
infatti, è accompagnato da un notevole allunga-
mento della cellula, nonché da un imponente au-
mento del suo volume.
In una cellula vegetale, l’aumento del volume ri-
sulta sempre maggiore dell’aumento della massa
citoplasmatica, contrariamente a quanto succede
per la cellula animale. Questo squilibrio è ovviato
dalla presenza di un grosso vacuolo centrale, che
occupa gran parte del volume cellulare e reclude
il citoplasma alla periferia della cellula. In tal mo-
do i rapporti superficie/volume e nucleo/citopla-
sma vengono mantenuti affinché tutta la massa
citoplasmatica possa comunicare con l’ambiente
esterno.
Una tipica cellula vegetale adulta si presenta,
perciò, con le seguenti caratteristiche:
parete cellulare più o meno ispessita e modi-

ficata in base al tessuto di cui la cellula entrerà
a far parte (Capitolo 3);
grosso vacuolo centrale;

plastidi differenziati in tipi diversi in base al ⦁
tessuto a cui la cellula appartiene.
02txtI.qxp_PANCALDI 16/05/19 20:23 Pagina 13

14 Capitolo 2
Esperimento 1
Cellule epiteliali della mucosa orale
Rispetto alle cellule vegetali, le cellule animali sono prive di parete cellulare,
non sono vacuolate e non contengono plastidi. Il nucleo occupa di solito
una posizione centrale.
In questo esperimento viene proposta l’osservazione di cellule di rivesti-
mento della mucosa orale. Le cellule possono essere colorate con Eosina,
un colorante di contrasto che si lega alle proteine, conferendo una colora-
zione rosa.
Materiale occorrente:
ansina sterile; a.
Eosina B; b.
acqua; c.
pipetta Pasteur o pipettatrice; d.
vetrini portaoggetto; e.
vetrini coprioggetto; f.
carta assorbente. g.
Protocollo:
con l’ansina sterile, grattare la mucosa orale della propria bocca; 1.
strisciare il campione sul vetrino portaoggetto; 2.
porre una goccia di Eosina sul campione; 3.
lasciare agire 1-2 minuti; 4.
assorbire con la carta assorbente l’eccesso di colorante direttamente sul vetrino; 5.
aggiungere una goccia d’acqua (lavaggio); 6.
ripetere i passaggi 5 e 6 un paio di volte; 7.
coprire il campione colorato con il vetrino coprioggetto e asciugare l’eventuale ec-8.
cesso di acqua con la carta assorbente;
osservare al microscopio ottico.9.
Sicurezza/attenzione
Le principali fonti di rischio per lo svolgimen-
to di questo esperimento sono dovute all’uso
di materiale tagliente, ovvero dei vetrini.
L’Eosina B è classificata come sostanza non
pericolosa secondo le Direttive CEE.
02txtI.qxp_PANCALDI 16/05/19 20:23 Pagina 14

15La cellula vegetale
Esperimento 2
Nuclei in cellule vegetali
Nelle cellule vegetali il nucleo occupa generalmente una posizione perife-
rica a causa della presenza del vacuolo. In questo esperimento viene pro-
posta l’osservazione delle cellule di rivestimento dei catafilli carnosi di ci-
polla. Il nucleo, organulo traslucido, può essere colorato con Violetto di gen-
ziana, che gli conferisce una colorazione viola intenso.
Materiale occorrente:
catafilli carnosi di cipolla (Allium cepa); a.
pinzette; b.
acido acetico diluito; c.
Violetto di genziana (soluzione idroalcolica 1%); d.
acqua; e.
pipetta Pasteur o pipettatrice; f.
vetrini a lente di orologio; g.
vetrini portaoggetto; h.
vetrini coprioggetto; i.
carta assorbente. j.
Protocollo:
porre su un vetrino a lente di orologio alcune gocce di acido acetico diluito; 1.
porre su un vetrino a lente di orologio alcune gocce di Violetto di genziana; 2.
porre su alcuni vetrini a lente di orologio alcune gocce d’acqua; 3.
fare una spellatura della porzione interna (concava) dei catafilli carnosi del bulbo 4.
di cipolla;
immergere delicatamente la spellatura nell’acido acetico; 5.
lasciare agire per 5-10 minuti (fissazione); 6.
con la pinzetta, trasferire la spellatura nel colorante; 7.
lasciare agire per 5-10 minuti (colorazione); 8.
con la pinzetta, prelevare la spellatura colorata e trasferirla nuovamente nell’acido 9.
acetico; 10.
lasciare agire per 2 minuti (fis-11.
sazione del colore);
con la pinzetta, trasferire la 12.
spellatura in acqua (lavaggio);
ripetere il lavaggio in acqua 13.
per 2-3 volte;
coprire il campione con il vetri-14.
no coprioggetto e asciugare
l’eventuale eccesso di liquido
con la carta assorbente;
osservare al microscopio ottico.15.
Sicurezza/attenzione
Le principali fonti di rischio per lo svolgimen-
to di questo esperimento sono dovute all’uso
di materiale tagliente, ovvero dei vetrini, di
un acido e di un colorante.
Acido acetico glaciale: H226, H290, H314;
P210, P280, P301 + P330 + P331, P305 +
P338, P308 + P310.
Violetto di genziana (soluzione idroalcolica
1%): H302, H318, H341, H350, H410; P201,
P273, P280, P305 + P351 + P338, P308 +
P313, P501 (colorante, polvere); H225, H319;
P210, P233, P305 + P351 + P338 (alcol eti-
lico 99%).
02txtI.qxp_PANCALDI 16/05/19 20:23 Pagina 15

