«È grande, grande assai,» disse sottovoce il maligno deputato
toscano, con una malinconia nell'accento.
«Pare che dorma,» rispose anche sottovoce Sangiorgio, come se
parlasse in una chiesa.
«Dormire? Non se ne fidi, non dorme, ella se ne sta quieta e guarda
e pensa. Vede laggiù, lontano, a sinistra, quella cupola chiara chiara
che si confonde nella bianchezza del cielo? È San Pietro. L'ha visto?
Sì. Una grande chiesa, deserta e inutile, nevvero? Dopo San Pietro,
un grande gruppo di edifici, quà e là tagliati dal verde dei giardini:
sembrano piccoli, di quà, quegli edifici e avvolti in un sonno
profondo. È il Vaticano, quello: vi è il papa, là dentro. Ha
settant'anni, è gracile, soffre, la morte gli è sopra, che importa? Egli
è forte. Quanta gente crede in lui, tende a lui le mani, si prostra
innanzi a lui, prega nel suo nome, muore nel suo nome! Noi
contiamo, esultanti, le schiere degli atei e degli scettici: chi può
contare quelle dei credenti? Ci crede Lei, in Dio, onorevole?»
«No.»
«Neppur io. Ma il papa è forte. Egli ha per sè gl'infelici, gli sciocchi,
gli umili, i giovanetti, le donne: le donne che si trasmettono di madre
in figlia, non la religione, ma il culto. Le pare che si dorma, laggiù,
sulla sponda del fiume, in quel grande palazzo dove Michelangelo ha
dipinto? È il Vaticano, quello: tutta una idea colossale a cui serve, da
cui si dirama una popolazione di cardinali, di vescovi, di parroci, di
preti, di monache, di frati, di seminaristi, di chierici, e costoro non
pregano, non officiano, non cantano soltanto: stanno nelle case,
penetrano nelle famiglie, insegnano nelle scuole, essi stessi amano,
odiano, godono, vivono, per sè e per il loro interesse, per la Chiesa e
pel papa! Chi può misurare la loro forza, la loro espansione, la loro
potenza?»
«Roma non crede,» interruppe Sangiorgio.
«Non parlo di fede, io. Glorifico la religione, forse? La grande fola è
finita, ma l'interesse umano vive e si moltiplica. Noi passiamo
accanto a questo grande fermento e non ce ne accorgiamo. Viviamo