quel che il soggetto tragico le richiedesse, nè deve parer troppo
strano che un libro siffatto cominci con un lamento.
Anche il lamento, per altro, non è, e non poteva essere in un tal
uomo, querimonia e rassegnazione, ma sfida e minaccia. E il
Guerrazzi che, custodito nella sua segreta, impreca ai tiranni della
terra, somiglia un po' (e non senza un tantino di posa) a Prometeo,
che, inchiodato alla rupe, impreca al tiranno del cielo. Più nobile e
più eloquente, in ogni modo, quando, poche pagine dopo, restando
dal maledir gli oppressori, si volge a eccitare gli oppressi: «Finchè,
sollevandosi al cielo, le vostre braccia sentiranno il peso dei ferri
nemici, non supplicate; Iddio sta coi forti! La vostra misura di
abiezione è già colma; scendere più oltre non potete; la vita consiste
nel moto; dunque sorgerete! Ma intanto abbiate l'ira nel cuore, la
minaccia sui labbri, nella destra la morte. Tutti i vostri Iddii
sprezzate; non adorate altro Dio che Sabaoth, lo spirito delle
battaglie. Voi sorgerete.»
E seguita ancora, sempre più terribile e sempre profetico, perchè qui
veramente nel Titano risorge il Profeta, e la sua prosa assurge a una
vera altezza lirica e biblica, che non è più byronismo, che non è più
maniera, che non è più rettorica.... E se oggi par tale, benedetta
quella rettorica! Il suo fremito, allora, faceva fremere tutti, tutti
scoteva quell'impeto e inebriava quell'odio; e le pagine del poema,
copiate con lunghe fatiche e passate di mano in mano furtivamente,
correvano intanto, rapide come un incendio, l'intera penisola.
L'autore dell'Assedio di Firenze non è un romanziere o uno storico,
non è neppure soltanto un poeta o un profeta, ma un combattitore e
un vendicatore: vendicatore di tre secoli di servitù, di tre secoli
d'ignominia, quanti ne erano corsi dalla caduta della repubblica
fiorentina, sopraffatta dall'armi e dai tradimenti di Carlo V e di
Clemente VII; che è quanto dire dalla caduta dell'ultima libertà
italiana affogata nel sangue, dall'ultimo moto del cuore d'Italia, che
per trecento anni doveva cessare di battere.
E il Guerrazzi fu pari, per ingegno e per animo, all'alto argomento, in
mezzo al quale ci trasporta con passione di attore e di