16 Capitolo 2
Esperimento 3
La vita in una goccia d’acqua
Una goccia d’acqua prelevata da uno stagno o da una pozza può contenere
un’innumerevole varietà di organismi viventi, sia animali sia vegetali. È pos-
sibile distinguere un tipo di organismo dall’altro considerando le caratteri-
stiche peculiari dei diversi organismi (forma, dimensioni, organuli ecc.).
Talvolta, tuttavia, la distinzione può essere complessa, come nel caso di
organismi animali unicellulari (Protozoi) in simbiosi con alghe microscopiche.
Materiale occorrente:
campione d’acqua prelevata da uno stagno; a.
pipetta Pasteur o pipettatrice; b.
vetrini portaoggetto; c.
vetrini coprioggetto; d.
carta assorbente. e.
Protocollo:
preparare un vetrino portaoggetto con una goccia d’acqua di stagno; 1.
coprire il campione con il vetrino coprioggetto e asciugare l’eventuale eccesso di 2.
liquido con la carta assorbente;
osservare al microscopio ottico, utilizzando diversi ingrandimenti.3.
Sicurezza/attenzione
Le principali fonti di rischio per lo svolgimen-
to di questo esperimento sono dovute all’uso
di materiale tagliente, ovvero dei vetrini.
02txtI.qxp_PANCALDI 16/05/19 20:23 Pagina 16

17La cellula vegetale
Spunti di riflessione
Procedendo nello studio di questo testo 1.
scoprirai che alcune cellule vegetali adul-
te possono “ringiovanire” in particolari cir-
costanze, riacquisendo la capacità di cre-
scita per divisione. In questi casi, si verifica
un processo detto di sdifferenziamento .
Processi di sdifferenziamento sono fonda-
mentali per permettere la crescita in spes-
sore di fusti e radici, oltre che per con-
sentire alla pianta di “riparare” le ferite.
Hai mai sentito parlare delle “piante sas-2.
so”? Si tratta di piccole piante succulente
dall’aspetto così tozzo che possono essere
addirittura confuse con i sassi che le cir-
condano. In queste specie, il basso rap-
porto S/V a livello di organismo comporta
una ridotta possibilità di scambio con
l’esterno e favorisce il risparmio di acqua
nell’ambiente torrido del deserto.
A livello microscopico, invece, continua a
valere anche per queste insolite piante il
principio generale “grande volume con
poca sostanza vivente”.
Distinguere a livello microscopico le cel-3.
lule dei Protozoi dagli organismi unicellu-
lari vegetali a volte può risultare arduo.
Tale è stato il caso della Cyanophora pa-
radoxa che per molto tempo è stata con-
siderata un Protozoo contenente Ciano-
batteri simbionti. Oggi, grazie agli studi
di microscopia elettronica e di biologia
molecolare, viene classificata come ap-
partenente alle alghe Glaucophyta.
02txtI.qxp_PANCALDI 16/05/19 20:23 Pagina 17

02txtI.qxp_PANCALDI 16/05/19 20:23 Pagina 18

Spiegare l’importanza della 1.
parete per la cellula vegetale.
Presentare le tappe della bio-2.
genesi parietale.
Mettere in relazione le modi-3.
ficazioni secondarie della pa-
rete con le specifiche funzioni
svolte dalle cellule.
3
La parete cellulare
OBIETTIVI
DEL CAPITOLO
3.1 Generalità
La parete cellulare è una caratteristica distintiva
delle cellule vegetali. Non hanno parete cellulare
le zoospore e i gameti di Alghe e Funghi, né le
cellule gamiche delle Piante superiori.
3.2 Funzioni
La parete cellulare ha quattro funzioni fonda-
mentali:
protegge il protoplasto; 1.
svolge una funzione meccanica; 2.
è responsabile della forma della cellula; 3.
controbilancia la pressione di turgore. 4.
3.3 Biogenesi della parete
cellulare
La parete si forma ex novo e la sua formazione
avviene in tre momenti (Figura 3.1):
formazione della lamella mediana; 1.
formazione della parete primaria; 2.
formazione della parete secondaria. 3.
3.3.1 Formazione della lamella mediana
Durante la mitosi, in anafase, ai microtubuli del
fuso mitotico, in posizione mediana e parallela-
mente a essi, si aggiungono, in direzione centri-
fuga, microtubuli più corti a costituire un’impal-
catura denominata fragmoplasto. I microtubuli
del fragmoplasto servono per orientare e guidare
nella giusta posizione, sempre in direzione cen-
trifuga, vescicole provenienti dall’apparato di
Golgi. Queste vescicole, appaiate le une accanto
alle altre, in un secondo momento si fonderanno
tra loro e le più periferiche si fonderanno con il
plasmalemma. Durante la fusione delle vescico -
le il fragmoplasto si dissolve. A questo punto la
cellula è entrata in telofase e tra le due cellule
figlie rimane un setto che non appartiene né al-
l’una né all’altra, ma sta semplicemente nel mez-
zo: è la lamella mediana. La lamella mediana ha
la funzione di tenere adese le cellule tra loro nel-
la formazione del tessuto. Questa funzione, de-
finita cementante, è dovuta alla composizione
03txtI.qxp_PANCALDI 16/05/19 20:25 Pagina 19

