pensiero, il cuore gli batteva come a venti anni, gli ardeva le vene
una febbre impaziente. Si rimproverava di non aver fatto prima tutto
ciò, pensava che avrebbe potuto trascorrere felice, amato e
benedetto, tanti lunghi anni passati invece a rodersi l'anima in una
sterile sfiducia. Provava un benessere insolito, una novissima gioia;
gli pareva d'uscire da una lunga malattia, e che le forze gli
ritornassero d'un subito più gagliarde di prima. Non era illusione; il
pentimento è la forza dei deboli.
La notte era lenta a passare; Mario doveva partire al mattino.
Egli se lo immaginava nella sua cameretta, addormentato, e pensava
che due sole stanze ne lo separavano, e che poteva uscire sulla
punta dei piedi, e picchiare all'uscio, e dire: «figlio, apri a tuo
padre.» Avrebbe bastato questo; non ne dubitava, avrebbe bastato,
poichè, pensandoci, si ricordava di non averlo più da gran tempo
chiamato con quel nome. E che gioia, nel vederselo balzare incontro,
e nel confondere palpito a palpito, lagrima con lagrima, e non dir
parola, nemmeno una, ma baciarsi in volto e piangere, perdonati
entrambi, rinati entrambi agli affetti, e quindi innanzi confidenti,
l'uno coll'altro, proprio come i migliori amici che Dio ha posto sulla
terra — il padre ed il figlio.
Per poco il signor Fulgenzio non pose in atto quella dolce fantasia;
ma era notte calata, che avrebbe detto Mario?
Cedendo finalmente al sonno, il vecchio continuò a veder suo figlio,
a stringerlo nelle proprie braccia, a guardarlo fisso negli occhi ed a
dirgli con fremito d'amore: «Guardami, sono proprio tuo padre.»
L'alba lo trovò intento a dibattere il quesito se fosse meglio recarsi
egli stesso nella camera del figlio e spiarne ai piedi del letto il
ridestarsi, oppure aspettare ch'egli fosse levato e fargli dire che
venisse.
La paternità e la vecchiezza hanno i loro diritti e non era biasimevole
orgoglio mantenerli.
E, in sostanza, più giovava forse parlare aperto, senza lagrime, da
uomo, da padre; dire: «noi ci siamo ingannati a vicenda, io so che tu