Other documents randomly have
different content

Everything, therefore, depended upon the security of the pipe-line,
and the idea which was in the minds of many who opposed the
scheme as to the possibility of supplies being cut off by the activities
of the insurgents, was by no means a mistaken one; the pipe-line
was, in fact, partially destroyed, and the transport of fuel oil held up
for a long time.
As a nation, we have all along had to depend upon imported
petroleum products, and, inasmuch as our supplies could be drawn
at will from a variety of producing countries, the idea that we might
at one time find ourselves cut off from supply does not appear to
have occurred to many. No sooner had the war started, however,
than we found, owing to the closing of the Dardanelles, that both
Russia and Roumania could no longer attend to our requirements,
while the Far East, owing to the great ocean journey necessitated to
this country (and the quickest way lay through the Mediterranean)
could not maintain regular shipments with us. It is fortunate that we
found the United States willing, and from the start very desirous, to
do all that was possible to help us out of a difficulty; while Mexico,
with its wealth of British oil interests, catered in every way for the
meeting of the enormous demands we made upon its resources.
To say that petroleum products have played a highly-important part
in the conduct of the war is but to under-estimate facts. The
importance of their part has been equal to that of the supply of guns
and shells, and, when the statement was made in the House of
Commons in 1917 that adequate supplies of petroleum were quite as
essential as men and munitions, petroleum’s part was then not over-
stated. Rather would I say it was on the contrary, for, had there
been at any time a dearth of any classification of petroleum
products, then the vast naval and army organization, both on and
across the water, would immediately have lost its balance, and our
great fighting units would automatically have become useless. Just
think of it for a moment.

To-day, our great naval fighters—take the Queen Elizabeth, for
instance—rely upon fuel oil for purposes of power, while our second
and third line units must also have it, for, whether it be fuel oil or the
lighter products of the oil refinery—I refer to motor spirit—it matters
not, so far as supply is concerned. The whole of our winged fleets in
the air must, of necessity, be useless unless they can regularly draw
large quantities of motor spirit, and the volume they consume, even
on a single trip, would surprise many, though it is not possible here
to enter into figures.
At first sight one might be inclined to think that, apart from
petroleum products being a very useful adjunct to the organization
of battles on land, their use is not of a very real nature, but, if we
pause for one moment, our first impressions are disillusioned.
It was my privilege at the end of 1917, thanks to the kindness of the
British Foreign Office, to pay a visit to the fronts of France and
Flanders, and there to have an opportunity of seeing the part which
petroleum products did actually play. The immensity of this
importance cannot be easily grasped, nor easily described. We all
know the remarkable progress which had been made in regard to
the extension of the railway systems throughout the zones of battle,
but it will surprise many to learn that it was when the rail-heads had
been reached, and between there and the real battle front, that
motor spirit had the realm of transport to itself. Tens of thousands of
heavy motor vehicles took up the work of transport when it left the
railway, and it was this service that was required to see not only that
our millions of men daily received their food, but each and every sort
of ammunition also. But it was not even when the front line of battle
was reached that motor spirit had finished its work. Those great
machines of war—the tanks—had to remain stationary if they were
not fed by large supplies of spirit, while petroleum, too, took a
primary position in the making of the liquid fire which now and again
we heard of as causing such havoc to Fritz. But, at its best, the
railway was somewhat slow at the Front, no doubt owing to the
enormous congestion which was inseparable from the reign of a

state of war. Consequently, whole fleets of motor vehicles were
employed day and night in a ceaseless stream of traffic, from the
coastal ports right up to the zone of battle. Without divulging
secrets, it is safe to say that that branch of the service alone
demanded millions of gallons of motor spirit weekly.
Both after as well as before battle, the products of petroleum were
essential, for, when the Red Cross vehicles took up their humane
work of transporting the wounded heroes of the fight, those, too,
called for innumerable quantities of motor spirit. And when darkness
had fallen the oil lamp came into general use. It was to be found
wherever there was a vestige of life in those zones of battle: the
soldiers in their, at times, lonely dug-outs, used oil for cooking as
well as for light, and all vehicular traffic was guided from disaster
along the roads by the use of oil, which also offered the only source
of artificial light in the Red Cross vehicles. What an immense
organization it was which depended for its ceaseless activities upon
the products of petroleum!
One day, while at General Headquarters, I expressed a desire to see
the methods by which all that world of activity secured its necessary
supplies of petroleum products regularly, when once they had
arrived in France in bulk. A few days later, I was, accordingly,
allowed to visit the immense central depot at Calais, at which all the
petroleum products required for use in the organization of transport
were dealt with. It is safe to say that at no centre in the world did
there exist such an extensive petroleum depot, nor anywhere else
was there an organization upon whose perfect working so much
depended. Though motor spirit necessarily occupied the first position
of importance, practically the whole range of products was dealt
with. The motor spirit was received in bulk, but at the depot had to
be measured into the familiar 2-gallon can (which was made on the
spot) and sent up country in special trains each day. Specially
coloured tins denoted the best quality of the spirit, and it was that
which was reserved for the numerous aerodromes in France and
Flanders. The magnitude of that branch of the depot might be

guessed when I state that at the time of my visit considerably over
2,000,000 2-gallon petrol tins were being either stored or filled for
up country dispatch.
All kinds of lubricants were also essential for the purposes of war, for
even motor spirit itself would be of little use for the internal
combustion engines, if the engines could not secure their regular
supplies of lubricating oils. These, too, had to be dispatched with
remarkable regularity to every section of the battle zones, whilst, as
I have suggested earlier, the daily requirements of war necessitated
the distribution of illuminating oil in large quantities.
But no reference to petroleum’s part in the great European war
would be complete were it not to include mention of the way in
which supplies of toluol assisted in securing victory to the Allies.
Toluol, as is known, is necessary for the production of high
explosives, and in the early stages of the great conflict, the output of
high explosives was considerably restricted by the absence of
sufficient quantities of this necessary explosive primary.
It was at that time that a discovery of the utmost importance was
made, for, as the result of investigations carried out at the
Cambridge University, it was found that the heavy petroleums of
Borneo contained large percentages of toluol.
Sir Marcus Samuel, Bart., the Chairman (and the founder) of the
Shell Transport and Trading Company, Ltd., lost no time in apprising
the British Government of the discovery, for it is in the Borneo oils
that the Shell Company and its allied concerns are chiefly interested.
The offer for the delivery of these immense quantities of toluol was
eagerly accepted by the British and Allied Governments, and from
that time onward, the supply of high explosives was practically
unlimited.
The French and Italian Governments have asserted that, but for this
specific offer of toluol, the manufacture of high explosives would

have had to remain so limited, that it would have been impossible to
bring about an Allied Victory in 1918. Their thanks were publicly
extended to the Shell Company at the conclusion of hostilities, and
Mr. H. W. Deterding and the Asiatic Petroleum Company were
specially thanked, while as far back as 1915, Sir Marcus Samuel,
Bart., received the thanks of the British Government for his
invaluable war services. It was only after the firing of the guns had
ceased on all Fronts, that it was permissible to record in what a
remarkable manner these services were rendered.
The exigencies of space have prevented my dealing, excepting in the
most brief manner, with this interesting subject: I only hope I have
succeeded in showing that, in times of war, as well as in those of
peace, petroleum products occupy the position of first importance.

CHAPTER XII
THE SCOTTISH SHALE-OIL INDUSTRY
In view of the great interest which is now being centred in the
production of petroleum in the British Isles—thus making this
country to a large extent less dependent upon foreign sources of
supply—the Shale-oil Industry of Scotland is assuming a new
importance, for the reason that it is in the direction of the
development of new oil-shale areas in several parts of the country
that experts look with a great amount of confidence.
It is specially interesting, therefore, to deal at some length with the
growth of the industry, the methods by which the oil shales are
operated, and the prospects for its extension.
The name of Dr. James Young, of Renfrewshire, will ever be
associated with the commercial exploitation of the oil-bearing shales
in the Midlothians, for it was due to his enterprise that the Scottish
shale-oil industry really owed its birth and much of its later
development. It was while Young was managing a chemical works at
Liverpool that his attention was drawn to small flows of oil which
came from a coal seam at Alfreton, in Derbyshire. This was in 1847,
and after experimenting with the liquid, Young succeeded in
extracting therefrom on a commercial scale both a light burning oil
and a lubricant, as well as wax. When the supply became exhausted,
Dr. Young had an idea to imitate the natural processes by which he
believed the oil had been formed. The outcome of this was the well-
known Young patent for obtaining paraffin oil and other products
from bituminous coals at slow distillation.
The Young process was utilized with much success in the United
States until such time as it became unprofitable owing to the largely

increasing production in America of liquid oils obtained direct from
the earth. It was about this time that a bituminous mineral known as
Boghead coal, and existing in the Midlothians, was discovered, and
from this Young secured upwards of 100 gallons of oil from each ton
treated, but soon this mineral was, in a practical sense, exhausted,
and so the bituminous shales, now known as oil-shales, came in for
attention. Before passing away from Dr. Young’s services in
connection with the establishment of the Scottish shale-oil industry,
it should be mentioned that he figures very largely in more than one
of the earlier Scottish shale concerns. He founded the Bathgate Oil
Company, which, in the zenith of its operations, treated 1,000 tons
of shale daily, this Company being later merged into the Young’s
Paraffin Light and Mineral Oil Company, Ltd., one of the large
Scottish shale-oil undertakings and well known throughout the world
to-day.
The Scottish shale-oil fields, as exploited to-day, cover a belt of
territory which is about 6 miles broad and stretches from Dalmeny
and Abercorn, on the Firth of Forth, southwards across the fertile
tract between the River Almond and the Bathgate Hills to the
moorland district of Cobbinshaw and Tarbrax. Throughout this region
there are various important mining centres, such as Broxburn,
Uphall, East Calder, Mid-Calder, West Calder, and Addiwell; and in
connection with the shale-oil industry, upwards of 25,000 persons
now find regular employment.
The shale measures on which the shale-oil industry depends, form
part of the calciferous sandstone series of Mid and West Lothian and
the southern coast of Fife. The carboniferous system of Scotland
may be arranged in descending order in four divisions, as under—
4. Coal measures, comprising red sandstone, shales, and marls with
no workable coals, underlaid by white and grey sandstones and
shales with numerous valuable coal seams and ironstones.

3. Millstone grit, consisting of coarse sandstones, with beds of
fireclay, a few thin coals, ironstones, and thin limestones.
2. Carboniferous limestone series, embracing three subdivisions, the
highest of which contains three or more limestones with thick beds
of sandstone and some coals, the middle includes several valuable
seams of coal and ironstone, and the lowest is characterized by
several beds of marine limestone with sandstone, shales, some
coals, and ironstones.
1. Calciferous sandstone series, forming two subdivisions. The upper
is known as the oil-shale group, and is over 3,000 feet in thickness,
and contains, in its highest part, beds of coal, usually of inferior
quality, and, farther down, about six main seams of oil-shale, inter-
stratified with beds of sandstone, shale, fire-clay, marl, and estuarine
limestones.
Although the calciferous sandstone series is well developed in other
parts of Scotland, it has not hitherto yielded any oil-shale of
economic importance beyond the limits of West Lothian, Mid Lothian,
and Fife. Thin seams of oil-shale do occur in various places in the
counties of Haddington and Berwick, but, generally speaking, the
quantity is not sufficient to be practically worked.
A word or two as to the oil-shales themselves. The shales, as known
in the Lothians, are fine black or brownish clay shales, with certain
special features which enable them to be easily distinguished in the
field. Miners draw a distinction between “plain” and “curly” shale,
the former variety being flat and smooth, and the latter contorted or
“curled,” and polished or glossy on the squeezed faces. In internal
structure, oil-shale is minutely laminated, which is apparent in the
“spent” shale after distillation, when it is thrown out in fragments,
composed of extremely thin sheets like the leaves of a book.
Before touching upon the methods employed in mining the shale
and the treatment it receives during distillation, it is interesting to

note that the industry in Scotland has passed through many
vicissitudes since its establishment. At that time, the American oil
industry was but in its infancy, and the production in the States was
utilized mainly on the American markets. Consequently, there was a
great demand for the Scottish oils in this country, and in 1870 there
were no fewer than ninety small oil-works in the Lothians, the
majority of which were operating the shales. It was about this time
that the American illuminating oil came over to this country, and a
very sorry blow was dealt the Scottish industry. So disastrous was
the resulting competition between the Scottish products on the one
hand, and the American and Russian petroleums on the other, that
one by one the Scottish companies closed down, and, after less than
eight years of competition, the number of operating companies had
fallen to twenty-six. The decay continued until the number of active
concerns in the Scottish shale-oil industry could be counted on one’s
fingers.
The industry exists to-day simply as a result of the great
improvements which have been made in the retorting of the shale,
by which larger quantities of products are produced—including
ammonia. It is thus able to withstand foreign competition.
To-day, it is estimated that nearly 4,000,000 tons of the Scottish
shales are treated every twelve months by the several operating oil
companies. The most important of these concerns—the
Pumpherston Oil Company—has been regularly operating since
1883, and, inasmuch as it deals with by far the largest quantities of
shale treated, a brief account of its operations will be of advantage
in enabling the reader to understand the methods by which a total
of nearly 400,000 tons of oil are produced each year in Scotland.
The operations of the Pumpherston Oil Company are upon a scale of
considerable magnitude, for the Company’s works comprise the
crude oil plant, the sulphate of ammonia plant, oil and wax
refineries, etc. The Seafield and Deans works, 7 and 4 miles distant
respectively, possess only crude-oil and sulphate-producing plants,

the refining plants being confined to Pumpherston. The Company’s
works cover 100 acres, while the shale fields extend over many
thousands of acres in and around the district of Pumpherston.
As has already been mentioned, the shale fields so far operated lie,
in the main, in the Lothians, and, as one motors by road from
Edinburgh to Glasgow, the shale country is passed through. Before
the commercial development of a shale field, trial borings are sunk,
now more generally by means of a diamond bore, for by its revolving
action a solid core is obtained which readily shows the character and
inclination of the strata passed through. When a seam of shale has
been found by boring operations, and the exact position and depth
of outcrop determined, it is necessary, before sinking a mine, to put
down a trial shaft for the purpose of making sure as to the true
gradient at which the shale is lying, and the thickness as well as the
quality of the same.
In the shales in the Pumpherston district there are five distinct
seams, dipping from 29 degrees to 38 degrees, and the mine is
driven in the middle seam, the other seams being entered by level
cross-cut mines driven from one to another. Each of these seams is
worked separately, the cross-cut shown in the sketch serving the
purposes of communication and transit. In some cases, where the
inclination of the shales is at a different angle, it is necessary to sink
a vertical shaft, and this method is applied to the series known as
the Mid-Calder.
The usual dimensions of the inclined shaft are a width of from 10 to
12 feet, and the height is from 6 to 8 feet. If the sides of the shaft
prove to be of a soft nature, as is generally the case with the shale
at the crop, walls are run up and the roof is supported by larch
crowns, but, where the shale is hard and the roof good, then the
less costly method of timbering is adopted.
The supports to the roof in many cases are fixed “centre” fashion,
dividing the shaft into two unequal parts. The smaller division has

generally a width of just over 3 feet, and is used for haulage ropes
and water pipes, while the larger division is utilized for winding.
During the progress of sinking, levels are broken away in the seam
at regular distances, and driven so as to get communication with,
and drive headings to form, the outer mine. These headings are
driven in the same direction as the sinking mine to the levels above,
until they connect with the outer mine or shaft. The outer mine is
then used for winding the shale up to the surface, and the other is
kept for sinking purposes, and by this means winding and sinking
can go on simultaneously.
GENERAL VIEW OF THE PUMPHERSTON WORKS
The seams of shale in the Midlothian fields vary generally from 4 to
10 feet in thickness, say 7 feet as an average, and, on the whole,
they are comparatively free from ribs of unproductive rock. With a
thickness of 7 feet, experience has shown that the method best
adapted for the efficient working of the shale is “stoop and room,”
but in the case of two seams of shale, separated by a bed of foreign

material of sufficient thickness for packing, the long wall method
proves the more suitable. The “stoop and room” method, however, is
more generally used throughout the Scottish shale district than any
other, its chief characteristics being the (1) “whole” or first working,
and (2) the broken or second working. The whole working consists
of a series of excavations made in the shale, whereby it is divided
into rectangular blocks or pillars. These excavations are called
rooms, one set being driven at right angles to the dip of the shale
and at regular distances from one another, and commonly called
“levels”; another set, driven to the rise of these levels and at right
angles to them, being usually known as “ends” or “upsets.” The
latter are broken off the levels at regular intervals and driven
upwards to meet the levels above.
The shale miner holes as far as he can reach—probably three or
more feet—and brings down the shale by blasting, the process being
repeated until he penetrates a distance of from 9 to 12 feet from the
face at road-head. The shale, being loosened from its natural bed, is
then placed in “hutches,” which are taken to the bottom of the shaft
by either horse or chain haulage (much as with coal), and then the
journey to the mouth is commenced. Before leaving the question of
shale mining, it should be explained that the shale miner is subject
to dangers much as his colleague in the coal-pit, but the volume of
gases found in the shale seams is not so great as in the coal
measures. These, however, are of an explosive nature, the most
common being fire-damp.
Once above ground, the shale is conveyed to breaking machines by
endless wire-rope haulage. Passing through the machines, it is
broken into suitable sizes for distillation, and drops into hopper-
shaped hutches. These hutches have a capacity of about a ton, and
each in turn is conveyed to the top of the retorts on an inclined
scaffold by an endless chain. The shale then falls by the operation of
a lever into a hopper or magazine communicating directly with the
retorts, one hopper with a storage capacity of 24 hours’ supply of
shale being connected to each retort of the Pumpherston Company.

This Company’s retorts—they are patented—are in use at the various
works of the Pumpherston Company, and are an interesting feature
to visitors. The shale is fed by gravitation into cylindrical-shaped
retorts, and built vertically in ovens of four, each oven having four
chambers. The upper portion is of cast-iron, 11 feet long by 2 feet in
diameter at the top, and slightly enlarged toward the bottom. Heat is
applied externally from the incondensable gases obtained from the
distillation of the shale, and this heat is made to circulate round the
retort. In the case of the poorer qualities of the shale, however, the
heat is assisted by producer-gas. The heating gas enters near the
bottom portion of the retort, which is of fire-brick, along with a
certain quantity of air, and a high temperature—from 1,200°F. to
1,600°F.—is maintained, in this portion converting the nitrogen of
the shale into ammonia, which is preserved by a continuous supply
of steam delivered at a slight pressure at the bottom of the hopper.
The oil gases are distilled from the shale in the cast-iron portion of
the retort at a temperature of about 900° F., and, along with the
ammonia gas, are drawn off by the exhausters through a branch
pipe at the top of the retort, through the atmospheric condensers,
from which the condensed liquid oil and water containing ammonia
flow into a small separator tank. It is here that, owing to their
different specific gravities—for one is lighter than the other—they
assume different levels, and are thus drawn off into separate tanks.
The gases then pass through ammonia scrubbers, in which they are
washed for ammonia, and then through the naphtha scrubbers,
where the lighter gases, which could not be caught in the
atmospheric condensers, are washed with oil and a good quality of
light oil or naphtha is recovered. The incondensable portion passing
from these scrubbers is burned in the retorts as previously
mentioned. With a shale of average yield, the retort can be heated
by these incondensable gases from the distillation, and a surplus
obtained for burning under steam boilers.
What is doubtless a very unique feature of the Pumpherston retort is
the mechanical arrangement for withdrawing the spent shale

continuously, and thus keeping the whole mass inside the retorts in
constant movement. Below each pair of retorts is fixed a hopper
made of cast-iron, and fixed to girders supported on the brick piers
or columns between the ovens. At the top of each hopper, and
immediately underneath the bottom of the retorts, is fixed a cast-
iron disc or table, with a space left between its edge and the sides of
the hopper. The whole mass of shale in the retort rests upon the
table, the space permitting some to pass over the edge. Through the
centre of the table a steel spindle projects, on the upper end of
which is fixed a curved arm, and this, when rotated, pushes some of
the shale off, causing it to fall over the edge of the table into the
hopper below. The shaft carrying the curved arm passes through a
stuffing-box on the hopper, and has a ratchet and lever fitted to the
lower end, actuated by a rod of T-iron which is made to travel
horizontally, and is driven by a small electric motor. The motion is
comparatively slow, the arm making but one revolution in about 20
minutes, but the action is most satisfactory, the through-put of shale
being regulated at will.
The ammonia water got from the atmospheric condensers is pumped
through a heater, in which it is raised in temperature by the waste
water flowing from the still, and passes into the top of the still,
which is circular in shape, about 30 feet high, and has a series of
cast-iron shelves or trays fixed horizontally every 2 feet or
thereabouts from the top to near the bottom. Steam is put into the
bottom of the still at a pressure of 40 lb., and passes to the top
through a series of conical arrangements on the shelves carrying
with it the volatile ammonia, while the water, after traversing the
whole area of each tray, passes out into a concrete tank containing a
cast-iron worm, which is the heater already referred to, for the
ammonia water on its way to the still. During its progress from the
top to the bottom of the still, the water is diverted into a chamber
containing milk of lime, setting free the fixed ammonia which cannot
be got by steaming.

The steam and ammonia gas liberated in the still pass over into a
large lead-lined tub or saturator, and bubbles through holes in a lead
worm placed round the circumference at the bottom of the vessel.
Sulphuric acid is at the same time run into the saturator, and, at a
certain temperature, sulphate of ammonia is formed. The sulphate
falls into a well, formed in the centre of the bottom of the vessel, in
which are placed two steam ejectors, and these blow it out along
with some liquor. This mixture is delivered into hutches having
perforated bottoms, through which the ammonia liquor drains off,
the solid sulphate being left in the hutch. This is now run by an
overhead railway to the drying or storage stalls, and from these it is
packed up and dispatched to the market. The exhaust steam and
waste gases from the saturator are passed into the retorts, and
utilized for the formation of ammonia from the shale, while the spent
water is pumped to the spent shale bing, and thoroughly filtered
before being allowed to escape from the works.
For dealing with the weak acid water recovered from the refinery,
the Pumpherston plant consists of lead-lined tubs or crackers, into
which a quantity of the acid water is run, and saturated with
ammonia gas until it is near the salting point, when it gravitates into
settling vessels in order to separate any tar carried over with the
acid water. The clear liquid is then drawn into the saturator, where it
is quickly converted into sulphate and blown out in the manner
already described.
So up to date is the whole of the system governing the treatment of
the shales and the resulting products, that the pumping of water
from the mines, the haulage of the shale to the refineries, as well as
driving of machinery in the works, is performed by electric power,
the exhaust steam from the engines driving the generators, as in the
case of the sulphate of ammonia exhaust, being sent to the retorts
for use in the production of ammonia.
The process of refining the crude oil obtained from the shale into the
various products is somewhat complicated and perplexing to those

unassociated with the industry on account of the many distillations
and treatments which have to be carried out before a good
marketable article is produced. The following outline, however, will
give a fair idea of the process adopted throughout Scotland.
The crude oil is delivered at the refinery into large tanks, which are
placed at a sufficient height to feed the stills by gravitation. The
crude oil is allowed to settle for twelve or more hours at a
temperature sufficiently high to separate any water that may have
passed the test at the retorts, and after this water has been run off,
the oil is fed into the centre boiler of a battery of oil boilers. The
lightest fraction of the oil—ultimately motor spirit and illuminating
oils—is distilled off the feeding boiler and condensed in a coil of cast-
iron pipes immersed in water in a tank, cold water being
continuously run into the tank, while heated water is run off. The
boilers on each side of the feed vessel receive their oil by a pipe
connecting with the bottom of the latter, and they also distil over the
lighter portion of oil with which they have been fed, the heavier
portions passing on to a third boiler, where the process of distillation
is repeated.
The oil now left is delivered into a cast-iron pot-still, in which it is
ultimately distilled to dryness, the residue left in the still forming oil
coke, which is valuable as a fuel on account of its high percentage of
fixed carbon and low yield of ash. Steam is admitted to the still in
large quantities at all distillations. The various stages of distillation
are carried through in almost identically the same manner as that of
crude oil, and, therefore, need not be described in detail.
The treatment or washing of the oil to remove the impurities that
cannot be eliminated by distillation, consists in stirring the oil by
compressed air for a given time in an iron vessel, with a fixed
quantity of sulphuric acid, allowing it to settle, and running off the
heavy mixture of tar and acid which separates. The acid-treated oil
is then run into another similar vessel, treated with a solution of
caustic soda, settles, and the soda tar which separates is run off.

The acid tars are steamed and washed, the resulting acid water
being sent to the sulphate of ammonia house for the manufacture of
sulphate of ammonia, whilst the tar is mixed with that from the soda
treatments and burned under the stills as liquid oil. As there is more
than sufficient of this tar to distil all the oil at the various stages, the
distillation is carried out without cost for fuel, excepting that
necessary for steam-raising purposes.
A portion of the oil distilled at the second distillation, or green oil
stage, is sent from the stills to the paraffin sheds to be cooled and
the scale extracted, this eventually being made into paraffin wax.
Stored in tanks until brought down to atmospheric temperature, the
oil is pumped into the inner chamber of a cooler, which consists of a
series of four vessels having inner and outer compartments. At the
same time, anhydrous ammonia is forced into the outer
compartment or jacket, and absorbs heat from the cooler, freezing
the oil in the inner jacket into a pasty mixture of liquid oil and solid
crystals of wax.
This mixture is then pumped into filter-presses, where a portion of
the oil flows away through the cloth, while the wax is left behind in
solid cakes, still containing a quantity of oil. These cakes are
delivered by conveyors to the back of the hydraulic presses, where
they are wrapped in cloth and placed on shelves between iron
frames in the presses, most of the remaining oils being thus
squeezed out. The material obtained from the hydraulic presses is
known to the trade as paraffin scale, and as it is discoloured by the
small quantity of oil which cannot be removed by pressing, a process
of sweating by steaming in large brick compartments is adopted, in
order to remove the oil. The scale, consequent upon the removal of
the oil therefrom, becomes whiter and of higher melting point, and
after further treatment is finally passed through filter paper and run
into moulding trays. When cooled, this product is known as paraffin
wax, of which there are many grades. One cannot enter into the
technical arrangements involved, for obvious reasons, the chief one
of which is that these cannot interest the reader; but sufficient has

already been written in this chapter to suggest to the reader the
perfection which has now been reached in the treatment of the
shales of the Midlothians.
As to the future, it is full of promise. There is no doubt that for many
years to come the full force of foreign competition, as it has existed
in previous times, will not be felt. There is a free field for Scottish
enterprise in connection with the distillation of its oil-bearing shales.
Nor is the region for development limited to its present area. Reports
point to the fact that much area of commercial ground exists, not
only on the eastern side of Scotland, but also in the north and north-
west, while it is already an open secret that those responsible for the
conduct of Government operations are viewing with favour even the
liquid extraction of oil from certain areas not far distant from the
zone of the present operations. The Scottish shale-oil industry has,
so far, managed to defy competition from abroad to an extent which
is reflected in the balance sheets of the several operating
companies, whose yearly dividends have been from 50 per cent.
downward during recent years.
One thing is certain, and that is, the Government is well aware that
there are great possibilities associated with the shale-oil industry of
Scotland, and it is not only watching developments with direct
interest, but is doing all in its power to foster the industry, and by all
means possible encourage the exploitation of areas so far not
commercially developed. At some future date there is a great
possibility that the present area for developments will be largely
extended, and as this is written, there is much evidence forthcoming
to suggest that this commercial development of new lands will not
long be delayed.

CHAPTER XIII
A FEW NOTABLE PETROLEUM ENTERPRISES
No brief survey of the petroleum industry would be complete were
reference not made to a few of those remarkable commercial
undertakings in various parts of the world whose interests are not
only closely associated with it, but to whose energies has been due
much of the expansion that has been witnessed in every direction
during the past few decades. It is safe to assert that, had it not been
that the petroleum industry has, in its various industrial and
commercial aspects attracted the attention of some of the finest
financial and business houses in the world, the wonderful progress
which has been recorded would, for the most part, have been
impossible.
The first place must of necessity be given to that much maligned
amalgamation of capital, the Standard Oil Company of New Jersey,
which was formed as far back as 36 years ago by Mr. John D.
Rockefeller and his associates for the primary purpose of
developments in the petroleum industry of the United States. At that
time, the petroleum production of America had become quite a
factor in commerce, but it was, obviously, in want of a guiding hand
which could not only place it upon a basis of solidity, but which
would tend to remove much of that gambling element which had
become almost part and parcel of all developments. The Company,
at the head of which were several gentlemen who had already made
themselves famous in the land of oil, launched out in several
directions, and, through the numerous subsidiary concerns which it
soon created, it owned very extensive oil-bearing properties in
practically every oil-field of the States, while it built quite a network
of pipe-lines for the conveyance of the oil from the fields to the
refineries, and from the refineries to seaboard. It erected and

equipped oil refineries, and, so as to provide the much-needed
foreign markets for American petroleum products, it built its fleet of
oil tankers; and, lastly, opened depots for the distribution of
American petroleum products all the world over.
At one time, the ultimate success of its vast operations was open to
question, and many there were who predicted that one day it would
ignominiously pass on to the list of oil failures. Indeed, it nearly
came to this on one or two occasions, and it was only owing to the
remarkable perseverance of those at the head of the Company’s
affairs that prevented headlong disaster. The Standard Oil Company
soon became an integral part of the petroleum industry of the United
States, with which it grew up and steadily assumed a position of
world-wide importance, though one which was not unassailable. Its
ultimate success was the chief cause for the multiplication of its
critics, and volumes have been written of its wrong-doings by writers
whose knowledge of the petroleum industry was mostly based upon
wilful ignorance of facts. Consequent upon a decision of the United
States Supreme Court some seven years ago, which held that the
Company was violating the Anti-Trust Law of 1890, the Standard had
to rid itself of its various subsidiary companies (over thirty in
number), but it still controls almost a similar number of concerns to-
day which are actively engaged in the production of crude oil and
natural gas. It also owns several of the largest refineries in the
States, while its fleet of oil tankers will, when present building is
completed, be considerably over 300,000 tonnage. Its capital is
$100,000,000, and during the last twelve years it has paid in
dividends over 400 per cent., in addition to an additional cash
distribution of 40 per cent.
The Standard Oil Company of New York is another immense concern
which, with a capital of $75,000,000, has its headquarters in the
Standard’s palatial building at 26 Broadway, New York, and
interested principally in the refining industry, its facilities permitting
of 20,000 barrels of crude oil being treated daily. Another very
prominent company is the Standard Oil Company of California, with

Welcome to our website – the perfect destination for book lovers and
knowledge seekers. We believe that every book holds a new world,
offering opportunities for learning, discovery, and personal growth.
That’s why we are dedicated to bringing you a diverse collection of
books, ranging from classic literature and specialized publications to
self-development guides and children's books.
More than just a book-buying platform, we strive to be a bridge
connecting you with timeless cultural and intellectual values. With an
elegant, user-friendly interface and a smart search system, you can
quickly find the books that best suit your interests. Additionally,
our special promotions and home delivery services help you save time
and fully enjoy the joy of reading.
Join us on a journey of knowledge exploration, passion nurturing, and
personal growth every day!
ebookmasss.com